Carmen de Burgos
Antonella Palermo
Valentina Bartolotta
L’odore di una tipografia sale su per le narici e si attacca prepotente alla mente, alla memoria delle emozioni. Il primo approccio con il mondo dell’editoria venne, per Carmen, proprio da quelle macchine di proprietà del suocero, governatore d’Almeria. In quel capannone si stampava ogni giono il più importante quotidiano della capitale. Giornalismo e politica, insomma, li aveva sempre respirati in casa. In quella paterna prima, col padre viceconsole del Portogallo; in quella coniugale, poi, non solo col suocero e la sua tipografia ma anche col marito Arturo Alvarez Bustos, giornalista e poeta, sposato – contro il volere dei suoi genitori – a sedici anni e di quindici anni più grande di lei. A dirla tutta, il matrimonio si era rivelato fin da subito una strada infelice. Tradimenti e alcool non avevano certo aiutato e dopo la morte di Arturo, uno dei quattro figli della coppia, la scelta di andare a vivere a Madrid, portando con sè la figlia Maria, sembrò il naturale passaggio verso quel processo di indipendenza che maturava in lei già da tempo. Con alloggio provvisorio la casa del vecchio zio Agustin de Burgos Cañizares, Carmen decise che sarebbero vissute con quello che avrebbe guadagnato da sola e cominciò lavorando come insegnante, titolo che aveva preso proprio l’anno del terribile lutto. Quella conquistata autosufficienza economica era il primo passo dell'attività a tutto campo che avrebbe portato Carmen De Burgos ad essere quella che era: scrittrice, giornalista, biografa, redattrice, convegnista, opinionista. Ad affermarsi come Colombine prima, e a riaffermare poi anni dopo, con rinvigorita energia, il suo nome di battesimo. Carmen de Burgos y Seguí era nata il 10 dicembre del 1867 ad Almeria da mamma Nicosia Segui Nieto e da papà Jose de Burgos Cañizares, prima di dieci tra fratelli e sorelle, ed era cresciuta a qualche decina di chilometri da lì, a Rodalquilar, villaggio nel comune spagnolo di Níjar nella provincia di Almeria, all'interno di quella grande vallata che è il parco naturale Cabo de Gata, tra i possedimenti e le miniere di proprietà del papà. Una terra feconda, di stratificazioni minerarie e culturali che spesso riaffioreranno nelle sue opere.
Ritratto di Carmen de Burgos.
A meno di quarant’anni, un matrimonio archiviato alle spalle e la voglia di ricominciare, a Madrid Carmen iniziò presto a sperimentare la sua capacità di leggere i fatti del tempo e di scriverne con arguzia. A pochi mesi dal suo arrivo, nel dicembre del 1901, metteva piede nel mondo del giornalismo con la rubrica “Notas Femeneninas”, ospitata dal giornale "El Glogo". Colombine arrivò l’anno dopo ancora, nel 1903: Augusto Suárez de Figueroa stava fondando il "Diario Universal" e le propose di collaborare al nuovo progetto editoriale con una rubrica quotidiana intitolata “Lecturas para la mujer”. Si sarebbe occupata di questioni femminili: sostanzialmente, almeno questa era l’intenzione, moda, cucina, arte e bellezza. Fu proprio il direttore a proporle di usare uno pseudonimo francese. Nasceva così Colombine. Quel contratto di assunzione era il punto di svolta: per la prima volta in Spagna una donna veniva riconosciuta come giornalista professionista. Nell'aprile del 1904 partecipò in qualità di giornalista alla delegazione che accompagnava il re Alfonso XIII nel suo viaggio ad Almería. Tornava così a casa, nella città conservatrice e cattolica che aveva dovuto lasciare all’indomani della separazione dal marito. Fece visita ai suoi familiari ma visitò soprattutto la School of Arts, l'Hospice e la Prigione e al suo ritorno a Madrid pubblicava due articoli che raccontavano l’esperienza. Carmen ebbe l’intuizione e la capacità di far breccia nel cuore delle donne passando dai trucchi di bellezza alla politica, non smise – anche per ragioni economiche – di scrivere finanche ricette di cucina, ma non rinunciò all’impegno per una società migliore. Buttò giù, così, articoli come La moglie e il suffragio o L’ispezione delle fabbriche operaie dando fin da subito un taglio chiaro al suo lavoro. «Sono favorevole a istruire le donne e fornire loro i mezzi per lavorare, come unico modo per dar loro dignità, rendendole indipendenti e capaci di prendersi cura da sole dei loro bisogni», scriveva. Nasceva così, tra quelle pagine e quelle giornate, anche il suo impegno per l’affermazione del divorzio in Spagna. Tutto cominciò quasi per caso, quando, cercando un tema da trattare nella sua rubrica del "Diario Universal", lo sguardo ed il pensiero di soffermarono su una lettera inviatale dallo scrittore Vicente Casanova. Quest’ultimo voleva informarla dell’esistenza di un “Club de matrimonios mal avenidos”. La curiosità si trasformò presto in una convinta campagna di sensibilizzazione. Da una semplice riflessione per una rubrica a vera e propria mobilitazione civile il passo fu breve. E non indolore. La penna di Colombine chiamava a raccolta intellettuali, politici, società civile. Era arrivato il momento, ne era convinta, che la Spagna si dotasse di una legge che consentisse, anche formalmente, la rottura di un matrimonio fallito. Il divorzio era «conveniente alla società e alla morale», avrebbe dimostrato, e chiedeva anche agli/lle altri/e di esprimersi, di prendere posizione. Il tema era ormai sul tavolo e per quanto la politica nicchiasse, tante persone erano con Colombine. Importanti intellettuali dell’epoca risposero alla sua “chiamata” rifacendosi all’articolo a sua firma da cui era partito quello che sembrava quasi un sondaggio dalla domanda netta: chi è a favore di una legge sul divorzio? Troppo netta per la politica, che per lo più scelse di non esporsi. Ma chiara per le donne e gli uomini che risposero convintamente. Si alternarono i favorevoli e i contrari, ciascuno argomentando per il sì o per il no. Furono tanti i nomi della cultura che non si sottrassero al dibattito scrivendo lettere a Colombine, spiegando le ragioni del divorzio o della sua opposizione. Non bastò la rivista ad accogliere questa riflessione collettiva e d’altro canto il livello del dibattito era diventato troppo politicamente impegnativo per una rivista che in fondo le aveva chiesto solo di scrivere di temi femminili. Perciò, nel 1904 Carmen De Burgos pubblicò il volume intitolato El divorcio en España. Decise di dividere il lavoro in due parti: la prima raccoglieva le lettere inviate dalle personalità più illustri, mentre la seconda era formata dalle risposte di lettori e lettrici del giornale. Due parti distinte ma con pari dignità e un’unica conclusione: grazie al sondaggio da lei avviato e sviluppato, aveva confrontato i risultati e aveva verificato che la maggioranza del Paese era a favore del divorzio. La campagna non risparmiava accostamenti arditi: argomentando con la possibilità concessa alle suore di interrompere la clausura, provocatoriamente definito «el divorcio de las monjas», ci si arrivava a chiedere: se possono divorziare le monache, perché non può divorziare una moglie dal marito? La grande esposizione sul tema le aveva fatto ottenere l’ammirazione di persone in vista come Giner de los Ríos e Blasco Ibáñez, ma le aveva anche procurato aspre critiche da parte del mondo ecclesiastico e dei settori conservatori del Paese e quando qualche anno dopo, nel 1907, salì al governo il conservatore Antonio Maura, il ministro della Istruzione Pubblica Rodríguez-San Pedro la trasferì a Toledo per allontanarla da Madrid. Oltre alla questione divorzio, d’altronde, Carmen si era subito cimentata su un altro terreno, non meno inviso ad una certa scuola di pensiero. Nel 1906 aveva cominciato a collaborare con un’altra testata,“El Heraldo de Madrid” e da queste pagine, con una nuova rubrica dal titolo eloquente “El voto de la mujier”, aveva avviato una campagna a favore del suffragio femminile. «È veramente assurdo che le persone ignoranti abbiano il diritto di votare solo perché sono uomini, e che alle donne istruite questo diritto venga negato solo perché sono donne», scriveva. E poi, ancora, gli articoli sulla istruzione della donna, sul lavoro, il tema, così avanti, del trattamento economico della lavoratrice e la questione della parità di retribuzione uomo-donna. Si schierò a favore dei sefarditi (gli ebrei della penisola iberica), contro la pena di morte e in difesa dell'infanzia e di una nuova impostazione didattica. Il mondo progressista era con lei, aumentavano gli inviti a convegni e dibattiti. Sempre più invisa, invece, a quelle forze che stavano andando al potere in Spagna. E peggio sarebbe stato anche più in là, in epoca franchista quando, benché non più in vita, Carmen de Burgos fu condannata all’oblio assieme alle sue opere, molte delle quali, secondo diverse ricostruzioni storiche, andarono distrutte. Questo però sarebbe stato di là da venire. Ora il trasferimento a Toledo della scrittrice e docente, fortemente voluto dal governo, si rivelò un tentativo infruttuoso di allontanarla dal centro del dibattito. Carmen, d’altronde, si era già allontanata fisicamente dalla città madrilena: nel 1905 aveva infatti ottenuto una borsa di studio del Ministero dell’Istruzione Pubblica per analizzare i sistemi di insegnamento di altri Paesi e ne aveva approfittato per girare per quasi un anno in Francia, Italia, Inghilterra e Monaco. Un’esperienza che l'aveva arricchita e l’aveva spinta, appena rientrata dalla Francia, a fondare "La tertulia modernista", il circolo letterario che Carmen continuò ad alimentare anche da Toledo. Così, senza indugio, ogni settimana continuò instancabile a rientrare a Madrid per ospitare al circolo scrittori, giornalisti/e, artisti/e , musicisti, poeti stranieri di passaggio in città. Si stavano gettando i semi per la nascita della “Revista Critica”, ma anche per grandi legami: fu al circolo che conobbe Ramón Gómez de la Serna, allora sconosciuto studente di diciotto anni, e fu così che partì un rapporto, sentimentale ed epistolare, che durò per oltre vent'anni. Un affetto sincero, che non le risparmiò le critiche per quell’amore con un uomo tanto più giovane, né dolore e amarezza per una breve relazione stretta tra lo stesso Ramón e sua figlia Maria in occasione della partecipazione della giovane ad una commedia scritta da Gómez. Fu un duro colpo per Carmen che però perdonò entrambi. Così scriveva anni dopo lo scrittore nel suo Automoribundia del suo rapporto con Catmen: «Lei da una parte e io dall'altra da un tavolo stretto abbiamo scritto e scritto lunghe ore e letto capitoli, cronache, racconti, poesie in prosa». Proprio a de la Serna si deve anche uno dei pochi ritratti che restituivano a Carmen la dignità di donna e scrittrice. Fu lui a ricordare i suoi primi anni a Madrid «con un cappellino triste» e «la figlia in braccio» a scrivere, scrivere e scrivere, per passione ma anche per guadagnarsi da vivere. D’altronde, Carmen fu la prima donna a vivere della sua scrittura, fu la prima redattrice e fu anche la prima giornalista ad essere inviata di guerra. Venne, infatti, anche il tempo della guerra e la penna di Colombine non rimase sul tavolo. ll 9 luglio 1909 i rifeños delle alture del Riff attaccarono un gruppo di operai spagnoli che stavano costruendo un ponte per la ferrovia mineraria a circa tre chilometri da Melilla, la città spagnola ancora oggi enclave in territorio marocchino.
Carmen Burgos con i soldati spagnoli a Melilla.
Alla grande indignazione del popolo spagnolo seguì la rappresaglia durissima del governo presieduto da Maura. Due giorni dopo l’attacco le truppe militari spagnole partirono alla volta della regione marocchina. Era, di fatto, l’inizio della guerra del Riff, a cui venivano chiamati anche i riservisti. Il 27 luglio 1909, durante quella che fu ribattezzata dalla storia la “settimana tragica”, si consumò la terribile sconfitta del Barranco del Lobo. I rifeños si rifugiarono sulla vetta del Gurugú e la scelta delle truppe spagnole si rivelò un fatale massacro. Carmen de Burgos, ospite presso l’ospedale da campo allestito dalla Croce Rossa, decise così di avvicinarsi alle truppe spagnole che lottavano attorno a Melilla per vedere e capire direttamente dal fronte. Da lì le sue corrispondenze di guerra per il quotidiano "El Heraldo" di Malaga; poi, una volta tornata a Madrid, pubblicò l’articolo Guerra a la guerra, nel quale difendeva i pionieri dell’obiezione di coscienza. «Il mondo civilizzato – si leggeva nell’articolo – mette il fucile in mano all’uomo, gli dà l’ordine di uccidere, e se l’uomo lancia la pistola e rifiuta di essere un assassino, viene trattato come un criminale. Ogni uomo deve, prima di tutto, e qualunque sia il costo, rifiutare tale servitù». Qualche settimana dopo il suo rientro, l’esperienza in territorio di guerra diventa anche En la guerra, una novella che tiene dentro tutte le emozioni registrate sul campo. Carmen De Burgos aveva ascoltato e toccato le sofferenze, la paura, la violenza, era stata “dentro” la guerra, in mezzo ai soldati. E doveva raccontarlo come solo lei sapeva fare. L’esperienza marocchina, peraltro, si arricchì nell’opera En la guerra anche delle cronache della Prima guerra mondiale che Carmen ebbe modo di incontrare nel suo viaggio nei Paesi nordici: viaggio che dovette interrompere prima di arrivare in Russia proprio perché finita suo malgrado per essere sospettata di essere una spia, perquisita e fatta scendere su un treno verso la Scandinavia. Il 1909 fu anche l’anno del suo primo romanzo: Los misadaptados, genere che continuò poi a coltivare negli anni che seguirono con La rampa (1917), Gli antiquari (1919), Gli spiriti (1923), La donna fantastica (1924), Voglio vivere la mia vita (1931). Nello stesso anno Carmen veniva nominata professoressa presso la Central Normal School di Madrid, dopo aver anche frequentato il corso di Metodologia per l'insegnamento dei sordomuti e dei ciechi. Nel 1911 fu nominata professoressa alla Scuola di Arti e Mestieri di Madrid. Por Europa, pubblicato nel 1910, fu il frutto del suo lungo e appassionato viaggiare nel Vecchio Continente, ma non mancarono resoconti di viaggi in America e in Argentina. Ogni viaggio era occasione per conoscere e confrontarsi con movimenti progressisti e femministi. Mai archiviato infatti, nel frattempo, l’impegno sui temi della condizione femminile, sebbene sempre con poca affezione al concetto di femminismo. Nel 1915 nasceva una grande amicizia, che sarebbe stata destinata a durare una vita intera: quella con Ana de Castro Osorio, che personificava la battaglia per i diritti delle donne raggiunti in Portogallo e che avrebbe influenzato la nascita della crociata spagnola che avvenne nel 1921. Nel 1922, la crociata delle donne spagnole organizzò una manifestazione per consegnare tutte le loro richieste in Parlamento: l’introduzione del divorzio, la possibilità di indagine sulla paternità, uguali diritti per bambine e bambini legittimi e illegittimi, la riforma delle norme che discriminavano le donne. Nel 1921 scriveva, per la serie "Novela Corta", Articolo 438. Il codice penale approvato nel 1870, ancora vigente cinquant’anni dopo, disciplinava di fatto una sorta di delitto d’onore: il marito che uccideva la moglie colta in flagranza di adulterio era punito con il divieto di avvicinarsi al luogo da cui era bandito per circa 25 chilometri. La regola si applicava anche ai genitori che avessero trovato una figlia minorenne (quindi di età inferiore ai 23 anni) con un amante ma non valeva, invece, se a scoprire il marito infedele fosse stata la moglie. Con il suo racconto, Carmen chiedeva l’abrogazione della norma avviando una battaglia che era giuridica e culturale assieme. Nel frattempo presiedeva l'associazione crociata delle donne spagnole, guidava la prima manifestazione di protesta delle suffragette in Spagna e iniziava ad argomentare le sue idee in manifestazioni e tribune pubbliche a cui veniva invitata sempre più spesso. Nel 1923 Carmen pubblicò Malcasada (mal sposata), ambientato completamente ad Almeria e dalle cui righe trapelava autobiografica l’amarezza di una società che impediva ad una donna di sottrarsi ad un matrimonio infelice. Furono anche gli anni in cui si avvicinò al Partito socialista radicale repubblicano, dopo aver lasciato il Partito socialista spagnolo dei lavoratori in polemica con la ritrosia interna di quest’ultimo rispetto alla richiesta femminista di suffragio universale. Nella sua opera La mujer moderna y sus derechos (1927), firmata non più Colombine, tornava il tema della parità e del femminismo, che, scriveva Carmen De Burgos, rappresenterebbe «Non la lotta dei sessi, nemmeno l'inimicizia con l’uomo, ma al contrario indica che la donna intende collaborare con lui e al suo fianco». L’opera era intrisa delle esperienze di viaggio in altri Paesi, ne metteva a confronto condizione sociale e giuridica della donna. Ma al di là delle etichette, quello era il suo manifesto di impegno per le donne. «Puoi impedire alle donne di votare, ma non puoi impedire loro di pensare. Le donne sono ritenute adatte a modellare il carattere dei propri figli e ad educare intere generazioni, perché generalmente le donne si occupano della prima infanzia; e neghiamo loro il diritto primario di instillare un'istruzione e un senso di civiltà», scriveva. E ancora: «La donna è qualcosa di più della femmina, come l'uomo è qualcosa di più del maschio, dal momento in cui l'intelligenza permette loro di non ridursi al ruolo di semplici riproduttori della specie. Uno sguardo, per quanto lieve, dedicato allo studio del sesso femminile, ci mostra che la subordinazione della donna non è opera della natura». Censurato anni dopo dal governo di Franco e inserito tra le prime nove opere nell'elenco dei libri proibiti dall'Inquisizione Cattolica Nazionale, il libro fu presto definito la "bibbia del femminismo spagnolo". C’erano dentro i viaggi, gli articoli, i confronti con le tante personalità e le tante storie semplici che aveva incontrato negli ultimi anni. Non si interrompeva, intanto, la sua vena di scrittrice mandando in stampa decine di racconti, molti dei quali pubblicati a puntate su "El Cuento Semanal". Tra i più importanti verranno ricordati: Il tesoro del castello (1907), Sentieri della vita (1908), L'uomo nero (1916), Il miglior film (1918), Gli uomini d'affari della Puerta del Sol (1919), La "Misericordia" ( 1927), Quando la legge lo richiede (1932). Amica di Blasco Ibáñez, era una stretta collaboratrice della casa editrice Sempere da lui diretta e per lungo tempo scrisse, con lo pseudonimo di Gabriel Luna, per il quotidiano valenciano "El Pueblo", fondato proprio da Ibáñez. Nella sua prolifica attività di scrittrice non mancarono anche le traduzioni di opere di autori come Max Nordau, Ruskin, Renán. Carmen scriveva di tutto, per passione, per impegno civile e anche solo per arrotondare lo stipendio di insegnante, forte della sua conquistata e rivendicata indipendenza economica. Non si definì mai una femminista, così come d’altronde respinse ogni altra etichetta. Nel 1931 tutto quello per cui Carmen si era battuta vedeva la luce assieme alla Seconda Repubblica spagnola che riconobbe il matrimonio civile, il divorzio e il suffragio femminile. Fu una gioia, ma fu anche motivo per continuare di più e meglio l’assiduo impegno in diverse organizzazioni, anche a discapito della sempre più provata salute. Nel 1932, durante una conferenza sull’educazione sessuale, Carmen si accasciò a terra a seguito di un malore che la portò alla morte, nella propria abitazione, all’alba del giorno dopo. Si racconta che avrebbe proferito queste parole: «Muoio felice perché muoio nel trionfo repubblicano! Lunga vita alla Repubblica!». Di certo fu donna libera, senza pregiudizi, coraggiosa, tenace. Il suo nome rimane legato a tante battaglie, a tanta importante produzione letteraria e al mondo del giornalismo. Segno che la damnatio memoriae tentata da Franco finanche dopo la sua morte non è riuscita a scalfirla. Così si consegnò ai posteri, nella sua autobiografia: «Detesto l'ipocrisia e siccome sono indipendente, libera e non voglio essere amata per qualità che non ho, dico sempre tutto quello che sento e sento. Quindi quelli che mi amano mi amano davvero. Chi mi distoglie da dietro si toglie il cappello davanti a me. Non ho mai pensato alla crescita personale a scapito della mia libertà o alla rinuncia alle mie convinzioni».
Intitolazioni e targhe spagnole a Madrid (a sinistra e in centro) e a Guadalajara in Castiglia-La Mancha (a destra).
Traduzione francese
Giuliana Gaudenzi
L’odeur d’imprimerie qui monte dans les narines s’accroche fortement à l’esprit, à la mémoire des émotions. La première approche du monde de l’édition est venu, pour Carmen , des machines dont son beau-père, Gouverneur d’ Almeria, est propriétaire. Le quotidien le plus important de la capitale est imprimé dans cette grande salle. Elle a toujours respiré chez elle le journalisme et la politique : chez son père, Vice-consul du Portugal, d’abord, puis dans sa maison conjugale, non seulement dans l’imprimerie de son beau-père mais aussi avec son mari Arturo Alvarez Bustos, journaliste et poète de quinze ans plus agé qu’elle, épousé à seize ans contre l’avis de ses parents. Pour tout dire, ce mariage s’était révélé depuis le début un mauvais choix, à cause d’alcool et trahisons. Après la mort d’Arturo, l’un de leurs quatre enfants, le choix d’aller vivre à Madrid avec sa fille Maria a été le naturel passage vers l’autonomie qu’elle désirait depuis un bon moment. Carmen s’est installée provisoirement chez son vieux oncle Augustin de Burgos Canizares et a décidé de vivre avec ses propres ressources. Elle a travaillé comme institutrice, diplôme qu’elle avait pris l’an de son horrible deuil. Cela a été le premier pas vers ses futures activités d’écrivain, journaliste, biographe, rédactrice, congressiste, chroniqueuse. Elle s’est affirmée comme Colombine d’abord, avec son propre nom plus tard. Carmen de Burgos y Seguì, née le 10 décembre 1867 à Almeria de sa mère Nicosia Seguì Nieto et de son père José de Burgos Canizares, était l’ainée de dix frères et sœurs. Elle avait grandi à Rodalquilar, village à une dizaine de kilomètres, dans la commune espagnole de Nijar, province d’Almeria, dans la grande vallée du Parc Naturel de Gata, où son père possédait terres et mines. Terre fertile en stratifications de minerai et de culture, dont on trouvera trace dans ses œuvres.
Portrait de Carmen de Burgos.
Approchant de ses quarante ans, un mariage derrière elle et l’envie de recommencer, à Madrid Carmen a commencé à découvrir sa capacité de lire les faits de son temps et d’en écrire avec esprit. Quelques mois après son arrivée, en décembre 1901, elle a fait son entrée dans le monde du journalisme avec sa chronique « Notas Femeneninas » dans le journal « El Glogo ». Colombine est arrivée deux ans plus tard, en 1903 : Augusto Suàrez de Figueroa était en train de créer le « Diario Universal » et lui a proposé de collaborer au nouveau projet éditorial avec une chronique quotidienne intitulée « Lecturas para la mujer » qui, au début, devait s’occuper de mode, cuisine, art et beauté. Le directeur lui a proposé d’utiliser un pseudonyme français : Colombine. Ce travail a été pour Carmen un tournant majeur : pour la première fois en Espagne une femme est reconnue comme journaliste professionnelle. Au mois d’avril 1904 elle a participé, en tant que journaliste, à la délégation qui accompagnait Roi Alfonso XIII dans son voyage à Almeria. Carmen revenait ainsi dans sa ville conservatrice et catholique qu’elle avait du quitter après s’etre séparée de son mari. Elle a rendu visite à sa famille mais elle a visité surtout la School of Arts, l’Hospice et la Prison ; elle a publié, de retour à Madrid, deux articles qui racontaient cette expérience. Carmen a eu l’intuition et la capacité d’atteindre le cœur des femmes en passant des soins de beauté à la politique, sans - pour des raisons économiques - arreter d’écrire des recettes de cuisine. Mais elle n’a pas renoncé à son engagement pour une société meilleure. Du coup elle a écrit des articles tels que « L’épouse et le droit de vote » ou « L’inspection des usines ouvrières », clarifiant dès le début quel type de travail était le sien. « Je suis favorable à éduquer les femmes en leur fournissant tous les moyens pour travailler parce-que c’est le seul moyen pour leur donner dignité, indépendance et capacité de subvenir à leurs propres besoins. » elle a écrit. Ainsi est né son engagement pour l’obtention du divorce en Espagne. Tout avait commencé presque par hasard ; quand elle cherchait un thème à traiter dans sa rubrique « Diario Universal » elle avait lu une lettre que l’écrivain Vicente Casanova lui avait envoyé. Il lui signalait l’existence d’un « Club de matrimonios mal avenidos ». Sa curiosité s’était vite transformée en campagne de sensibilisation. Une simple réflexion dans une rubrique est devenue une véritable campagne civile qui a connu beaucoup d’obstacles. Colombine a fait appel à intellectuels, politiciens, société civile. Elle était convaincue que désormais l’Espagne devait promulguer une loi pour donner fin, meme formellement, aux mariages ratés. Elle a voulu démontrer que le divorce «convenait à la société et à la moralité » et a demandé aux autres de s’exprimer à ce sujet. Le thème a été désormais lancé . La politique était contre, mais beaucoup de monde était avec Colombine. D’importants intellectuels ont répondu à son appel, suite à son article qui ressemblait à une question claire : qui est favorable à une loi pour le divorce ? Question trop claire pour la politique qui a choisi de ne pas prendre parti. Mais les femmes et les hommes ont répondu avec conviction. Il y a eu des pour et des contre, chacun avec ses raisons personnelles ; parmi eux, beaucoup de représentants de la culture. Cette réflexion collective était trop vaste et de haut niveau pour sa revue féminine et Carmen a publié, en 1904, le livre intitulé « El divorcio en Espana », composé de deux parties : les lettres de personnages illustres la première, les lettres de lecteurs et lectrices la seconde. Elle en a déduit que son sondage a démontré que la majorité du Pays était favorable au divorce. Elle s’est demandée pourquoi les religieuses cloitrées pouvaient interrompre la cloture (« el divorcio de las monjas ») et les femmes mariées ne pouvaient pas divorcer de leur mari. Des personnalités en vue tels que Giner de los Rìos et Blasco Ibanez l’ont admirée, les ecclésiastiques et les conservateurs l’ont aprement critiquée. En 1907 le conservateur Antonio Maura, devenu Ministre de l’Instruction Publique, l’a mutée à Toledo pour l’éloigner de Madrid. En 1906 elle avait commencé à collaborer avec « El Heraldo de Madrid » où elle tenait une rubrique intitulée « El voto de la Mujier » démarrant une campagne pour le suffrage féminin. Elle écrivait «C’est vraiment absurde que des personnes incultes ont le droit de voter en tant qu’hommes et que ce droit soit nié aux femmes cultivées seulement parce-que ce sont des femmes». Et aussi les articles sur la scolarisation de la femme, sur le travail et la question de la parité de salaires entre hommes et femmes. Elle a pris position en faveur de la population sépharade (les juifs de la péninsule ibérique), contre la peine de mort et en défense de l’enfance et d’une nouvelle structuration didactique. Le monde progressiste l’invitait aux débats et aux conférences, mais les forces qui allaient prendre le pouvoir en Espagne la détestaient. Beaucoup plus tard, après sa mort, le régime franquiste a condamné à l’oubli Carmen de Burgos et ses œuvres ; beaucoup d’entre elles ont été détruites, d’après certains historiens. Pour revenir à sa vie, la mutation de l’écrivaine et enseignante, farouchement voulue par le gouvernement, ne l’a pas éloignée du vif du débat. D’ailleurs, en 1905 Carmen a décroché une bourse du Ministère de l’Instruction Publique pour analyser les systèmes d’enseignement d’autres Pays. Elle a ainsi voyagé presque un an en France, Italie, Angleterre et Monaco. Enrichie par cette expérience, elle a fondé, de retour de France, «La tertulia modernista», le cercle littéraire dont elle s’occupait meme vivant à Toledo. Chaque semaine elle rentrait à Madrid pour accueillir au cercle des écrivains, des journalistes, des artistes, des musiciens, des poètes étrangers de passage en ville. Elle a ainsi crée les conditions de la naissance de la «Revista Critica». Dans ce cercle elle a connu Ramòn Gòmez de la Serna, à l’époque étudiant inconnu de dix-huit ans, avec qui elle a eu une liaison sentimentale et épistolaire qui a duré plus de vingt ans. Un amour sincère, mais qui lui a valu des critiques pour cette liaison avec un homme beaucoup plus jeune qu’elle et aussi de la douleur et de l’amertume pour la brève liaison entre Ramòn et sa fille Maria qui avait participé à une comédie écrite par Gòmez. Cela a été un coup dur pour Carmen, qui néanmoins les a pardonnés. Quelques années plus tard, l’écrivain a décrit sa liaison avec Carmen dans son «Automoribundia» : «Elle et moi, d’un coté et de l’autre de la table étroite avons écrit et écrit et lu pendant des heures et des heures des chapitres, des chroniques, des nouvelles, des poèmes en prose». De la Serna a fait les portraits de Carmen qui ont montré sa dignité de femme et d’écrivaine. Il a rappelé ses premières années à Madrid «avec un petit chapeau triste» et «en tenant sa fille dans ses bras» à écrire, écrire, écrire, par passion mais aussi pour gagner sa vie. D’ailleurs, Carmen a été la première femme à vivre de son écriture, la première rédactrice et aussi la première journaliste femme envoyée de guerre. Le 9 juillet 1909 les rifenos des collines du Riff ont attaqué un groupe d’ouvriers espagnols qui construisaient un pont pour le chemin de fer minier à trois kilomètres environ de Melilla, ville espagnole encore aujourd’hui enclave en territoire marocain.
Carmen Burgos avec les soldats espagnols à Melilla.
Grande a été la colère du peuple espagnol, à laquelle ont suivi les représailles très dures du gouvernement de Maura. Deux jours plus tard les troupes militaires espagnoles se sont dirigées vers la région marocaine. La guerre du Riff a commencé, avec la participation des réservistes aussi. Le 27 juillet 1909, pendant la semaine qui est passée à l’histoire comme «la semaine tragique» le Barranco del Lobo a été vaincu. Les rifenos s’étaient réfugiés sur le sommet du Gurugù et le choix des troupes espagnoles s’est revélé etre un véritable carnage. Carmen de Burgos, accueillie dans l’hopital de campagne de la Croix Rouge, a décidé de s’approcher des troupes espagnoles qui combattaient à coté de Melilla pour voir et comprendre directement du front. Elle a été correspondante de guerre pour le quotidien « El Heraldo »de Malaga ; ensuite, de retour à Madrid, a publié l’article « Guerra a la guerra », dans lequel elle a pris la défense des pionniers de l’objection de conscience. On lit dans l’article « Le monde civilisé met le fusil dans la main de l’homme, lui ordonne de tuer, et si l’homme jette le pistolet et refuse d’etre un assassin, il est traité de criminel. Tout homme doit, avant tout, à n’importe quel prix, refuser cette servitude ». Quelques semaines après son retour, son expérience en territoire de guerre est devenue aussi la nouvelle «En la guerra» dans laquelle elle a décrit toutes les émotions éprouvées sur le champ. Carmen de Burgos a écouté et touché les souffrances, la peur, la violence, elle a été « dans » la guerre, parmi les soldats. Elle devait le raconter comme elle seule savait le faire. Dans le meme livre elle a aussi décrit son expérience de la première guerre mondiale, lors de son séjour dans les Pays du nord. Elle a du interrompre ce voyage avant d’arriver en Russie parce-que elle a été soupçonnée d’espionnage, fouillée et mise dans un train vers la Scandinavie. En 1909 elle a écrit son premier roman «Los misadaptados». Ce genre littéraire était le même des romans qui ont suivi : «La rampa» (1917), «Les antiquaires» (1919), «Les esprits» (1923), «La femme fantastique» (1924), « Je veux vivre ma vie» (1931). La même année Carmen a été nommée professeur à la Central Normal School de Madrid, après avoir aussi fréquenté le stage de Méthodologie pour l’enseignement des sourds-muets et des aveugles. En 1911 elle a été nommée professeur à l’Ecole des Arts et Métiers de Madrid. «Por Europa», publié en 1910, a été écrit après son long et passionné voyage dans le Vieux Continent ; elle a écrit aussi les compte-rendu de ses voyages en Amérique et Argentine. Chaque voyage était l’occasion pour connaitre et se confronter avec les mouvements progressistes et féministes. Son engagement en faveur du sujet de la condition féminine a été constant, même si elle n’a jamais beaucoup aimé le concept de féminisme. En 1915 a débuté son amitié, qui durera une vie entière, avec Ana de Castro Osorio, représentante de la bataille pour les droits des femmes obtenus au Portugal et qui aurait influencé la naissance de la croisade espagnole de 1921. En 1922, la croisade des femmes espagnoles a organisé une manifestation pour porter leurs requêtes au Parlement : l’introduction du divorce, la possibilité de faire une enquête de paternité, mêmes droits pour filles et garçons légitimes et illégitimes, la réforme des normes qui discriminaient les femmes. En 1921 elle a écrit , pour la série Novela Corta, «Article 438». Le code pénal de 1870 et encore en vigueur cinquante ans après disciplinait, de fait, une sorte de crime d’honneur : le mari qui tuait son épouse trouvée en flagrant adultère était puni avec interdiction de s’approcher du lieu où il était banni pour environ 25 kilomètres. Cette règle était appliquée aussi aux parents qui auraient trouvé leur fille mineure (moins de 23 ans) avec un amant, mais la même règle ne valait pas si l’épouse surprenait son mari infidèle. Avec cet écrit, Carmen demandait l’abrogation de cette norme, déclenchant une bataille à la fois juridique et culturelle. En même temps elle présidait l’association croisée des femmes espagnoles, elle menait la première manifestation de protestation des suffragettes en Espagne et commençait à argumenter ses idées dans des manifestations e des forums publiques dans lesquels elle était de plus en plus souvent invitée. En 1923 Carmen a publié « Malcasada » (mal mariée), se déroulant complètement à Almeria, qui laissait entrevoir l’amertume d’une société qui empêchait une femme de se soustraire à un mariage malheureux. Pendant ces années, elle s’approcha du Parti socialiste radical républicain, après avoir quitté le Parti socialiste espagnol des travailleurs, polémiquant sur sa réticence à aborder la demande féministe de suffrage universel. Dans l’œuvre «La mujer moderna y sus derechos» (1927), qu’elle a signée Carmen de Burgos, revenaient les thèmes de la parité et du féminisme qui représenteraient « Non pas la lutte des sexes, même pas l’hostilité envers les hommes, mais, au contraire, la volonté de la femme de collaborer avec lui et à son côté». L’œuvre était pétrie de ses expériences de voyage dans d’autres Pays, en montrant les différentes conditions sociales et juridiques de la femme. Mais, au-delà des étiquettes, c’était son Manifeste d’engagement pour les femmes. «On peut empêcher les femmes de voter, mais on ne peut pas les empêcher de penser. Elles sont censées être capables de façonner le caractère de leurs enfants et d’éduquer des générations entières, parce-que, en général, elles s’occupent de la première enfance ; et pourtant on leur nie le droit primaire d’instiller une instruction et un sens de civilité», elle écrivait. Et encore : «La femme est quelque chose de plus que la femelle, comme l’homme est quelque chose de plus que le mâle, ôôparce-que l’intelligence leur permet de ne pas se borner à se reproduire. Un regard, même léger, sur l’étude du genre féminin, nous montre que la soumission de la femme n’est pas l’œuvre de la nature». Ce livre, censuré plus tard par le gouvernement de Franco et inclus parmi les premières neuf œuvres interdites par l’Inquisition Catholique Nationale , a été vite considéré la « bible du féminisme espagnol ». Il contenait les voyages, les articles, les confrontations avec beaucoup d’importantes personnalités et nombre d’histoires simples qu’elle avait rencontrés dans les dernières années. Entre temps, sa veine d’écrivaine continuait de s’exprimer, en faisant imprimer des dizaines de nouvelles ; beaucoup d’entre elles ont été publiées à épisodes dans «El Cuento Semanal». On rappellera, parmi les plus importantes, «Le trésor du château» (1907), «Sentiers de la vie» (1908), «L’homme noir» (1916), «Le meilleur film» (1918), «Les hommes d’affaires de la Puerta del Sol» (1919), «La ‘Miséricorde’» (1927), «Quand la loi l’impose» (1932). Elle était amie de Blasco Ibanez et collaborait à la maison d’édition Sempere dirigée par lui ; Ibanez avait aussi fondé le quotidien valencien, où elle a écrit longtemps sous le pseudonyme de Gabriel Luna. Elle a aussi traduit les œuvres de Max Nordau, Ruskin, Renàn. Carmen écrivait de tout, par passion, par engagement civil et aussi simplement pour arrondir son salaire d’enseignante, fière de l’indépendance économique qu’elle avait acquise et revendiquée. Elle ne s’est jamais définie comme féministe, d’ailleurs elle a toujours refusé toute étiquette. En 1931, pendant la Seconde République espagnole, elle a vu la réalisation de toutes les choses pour lesquelles elle s’était battue : mariage civil, divorce et suffrage féminin. Ce fut une joie pour elle, mais aussi le coup de pouce pour continuer encore mieux et davantage son engagement en des différentes organisations, même au détriment de sa santé de plus en plus dégradée. En 1932, pendant une conférence sur l’éducation sexuelle, Carmen a eu un malaise et s’est écroulée à terre. Elle est morte chez elle à l’aube du jour suivant. On dit qu’elle aurait prononcé ces mots : « Je meurs heureuse parce-que je meurs dans le triomphe républicain ! Longue vie à la République ! ». Elle a certainement été une femme libre, sans préjugés, courageuse, tenace. Son nom reste lié à beaucoup de batailles, à une production littéraire importante et au monde du journalisme. La damnatio memoriae que Franco avait essayé n’a pas réussi à l’atteindre, même après sa mort. On lit dans son autobiographie « Je déteste l’hypocrisie et comme je suis indépendante, libre et je ne veux pas être aimée pour les qualités que je ne possède pas, je dis toujours ce que je ressens. Donc, ceux qui m’aiment, m’aiment vraiment. Ceux qui médisent de moi derrière mes épaules , tirent leur chapeau devant moi. Je n’ai jamais pensé à ma croissance personnelle aux dépens de ma liberté ni renoncé à mes convictions ».
Titres et plaques espagnols à Madrid (à gauche et au centre) et à Guadalajara en Castille-La Manche (à droite).
Traduzione inglese
Cettina Callea
The smell of a printing shop rises up the nostrils and overwhelmingly attaches itself to the mind, with the memory of emotions. The first approach to the world of publishing came, for Carmen, precisely from those machines owned by her father-in-law, governor of Almeria. In his building the most important newspaper in the capital was printed every day. In short, she had always breathed journalism and politics at home. First in her paternal one, with her father vice consul of Portugal; then in the conjugal one, with not only her father-in-law and his printing house but also with her husband Arturo Alvarez Bustos, journalist and poet. She married - against the wishes of her parents - at sixteen, to a man fifteen years older than she was. To be honest, the marriage had been an unhappy one right from the start. Betrayals and alcohol had certainly not helped, and after the death of Arturo, one of the couple's four children, the choice to go to live in Madrid, bringing her daughter Maria with her, seemed the natural step towards the process of independence that had been maturing in her for some time. She lived temporarily in the house of her old uncle Agustin de Burgos Cañizares, and Carmen decided that they would live on what she would earn alone and began working as a teacher, a title she had achieved in the year of her terrible mourning. That conquered economic self-sufficiency was the first step of the all-out activity that would lead Carmen De Burgos to be what she became: writer, journalist, biographer, editor, conference speaker, columnist, establishing herself as Colombine first, and then reasserting her real first name years later, with reinvigorated energy. Carmen de Burgos y Seguí was born on 10 December 1867 in Almeria to her mother Nicosia Segu Nieto and her father Jose de Burgos Cañizares, the first of ten brothers and sisters. She grew up a few tens of kilometers from there, in Rodalquilar, a village in the Spanish municipality of Níjar in the province of Almeria, within the large valley that is the Cabo de Gata natural park, among the estates and mines owned by her grandfather. A fertile land, of mineral and cultural stratifications that often resurface in her works.
Portrait of Carmen de Burgos.
Less than forty years old, a marriage archived behind her and with the desire to start over, Carmen soon began to experiment in Madrid with her ability to read the facts of the time and write about them with wit. A few months after her arrival, in December 1901, she set foot in the world of journalism with the column "Notas Femeneninas", hosted by the newspaper "El Glogo". Colombine arrived the year after, in 1903. Augusto Suárez de Figueroa was founding the "Universal Diary" and proposed to her to collaborate on the new editorial project with a daily column entitled Lecturas para la mujer. She would deal with women's issues, basically - at least that was the intention, fashion, cuisine, art and beauty. It was the director himself who suggested that she use a French pseudonym. Thus, Colombine was born. That employment contract was the turning point: for the first time in Spain a woman was recognized as a professional journalist. In April 1904 she participated as a journalist in the delegation that accompanied King Alfonso XIII on his trip to Almería. Thus she returned home, to the conservative and Catholic city that she had had to leave the day after her separation from her husband. She visited her family but mainly visited the School of Arts, the Hospice and the Prison and on her return to Madrid she published two articles that recounted the experience. Carmen had the intuition and the ability to break through to the hearts of women by moving from beauty tricks to politics, she did not stop - also for economic reasons - from writing even cooking recipes, but she did not give up her commitment to a better society. She penned articles such as The Wife and Suffrage or The Inspection of Workers' Factories, immediately giving a clear tone to her work. "I am in favor of educating women and providing them with the means to work, as the only way to give them dignity, making them independent and able to take care of their needs on their own," she wrote. It was in those pages and those days, that her commitment to the affirmation of divorce in Spain was born. It all began almost by chance, when, looking for a topic to be treated in her column of the "Universal Diary", her gaze and thought lingered on a letter sent to her by the writer Vicente Casanova. The latter wanted to inform her of the existence of a "Club de matrimonios mal avenidos". Curiosity soon turned into a convinced awareness campaign. From a simple reflection for a column to real civil mobilization it was a short step. And not painless. Colombine's pen summoned intellectuals, politicians, and civil society. It was time, she was convinced, for Spain to adopt a law that formally allowed for the dissolution of a failed marriage. Divorce was "convenient for society and morality", she would prove, and also asked others to express themselves, to take a stand. The topic was now on the table, and many people took a stand with Colombine. Important intellectuals of the time responded to her "call" by referring to the article signed by her which gave rise to what seemed almost a survey with the clear-cut question: who is in favor of a divorce law? Too clear for politics, which chooses not to expose itself. But clear to the women and men who answered with conviction. The for and the against alternated, each arguing for yes or no. There were many names in the culture who did not evade the debate, and who wrote letters to Colombine, explaining their reasons for divorce or for opposing it. The magazine was not enough to welcome this collective reflection and on the other hand the level of the debate had become too politically demanding for a magazine that basically only asked her to write about “women's issues”. Therefore, in 1904 Carmen De Burgos published the volume entitled El divorcio en España. She decided to divide the work into two parts: the first collected the letters sent by the most illustrious personalities, while the second was formed by the responses of readers of the newspaper. Two distinct parts but with equal dignity and a single conclusion. Thanks to the survey she initiated and developed, she compared the results and verified that the majority of the country was in favor of divorce. The campaign did not spare daring approaches: arguing with the possibility granted to the nuns to leave the cloister, provocatively defined "el divorcio de las monjas", one would ask: if nuns can leave the cloister, why can't a wife divorce her husband? Her great exposition on the subject earned her the admiration of prominent people such as Giner de los Ríos and Blasco Ibáñez, but it had also brought her harsh criticism from the ecclesiastical world and the conservative sectors of the country and when a few years later, in the 1907, the conservative Antonio Maura came to the government, the Minister of Public Education Rodríguez-San Pedro transferred her to Toledo to remove her from Madrid. In addition to the divorce issue, Carmen immediately ventured into another terrain, no less disliked by a certain school of thought. In 1906 she began to collaborate with another newspaper, "El Heraldo de Madrid" and from these pages, with a new column entitled "El voto de la mujier", she started a campaign in favor of women's suffrage. "It is truly absurd that ignorant people have the right to vote only because they are men, and that educated women are denied this right only because they are women," she wrote. And then, again, articles on the education of women, on work, on the theme of the economic treatment of workers, and on the question of equal pay for men and women. She sided in favor of the Sephardim (the Jews of the Iberian Peninsula), against the death penalty and in defense of childhood and a new didactic approach. The progressive world was with her, invitations to conferences and debates increased. More and more hated, however, by those forces that were coming to power in Spain. And it would have been worse later, in the Franco era when, although no longer alive, Carmen de Burgos was condemned to oblivion along with her works, many of which, according to various historical reconstructions, were destroyed. This, however, would happen in the future. But the move to Toledo of the writer and teacher, imposed by the government, proved to be an unsuccessful attempt to remove her from the centre of the debate. Carmen, on the other hand, had really already physically moved away from Madrid. In 1905 she had obtained a scholarship from the Ministry of Public Education to analyze the teaching systems of other countries and had taken the opportunity to explore for almost a year in France, Italy, England and Monaco. An experience that had enriched her and pushed her, as soon as she returned from France, to found "La tertulia modernista", the literary circle that Carmen continued to nurture even from Toledo. So, without delay, every week she continued tirelessly to return to Madrid to host writers, journalists, artists, musicians, and foreign poets passing through the city at the club. The seeds were being sown for the birth of the "Revista Critica", but also for bonds of great strength. It was at the club that she met Ramón Gómez de la Serna, then an unknown eighteen-year-old student, and thus began a relationship, sentimental and epistolary, which lasted for over twenty years. A sincere affection, which did not spare her the criticism for that love with a much younger man, nor pain and bitterness for a brief close relationship between Ramón and her daughter Maria on the occasion of the young woman's participation in a comedy written by Gómez . It was a hard blow for Carmen but she forgave both of them. Years later in his Automoribundia about his relationship with Carmen, the Ramon wrote: "You on the one hand and I on the other, from a narrow table, we wrote and wrote long hours and read chapters, chronicles, short stories, prose poems." One of the few portraits that restored Carmen's dignity as a woman and writer is also owed to de la Serna. It was he who remembered her early years in Madrid "with a sad hat" and "her daughter in her arms" writing, writing and writing, for passion but also to earn a living. On the other hand, Carmen was the first woman to live off her writing, she was the first editor and she was also the first female journalist to be a war correspondent. When the time of war also came and Colombine's pen did not remain on the table. On July 9, 1909, the rifeños from the heights of the Riff attacked a group of Spanish workers who were building a bridge for the mining railway about three kilometers from Melilla, the Spanish city still today an enclave in Moroccan territory. The great indignation of the Spanish people was followed by the harsh reprisal of the government chaired by Maura. Two days after the attack, the Spanish military troops left for the Moroccan region.
Carmen Burgos with the Spanish soldiers in Melilla.
It was, in fact, the beginning of the Riff War, to which the reservists were also called. On 27 July 1909, during what was renamed by history the "tragic week", the terrible defeat of the Barranco del Lobo took place. The rifeños took refuge on the summit of Gurugú and the choice of the Spanish troops proved to be a fatal massacre. Carmen de Burgos, a guest at the field hospital set up by the Red Cross, thus decided to approach the Spanish troops who were fighting around Melilla to see and understand directly from the front. From there her war correspondences for the newspaper "El Heraldo" of Malaga; then, once back in Madrid, she published the article Guerra a la Guerra, in which she defended the pioneers of conscientious objection. "The civilized world - the article said - puts the gun in the man's hand, gives him the order to kill, and if the man throws the gun and refuses to be a murderer, he is treated like a criminal. Every man must, first of all, and whatever the cost, refuse such servitude”. A few weeks after her return, the experience in war territory became En la Guerra, a story that contains all the emotions recorded on the field. Carmen De Burgos had listened to and touched the suffering, the fear, the violence, she had been "inside" the war, among the soldiers. And she had to tell it as only she knew how to do. The Moroccan experience, moreover, was enriched in the work En la Guerra also by the chronicles of the First World War that Carmen was able to encounter on her journey to the Nordic countries: a journey that she had to interrupt before arriving in Russia because being suspected of being a spy, searched and taken off a train to Scandinavia. 1909 was also the year of her first novel: Los Misadaptados, a genre that she continued to cultivate in the years that followed with La Rampa (1917), The Antiquarians (1919), The Spirits (1923), The Fantastic Woman (1924), I want to Live My Life (1931). In the same year Carmen was appointed professor at the Central Normal School in Madrid, after having also attended the course of Methodology for teaching the deaf, dumb and blind. In 1911 she was appointed professor at the Madrid School of Arts and Crafts. Por Europa, published in 1910, was the result of her long and passionate travels on the Continent, but there was no shortage of travel reports in America and Argentina. Each trip was an opportunity to get to know and deal with progressive and feminist movements. In the meantime, her commitment to the issues of the female condition was never abandoned, although always with little affection for the concept of feminism. In 1915 a great friendship was born, which was destined to last a lifetime: the one with Ana de Castro Osorio, who personified the battle for women's rights fought in Portugal and which would influence the birth of the Spanish crusade that took place in 1921. In 1922, the Spanish Women's Crusade organized a demonstration to deliver all their demands in Parliament: the introduction of divorce, the possibility of paternity investigation, equal rights for legitimate and illegitimate girls and boys, the reform of rules that discriminated against women. In 1921 she wrote, for the series Novela Corta, Article 438. The penal code approved in 1870, still in force fifty years later, actually governed a sort of honor killing: the husband who killed his wife caught in the act of adultery was punished with a ban on approaching the place from which he was banned for about 25 kilometers. The rule also applied to parents who had found a minor daughter (therefore under the age of 23) with a lover but it was not valid, however, if the wife had discovered the unfaithful husband. With her story, Carmen asked for the abrogation of the law by starting a battle that was both legal and cultural. In the meantime she presided over the Crusader Association of Spanish Women, led the first protest demonstration of the suffragists in Spain and began to argue her ideas in demonstrations and public forums to which she was invited more and more often. In 1923 Carmen published Malcasada (badly married), set completely in Almeria and from whose lines the bitterness of a society that prevented a woman from escaping an unhappy marriage leaked out. These were also the years in which she approached the Republican Radical Socialist Party, after leaving the Spanish Socialist Workers' Party in controversy with the latter's internal reluctance towards the feminist demand for universal suffrage. In her work La mujer moderne y sus derechos (1927), signed no longer by Colombine, the theme of equality and feminism returned, which, Carmen De Burgos wrote, would represent "Not the struggle of the sexes, not even enmity with men, but on the contrary indicates that the woman intends to collaborate with him and at his side”. The work was imbued with travel experiences in other countries, comparing the social and legal status of women. But beyond the labels, there was her manifesto of commitment to women. “You can stop women from voting, but you can't stop them from thinking. Women are considered suitable to shape the character of their children and to educate entire generations, because generally women are involved in early childhood; and we deny them the primary right to instill an education and a sense of civility,” she wrote. And again: “The woman is something more than the female, as the man is something more than the male, from the moment in which intelligence allows them not to be reduced to the role of mere reproducers of the species. A glance, however slight, dedicated to the study of the female sex, shows us that the subordination of women is not the work of nature”. Censored years later by the Franco government and included in the top nine in the list of books prohibited by the National Catholic Inquisition, the book was soon called the "bible of Spanish feminism". Inside there were travels, articles, comparisons with the many personalities and the many simple stories she had encountered in recent years. In the meantime, her work as a writer didn’t stop, resulting in dozens of short stories in print, many of which were published in installments in "El Cuento Semanal". Among the most important will be remembered: The Treasure of the Castle (1907), Paths of Life (1908), The Black Man (1916), The Best Film (1918), The Businessmen of the Puerta del Sol (1919), La Misericordia (1927), and When the Law Requires It (1932). A friend of Blasco Ibáñez, she was a close collaborator of the Sempere publishing house he directed and for a long time she wrote, under the pseudonym Gabriel Luna, for the Valencian newspaper "El Pueblo", founded by Ibáñez. In her prolific activity as a writer there was also no lack of translations of works by authors such as Max Nordau, Ruskin, Renán. Carmen wrote about everything, for passion, for civil commitment and even just to supplement her salary as a teacher, thanks to her conquered and claimed economic independence. She never called herself a feminist, just as she rejected any other label. In 1931 everything Carmen had fought for was born together with the Second Spanish Republic which recognized civil marriage, divorce and women's suffrage. It was a joy, but it was also a reason to continue the assiduous commitment in various organizations more and better, even despite increasingly poor health. In 1932, during a conference on sex education, Carmen collapsed to the ground as the result of an illness that led to her death, in her own home, at dawn the next day. It is said that she would have uttered these words: “I am dying happy because I am dying in the republican triumph! Long live the Republic!”. She was certainly a free woman, without prejudice, courageous, tenacious. Her name remains linked to so many battles, to so much important literary production and to the world of journalism. A sign that the Damnatio Memoriae attempted by Franco after her death did not manage to touch her. She spoke of herself to posterity, in her autobiography: “I hate hypocrisy and since I am independent, free and do not want to be loved for qualities that I do not have, I always say everything I think and feel. So those who love me really love me. Whoever turns away from me from behind takes off his hat in front of me. I never thought about personal gain at the expense of my freedom or by giving up my beliefs”.
Spanish titles and plates in Madrid (left and center) and Guadalajara in Castile-La Mancha (right).