Nadia Murad
Laura Candiani






Giada Ionà

 

Premio Nobel per la Pace nel 2018, insieme al ginecologo congolese Denis Mukwege «per i loro sforzi per mettere fine all'uso della violenza sessuale come arma in guerre e conflitti armati». Dopo Malala Yousafzai, è la seconda più giovane vincitrice, a 25 anni.

Nadia è una giovane appartenente alla minoranza religiosa yazida, facente parte del popolo curdo, sopravvissuta alla persecuzione e alle torture dello Stato islamico e al genocidio della sua comunità, vicende narrate nel libro autobiografico L'ultima ragazza. Storia della mia prigionia e della mia battaglia contro l'Isis, con prefazione dell'avvocata Amal Clooney (Mondadori), da cui è stato tratto il film Sulle sue spalle, per la regia di Alexandria Bombach.«Essere sopravvissuta a un genocidio porta con sé grandi responsabilità [...]. Aver perso i miei fratelli, mia madre e molti membri della mia famiglia è una responsabilità che io prendo molto sul serio. Il mio ruolo di attivista non riguarda solo la mia sofferenza ma la sofferenza di tutti. Raccontare la mia storia con tutti i suoi orrori non è un compito facile ma il mondo deve sapere. Il mondo deve sentirsi moralmente responsabile ad agire e se la mia storia può spingere i leader mondiali a fare qualcosa allora devo raccontarla».

Tutto ebbe inizio nell'agosto 2014 quando la ventunenne Nadia (nata il 10 marzo 1993) viveva serenamente nell'Iraq settentrionale in una fattoria con la madre Shami, una donna forte e coraggiosa, impegnata nel rendere i 13 fra figlie e figli «sazi e ottimisti»; la ragazza studiava e faceva progetti per il proprio futuro, quando le truppe dell'Isis entrarono nel villaggio di Kocho e fecero 600 vittime, soprattutto fra gli uomini, uccisi a colpi di kalashnikov. Fra questi, sei fratelli di Nadia. Le donne furono radunate e caricate su camion dai vetri oscurati; stava per iniziare il loro martirio. Divennero infatti vere e proprie schiave, oltre 6700, per lo più di etnia yazida; furono poi condotte a Mosul per essere violentate, picchiate, torturate con sigarette accese. Nell’autobiografia, in cui ha deciso di non omettere nessun dettaglio, si possono leggere righe che sono un vero colpo al cuore, ma fotografano con la massima efficacia la disperazione di una giovane che, in quei mesi di prigionia, è stata separata dalle due sorelle più grandi e sposate; venduta e comprata più volte, sottoposta a angherie psicologiche e fisiche, si è augurata la morte, considerata l’unica possibilità di salvezza. «A un certo punto – scrive nel libro – non resta altro che gli stupri. Diventano la tua normalità. Non sai chi sarà il prossimo ad aprire la porta per abusare di te, sai solo che succederà e che domani potrebbe essere peggio».

Nadia riuscì a fuggire in novembre per la distrazione di un carceriere che non chiuse bene la porta dell'alloggio; fu accolta e nascosta da una famiglia musulmana particolarmente generosa che mise a rischio la propria stessa vita. Omar Abdel Jabar fu l'artefice di questo atto di coraggio, eppure avrebbe avuto una bella ricompensa in denaro se l'avesse riportata agli aguzzini. Nonostante fosse un modesto lavoratore e un capofamiglia, decise di andare avanti e riuscì a contattare un fratello superstite della ragazza, chiuso in un campo profughi; insieme progettarono la sua via di salvezza. Da quel momento Nadia divenne "la moglie di Jabar" che doveva spostarsi a Kirkuk, per rivedere la città natale, in mano alle forze curde. Nadia deve imparare a memoria nomi, luoghi, strade, fingersi quella che non è perché durante il viaggio saranno molte le soste, i controlli pressanti, le domande che le verranno poste; per fortuna non le può essere chiesto di mostrare il viso, mentre i muri dei checkpoint sono tappezzati di sue foto segnaletiche. Arrivano finalmente a Erbil e il compito dell'uomo si conclude, ma in breve viene scoperto e costretto anche lui a una drammatica fuga, in cui deve lasciare in patria la vera moglie incinta e il figlioletto .Dopo un periodo in Turchia e poi in Bulgaria, si trova in un paesino della Germania, ma la sua situazione di richiedente asilo non è ancora definita. Eppure continua ad affermare che chiunque avrebbe agito come lui. Nadia era arrivata al campo profughi di Duhok, dove venne raggiunta in seguito da due sorelle. Ma nel Medio Oriente non si sentiva al sicuro, così riuscì a congiungersi con una sorella già residente in Germania, a Stoccarda. L'anno successivo si presentò davanti al Consiglio dell'Onu per spiegare la condizione di chi viene rapito, sequestrato, scambiato come merce, in particolare le donne, trasformate in schiave sessuali, coinvolte del tutto inermi e innocenti all'interno di sanguinosi conflitti.

Dal settembre 2016 è prima ambasciatrice dell'Onu per la dignità di sopravvissute/i alla tratta di esseri umani. Intanto l'avvocata Amal Ramzi Alamuddin Clooney ha esposto pubblicamente all'ufficio dell'Onu per la prevenzione del crimine le motivazioni per cui ha deciso di rappresentare Nadia nell'accusa contro le truppe dell'Isis, sottolineando quanto sia comune la pratica dell'odiosa tratta, da lei definita «burocrazia del diavolo su scala industriale». Nello stesso anno Nadia riceve dal Parlamento europeo il Premio Vaclav Havel per i diritti umani e fa un toccante discorso all'assemblea; ottiene poi il riconoscimento Donna dell'anno e il Premio Sacharov per la libertà di pensiero, insieme all'altra attivista yazira Lamiya Aji Bashar.

Il 10 dicembre 2018 a Oslo ha ritirato il Nobel per la Pace (l'unico che si assegna in Norvegia) e il 21 è stata ricevuta da papa Francesco in udienza privata, insieme al marito Abid Shamdeem. Non era la prima volta che Murad e il papa si incontravano: già il 3 maggio 2017 la ragazza si era presentata con il velo in testa in Piazza San Pietro, al termine di una udienza generale del mercoledì, e aveva stretto la mano al Pontefice accennandogli alla sua storia e a quella del suo popolo. Un desiderio, questo, espresso un anno prima quando – già candidata al Nobel per la Pace – aveva chiesto tramite le telecamere di Tv2000 un incontro con il papa «per raccontargli la tragedia del popolo yazida, la mia storia personale da vittima della barbarie dell’Isis e quella di migliaia di altri giovani yazidi».

Mentre svolge la sua missione in tutto il mondo, ha fondato la Nadia's Initiative, un'organizzazione che opera a livello internazionale per la tutela delle donne vittime di violenza. Solo di recente, nel 2021, Nadia Murad è riuscita a trovare i resti di due suoi fratelli e a dar loro sepoltura, nel villaggio natale.


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Prix Nobel de la Paix en 2018, avec le gynécologue congolais Denis Mukwege «pour leurs efforts visant à mettre fin à l’utilisation de la violence sexuelle comme arme dans les guerres et les conflits armés». Après Malala Yousafzai, elle est la deuxième plus jeune gagnante, à 25 ans.

Nadia est une jeune fille appartenant à la minorité religieuse yézida, appartenant au peuple kurde, qui a survécu à la persécution et aux tortures de l’État islamique et au génocide de sa communauté, racontés dans le livre autobiographique L’ultima ragazza. Histoire de ma captivité et de ma bataille contre l’Etat islamique, avec préface de l’avocate Amal Clooney (Mondadori), d’où a été tiré le film Sulle sue spalle, réalisé par Alexandria Bombach. «Survivre à un génocide implique de grandes responsabilités [...]. Avoir perdu mes frères, ma mère et de nombreux membres de ma famille est une responsabilité que je prends très au sérieux. Mon rôle en tant qu’activiste ne concerne pas seulement ma souffrance, mais la souffrance de tous. Raconter mon histoire avec toutes ses horreurs n’est pas une tâche facile, mais le monde doit savoir. Le monde doit se sentir moralement responsable d’agir et si mon histoire peut pousser les leaders mondiaux à faire quelque chose alors je dois la raconter».

Tout a commencé en août 2014 quand Nadia, 21 ans, (née le 10 mars 1993) vivait paisiblement dans le nord de l’Irak dans une ferme avec sa mère Shami, une femme forte et courageuse, engagée à rendre les 13 filles et fils « rassasiés et optimistes »; elle étudiait et projetait son avenir quand les troupes de l’Etat islamique entrèrent dans le village de Kocho et firent 600 victimes, surtout des hommes parmis eux, tués à coups de kalachnikovs. Parmi ceux-ci, six frères de Nadia. Les femmes furent rassemblées et chargées dans des camions par des vitres teintées ; elles étaient sur le point de commencer leur martyre. Elles devinrent en effet de véritables esclaves, plus de 6700, pour la plupart d’origine yazida; elles furent ensuite conduites à Mossoul pour y être violées, battues, torturées avec des cigarettes allumées. Dans l’autobiographie, dans laquelle elle a décidé de ne négliger aucun détail, on peut lire des lignes qui sont un véritable coup au cœur, mais qui photographient avec la plus grande efficacité le désespoir d’une jeune femme qui, en ces mois de captivité, a été séparée des deux sœurs les plus âgées et mariées; vendue et achetée plusieurs fois, soumise à des brimades psychologiques et physiques, elle a souhaité la mort, considérée comme la seule possibilité d’être sauve. «À un moment donné - écrit-elle dans le livre - il ne reste plus que les viols. Cela devient normal. Tu ne sais pas qui sera le prochain à ouvrir la porte pour abuser de toi, tu sais seulement qu’il arrivera et que demain il pourrait être pire».

Nadia réussit à s’échapper en novembre pour la distraction d’un geôlier qui ne ferma pas bien la porte du logement; elle fut accueillie et cachée par une famille musulmane particulièrement généreuse qui mit sa vie en danger. Omar Abdel Jabar fut l’auteur de cet acte de courage, mais il aurait eu une belle récompense en argent s’il l’avait ramenée aux bourreaux. Bien qu’il fût un modeste travailleur et un chef de famille, il décida d’aller de l’avant et réussit à contacter un frère survivant de la jeune fille, enfermé dans un camp de réfugiés; ensemble, ils planifièrent son chemin de libération. À partir de ce moment, Nadia devint "l’épouse de Jabar" qui devait se déplacer à Kirkuk, pour revoir sa ville natale, aux mains des forces kurdes. Nadia doit apprendre par cœur les noms, les lieux, les rues, se faire passer pour ce qu’elle n’est pas parce que pendant le voyage, il y aura beaucoup d’arrêts, de contrôles pressants, de questions qui lui seront posées; heureusement, on ne peut pas lui demander de montrer son visage, Les murs des points de contrôle sont recouverts de photos d’elle. Ils arrivent finalement à Erbil et la tâche de l’homme se termine, mais en peu de temps il est découvert et contraint lui aussi à une dramatique fuite, durant laquelle il doit laisser dans sa patrie la véritable épouse enceinte et le petit fils. Après une période en Turquie puis en Bulgarie, il se trouve dans un petit village d’Allemagne, mais sa situation de demandeur d’asile n’est pas encore définie. Pourtant, il continue de dire que quiconque aurait agi comme lui. Nadia était arrivée au camp de réfugiés de Duhok, où elle a ensuite été rejointe par ses deux sœurs. Mais au Moyen- Orient, elle ne se sentait pas en sécurité, alors elle a réussi à se joindre à une de ses sœur qui résidait déjà en Allemagne, à Stuttgart. L’année suivante, elle se présenta devant le Conseil de l’ONU pour expliquer la condition de ceux qui sont enlevés, séquestrés, échangés comme marchandise, en particulier les femmes, transformées en esclaves sexuelles, impliquées totalement impuissantes et innocentes dans des conflits sanglants.

Depuis septembre 2016, elle est la première ambassadrice de l’ONU pour la dignité de survivants de la traite des êtres humains. Pendant ce temps, l’avocate Amal Ramzi Alamuddin Clooney a exposé publiquement au bureau de l’ONU pour la prévention du crime les raisons pour lesquelles elle a décidé de représenter Nadia dans l’accusation contre les troupes de l’Etat islamique, soulignant combien la pratique de l’odieuse traite, définie selon elle de «bureaucratie du diable à l’échelle industrielle». La même année, Nadia reçoit du Parlement européen le prix Vaclav Havel pour les droits de l’homme et fait un discours émouvant à l’assemblée; elle obtient ensuite la reconnaissance Femme de l’année et le prix Sakharov pour la liberté de pensée, avec l’autre activiste Yazira Lamiya Aji Bashar.

Le 10 décembre 2018 à Oslo, elle a reçu le Prix Nobel de la Paix (le seul en Norvège) et le 21 décembre, et elle a été reçue par le pape François en audience privée avec son mari Abid Shamdeem. Ce n’était pas la première fois que Murad et le pape se rencontraient : déjà le 3 mai 2017, la jeune fille s’était présentée en portant le voile sur la place Saint-Pierre, au terme d’une audience générale du mercredi, et elle avait serré la main du Souverain Pontife en lui faisant allusion à son histoire et à celle de son peuple. Ce souhait avait été exprimé un an plus tôt lorsque - déjà candidate au Prix Nobel de la Paix - elle avait demandé, à travers les caméras de Tv2000, une rencontre avec le pape «pour lui raconter la tragédie du peuple yézida, mon histoire personnelle en tant que victime de la barbarie de l’Etat islamique et celle de milliers d’autres jeunes yézidis».

Tout en accomplissant sa mission dans le monde entier, elle a fondé l’Initiative Nadia, une organisation qui œuvre au niveau international pour la protection des femmes victimes de violence. Ce n’est que récemment, en 2021, que Nadia Murad a pu trouver les restes de deux de ses frères et les enterrer dans leur village natal.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Nadia Murad was awarded a Nobel Peace Prize in 2018, along with Congolese gynecologist Denis Mukwege, «for their efforts to end the use of sexual violence as a weapon in wars and armed conflicts». After Malala Yousafzai, she is the second youngest winner, at age 25.

Nadia is a young member of the Yazidi religious minority, part of the Kurdish people, who survived persecution and torture by the Islamic State and the genocide waged against her community. These events are recounted in the autobiographical book L'ultima ragazza. Storia della mia prigionia e della mia battaglia contro l'Isis [The Last Girl. A Story of My Captivity and My Battle Against Isis], with a foreword by lawyer Amal Clooney (Mondadori). The film On Her Back, directed by Alexandria Bombach, was based on the book. «Being a genocide survivor carries with it great responsibility [...]. Having lost my siblings, my mother and many members of my family is a responsibility that I take very seriously. My role as an activist is not just about my suffering but about the suffering of everyone. Telling my story with all its horrors is not an easy task but the world needs to know. The world must feel morally responsible to act and if my story can push world leaders to do something then I must tell it.»

It all began in August of 2014, when 21-year-old Nadia (born March 10, 1993) was living serenely in northern Iraq on a farm with her mother Shami, a strong and courageous woman committed to making her 13 daughters and sons "content and optimistic". The girl was studying and making plans for her own future, when ISIS troops entered the village of Kocho and claimed 600 lives, mostly among the men, who were killed by Kalashnikov fire. Among them were six of Nadia's brothers. The women were rounded up and loaded onto trucks with tinted windows, and their martyrdom was about to begin. They became real slaves - over 6,700, mostly ethnic Yazidis, who were then taken to Mosul to be raped, beaten, and tortured with lit cigarettes. In her autobiography, from which she decided to not omit any details, one can read lines that are a real blow to the heart, but which portray with the utmost effectiveness the despair of a young woman who, in those months of captivity, was separated from her two older and married sisters. She was sold and bought several times, subjected to psychological and physical anguish, wished herself dead, considered the only possibility of salvation. «At a certain point," she writes in the book, "all that is left is rapes. They become your normality. You don't know who will open the door next to abuse you, you just know it will happen and that tomorrow it could be worse.»

Nadia managed to escape in November, due to the distraction of a jailer who didn’t lock the door of her lodging properly. She was taken in and hidden by a particularly generous Muslim family, who put their own lives at risk. Omar Abdel Jabar was the architect of this act of bravery, yet he would have had a handsome cash reward if he had returned her to her tormentors. Despite the fact that he was a humble worker and a breadwinner, he decided to go ahead and managed to contact a surviving brother of the girl, who was a prisoner in a refugee camp. Together they planned her way to safety. From that moment Nadia became Jabar's “wife" who had to move to Kirkuk to see her hometown again, in the hands of Kurdish forces. Nadia had to memorize names, places, and streets, pretending to be what she was not, because during the journey there would be many stops, identity checks, and questions asked of her. Fortunately, she could not be asked to show her face - and the walls of the checkpoints were plastered mug shots of her. They finally arrived in Erbil and the man's task came to an end. But before long he was discovered and forced to make a dramatic escape as well, in which he had to leave his real pregnant wife and small child behind in his homeland. After a stint in Turkey and then Bulgaria, he found himself in a small town in Germany, but his situation as an asylum seeker is not yet settled. Yet he has continued to claim that anyone would have acted as he did. Nadia had arrived at the Duhok refugee camp, where she was later joined by two sisters. But she didn’t feel safe in the Middle East, so she managed to join a sister already living in Germany, in Stuttgart. The following year she appeared before the U.N. Council to explain the plight of those who were kidnapped, abducted, traded as commodities, particularly women, turned into sex slaves, and drawn, completely helpless and innocent, into bloody conflicts.

Since September 2016, she has been the UN's first ambassador for the dignity of survivors of human trafficking. Meanwhile, lawyer Amal Ramzi Alamuddin Clooney has publicly laid out at the UN Office for the Prevention of Crime the reasons why she has decided to represent Nadia in the prosecution of Isis troops, emphasizing how common the practice of heinous trafficking is, which she called "the devil's bureaucracy on an industrial scale." In the same year Nadia received the Vaclav Havel Human Rights Prize from the European Parliament and made a moving speech to the assembly. She was then awarded Woman of the Year and the Sakharov Prize for Freedom of Thought, along with another Yazira activist, Lamiya Aji Bashar.

On December 10, 2018 in Oslo, she received the Nobel Peace Prize (the only one that is awarded in Norway), and on the 21st she was received by Pope Francis in a private audience, together with her husband Abid Shamdeem. This was not the first time that Murad and the pope had met - already on May 3, 2017, the girl had appeared in her headscarf in St. Peter's Square at the end of a Wednesday general audience and had shaken the Pontiff's hand, mentioning her story and that of her people. A desire she had already expressed a year earlier when - a Nobel Peace Prize nominee - she had asked through the cameras of TV2000 for a meeting with the Pope «to tell him about the tragedy of the Yazidi people, my personal story as a victim of the barbarity of ISIS, and that of thousands of other young Yazidis.»

As part of carrying out her mission around the world, she founded Nadia's Initiative, an organization that works internationally to protect women victims of violence.


Traduzione spagnola

Arianna Calabretta

Premio Nobel de la Paz en 2018, junto con el ginecólogo congoleño Denis Mukwege «por sus esfuerzos para poner fin al uso de la violencia sexual como arma en las guerras y los conflictos armados». Después de Malala Yousafzai, es la segunda ganadora, con 25 años de edad.

Nadia es una joven que pertenece a la minoría religiosa yazidí, parte del pueblo kurdo, y sobrevivió a la persecución y a las torturas del Estado Islámico y al genocidio de su comunidad, hechos narrados en la obra autobiográfica Yo seré la última: historia de mi cautiverio y mi lucha contra el Estado Islámico, con un prólogo de la abogada Amal Clooney (Plaza&Janés 2017), en la que se ha basado la película On her shoulders, dirigida por Alexandria Bombach. «Ser una superviviente de un genocidio conlleva grandes responsabilidades [...]. Haber perdido a mis hermanos, a mi madre y a muchos familiares es una responsabilidad que me tomo muy en serio. Mi papel como activista no se refiere solo a mi sufrimiento sino al de todo el mundo. Contar mi historia con todos sus horrores no es una tarea fácil, pero el mundo debe saber, tiene que sentirse moralmente responsable de sus actuaciones y si mi historia puede empujar a los líderes mundiales a hacer algo, entonces debo contarla».

Todo comenzó en agosto de 2014 cuando Nadia (nacida el 10 marzo de 1993) vivía tranquilamente en el norte de Irak en una granja con su madre Shami, una mujer fuerte y valiente, comprometida en hacer que sus 13 hijas e hijos fueran «completos y optimistas»; la joven estudiaba y hacía planes para su futuro, cuando las tropas del ISIS entraron en la aldea de Kocho y causaron 600 víctimas, sobre todo entre los hombres, asesinados a tiros de Kalashnikov. Entre ellos había seis hermanos de Nadia. Las mujeres fueron reunidas y cargadas en camiones con vidrios polarizados: su martirio todavía no había empezado. Se convirtieron en verdaderas esclavas, más de 6.700, en su mayoría de etnia yazidí; luego las llevaron a Mosul para violarlas, golpearlas y torturaras con cigarrillos encendidos. En su autobiografía, en la que ha decidido no omitir ningún detalle, se pueden leer líneas que son un verdadero golpe al corazón, pero que fotografían con gran eficacia la desesperación de una joven que, en esos meses de cautiverio, fue separada de sus dos hermanas mayores ya casadas; vendida y comprada varias veces, sometida a vejaciones psicológicas y físicas, deseaba la muerte, considerada como la única posibilidad de salvación. «En cierto momento –escribe en su libro– no queda más que la violación. Se convierte en normalidad. No sabes quién será el próximo que abrirá la puerta para abusar de ti, solo sabes que pasará y que mañana podrá ser peor».

Nadia pudo escapar en noviembre por la distracción de un carcelero que no cerró bien la puerta de sus aposentos; fue acogida y escondida por una familia musulmana especialmente generosa que puso en riesgo su propia vida. Omar Abdel Jabar fue el artífice de este acto de valentía, aunque hubiera recibido una buena recompensa en dinero si la hubiera devuelto a sus verdugos. A pesar de ser un modesto trabajador y cabeza de familia, decidió seguir adelante y pudo contactar con un hermano supérstite de la chica que estaba encerrado en un campo de refugiados; juntos planearon su camino hacia la salvación. A partir de ese momento, Nadia se convirtió en “la esposa de Jabar” que tenía que desplazarse a Kirkuk para volver a ver su ciudad natal en manos de las fuerzas kurdas. Nadia tuvo que aprender de memoria nombres, lugares, calles y fingir ser lo que no era porque durante el viaje habría muchas paradas, controles presionantes y preguntas; afortunadamente no le podían pedir que mostrase la cara, mientras que las paredes de los controles estaban llenas de sus fichas policiales. Por fin, al llegar a Erbil, el encargo del hombre se cumple, pero muy pronto lo descubren y se ve obligado a una dramática huida en la que debe dejar atrás a su verdadera esposa embarazada y a su pequeño hijo.Tras una estancia en Turquía y luego en Bulgaria, se encuentra en un pequeño pueblecito de Alemania, pero su situación de solicitante de asilo aún no está resuelta. No obstante, sigue afirmando que cualquiera habría hecho lo mismo que él. Nadia había llegado al campo de refugiados de Duhok, donde más tarde se juntaron con ella dos hermanas suyas. Pero en Oriente Medio no se sentía segura, así que consiguió reunirse con una hermana que ya vivía en Alemania, en Stuttgart. Al año siguiente compareció ante al Consejo de la ONU para explicar la situación de quien acaba secuestrado, raptado, comercializado como mercancía, especialmente las mujeres, convertidas en esclavas sexuales, envueltas –totalmente indefensas e inocentes– en sangrientos conflictos.

Desde septiembre de 2016, es la primera embajadora de la ONU para la dignidad de los supervivientes de la trata de seres humanos. Entretanto, la abogada Amal Ramzi Alamuddin Clooney explicó públicamente a la Oficina de la ONU para la Prevención del Delito las razones por las que decidió representar a Nadia en la acusación contra las tropas del ISIS, destacando lo común que es la práctica del odioso tráfico que ella llamó «burocracia del diablo a escala industrial». Ese mismo año Nadia recibió el Premio Vaclav Havel de Derechos Humanos del Parlamento Europeo e hizo un conmovedor discurso durante la asamblea; luego obtuvo el premio Mujer del Año y el premio Sacharov por la Libertad de Conciencia, junto con la otra activista yazira, Lamiya Aji Bashar.

El 10 de diciembre de 2018, en Oslo, recogió el Premio Nobel de la Paz (el único que se entrega en Noruega) y el 21 fue recibida por el Papa Francisco en una audiencia privada, junto a su esposo Abid Shamdeem. No era la primera vez que Murad y el Papa se encontraban: ya el 3 de mayo de 2017, la joven se había presentado cubierta con su pañuelo en la Plaza de San Pedro al final de una audiencia general del miércoles y estrechó la mano del Pontífice, mencionándole su historia y la de su pueblo. Un deseo que expresó un año antes cuando –ya candidata al Premio Nobel de la Paz– pidió por las cámaras de Tv2000 un encuentro con el Papa «para contarle la tragedia del pueblo yazidí, mi historia personal como víctima de la barbarie del ISIS y las de otros miles de jóvenes yazidíes».

Mientras lleva a cabo su misión en todo el mundo, ha fundado la Nadia’s Initiative, una organización que trabaja a nivel internacional para la protección de las mujeres víctimas de violencia. Solo recientemente, en 2021, Nadia Murad pudo encontrar los restos de dos de sus hermanos y darles sepultura en su pueblo natal.