Margita Figuli
Laura Candiani
Grafica di Giada Ionà
Mi chiamo Margita, Margita Šustrová; sono nata nel nord della Slovacchia il 2 ottobre 1909. La mia era una famiglia umile, di contadini, ma a me piaceva studiare, quindi con un po' di sacrificio ho potuto frequentare un istituto tecnico commerciale fino al diploma. Però avevo un sogno: avrei tanto voluto specializzarmi nella pittura, magari nella città più bella del mondo (o almeno così la immaginavo): Praga. Evidentemente le mie doti erano modeste e non passai l'esame per ottenere la borsa di studio. Pazienza. Mi dedicai allora a un altro tipo di arte: la musica e frequentai corsi di pianoforte al conservatorio. Ormai avevo una ventina d'anni e i miei non potevano continuare a mantenermi: dovevo trovarmi un lavoro. C'era stata di mezzo anche la guerra e la situazione in Slovacchia -come ovunque in Europa- non era delle migliori. Riuscii a inventarmi un mestiere qualsiasi, non era il massimo e certo non corrispondeva alle mie ambizioni, ma mi dovetti accontentare. Mi trasferii nella nostra antica capitale Bratislava, dove mi occupavo di traduzioni commerciali dall'inglese in una banca. Poi finalmente arrivò una svolta. Eravamo nei primi anni Trenta e alcuni miei modesti scritti in prosa e in poesia cominciarono a essere pubblicati su riviste locali. Il sogno di lavorare con la penna piano piano si stava avverando. Decisi di dedicarmi sul serio alla scrittura. Mi sposai con Jozef Suster e mi trovai un nome d'arte: diventai Margita Figuli. Di lì a poco – nel 1936 e nel '37 – riuscii a pubblicare le mie prime opere che mi dettero un minimo di visibilità: Uzlík tepla (Una piccola borsa termica) e Pokušenie (Tentazione), raccolta di dieci novelle in cui inserii tematiche legate al mondo femminile.
Non era un periodo facile: in Europa si faceva avanti lo spettro lugubre di una nuova guerra, Stalin guidava il suo popolo con mano ferma (talvolta poi ho pensato che fosse un tiranno... ma non lo si poteva dire), mentre la Germania nazista si mostrava in tutta la sua aggressività. Nonostante questa situazione preoccupante, che pesava sui nostri animi ma anche sull'economia e la vita sociale, io scrivevo con rinnovato fervore. Fu così che uscì nel 1940 quello che probabilmente è rimasto il mio successo più bello: Tri gaštanové kone (Tre cavalli bai). Ci avevo messo tutto il mio impegno e la mia inventiva ed ero riuscita a introdurre nella trama elementi ispirati al folklore della mia terra e alle ballate tradizionali. Si tratta di una vicenda disseminata di ostacoli che mette in scena un triangolo amoroso composto di due uomini e una donna, con molti riferimenti biblici, un raffinato erotismo e un'atmosfera lirico-poetica. È una storia breve, di poco più di 100 pagine, in cui i protagonisti crescono e maturano spiritualmente attraverso eventi tragici per giungere al lieto fine. I tre cavalli del titolo sono simboli che vogliono rappresentare la bontà, la bellezza e la forza della natura, così come le tre stesse qualità umane sono conquistate grazie all'obbedienza al codice morale cristiano. La critica disse che era un racconto ricco di ritmo che riesce a mantenere con efficacia l'atmosfera del dramma in cui si fondono le dettagliate descrizioni delle foreste sui monti Tatra e l'ingenuo ottimismo della realtà contadina. Il libro fu assai apprezzato, tanto da essere ripubblicato sette volte nei sette anni successivi. Fu anche tradotto in varie lingue e mi ha fatto molto piacere sapere che dopo tanto tempo, agli inizi di questo 1995, è stato pubblicato in Italia da una casa editrice piccola ma (mi dicono) prestigiosa: la Sellerio di Palermo, a cura di Ida Bonetti che vorrei proprio ringraziare per aver pensato a me e al mio lavoro. È bello anche il titolo in italiano: Tre cavalli bai.
L'anno successivo lasciai per sempre il mio noioso lavoro in banca e scrissi un romanzo che mi procurò parecchi guai: Olovený vták ("L'uccello di piombo") perché trattava in chiave antimilitarista un tema di grande attualità, cioè la recente invasione della Polonia da parte delle truppe del Terzo Reich che di fatto aveva dato il via al conflitto; nel '42 uscì Tri noci a tri sny ("Tre notti e tre sogni"), ma riuscii anche a realizzare il dramma radiofonico "Sogno sulla vita o vita di Shelley. Eravamo travolti dalla guerra che alla fine era scoppiata e certo non c'erano né tempo né voglia di pensare alla letteratura e a scrivere con la preoccupazione della fame e della morte incombente. Per guadagnare qualcosa feci alcune traduzioni delle opere di scrittori cechi molto noti come Karel Čapek e Karel Jaromír Erben.
Finalmente la guerra finì: il nuovo ordine mondiale divise la nostra Europa in due, ed io rimasi al di qua (o al di là, secondo il punto di vista) della cosiddetta cortina di ferro. Mi dedicai allora a un'impresa veramente faticosa, articolata e lunga, che mi è costata molte ricerche: si tratta di un ampio romanzo storico, Babylon, suddiviso in 4 volumi, che vide la luce nel 1946 e che trae ispirazione dalla storia dell'Impero caldeo. Le complesse vicende e le informazioni sui personaggi reali e immaginari illustrano la crisi sociale e morale dell'epoca, dovuta al potere assoluto e all'estinzione dell'antico impero, con evidenti allusioni al presente. Ho voluto inserire come elemento centrale anche il conflitto tra il politeismo caldeo e il monoteismo ebraico, una tematica spirituale e religiosa che mi sta parecchio a cuore. Qualche anno dopo, nel '56, l'opera fu ripubblicata in una nuova versione, dal momento che la critica di regime lo aveva ritenuto un romanzo "puramente estetico". Comunque avevo ottenuto il "premio nazionale" grazie proprio a questo libro che risulta essere fra i miei più noti e più tradotti, soprattutto nelle lingue dell'Est europeo: russo, polacco, ceco, sloveno, ungherese, bulgaro.
Nel '64 ho avuto nel mio Paese il premio "artista meritevole" e nel '74 il premio "artista nazionale". Ma io sono una donna semplice e non mi sono mai montata la testa. Confesso però che mi sono divertita a utilizzare qualche volta, per confondere un po' la critica e il pubblico, un altro pseudonimo, molto carino a dire la verità: Ol'ga Morena, che ha un'aria vagamente esotica e mi può far scambiare per una spagnola o una russa. Chissà. Con questa nuova veste ho anche pubblicato libri per ragazzi e ragazze: nel '63 La mia prima lettera, nel '64 Ariadnina nit e nel 1980 Ballata di Juro Janosik (scritta in versi), mentre nel '56 era uscito il mio diario autobiografico romanzato: Gioventù. Il mondo della musica che ho tanto amato e frequentato mi ha offerto una bella occasione quando ho potuto comporre il libretto per un balletto di Simon Jurovsky, dal titolo Ballata dei cavalieri (1959). Qui ho inserito le mie varie passioni: la storia e le tradizioni del mio popolo, i miti, la fede, la rielaborazione fantastica.
La mia ultima opera è stato il romanzo Víchor v nás (Vento impetuoso in noi, 1974), in cui ho descritto il mondo femminile nella regione di Orava attraverso la drammatica vicenda di una madre che subisce violenza da parte di un brutale soldato nazista. Francamente le reazioni della critica non sono state molto positive: io avevo cercato di utilizzare come metodo di scrittura il realismo socialista, unendo il documento umano al mito, ma forse i tempi stavano mutando e non sono riuscita nell'intento di aggiornare la mia vena artistica. Da allora, anche un po' delusa, non ho più pubblicato nessun testo in prosa, e sono passati ormai vent'anni. Sono anziana e stanca. Il mondo è cambiato e non lo riconosco più: il muro di Berlino è stato abbattuto, l'Unione europea si è allargata, la vecchia Urss si è suddivisa in tanti Stati. Il mio Paese ha affrontato in questo XX secolo momenti molto difficili: dall'uccisione di Masaryk alla primavera di Praga con Dubček, in cui avevamo riposto tante speranze. Ma ora anche da noi c'è la democrazia e da due anni siamo indipendenti dalla repubblica ceca. Ed io, fiduciosa, assisto da Bratislava ai nuovi eventi.
Traduzione francese
Patricia Aubry e Michel Bedu
Je m’appelle Margita, Margita Sustrová; je suis née dans le nord de la Slovaquie le 2 octobre 1909. Ma famille était une famille humble, de paysans, mais j’aimais étudier, donc avec un peu de sacrifice j’ai pu fréquenter un institut technico-commercial jusqu’au diplôme. Mais j’avais un rêve; j’aurais tant voulu me spécialiser dans la peinture, peut-être dans la ville la plus belle du monde (du moins l’imaginais-je ainsi): Prague. Évidemment mes ressources étaient modestes et je n’ai pas reussi l’examen pour obtenir la bourse d’étude. Patience. Je me dédiais alors à un autre type d’art : la musique et suivait des cours de pianoforte au conservatoire. J’avais désormais une vingtaine d’années et les miens ne pouvaient continuer à subvenir à mes besoins : je devais me trouver un travail. Il y avait aussi la guerre et la situation en Slovaquie - comme partout en Europe - ce n’était pas le meilleur moment. J’ai réussi à prendre n’importe quel métier, ce n’était pas le meilleur et ne correspondait certainement pas à mes ambitions, mais je devais m’en contenter. J’ai déménagé dans notre ancienne capitale Bratislava, d’où je m’occupais de traductions anglaises dans une banque. Puis finalement, la chance tourna. Nous étions au début des années trente et certains de mes modestes écrits en prose et en poésie commencèrent à être publiés dans des magazines locaux. Le rêve de travailler de ma plume petit à petit se réalisait. J’ai décidé de me consacrer sérieusement à l’écriture. J’épousai Josef Susteret et me trouvais un nom d’artiste: je devins Margita Figuli. Un peu plus tard, en 1936 et 1937, je réussis à publier mes premiers travaux qui m’ont donné un minimum de visibilité : Uzlík tepla (Un petit sac isotherme) et Pokusenie (Tentations), recueil de dix nouvelles dans lequel j’insérai des thèmes relatifs au monde féminin.
Ce n’était pas une période facile : en Europe s’avançait le spectre lugubre d’une nouvelle guerre, Staline tenait son peuple d’une main ferme (parfois alors je pensais qu’il était un tyran...mais on ne pouvait pas le dire), tandis que l’Allemagne nazie se montrait dans toute son agressivité. Malgré cette situation préoccupante, qui pesait sur nos âmes mais aussi sur l’économie et la vie sociale, j’écrivais avec une ferveur renouvelée. Ce fut ainsi que sorti en 1940 celui qui est resté probablement mon succès le plus beau: Tri gastanové kone (Trois chevaux bai). J’y avais mis tous mes efforts et mon inventivité et avait réussi à introduire dans la trame des éléments inspirés du folklore de ma terre et des balades traditionnelles. Il s’agit d’une histoire parsemée d’obstacles qui mettent en scène un triangle amoureux composé de deux hommes et une femme, comprenant de nombreuses références bibliques, un erostisme raffiné et une atmosphère lyrico -poétique. C’est une histoire brève, d’un peu plus de 100 pages, dans laquelle les protagonistes grandissent et mûrissent spirituellement à travers des événements tragiques jusqu’à atteindre une fin heureuse. Les trois chevaux du titre sont les symboles qui veulent représenter la bonté, la beauté et la force de la nature, tout comme les mêmes qualités humaines sont obtenues grâce à l’obéissance au code moral chrétien. Les critiques ont dit que c’était une histoire pleine de rythme qui parvient à maintenir avec efficacité l’atmosphère du drame dans lequel les descriptions détaillées des forêts dans les montagnes du Tatra et l’optimisme naïf de la réalité rurale se confondent. Le livre a été tant apprécié qu’il fut publié sept fois durant sept ans. Il a été aussi traduit en différentes langues et j’étais très heureuse de savoir longtemps après, au début de 1995, qu’il a été publié en Italie par une petite maison d’édition mais (je me dit) prestigieuse: la Sellerio di Palermo, édité par Ida Bonetti que j’aimerais remercier pour avoir pensé à moi et à mon travail. Le titre est beau aussi en italien : Tre cavalli bai.
L’année suivante j’ai quitté mon travail ennuyeux à la banque et j’ai écrit un roman qui m’a causé beaucoup de problèmes : Oloveny vták (L’oiseau de tête) parce qu’il traitait d’un thème anti-militariste de grande actualité, c’est à dire la récente invasion de la Pologne par les troupes du Troisième Reich qui ce fait avait lancé le conflit ; en 42 sortit Tri noci a tri sny (Trois nuits et trois rêves), mais j’ai aussi pu réaliser le drame radiophonique Rêver de la vie ou de la vie de Shelley. Nous avons été submergés par la guerre qui a finalement éclaté et il n’y avait certainement plus ni le temps ni l’envie de penser à la littérature et d’écrire dans l’ombre de la faim et de la mort imminentes. Pour gagner un peu d’argent, je fis quelques traductions de travaux d’écrivains tchèques très connus comme Karel Capek et Karel Jaromír Erben.
Finalement la guerre a prit fin: le nouvel ordre mondial a divisé notre Europe en deux, et je suis resté du côté (ou de l’autre côté, suivant le point de vue) du soi-disant rideau de fer. Je me suis alors consacrée à une entreprise vraiment fatiguante, complexe et longue, qui m’a demandé beaucoup de recherches : il s’agit d’un long roman historique, Babylon, divisé en 4 volumes, qui a vu le jour en 1946 et qui puise son inspiration de l’histoire de l’Empire Chaldéen. Les événements complexes et les informations sur les personnages réels et imaginaires illustrent la crise sociale et morale de l’époque, due au pouvoir absolu et à l’extinction de l’ancien empire, avec d’évidentes allusions au présent. J’ai voulu aussi ajouter comme élément central le conflit entre le polythéisme chaldéen et le monothéisme juif, une thématique spirituelle et religieuse qui me tient à cœur. Quelques années plus tard, en 56, l’œuvre a été republiée dans une nouvelle version, dans la mesure où la critique du régime l’avait retenue comme un roman « purement esthétique». Cependant j’avais obtenu le « prix national » grâce à ce livre qui s’avère être l’un de mes plus connus et plus traduits, surtout dans les langues d’Europe de l’Est : russe, polonais, tchèque, slovène, hongrois, bulgare.
J’ai reçu en 64 dans mon pays, le prix «artiste méritante» et en 74 le prix «artiste nationale». Mais je suis une femme simple et cela ne m’est pas monté à la tête. Mais je confesse que quelques fois je me suis amusée à utiliser, pour tromper un peu la critique et le public, un autre pseudonyme, très charmant à dire vrai: Ol’ga Morena, qui a un air vaguement exotique et peut me faire passer pour une espagnole ou une russe. Qui sait. Sous cette nouvelle identité, j’ai publié des livres pour garçons et filles: en 63 La première lettre, en 64 Ariadnina et en 1980 Balade de Juro Janosik (écrite en vers), tandis qu’en 56, était sorti mon journal autobiographique romancé : Jeunesse Le monde de la musique que j’ai tant aimé et fréquentée m’a offert une belle occasion lorsque j’ai pu composer le livret pour un ballet de Simon Jurovsky, intitulé Balade des cavaliers (1959). Là, j’y ai inséré mes vraies passions: l’histoire et les traditions de mon peuple, les mythes, la foi, la résilience fantastique.
Ma dernière œuvre a été le roman Vichor v nás (Vent impétueux intérieur, 1974), dans lequel j’ai décrit le monde féminin dans la région d’Orava à travers l’histoire dramatique d’une mère qui subit la violence d’un soldat nazi. Franchement, les réactions de la critique n’ont pas été très positives : j’avais cherché à utiliser comme méthode d’écriture le réalisme socialiste, unissant le document humain au mythe, mais peut-être les temps étaient en train changer et je n’ai pas réussi à renouveler ma veine artistique. Dès lors, un peu désappointée, je n’ai plus publié aucun texte en prose, et vingt ans ce sont écoulés maintenant. Je suis âgée et fatiguée. Le monde a changé et je ne le reconnais plus: le mur de Berlin a été abattu, l’Union Européenne s’est élargie, la vieille URSS s’est scindée en plusieurs états. Mon pays a affronté durant ce XX siècle des moments très difficiles: de l’assassinat de Masaryk au printemps de Prague avec Dubcek, dans lequel nous avions placé tant d’espoirs. Mais maintenant nous sommes aussi en démocratie et depuis deux ans nous sommes indépendants de la République tchèque. Et moi, confiante, j’assiste aux nouveaux événements de Bratislava.
Traduzione inglese
Francesca Campanelli
My name is Margita, Margita Šustrová; I was born in the north of Slovakia on 2nd October, 1909. Mine was a humble family of peasants, but I liked studying, so with a little sacrifice I was able to attend a technical-commercial institute until I graduated. But I had a dream: I wanted so much to specialize in painting, perhaps in the most beautiful city in the world (or as I imagined it): Prague. Evidently my skills were modest, and I did not pass the exam to get the scholarship. Patience. I then devoted myself to another type of art: music and attended piano courses at the conservatory. I was about twenty years old at that time and my parents could not keep supporting me: I had to find a job. There was also war involved and the situation in Slovakia - as everywhere in Europe - was not the best. I managed to invent any profession, it was not the best and certainly did not correspond to my ambitions, but I had to be satisfied. I moved to our ancient capital Bratislava, where I was doing business translations from English in a bank. Then finally came a turning point. It was in the early 1930s and some of my modest prose and poetry writings began to appear in local magazines. The dream of working with the pen slowly was coming true. I decided to devote myself seriously to writing. I married Jozef Suster and I found a stage name: I became Margita Figuli. Shortly thereafter - in 1936 and in 1937 - I managed to publish my first works that gave me a minimum of visibility: Uzlík tepla (A small cooler) and Pokušenie (Temptation), a collection of ten short stories in which I inserted related themes to the female world.
It was not an easy period: in Europe the gloomy spectre of a new war was coming forward, Stalin led his people with a firm hand (sometimes I thought he was a tyrant ... but it could not be said), while Germany Nazi showed himself in all his aggression. Despite this worrying situation, which weighed on our souls but also on the economy and social life, I wrote with renewed fervour. So it was that in 1940 what probably remained my best success came out: Tri gaštanové kone (Three horses bai). I had put all my effort and inventiveness into the plot, and I was able to introduce elements inspired by the folklore of my land and traditional ballads into the plot. It is a story strewn with obstacles that stages a love triangle made up of two men and a woman, with many biblical references, a refined eroticism, and a lyrical-poetic atmosphere. It is a short story, just over 100 pages, in which the protagonists grow and mature spiritually through tragic events to reach the happy ending. The three horses of the title are symbols that want to represent the goodness, beauty and strength of nature, just as the three same human qualities are conquered thanks to obedience to the Christian moral code. The critics said it was a story full of rhythm that manages to effectively maintain the atmosphere of the drama in which the detailed descriptions of the forests in the Tatra mountains and the naive optimism of rural reality merge. The book was much appreciated, so much so that it was republished seven times in the following seven years. It was also translated into various languages and I was very pleased to know that after a long time, at the beginning of this 1995, it was published in Italy by a small but (they tell me) prestigious publishing house: the Sellerio of Palermo, edited by Ida Bonetti whom I would like to thank for thinking about me and my work. The title in Italian is also beautiful: Tre cavalli bai.
The following year I left my boring job in the bank forever and wrote a novel that caused me a lot of trouble: Olovený vták ("The lead bird") because it dealt with an anti-militarist theme of great relevance, namely the recent invasion of Poland by the troops of the Third Reich which in fact started the conflict; in '42 Tri Nuts a tri sny ("Three nights and three dreams") was released, but I also managed to make the radio drama "Dream about the life or life of Shelley. We were overwhelmed by the war that finally broke out and certainly not there it was neither time nor desire to think about literature and to write with the worry of hunger and impending death. To earn some money I made some translations of the works of well-known Czech writers such as Karel Čapek and Karel Jaromír Erben.
Finally the war ended: the new world order divided our Europe in two, and I remained on this side (or on the other side, according to the point of view) of the so-called Iron Curtain. I then devoted myself to a truly tiring, complex, and long undertaking, which cost me a lot of research: it is a large historical novel, Babylon, divided.