Pubblicato in "La Nuova ecologia", marzo 2014
di Maria Pia Ercolini
Gli odonimi dei centri urbani, nell’Europa continentale, sono il risultato di scelte ideologiche chiare e consentono di leggere orientamenti e mode delle rispettive società. Nell’Italia preunitaria prevalevano i riferimenti a caratteristiche fisiche del luogo e mestieri di strada. Le scelte celebrative ricadevano sostanzialmente su santi e imperatori. In seguito, la necessità di cementare gli ideali nazionali portò a ribattezzare vie e piazze dedicandole a protagonisti del Risorgimento e della storia; con l’avvento della Repubblica, si decise di cancellare le matrici di regime e di valorizzare fatti ed eroi della Resistenza, in entrambi i casi rigorosamente uomini: da sempre ogni traccia del contributo femminile alla crescita sociale, economica, culturale e politica del Paese è negata.
Il gruppo di ricerca "Toponomastica femminile" nasce nel gennaio 2012 con l'idea di sollecitare cittadinanza e istituzioni al recupero di una memoria paritaria, attraverso la consapevolezza e il ripensamento delle intitolazioni stradali. L’invisibilità delle donne, già evidente nel cognome non trasferibile e nel linguaggio - che declina al maschile espressioni collettive e professioni prestigiose – esce allo scoperto negli spazi urbani, dove segnaletica e toponomastica ignorano l’esistenza del genere maggioritario. Ad ogni angolo le città forgiano un immaginario androcentrico, e a volte misogino, che non offre modelli identificativi accettabili alle giovani del nostro tempo: vittime, martiri e sante, ricordate da targhe e lapidi, fanno da contraltare ad antiche tracce di postriboli, cancellando il ricordo di scienziate, filosofe, matematiche, letterate, partigiane, ambientaliste. Quando poi si abbassa lo sguardo su cartelloni pubblicitari, muri e vetrine, l’identità femminile si tramuta in carni esposte e corpi in vendita.