Karen Blixen
Loretta Junck
Rosalina Collu
«In Africa avevo una fattoria ai piedi degli altipiani del Ngong.
A un centocinquanta chilometri più a nord su quegli altipiani passava l’equatore;
eravamo a milleottocento metri sul livello del mare».
È il celebre incipit di Out of Africa (in Italia La mia Africa), il libro di memorie che rese nota in tutto il mondo la sua autrice, considerata ora tra le voci più originali della letteratura europea del Novecento. L’opera fu pubblicata, in inglese, nel 1937 – solo in seguito fu tradotta nella lingua madre di Karen, il danese – e ottenne subito un gran successo soprattutto negli Stati Uniti. Il film che ne fu tratto negli anni Ottanta, con l’interpretazione di Meryl Streep e Robert Redford, amplificò naturalmente questa fama, anche se tradì in parte il libro. A lei sarebbe dispiaciuto, ma se n’era andata ormai da più di 20 anni, e i proventi del film servirono per far diventare un museo la casa dove aveva abitato in Danimarca.
Era nata nel 1885 a Rungsted, un piccolo centro affacciato sul mar Baltico e battuto dai gelidi venti del nord, tra Copenaghen ed Elsinore, la città dove sorge il celebre castello dove Shakespeare ambientò Amleto. Il padre di Karen, Wilhelm Dinesen, apparteneva a una famiglia di ufficiali e proprietari terrieri, ma presto aveva abbandonato la carriera militare, che lasciava troppo poco spazio al suo spirito di avventura, ed era partito per l’America. Qui era vissuto per un periodo presso una tribù indiana, facendo il cacciatore e il mercante di pelli. Il fascino dei racconti paterni ebbe un’influenza determinante sul destino di Karen: da lui la piccola Tanne (così era chiamata in famiglia) imparò ad ascoltare e a raccontare storie e apprese l’amore per la natura e l’anelito alla libertà. Ma Wilhelm morì suicida lasciando tre figlie femmine e due figli maschi. Gli era stata diagnosticata la sifilide e forse il suo gesto era connesso con il terrore delle gravi conseguenze della malattia, per la quale allora esistevano pochi incerti rimedi. Per Karen, che aveva solo dieci anni, la ferita fu profonda e immedicabile. Come si usava allora, alla bambina fu impartita un’educazione famigliare, sotto la guida della madre, Ingeborg Westenholz, e della zia. Ma con la madre il rapporto non era troppo buono: Karen l’accusava di eccessiva rigidezza, che attribuiva all’influsso su di lei della congregazione religiosa cui apparteneva. Compiuti gli studi, la giovane si iscrisse all’Accademia delle Arti di Copenaghen per sfruttare la predisposizione per il disegno, che si univa a quella per le lettere. A 24 anni si innamorò, non corrisposta, del cugino svedese Hans Blixen e finì per fidanzarsi con il gemello di Hans, Bror. Con lui nel 1912 partì per il Kenia, che era protettorato britannico da meno di vent’anni, con l’intenzione di acquistarvi una proprietà, come avevano già fatto molte famiglie europee che da tempo si erano stabilite nelle fertili terre intorno a Nairobi.
La casa museo danese di Karen Blixen | Karen, 1913 |
I due si sposarono a Mombasa e acquistarono vicino a Nairobi un terreno di 3000 ettari, una parte dei quali era occupata da una piantagione di caffè. Ma l’impresa non fu fortunata e il matrimonio nemmeno: Bror si rivelò subito un marito infedele e, oltre tutto, trasmise alla moglie la sifilide. Lei andò in Danimarca per curarsi e ci rimase parecchi mesi, poi tornò in Africa, ma dopo i fatidici sette anni i due finirono per separarsi e infine divorziarono. Karen, rimasta da sola a condurre la fattoria, nel frattempo aveva conosciuto in Kenia l’inglese Denys Finch Hatton, appassionato di safari, fine intenditore di musica classica e di letteratura e ascoltatore prezioso delle storie che lei amava raccontare. Karen lo considerò sempre il grande amore della sua vita, pur sapendo di non poter contare sulla sua presenza costante. Forse fu la morte precoce di Denys, per un incidente aereo, a favorire la mitizzazione di questo rapporto che nella realtà non fu senza problemi. Intanto la grande crisi economica degli anni Trenta aveva dato il colpo di grazia al progetto della piantagione che, un po’ per l’altezza eccessiva, un po’ per la siccità ricorrente non era mai stata davvero redditizia. Nel 1931, lo stesso anno della morte del suo grande amico, Karen fu costretta a vendere la proprietà, come molti anni prima avrebbe voluto fare suo marito Bror, mentre lei non ne aveva voluto sapere. Così perse il denaro investito e le fatiche profuse per diciassette anni nell’impresa, ma poté lasciarci una delle più vivide immagini dell’Africa e dei suoi popoli che siano mai state affidate alla parola scritta.
Karen in africa | Out of Africa. Locandina del film |
Tornata in patria, riprese a vivere nella casa di famiglia a Rungsted e, ormai quarantaseienne, si mise a scrivere; non era cosa nuova per lei, ma ora ci si dedicò intensamente, con il proposito di pubblicare. La prima opera, Sette storie gotiche, uscì in inglese in Inghilterra e negli Stati Uniti, con lo pseudonimo maschile di Isak Dinesen; seguirono La mia Africa e altre due raccolte, Racconti d’inverno e Capricci del destino, cui appartiene il racconto reso famoso da una splendida versione cinematografica, Il pranzo di Babette. Fanno parte della sua produzione anche alcuni saggi e due romanzi (I vendicatori angelici, scritto durante l’occupazione nazista della Danimarca e Ombre sull’erba, pubblicato nel 1960) ma è il racconto la misura ideale della scrittura di Blixen. Lo conferma Ehrengard, opera postuma che è forse il suo capolavoro. Il personaggio della protagonista, il più affascinante, credo, della ricca galleria di eroine lasciataci dalla scrittrice danese, ripropone ancora una volta i temi che le erano cari, ribadendo la concezione schiettamente aristocratica che lei aveva della vita: non c’è posto per la mediocrità nelle storie di Karen Blixen, come non c’era nell’ambito dei suoi interessi. Anche il nutrito epistolario è stato pubblicato.
Ehrengard
Già assai sofferente per i postumi di un’operazione allo stomaco subita a 70 anni, nel 1959 la scrittrice volle partire per gli Stati Uniti, dove era stata invitata, per conoscere finalmente di persona il Paese cui sapeva di dovere la fama raggiunta. Riscosse un gran successo e ovunque fu festeggiatissima. Molte sono le fotografie che la ritraggono in questa occasione; in alcune, la vediamo seduta al tavolo di un ristorante insieme a Carson McCullers (c’era una stima reciproca fra loro), Arthur Miller e Marilyn Monroe, di cui disse che le ricordava una cucciola di leone che un giorno le avevano portato, in Africa, ma lei non l’aveva voluta tenere. La scrittrice è ormai anziana, ridotta a pelle e ossa (non poteva mangiare quasi nulla), ma gli occhi colpiscono per la luce e l’intensità intelligente e partecipe dello sguardo. Si spense nel 1962, nella casa di Rungsted, con accanto famigliari, amiche e amici da cui era adorata, ma senza aver ottenuto il Nobel per la letteratura come aveva sperato: per due volte, nel ’54 e nel ’57, era stata candidata al Premio, ma il prestigioso riconoscimento era andato prima a Hemingway, poi a Camus. La giuria, si è saputo recentemente, da quando una parte dei documenti contenuti nell’archivio del Premio sono stati resi disponibili, non l’aveva scelta nel timore di dare un’impressione di parzialità nel privilegiare una scrittrice scandinava.
Traduzione francese
Joelle Rampacci
«En Afrique, j'avais une ferme au pied des hauts plateaux de Ngong.
Cent cinquante kilomètres plus au nord sur ces plateaux passaient l'équateur;
nous étions à mille huit cents mètres au-dessus du niveau de la mer».
C'est le célèbre incipit de Out of Africa -la ferme africaine (en Italie La mia Africa), le mémoire qui a fait connaître son auteure dans le monde entier, aujourd'hui considérée comme l'une des voix les plus originales de la littérature européenne du XXe siècle. L'ouvrage est publié en anglais en 1937 - ce n'est que plus tard qu'il est traduit dans la langue maternelle de Karen, le danois - et connait immédiatement un grand succès, notamment aux États-Unis. Le film qui a été tourné dans les années 1980, avec l'interprétation de Meryl Streep et Robert Redford, a naturellement amplifié cette notoriété, même si il a en partie trahi le livre. Elle aurait été désolée, mais elle n’était plus depuis plus de 20 ans déjà, et les bénéfices du film ont été utilisés pour transformer la maison où elle vivait au Danemark en musée.
Elle est née en 1885 à Rungsted, une petite ville surplombant la mer Baltique et battue par les vents glacials du nord, entre Copenhague et Elseneur, la ville où se dresse le célèbre château où se déroule le drame d’Hamlet de Shakespeare. Le père de Karen, Wilhelm Dinesen, appartenait à une famille d'officiers et de propriétaires terriens, mais il abandonne bientôt une carrière militaire, qui laissait trop peu de place à son esprit d'aventure, et part pour l'Amérique. Il y vit pendant une période avec une tribu indienne, travaillant comme chasseur et commerçant. Le charme des contes de son père a une influence décisive sur le destin de Karen : de lui, la petite Tanne (comme on l'appelait dans la famille) apprend à écouter et à raconter des histoires et apprend l'amour de la nature et le désir de liberté. Mais Wilhelm se suicide en laissant derrière lui trois filles et deux fils. On lui a diagnostiqué la syphilis et peut-être son geste est lié à la terreur des conséquences graves de la maladie, pour laquelle il y avait alors peu de remèdes certains. Pour Karen, qui n’a que dix ans, la blessure est profonde et incurable. Comme c'est la coutume à l'époque, l'enfant reçoit une éducation familiale, sous la direction de sa mère, Ingeborg Westenholz, et de sa tante. Mais la relation avec sa mère n’est pas trop bonne : Karen l'accuse d'une rigidité excessive, qu'elle attribue à l'influence sur elle de la congrégation religieuse à laquelle elle appartient. Après avoir terminé ses études, la jeune femme s'inscrit à l'Académie des Arts de Copenhague pour profiter de sa prédisposition pour le dessin, qui se conjugue à celle pour les lettres. À 24 ans, elle tombe amoureuse, sans contrepartie, de son cousin suédois Hans Blixen et finit par se fiancer avec le jumeau de Hans, Bror. Avec lui, en 1912, elle part pour le Kenya, protectorat britannique depuis moins de vingt ans, avec l'intention d'y acheter une propriété, comme l'ont déjà fait de nombreuses familles européennes installées depuis longtemps dans les terres fertiles autour de Nairobi.
La maison-musée danoise de Karen Blixen | Karen, 1913 |
Les deux se marient à Mombasa et achètent 3 000 hectares de terres près de Nairobi, dont une partie est occupée par une plantation de café. Mais l'entreprise n'a pas de chance et le mariage non plus : Bror se révèle immédiatement être un mari infidèle et surtout, transmet la syphilis à sa femme. Elle va au Danemark pour un traitement et y reste plusieurs mois, puis retourne en Afrique, mais après les sept années fatidiques, les deux finissent par se séparer et finalement divorcent. Karen, laissée seule à la tête de la ferme, a entre-temps rencontré l'anglais Denys Finch Hatton au Kenya, passionné de safari, fin connaisseur de musique classique et de littérature et auditeur précieux des histoires qu'elle aime raconter. Karen l'a toujours considéré comme le grand amour de sa vie, même si elle savait qu'elle ne pouvait pas compter sur sa présence constante. C'est peut-être la mort prématurée de Denys, due à un accident d'avion, qui a favorisé le mythe de cette relation, qui en réalité n'était pas sans problèmes. Entre-temps, la grande crise économique des années 1930 donne le coup de grâce au projet de plantation qui, en partie à cause de la hauteur excessive, en partie à cause de la sécheresse récurrente, n'a jamais été vraiment rentable. En 1931, la même année où son grand ami décède, Karen est forcée de vendre la propriété, comme son mari Bror aurait voulu le faire depuis de nombreuses années, alors qu’elle, elle n’était jamais d’accord. Elle a donc perdu l'argent qu'elle avait investi et le dur labeur qu'elle a consacré pendant dix-sept ans dans l’entreprise mais elle a su nous laisser l'une des images les plus vives de l'Afrique et de ses peuples qui n'ait jamais été confiée à l’écriture.
Karen en Afrique | Out of Africa. Affiche |
De retour dans son pays natal, elle recommence à vivre dans la maison familiale de Rungsted et, a maintenant quarante-six ans, elle commence à écrire ; ce n'est pas nouveau pour elle, mais maintenant elle s’y dévoue intensément, avec l'intention de publier. Le premier ouvrage, sept histoires gothiques, sort en anglais en Angleterre et aux États-Unis, sous le pseudonyme masculin d'Isak Dinesen ; suivi de La Ferme Africaine et de deux autres recueils, Les Contes d’hiver et Caprices du destin, qui comprend l'histoire rendue célèbre par une splendide version cinématographique, Le dîner de Babette. Quelques essais et deux romans font également partie de sa production (les voies du châtiment, écrit pendant l'occupation nazie du Danemark et Ombres sur la prairie, publié en 1960) mais l'histoire est la mesure idéale de l'écriture de Blixen. C'est ce que confirme Ehrengarde œuvre posthume qui est peut-être son chef-d'œuvre. Le personnage de la protagoniste, la plus fascinante, je pense, de la riche galerie d'héroïnes que nous a laissée l'écrivaine danoise, propose une fois de plus les thèmes qui lui sont chers, réaffirmant la conception franchement aristocratique qu'elle se fait de la vie : il y a pas de place pour la médiocrité dans les histoires de Karen Blixen, car il n'y en a pas dans ses intérêts. L'abondante correspondance a également été publiée.
Ehrengard
Souffrant déjà des séquelles d'une opération à l'estomac à l'âge de 70 ans, l'écrivaine souhaite partir en 1959 aux États-Unis, où elle a été invitée, pour enfin connaître physiquement le pays auquel elle sait devoir sa renommée. C’est un grand succès et elle est célébrée de partout. Il existe de nombreuses photographies qui la représentent dans ces occasions ; dans certaines, on la voit assise à une table de restaurant avec Carson McCullers (il y avait une estime mutuelle entre eux), Arthur Miller et Marilyn Monroe, dont elle a dit qu'elle lui rappelait un lionceau qu’on lui avait apporté un jour, en Afrique, mais elle n’avait pas voulu le garder. L'écrivaine est aujourd'hui âgée, réduite à la peau et aux os (elle ne peut presque plus rien manger), mais ses yeux frappent par la lumière et l'intensité intelligente et sympathique de son regard. Elle meurt en 1962, dans la maison Rungsted, avec sa famille, ses amies et amis qui l’adorent, mais sans avoir obtenu le prix Nobel de littérature comme elle l'avait espéré : à deux reprises, en 54 et en 57, elle avait été nominée pour le Prix, mais le prix prestigieux est allé d'abord à Hemingway, puis à Camus. Le jury, on l'a appris récemment, puisque certains des documents contenus dans les archives du Prix ont été mis à disposition, ne l'avait pas choisie de peur de donner une impression de partialité en favorisant un écrivain scandinave.
Karen Blixen, vieille | Sa tombe à Rungstedlund |
Traduzione inglese
Cettina Callea
“I had a farm in Africa at the foot of the Ngong Hills.
The equator runs across these highlands, a hundred miles to the North,
and the farm lay at an altitude of over six thousand feet”.
These are the famous first words of Out of Africa, the book of memoirs which made its author so popular all over the world that she is still considered one of the most original voices in the European literature of the twentieth century. The book was published in English, in 1937 and became soon very successful especially in the USA. Only later was it translated into Karen’s mother tongue, Danish. The film, which was made in the 1980s, with the interpretation of Meryl Streep and Robert Redford, naturally amplified this fame, even if it partially betrayed the book. She would have been sorry, but she had passed away more than 20 years before, and the proceeds from the film were used to turn the house where she lived in Denmark into a museum.
She was born in 1885 in Rungsted, a small town beaten by the icy north winds and overlooking the Baltic Sea. It is situated between Copenhagen and Elsinore, the city where the famous castle where Shakespeare set Hamlet stands. Karen's father, Wilhelm Dinesen, belonged to a family of officers and landowners, but he soon abandoned his military career, which left too little room for his spirit of adventure, and left for America. There, he lived for a period with an Indian tribe, working as a hunter and trader. The charm of her father's tales had a decisive influence on Karen's destiny. From him, little Tanne (as she was called in the family) learned to listen to and to tell stories. And she learned the love of nature and the desire for freedom. But Wilhelm committed suicide leaving three daughters and two sons. He had been diagnosed with syphilis and perhaps his gesture was connected with the terror of the serious consequences of the disease, for which there were then only a few uncertain remedies. For Karen, who was only ten, the wound was deep. As they used to do then, the child was given her education by her family, under the guidance of her mother, Ingeborg Westenholz, and her aunt. But the relationship with her mother was not particularly good. Karen accused her of excessive rigidity, which she attributed to the influence on her of the religious congregation to which she belonged. After completing her studies, the young woman enrolled at the Copenhagen Academy of Arts to further develop her talent for drawing, which was combined with her abilities at writing. When she was 24, she fell in love, unrequited, with her Swedish cousin Hans Blixen and ended up getting engaged to Hans's twin, Bror. In 1912 she left with him for Kenya, which had been a British protectorate for less than twenty years. They had the intention of buying a property there, as had many European families who had long settled in the fertile lands around Nairobi.
Karen Blixen's Danish house museum | Karen, 1913 |
The two married in Mombasa and bought 3,000 hectares of land near Nairobi, part of which was occupied by a coffee plantation. But the enterprise was not lucky and neither was the marriage: Bror immediately revealed himself to be an unfaithful husband and, above all, transmitted syphilis to his wife. She went to Denmark for treatment and stayed several months, then returned to Africa, but after seven years the two separated and eventually divorced. In Kenya Karen, alone leading the farm, had meanwhile met the English Denys Finch Hatton, safari enthusiast, fine connoisseur of classical music and literature and precious listener to the stories she loved to tell. Karen always considered him the great love of her life, even though she knew she could not count on his constant presence. Perhaps it was Denys' early death from a plane crash that helped to avoid trouble in this relationship, which in reality was not without its problems. Meanwhile, the great economic crisis of the 1930s had given the final blow to the plantation project which, because of its excessive height and the recurring drought, had never really been profitable. In 1931, the same year as her great friend's death, Karen was forced to sell the property, as her husband Bror wanted to do many years earlier, while she did not. As a result, she lost the money she had invested and any benefit of the labor she had put into the enterprise for seventeen years. But her time there left her able to leave us one of the most vivid images of Africa and its peoples.
Karen in Africa | Out of Africa. Movie poster |
She returned to live in the family home in Rungsted and, then forty-six years old, began to write. Writing was not new to her, but in Rungsted she devoted herself to it intensely, with the intention of publishing. Her first work, Seven Gothic Tales, was published in English in England and the United States, under the male pseudonym Isak Dinesen. This first book was followed by Out of Africa and two other collections, Winter’s Tales and Anecdotes of Destiny. Anecdotes of Destiny included the story made famous by its splendid film version, Babette’s Feast. Her production also includes essays and two novels (The Angelic Avengers, written during the Nazi occupation of Denmark and Shadows on the Grass, published in 1960). The very best of her writing was her fiction. This is confirmed by Ehrengard, a posthumously published work that is perhaps her masterpiece. The protagonist is the most fascinating, I believe, of the rich gallery of heroines left to us by the Danish writer. It once again offers themes she really loved, reflecting her frankly aristocratic conception of life - there is no place for mediocrity in the stories of Karen Blixen, as there was not in the range of her interests. Her extensive correspondence has also been published.
Ehrengard
In 1959, already suffering from the after-effects of stomach surgery she had at the age of 70, Karen left for the United States, where she had been invited, to finally get to know in person the country to which she knew she owed her fame. Her trip was a great success and she was celebrated everywhere she went. There are many photographs of her during the trip. In some of them, we see her sitting at a restaurant table with Carson McCullers (there was mutual esteem between them), Arthur Miller and Marilyn Monroe, who reminded Karen of a lion cub she had been given while living in Africa, but that she didn't want to keep. By this time she was reduced to skin and bones by her extremely limited diet. Her advanced age is apparent, but one is still struck by the intelligence and intensity of her gaze. She died in 1962, in the Rungsted house, in the company of close family and friends who had loved her, unfortunately without having obtained the Nobel Prize for Literature as she had hoped. Twice, in 1954 and 1957, she had been nominated for the Prize, but the prestigious award had gone first to Hemingway, then to Camus. Some of the documents contained in the archives of the Nobel Prize committee have since been made available, and they reveal that the jury had not chosen her for fear of giving an impression of partiality by favoring a Scandinavian writer.
Old Karen Blixen | His grave in Rungstedlund |