Emmi Pikler
Alice Vergnaghi
Daniela Godel
Emilie Madeleine Reich, conosciuta con il soprannome di Emmi e con il cognome del marito, Pikler, nasce a Vienna nel 1902: sua madre è un’educatrice viennese, che muore quando la figlia non ha ancora 12 anni; il padre un operaio ungherese che nel 1908 sceglie di rientrare a Budapest con tutta la famiglia. Sotto l’Impero Austro-Ungarico, grazie ad una legge varata pochi anni prima della sua nascita che consentiva alle donne di iscriversi all’università, le viene permesso di realizzare il suo sogno e, tornata a Vienna nel 1920, inizia a frequentare Medicina terminandola nel 1927. Il periodo di studi viennese è per lei un pozzo infinito da cui attingere esperienze e conoscenze che ne condizioneranno per sempre la vita. La capitale dell’Impero è infatti un laboratorio culturale, ma anche sociale in cui l’idea di salute si intreccia indissolubilmente con quella di educazione. Il rinnovamento che segue il primo sanguinoso conflitto mondiale interessa tutti gli Stati coinvolti, ma a Vienna vi sono personalità inserite in posti chiave dell’amministrazione che promuovono progetti innovativi dando loro stabilità e lasciando un’importante documentazione a riguardo. È il caso, ad esempio, di Julius Tandler, responsabile per i servizi socio-sanitari in quella che è stata definita Vienna Rossa, la prima esperienza di governo socialdemocratico della città dal 1920 al 1934. L’amministrazione comunale mette a disposizione delle famiglie dei pacchi con vestiti infantili affinché nessuna/o venga ricoperta/o con fogli di giornale; vengono aperti asili, spazi per bambine/i e doposcuola per permettere alle madri di riprendere la propria attività lavorativa. Inoltre, l’erogazione dei servizi sanitari diventa gratuita e si promuovono progetti per permettere a orfane/i o a svantaggiate/i di trascorrere periodi in altri Paesi come l’Italia. Sono molte le esperienze di sorellanza e fratellanza che coinvolgono due popoli fino a pochi anni prima nemici e in questo contesto Emmi Reich riceve una formazione caratterizzata dalla convinzione che bambine e bambini non crescono solo perché maturano e sono supportate/i dalle cure di chi le/li circonda, in particolare le madri, ma perché attorno a loro si forma una rete di persone adulte che si assumono la responsabilità della loro educazione che è un diritto dell'infanzia, ma anche un dovere non solo dei genitori, ma di tutta la comunità.
Dopo la laurea Emmi Reich si specializza presso la Clinica pediatrica universitaria viennese diretta dal dott. Clemens M. Von Pirquet e del chirurgo infantile Hans Salzer e sostiene più volte nei suoi scritti, tra i quali ricordiamo un testo oggi di difficile reperibilità: Datemi il tempo. Lo sviluppo autonomo dei movimenti nei primi anni di vita del bambino, di essere loro debitrice per l’aver compreso come approcciarsi alle/ai piccoli pazienti. Pirquet e Salzer, infatti, si discostano dalle pratiche mediche allora in uso volte a considerare quasi esclusivamente la sola patologia pediatrica, ma si avvicinano al bambino o alla bambina mettendone in primo piano il processo di crescita, riducendo l’utilizzo di farmaci allo stretto necessario e promuovendo un approccio olistico alla persona e alla cura. Parlando dei suoi maestri, Emmi Reich ricorderà sempre l’attenzione di entrambi per la formazione di giovani dottore/i al fine di trasmettere loro l’importanza del modo di relazionarsi con rispetto, considerazione e delicatezza alla/al bambina/o privilegiando la verbalizzazione del trattamento rispetto all’imposizione dello stesso. Tra le cose che colpiscono maggiormente la giovane specializzanda durante il suo praticantato viennese è l’alta percentuale di incidenti gravi in cui sono coinvolte soprattutto le/gli appartenenti alle classi sociali più elevate e per questo maggiormente sottoposti al controllo di balie e governanti rispetto a quanti, di estrazione più modesta, giocano liberamente nelle strade. È da questa constatazione che Emmi Reich comincia ad elaborare la sua teoria secondo la quale gli/le infanti sono in grado di raggiungere in autonomia la posizione eretta, sulla base di un proprio sviluppo e autoregolazione che ha tempi diversi in ciascun individuo. Quello che per lei si configura come essenziale è una relazione significativa con l’adulto che non si fondi però sull’imposizione passiva di abilità dal momento che l’apprendimento è tanto più efficace quanto più non si limita all’assimilazione di abilità mediante sollecitazioni esterne, ma porta all’acquisizione degli schemi motori e mentali attraverso i quali costruirle. Una ingerenza eccessiva delle persone adulte può costituire un’interferenza e risultare controproducente. Dopo il matrimonio con il matematico e pedagogista George Pikler nel 1930 e il loro trasferimento a Trieste per il lavoro dell’uomo, insegnante di matematica al liceo, Emmi Reich Pikler, in accordo con il marito, decide di allevare la prima figlia, Anna, mettendo in pratica le sue idee: lasciare che la bambina progredisca nelle posture e nei movimenti secondo il suo ritmo; allestire un ambiente abbastanza ampio perché si possa muovere liberamente, ma in sicurezza; darle la possibilità di manipolare e sperimentare oggetti senza l’intervento dell’adulto. In questa decisione pedagogica basata sui suoi studi, Emmi viene incoraggiata dal compagno che la invita alla pazienza e all’osservazione. Nel frattempo, nasce un’altra bambina che muore di polmonite a poco più di un anno. Seguirà la nascita, negli anni successivi, di un altro figlio e una figlia.
In seguito, la coppia si trasferisce a Budapest dove Emmi Reich Pikler lavora come pediatra di famiglia, ma non le è permesso aprire uno studio privato in quanto di origini ebraiche, per questo visita i/le pazienti in casa consigliando ai genitori di non anticipare le posture e di lasciare la prole libera di sperimentare attraverso il gioco. Oltre all’attività medica, si dedica anche alla formazione di figure professionali come infermiere e maestre giardiniere, ma sempre privatamente in quanto non può accedere all’insegnamento essendo ebrea, però ciò le consente di allacciare importanti contatti con professioniste tedesche, pediatre ed educatrici, che poi chiamerà ad insegnare nel suo istituto. Non solo, alcune fonti sostengono che proprio durante queste lezioni sia venuta in contatto con il metodo montessoriano attraverso la mediazione di una delle sue più dotate allieve ungheresi. Sono anni molto intensi e difficili in quanto il marito viene arrestato con l’accusa di essere un sovversivo per via della sua militanza nel Partito comunista ungherese e ciò lo farà restare in carcere fino alla fine della guerra. Lei lo visita regolarmente e lo sostiene nella redazione di scritti tecnici e politici. Intanto però entra in relazione con diversi professionisti nel campo della salute e dell’educazione anche se il numero di pediatri con cui si confronta è piuttosto esiguo dal momento che la maggior parte di loro mostra disinteresse per quegli elementi su cui Emmi Reich sta elaborando il suo pensiero. Alla fine della guerra, nel 1946, riceve un importante incarico dal Ministero della sanità ungherese: dirigere un orfanotrofio per gli/le orfani/e di militanti comuniste/i. È proprio in questo momento che i suoi corsi privati le tornano utili per reclutare una leva giovane e formata con le sue teorie, ma non è tutto perché sempre nello stesso anno la proposta del Ministero si duplica con la creazione di un servizio residenziale per orfane/i di 0-3 anni oppure allontanate/i dai genitori malati. Affrontare il complesso problema dell’infanzia alla fine del conflitto è per lei una responsabilità a cui si dedica compiendo scelte originali e controcorrente: mentre personalità del calibro di Anna Freud e Dorothy Bellingham sostengono che una buona relazione educativa con una figura di attaccamento significativa non sia compatibile con la vita di gruppo; Emmi Reich Pikler è convinta che ciò sia invece possibile. La decisione di dirigere l’istituto di Lóczy si configura proprio come volontà di lavorare sul campo per dimostrare le proprie ipotesi di ricerca cioè che anche vivendo in una collettività senza i propri genitori per un/a bambino/a è possibile crescere fisicamente e psichicamente in salute purché gli/le sia concesso il piacere di fare, rispettando i suoi tempi e garantendo una certa sicurezza affettiva.
Il focus viene posto sul movimento e sul rispetto nei confronti del soggetto autonomo, nonostante la sua dipendenza dalla figura di attaccamento nei primi anni di vita. Altra attenzione particolare viene data ai momenti di cura che consentono lo sviluppo di una relazione importante anche in gruppo purché la/il bambina/o sappia chi è la figura che se ne prende cura e quali siano le azioni a cui attende: in questo scambio si specchia nell’agito della figura di cura e impara progressivamente a soddisfare da sé i propri bisogni. Le risorse concesse a Emmi Reich Pikler per gestire l’istituto sono veramente scarse e le necessarie ristrettezze unite alla determinazione la portano a praticare delle scelte molto nette e incisive: le puericultrici che non sanno o non condividono totalmente il progetto educativo della direttrice se ne vanno o vengono allontanate e vengono scelte ragazze assai giovani, giudicate intelligenti e capaci pur avendo frequentato solo per pochi anni la scuola comunale. Le giovani vengono formate a Lóczy e l’orfanotrofio diventa dunque scuola di formazione femminile consacrata anche dalla costruzione di un testo in tre volumi in cui i temi principali sono le cure del corpo; il movimento; il rispetto dei ritmi naturali infantili e la personalizzazione dell’approccio educativo che si realizza mediante un’accurata osservazione e un’attenta mediazione fra ambiente e bambina/o. L’educazione così strutturata poggia, per Emmi Reich Pikler, su due consapevolezze fondamentali: il raggiungimento di una conoscenza o di una competenza attraverso i propri mezzi è altra cosa rispetto al raggiungimento della stessa attraverso un insegnamento o ancora peggio un’imposizione; il non intervento non significa disinteresse, ma lo sguardo, la parola, l’aiuto solo quando è necessario e la condivisione della gioia di un traguardo raggiunto con le proprie risorse rappresentano ottimi strumenti di cura. L’impegno e il successo professionale di Emmi Reich Pikler a Lóczy sono funestati però dal tragico destino del marito che viene arrestato nel 1968 a seguito di una vicenda poco chiara sul contrabbando di monete nei confronti della quale lui si dichiarerà sempre innocente. Ciò però lo porta all’arresto e ad una nuova detenzione durante la quale peggiorano i suoi problemi cardiaci fino alla morte che non si esclude possa essere avvenuta per suicidio nel 1969. Emmi Reich Pikler continua il suo lavoro a Lóczy fino al 1979 per poi andare in pensione proseguendo però la sua attività di formatrice in Ungheria e in Germania e di consulente presso l’istituto diretto successivamente da Judit Falk, da Gabriela Puspoki e dalla sua stessa figlia, cresciuta con il metodo Pikler, Anna Tardos, per poi e passare nel 1998 sotto la gestione di una fondazione pubblica. A partire dal 1984, anno della morte di Emmi, nascono diverse associazioni che si ispirano al suo metodo in vari Stati europei e in Sud America.
Ciò che questa importante pedagogista ci ha lasciato è la consapevolezza che una buona formazione è quella che consente a ogni bambino/a di crescere bene, sviluppando curiosità e autonomie sempre maggiori, e che permette di diventare a sua volta formatore o formatrice di educatori e educatrici che si specializzano ogni giorno nel loro lavoro di cura grazie proprio a questo scambio.
Traduzione francese
Piera Negri
Emilie Madeleine Reich, connue sous le surnom d'Emmi et le patronyme de son mari, Pikler, est née à Vienne en 1902 : sa mère est une éducatrice viennoise, décédée alors que sa fille n'avait pas encore 12 ans ; le père est un ouvrier hongrois qui, en 1908, choisit de rentrer à Budapest avec toute la famille. Sous l'empire Austro-Hongrois, grâce à une loi votée quelques années avant sa naissance qui autorisait les femmes à s'inscrire à l'université, elle put réaliser son rêve et, de retour à Vienne en 1920, elle commença les études de médecine qu’elle terminera en 1927. La période d'études à Vienne est pour elle un puits infini où puiser des expériences et des connaissances qui conditionneront sa vie à jamais. La capitale de l'Empire est en effet un laboratoire culturel, mais aussi social dans lequel l'idée de santé est inextricablement liée à celle d'éducation. Le renouvellement qui suit le premier sanglant conflit mondial affecte tous les États impliqués, mais à Vienne, il y a des personnalités placées aux postes clés de l'administration qui promeuvent des projets innovants, leur donnant une stabilité et y laissant une documentation importante. C'est le cas, par exemple, de Julius Tandler, responsable des services sociaux et de santé dans ce qu'on a appelé la Vienne rouge, la première expérience de gouvernement social-démocrate dans la ville de 1920 à 1934. L'administration municipale fournit aux familles des colis avec vêtements pour enfants pour que personne ne soit recouvert de feuilles de journal ; des jardins d'enfants, des espaces pour les filles/garçons qui, après l'école, sont ouverts pour permettre aux mères de reprendre leur travail. En outre, la fourniture de services de santé devient gratuite et des projets sont activés pour permettre aux orphelines/s ou aux personnes défavorisées de passer des périodes dans d'autres pays comme l'Italie. Il y a de nombreuses expériences de fraternité qui impliquent deux peuples qui étaient ennemis jusqu'à quelques années auparavant et dans ce contexte Emmi Reich reçoit une formation caractérisée par la conviction que les filles et les garçons ne grandissent pas uniquement parce qu'ils mûrissent et sont soutenues/s par le soin de ceux qui les entourent, notamment les mères, mais parce qu'autour d'eux se forme un réseau d'adultes qui prennent en charge leur éducation qui est un droit de l'enfance, mais aussi un devoir non seulement des parents, mais de toute la communauté.
Après son doctorat, Emmi Reich s'est spécialisée à la Clinique Pédiatrique de l'Université de Vienne dirigée par le Dr. Clemens M. Von Pirquet et le chirurgien infantile Hans Salzer et elle soutient à plusieurs reprises dans ses écrits, parmi lesquels on rappelle un texte difficile à trouver aujourd'hui : Donnez-moi du temps. Le développement autonome des mouvements dans les premières années de la vie d'un enfant, de lui être redevable d’avoir compris comment s’approcher aux petits patients. Pirquet et Salzer, en effet, s'écartent des pratiques médicales alors en usage visant à considérer presque exclusivement la seule pathologie pédiatrique, mais ils abordent le garçon ou la fille en mettant leur processus de croissance au premier plan, réduisant l'usage des médicaments au strict nécessaire et en encourageant une approche holistique de la personne et des soins. A propos de ses professeurs, Emmi Reich se souviendra toujours de l'attention des deux pour la formation des jeunes médecins afin de leur transmettre l'importance de la manière de se rapporter avec respect, considération et délicatesse à la fille/l'enfant ou en privilégiant la verbalisation du traitement à l'égard de son imposition. Parmi les choses qui frappent le plus la jeune stagiaire au cours de son apprentissage viennois, il y a le pourcentage élevé d'accidents graves dans lesquels sont surtout impliqués les filles/enfants des classes sociales supérieures et pour çà plus soumis/es au contrôle des baby-sitter et des gouvernantes que celles d'extraction plus modeste, qui jouent librement dans les rues. C'est à partir de cette observation qu'Emmi Reich commence à élaborer sa théorie selon laquelle les nourrissons sont capables d'atteindre indépendamment la position verticale, sur la base de leur propre développement et d'une autorégulation qui a des moments différents chez chaque individu. Ce qui se configure comme essentiel pour elle, c'est une relation significative avec l'adulte qui ne repose pas sur l'imposition passive de compétences puisque l'apprentissage est d'autant plus efficace s'il ne se limite pas à l'assimilation de compétences par des sollicitations extérieures, mais il conduit à l'acquisition des schémas moteurs et mentaux permettant de les construire. Une ingérence excessive des adultes peut représenter une interférence et être contre-productive. Après le mariage avec le mathématicien et pédagogue George Pikler en 1930 et leur transfert à Trieste pour le travail de l'homme, professeur de mathématiques au lycée, Emmi Reich Pikler, en accord avec son mari, décide d'élever sa première fille, Anna, mettant ses idées en pratique : laisser l'enfant avancer dans les postures et les mouvements selon son rythme ; aménager un espace suffisamment grand pour pouvoir se déplacer librement, mais en toute sécurité; lui donner la possibilité de manipuler et d'expérimenter des objets sans l'intervention d'un adulte. Dans cette décision pédagogique fondée sur ses études, Emmi est encouragée par son partenaire qui l'invite à la patience et à l'observation. Entretemps, elle a une autre fille qui meurt d'une pneumonie à un peu plus d'un an. La naissance d'un autre fils et une fille suivra dans les années suivantes.
Plus tard, le couple a déménagé à Budapest où Emmi Reich Pikler travaille comme pédiatre familial, mais elle n'est pas autorisée à ouvrir un cabinet privé car elle est d'origine juive, elle rend donc visite aux patients à domicile en conseillant aux parents de ne pas anticiper les postures et de laisser la progéniture libre d'expérimenter à travers le jeu. En plus de l'activité médicale, elle s’occupe également de la formation de rôles professionnels telles que les infirmières et les enseignants jardiniers, mais toujours en privé car elle ne peut pas accéder à l'enseignement étant juive, mais ça lui permet d'établir des contacts importants avec des professionnels allemands, des pédiatres et éducateurs, qu’elle ensuite appellera à enseigner dans son institut. De plus, certaines sources affirment que pendant ces cours, elle est entrée en contact avec la méthode Montessori grâce à la médiation de l'une de ses étudiantes hongroises les plus doués. Ce furent des années très intenses et difficiles car son mari est arrêté pour subversion en raison de son militantisme au sein du Parti communiste hongrois et cela le maintiendra en prison jusqu'à la fin de la guerre. Elle lui rend visite régulièrement et l'accompagne dans la rédaction d'écrits techniques et politiques. Entre-temps, cependant, elle entre en rapport avec différents professionnels du domaine de la santé et de l'éducation même si le nombre de pédiatres auxquels elle se rapporte est assez faible puisque la plupart d'entre eux se désintéresse des éléments sur lesquels Emmi Reich est en train d’élaborer sa pensée. A la fin de la guerre, en 1946, elle reçoit une mission importante du ministère hongrois de la Santé : diriger un orphelinat pour les orphelins/es des militants/es communistes. C'est justement à ce moment que ses cours privés lui sont utiles pour recruter des jeunes formés avec ses théories, mais ce n'est pas tout car la même année la proposition du Ministère se double avec la création d'un service résidentiel pour orphelins/es de 0-3 ans ou éloignées des parents malades. Aborder le problème complexe de l'enfance à la fin du conflit est pour elle une responsabilité à laquelle elle se consacre en faisant des choix originaux et contre-courant : alors que des personnalités telles que Anna Freud et Dorothy Bellingham soutiennent qu'une bonne relation éducative avec une figure d'attachement importante n'est pas compatible avec la vie de groupe ; Emmi Reich Pikler est sure au contraire que c'est effectivement possible. La décision de diriger l'institut Lóczy se configure précisément comme la volonté de travailler sur le terrain pour prouver ses hypothèses de recherche, c'est-à-dire que même en vivant dans une communauté sans ses parents pour un enfant/une fille, il est possible de grandir physiquement et psychiquement en bonne santé pour qu’on lui laisse le plaisir de faire, en respectant ses temps et en garantissant une certaine confiance affective.
L'accent est mis sur le mouvement et le respect vers le sujet autonome, malgré sa dépendance à la figure d'attachement dans les premières années de la vie. Une autre attention particulière est accordée aux moments de soins qui permettent le développement d'une relation importante même en groupe pourvu que la fille/l'enfant sache qui est la figure qui s’en prend soin et quelles sont les actions desquelles s’occupe : dans cet échange il/elle se réfléchit dans l'action de l'aidant et apprend progressivement à satisfaire ses propres besoins par lui-même. Les moyens accordés à Emmi Reich Pikler pour gérer l'institut sont vraiment maigres et les contraintes nécessaires conjuguées à la détermination l'amènent à faire des choix très clairs et incisifs : les puéricultrices qui ne connaissent pas ou ne sont pas tout à fait d'accord avec le projet pédagogique de la directrice laissent ou sont éloignées et on choisit des jeunes filles, jugées intelligentes et capables même si elles n'ont fréquenté l'école municipale que pour quelques années. Les jeunes filles sont formées à Lóczy et l'orphelinat devient ainsi une école de formation féminine, consacrée également par la construction d'un texte en trois volumes dont les thèmes principaux sont les soins du corps ; le mouvement ; le respect des rythmes infantiles naturels et la personnalisation de l'approche éducatif qui passe par une observation soigneuse et une médiation attentive entre l'environnement et l'enfant. L'éducation ainsi structurée se base, pour Emmi Reich Pikler, sur deux consciences fondamentales : l'acquisition d'un savoir ou d'une compétence par ses propres moyens est autre chose que l'acquisition du même par un enseignement ou pire une imposition ; non-intervention ne veut pas dire désintérêt, mais le regard, la parole, l'aide seulement quand c'est nécessaire et le copartage de la joie d'un but atteint avec ses propres ressources représentent d'excellents outils de soins. Cependant, l'engagement et la réussite professionnelle d'Emmi Reich Pikler à Lóczy sont entachés du sort tragique de son mari qui est arrêté en 1968 à la suite d'une histoire peu claire sur la contrebande de pièces de monnaie contre laquelle il se déclarera toujours innocent. Cà le conduira à son arrestation et à une nouvelle détention au cours de laquelle ses problèmes cardiaques se sont aggravés jusqu'à sa mort, qu’on ne peut pas exclure ait pu survenir par suicide en 1969. Emmi Reich Pikler continue son travail à Lóczy jusqu'en 1979 quand elle prend sa retraite, poursuivant cependant son activité de formatrice en Hongrie et en Allemagne et de consultante à l'institut dirigé ensuite par Judit Falk, Gabriela Puspoki et sa propre fille, qui a grandi avec la méthode Pikler, Anna Tardos. L’institut passe en 1998 sous la direction d'une fondation publique. Depuis 1984, année de la mort d'Emmi, diverses associations sont nées qui s'inspirent de sa méthode dans divers pays européens et en Amérique du Sud.
Ce que cette importante pédagogue nous a laissé, c'est la conscience qu'une bonne éducation est celle qui permet à chaque enfant/fille de bien grandir, de développer toujours plus de curiosité et d'autonomie, et qui lui permet à son tour de devenir formateur ou formatrice d'éducateurs et éducatrices qui se spécialisent chaque jour dans leur travail de soins grâce à cet échange.
Traduzione inglese
Syd Stapleton
Emilie Madeleine Reich, known by her nickname, Emmi, and her husband's surname, Pikler, was born in Vienna in 1902. Her mother was a Viennese educator, who died when her daughter was not yet 12 years old. Her father was a Hungarian worker who in 1908 chose to return to Budapest with the whole family. Under the Austro-Hungarian Empire, thanks to a law passed a few years before her birth that allowed women to enroll in university, she was permitted to fulfill her dream and, returning to Vienna in 1920, she began attending medical school, finishing it in 1927. Her Viennese period of study was an infinite well from which she drew experiences and knowledge that conditioned her life forever. Vienna, the capital of the Empire was a cultural laboratory, but also a social one in which the idea of health was inextricably intertwined with that of education. The renewal that followed the bloody First World War affected all the states involved, but in Vienna there were personalities inserted in key posts in the administration who promoted innovative projects, giving them stability and leaving important documentation on the matter. This is the case, for example, of Julius Tandler, responsible for social and health services in what has been called Red Vienna, the first experience of a social democratic government in the city, from 1920 to 1934. The municipal administration provided families with packages with infant clothes so that no infants were left with only newspapers as covers. Kindergartens, nurseries and after school day-care were opened to allow mothers to resume work. In addition, the provision of health services became free, and projects were promoted to allow orphans or disadvantaged people to spend periods in other countries such as Italy. There were many experiences of sisterhood and brotherhood that involved two peoples who were enemies until a few years before. It was in this context that Emmi Reich received a training characterized by the conviction that girls and boys do not grow up only because they mature and are supported by the care of those who surround them, in particular their mothers, but because around them a network of adults is formed to take responsibility for their education - a right of childhood, but also a duty not only of parents, but of the whole community.
After graduation, Emmi Reich specialized at the Viennese University Pediatric Clinic, directed by Dr. Clemens M. Von Pirquet and the pediatric surgeon Hans Salzer. She points out several times in her writings, among which we recall a text that is difficult to find today, Give Me Time - Autonomous development of movements in the first years of a child's life, that she was indebted to them for an understanding of how to approach very young patients. Pirquet and Salzer, in fact, deviated from the medical practices of the time, aimed at almost exclusively considering pediatric pathology alone. Instead, they approached a boy or girl by putting their growth process in the foreground, reducing the use of drugs to the strictly necessary. and promoting a holistic approach to the person and to care. Speaking of her teachers, Emmi Reich always remembered the attention of both to the training of young doctors in order to convey to them the importance of the way of relating with respect, consideration and delicacy to a child by emphasizing the verbalization of the treatment with respect to the administration of the same. Among the things that most affected the young trainee during her Viennese apprenticeship was the high number, percentage-wise, of serious accidents in which children belonging to the higher social classes are involved – that is, those more subjected to the control of nurses and governesses. Upper-class children had a higher chance of being injured than those of more modest circumstances, who played freely in the streets. It is from this observation that Emmi Reich began to elaborate her theory according to which infants are able to independently reach the erect position, on the basis of their own development and self-regulation, at different rates for different individuals. What became essential for her was a child’s significant relationship with adults, not based on the imposition of skills on a passive child, since learning is all the more effective the more it is not limited to the assimilation of skills through external solicitations, but rather one which leads to the self-acquisition of the motor and mental schemes for the child to build upon. Excessive intrusion by adults can constitute an obstacle and can become counterproductive. After her marriage to the mathematician and teacher George Pikler in 1930, the couple moved to Trieste for his job as a high school math teacher. Emmi Reich Pikler, in agreement with her husband, decided to raise her first daughter, Anna, putting her ideas into practice - letting the child progress in postures and movements according to her own rhythm. She set up a space large enough for the child to be able to move freely but safely, and gave her the opportunity to manipulate and experiment with objects without the intervention of an adult. In this pedagogical decision based on her studies, Emmi was encouraged by her partner who supported her patience and observation. Meanwhile, another girl was born who died of pneumonia at just over a year old. The birth of another son and daughter followed in the following years.
Later, the couple moved to Budapest where Emmi Reich Pikler worked as a family pediatrician, but she was not allowed to open a private practice because she was of Jewish origin. So, she visited patients at home, advising parents not to anticipate their children’s development and to leave the offspring free to experiment through play. In addition to medical activity, she also dedicated herself to the training of professional figures such as nurses and kindergarten teachers. This always had to be done privately as, being Jewish, she could not openly teach professionally. However, she was able to establish important contacts with German professionals, pediatricians and educators, who then called on her to teach in their institutions. Not only that, but some sources claim that during these lessons she came into contact with the Montessori method through the mediation of one of her most gifted Hungarian students. These were very intense and difficult years, as her husband was arrested on charges of being a subversive because of his militancy in the Hungarian Communist Party, and he was confined in prison until the end of the war. She visited him regularly and supported him in the drafting of technical and political writings. In the meantime, however, she entered into working relationships with various professionals in the fields of health and education, even if the number of pediatricians she is collaborated with was rather small since most of them showed disinterest in those elements on which Emmi Reich was developing her thoughts. At the end of the war, in 1946, she received an important assignment from the Hungarian Ministry of Health - to run an orphanage for the orphans of Communist militants. It was precisely at this moment that her private courses became useful for recruiting a levy of youth to be trained with her theories. In addition, in the same year the Ministry's proposal was doubled with the creation of a residential asylum for children 0-3 years, orphaned or removed from sick parents. Tackling the complex problem of childhood at the end of the conflict was for her a responsibility to which she dedicated herself by making original and counter-current choices. While personalities of the caliber of Anna Freud and Dorothy Bellingham argued that a good educational relationship with a significant attachment figure is not compatible with group life, Emmi Reich Pikler was convinced that this is indeed possible. Her decision to direct the Lóczy Institute was based precisely on the desire to work in the field to demonstrate her research hypotheses, i.e. that even living in a community without one's parents, it is possible for a child to have healthy physical and psychic growth, as long as he or she is allowed the pleasure of doing things, respecting the child’s stages of growth and guaranteeing a certain emotional security.
The focus was placed on movement and respect for the subject’s autonomy, despite the child’s dependence on the attachment figure in the first years of life. Particular attention was given to the moments of care that allow the development of an important relationship, even in a group, as long as the child knows which figure takes care of her and what are actions expected of her. In this exchange she reflects on the action of the caregiver and gradually learns to satisfy her own needs by herself. The resources granted to Emmi Reich Pikler to manage the institute were very small, and the necessary constraints, combined with determination, led her to make very clear and decisive choices. The nursery attendants who didn’t understand, or didn’t fully share the director's educational approach either left or were asked to leave, and very young women were chosen, judged to be intelligent and capable despite having attended the municipal school for only a few years. Lóczy and the orphanage thus became a school for the training of young female caregivers, aided by the construction of a three-volume text in which the main themes are body care, movement, respect for natural infantile rhythms, and the personalization of the educational approach that is achieved through careful observation and careful mediation between the environment and the child. Education structured in this way rested, for Emmi Reich Pikler, on two fundamental awarenesses. First, the attainment of knowledge or competence through one's own means is different from achieving it through teaching or, even worse, through an imposition, and second, non-intervention does not mean disinterest, but the look, the word, the help only when necessary, and the sharing of the joy of a goal reached with one's own resources represent excellent tools for care. However, the commitment and professional success of Emmi Reich Pikler in Lóczy were marred by the tragic fate of her husband, who was arrested in 1968 following an unclear story about the smuggling of coins, against which he declared his innocence. However, the charges led to his arrest and imprisonment, during which his heart problems worsened until his death in 1969, which possibly resulted from suicide. Emmi Reich Pikler continued her work in Lóczy until 1979 and then retired, but continued her activity as a teacher in Hungary and Germany and as a consultant at the institute subsequently directed by Judit Falk, Gabriela Puspoki and her own daughter, Anna Tardos, who grew up under the Pikler method. In 1998 the Institute came under the management of a public foundation.
Since 1984, the year of Emmi's death, various associations have been born that are inspired by her method in countries Europe and in Latin America.
Traduzione spagnola
Roberta Delia
Emilie Madeleine Reich, conocida por el sobrenombre Emmi y el apellido de su marido, Pikler, nació en Viena en 1902: su madre, una educadora vienesa, murió cuando su hija aún no tenía 12 años; el padre era un obrero húngaro que en 1908 decidió regresar a Budapest con toda la familia. Bajo el Imperio Austro-Húngaro, gracias a una ley aprobada unos años antes de su nacimiento que permitía que las mujeres se matricularan en la universidad, se le permitió realizar su sueño y, al regresar a Viena en 1920, comenzó a estudiar la carrera de Medicina que terminó en 1927. El período de estudio vienés es para ella un pozo infinito del que extraer experiencias y conocimientos que condicionarán su vida para siempre. En efecto, la capital del Imperio es un laboratorio cultural, pero también social, en el que la idea de salud está indisolublemente entrelazada con la de educación. La renovación que sigue al primer y sangriento conflicto mundial afecta a todos los Estados involucrados, pero en Viena hay personalidades situadas en puestos clave de la administración que impulsan proyectos innovadores, dándoles estabilidad y dejando una importante documentación al respecto. Este es el caso, por ejemplo, de Julius Tandler, responsable de los servicios sociales y de salud en la denominada Viena Roja, la primera experiencia de gobierno socialdemócrata en la ciudad desde 1920 hasta 1934. La administración municipal pone a disposición de las familias paquetes con ropa infantil para que nadie se proteja con hojas de periódico; se abren jardines de infancia, espacios para la infancia y actividades extraescolares para que las madres puedan retomar su trabajo. Además, la prestación de servicios de salud pasa a ser gratuita y se promueven proyectos para permitir que huérfanos/as o personas desfavorecidas pasen algún período en otros países como Italia. Son muchas las experiencias de hermandad y sororidad que involucran a pueblos hasta unos años atrás enemigos y en este contexto Emmi Reich recibe una formación caracterizada por la convicción de que las niñas y los niños no crecen solo porque maduran y son apoyados por el cuidado de quienes los rodean, en particular las madres, sino porque a su alrededor se forma una red de adultos que asumen la responsabilidad de su educación que es un derecho de la infancia, pero también un deber no solo de los padres, sino de toda la comunidad.
Después de graduarse, Emmi Reich se especializó en la Clínica Pediátrica de la Universidad de Viena dirigida por el Dr. Clemens M. Von Pirquet y el cirujano infantil Hans Salzer, y argumenta en varias ocasiones en sus escritos –entre los que recordamos un texto que es difícil de encontrar hoy en día: Dadme tiempo. El desarrollo autónomo de los movimientos en los primeros años de vida del niño– que estaba en deuda con ellos por haberle hecho comprender cómo abordar a los/las pequeños/as pacientes. Efectivamente Pirquet y Salzer se desvían de las prácticas médicas entonces vigentes, que apuntaban a considerar casi exclusivamente la patología pediátrica, para acercarse al niño o a la niña poniendo en primer plano su proceso de crecimiento, reduciendo el uso de fármacos a lo estrictamente necesario y promoviendo un enfoque holístico de la persona y del cuidado. Hablando de sus maestros, Emmi Reich siempre recordará la atención de ambos hacia la formación de jóvenes médicos/as con el fin de transmitirles la importancia de la forma de relacionarse con respeto, consideración y delicadeza con el niño/a o privilegiando la verbalización del tratamiento respecto a la imposición del mismo. Entre las cosas que más llaman la atención de la joven interna durante su aprendizaje vienés se encuentra el alto porcentaje de accidentes graves en los que se ven involucrada la infancia perteneciente a las clases sociales más altas y por ello a menudo sometida al control de enfermeras e institutrices respecto a quienes, de extracción más modesta, juegan libremente en las calles. A partir de esta observación Emmi Reich comienza a elaborar su teoría según la cual los infantes son capaces de alcanzar independientemente la posición erguida, en base a su propio desarrollo y autorregulación que requiere un tiempo diferente en cada individuo. Lo que se configura como esencial para ella es una relación significativa con el adulto que no se basa en la imposición pasiva de habilidades, ya que el aprendizaje es tanto más efectivo cuanto menos se limita a la asimilación de habilidades a través de provocaciones externas, sino que conduce a la adquisición de esquemas motores y mentales a través de los cuales construirlas. La injerencia excesiva de los adultos puede constituir una interferencia y ser contraproducente. Tras su matrimonio con el matemático y pedagogo George Pikler en 1930 y su traslado a Trieste a causa del trabajo de su esposo, la profesora de matemáticas de secundaria, Emmi Reich Pikler, de acuerdo con su marido, decide criar a su primera hija, Anna, poniendo en práctica sus ideas: dejar que la niña progrese en posturas y movimientos según su propio ritmo; establecer un espacio lo suficientemente grande para que se pueda mover libremente, pero con seguridad; darle la posibilidad de manipular y experimentar objetos sin la intervención del adulto. En esta decisión pedagógica basada en sus estudios, Emmi es animada por su pareja quien la invita a la paciencia y la observación. Mientras tanto, nace otra niña que muere de neumonía a poco más de un año. En los años siguientes nacerán otro hijo y otra hija.
Posteriormente, la pareja se traslada a Budapest donde Emmi Reich Pikler trabaja como pediatra familiar, pero no se le permite abrir un consultorio privado por ser de origen judío, por lo que visita a los pacientes en su domicilio aconsejando a padres y madres que no se anticipen a las posturas y que dejen a la descendencia libre de experimentar a través del juego. Además de la actividad médica, también se dedica a la formación de figuras profesionales como enfermeras y profesoras de jardinería, aunque siempre de forma particular ya que no puede acceder a la docencia por ser judía; sin embargo esto le permite establecer importantes contactos con profesionales alemanas, pediatras y educadoras, que luego llamará a enseñar en su instituto. No solo eso, algunas fuentes afirman que durante esas lecciones entró en contacto con el método Montessori a través de la mediación de una de sus alumnas húngaras más talentosas. Fueron años muy intensos y difíciles ya que su esposo fue deteido acusado de ser un subversivo por su militancia en el Partido Comunista Húngaro y esto lo mantuvo en prisión hasta el final de la guerra. Ella lo visitaba con regularidad y lo apoyaba en la redacción de escritos técnicos y políticos. Mientras tanto, sin embargo, entró en contacto con diversos profesionales del campo de la salud y la educación, aunque el número de pediatras con los que se pudo medir es bastante reducido, ya que la mayoría de ellos no mostraba ningún interés por aquellos aspectos sobre los que Emmi Reich estaba elaborando su pensamiento. Al final de la guerra, en 1946, recibió un importante encargo del Ministerio de Salud de Hungría: dirigir un orfanato para huérfanos/as de militantes comunistas. Es precisamente en ese momento cuando sus cursos privados le sirven para reclutar un equipo joven y formado con sus teorías; en el mismo año la propuesta del Ministerio se duplica con la creación de un servicio residencial para huérfanas/os de 0-3 años o distantes de sus progenitores enfermos. Abordar el complejo problema de la infancia al final del conflicto es para ella una responsabilidad a la que se dedica tomando decisiones originales y contra corriente: mientras personalidades del calibre de Anna Freud y Dorothy Bellingham sostienen que una buena relación educativa con una figura de apego significativa no es compatible con la vida grupal; Emmi Reich Pikler está convencida de que esto es posible. La decisión de dirigir el instituto Lóczy se configura precisamente como el deseo de trabajar en ello para demostrar sus propias hipótesis de investigación, es decir, que incluso viviendo en una comunidad sin los propios padre y madre es posible crecer física y psíquicamente en salud siempre que se permite el placer de hacer las cosas, respetando sus tiempos y garantizándo una cierta seguridad emocional.
La atención se centra en el movimiento y el respeto por el sujeto autónomo, a pesar de su dependencia de la figura de apego en los primeros años de vida. Se presta especial atención a los momentos de cuidado que permiten el desarrollo de una relación importante incluso en grupo siempre y cuando el niño/la niña sepa quién es la figura que lo/la cuida y cuáles son las acciones que le pertenecen: en este intercambio se refleja en la acción del/de la cuidador/a y gradualmente aprende a satisfacer sus propias necesidades por sí misma/o. Los recursos otorgados a Emmi Reich Pikler para la gestión del instituto son realmente escasos y las necesarias estrecheces combinadas con su determinación la llevan a tomar decisiones muy claras e incisivas: las puericultoras que no conocen o no están del todo de acuerdo con el proyecto educativo de la directora se van o son despedidas y se escogen chicas muy jóvenes, consideradas inteligentes y capaces a pesar de haber asistido solo durante pocos años a la escuela municipal. Las jóvenes se forman en Lóczy y el orfanato se convierte así en una escuela de formación femenina, consagrada también por la redacción de un texto en tres volúmenes cuyos temas principales son el cuidadodel cuerpo, el movimiento y el respeto por los ritmos infantiles naturales y la personalización del enfoque educativo que se logra a través de la observación cuidadosa y la mediación cuidadosa entre el entorno y el niño/la niña. La educación así estructurada descansa, para Emmi Reich Pikler, en dos convicciones fundamentales: la consecución de un conocimiento o de una competencia por los propios medios es algo diferente a la consecución de los mismos mediante una enseñanza o, peor aún, una imposición; la falta de intervención no significa desinterés, sino que la mirada, la palabra, la ayuda sólo cuando es necesario y el compartir la alegría de una meta alcanzada con los propios recursos representan excelentes herramientas de cuidado. Sin embargo, el compromiso y el éxito profesional de Emmi Reich Pikler en Lóczy se ven empañados por el trágico destino de su marido, que es detenido en 1968 tras una historia poco clara sobre contrabando de monedas del que siempre se declarará inocente. Sin embargo, esto lo lleva a una nueva detención durante la cual sus problemas cardíacos se agravan hasta su muerte, que no se puede descartar podría haber ocurrido por suicidio en 1969. Emmi Reich Pikler continuó su trabajo en Lóczy hasta 1979 y luego se jubiló, continuando sin embargo con su actividad como formadora en Hungría y Alemania y como consultora en el instituto que posteriormente dirigieron Judit Falk, Gabriela Puspoki y su propia hija –quien creció con el método Pikler, Anna Tardos– para pasar luego en 1998 bajo la dirección de una fundación pública. Desde 1984, año de la muerte de Emmi, nacen diversas asociaciones que se inspiran en su método en varios países europeos y de Sudamérica.
Lo que nos ha dejado esta importante pedagoga es la conciencia de que una buena educación es la que permite crecer bien a cada niño/a, desarrollando cada vez una mayor curiosidad y autonomía, y que a su vez le permite convertirse en formador/a o formador/a de educadores/as que se especializan cada día en su labor asistencial gracias a dicho intercambio.