Barbara Strozzi
Mauro Zennaro
Giulia Canetto
Di lei sappiamo poco, ma quel poco è prezioso perché delle altre sappiamo ancora meno. Abbiamo l’anno di nascita, il 1619, e il giorno del battesimo nella chiesa di Santa Sofia, il 6 agosto. Abbiamo anche la data della morte, l’11 novembre 1677, a Padova. Il suo ritratto, a opera del prete genovese Bernardo Strozzi (che non era suo parente) ricorda l’autoritratto coevo di Artemisia Gentileschi (che però è infinitamente più bello). Barbara ha tra i sedici e i vent’anni, ha in mano la viola da gamba e l’archetto, ci guarda con aria assorta, sembra più grande della sua età, è vestita in modo succinto; Artemisia, invece, si rappresenta come Allegoria della pittura, non guarda noi ma la sua opera, l’inquadratura è audace e moderna. Le due donne non sembrano assomigliarsi, ma hanno una cosa in comune: l’affermazione della propria professione attraverso l’esibizione degli strumenti del mestiere. Il genovese ha dipinto una Barbara discinta, confermando le dicerie sulla giovane musicista che, non sposata e per di più artista, era ipso facto condannata a una fama di cortigiana. Benché nel 1636 Nicolò Fontei, musicista di qualche fama, dedicasse la sua seconda raccolta di Bizzarrie poetiche poste in musica alla «gentilissima e virtuosissima donzella la Signora Barbara», e il poeta genovese Gian Vincenzo Imperiale, sentitala cantare, la definisse «una delle Muse di Parnaso», per il resto la reputazione della giovane Strozzi non era al livello della sua riconosciuta maestria musicale. Altrove non le si risparmiano i lazzi, come nell’anonimo testo satirico in cui, nonostante la si veda «castissima», «come femina» poteva «in libertà passarvi il tempo con qualche amore». D’altro canto, la definizione di «virtuosissima cantatrice» datale da Fontei è di parte, essendo il musicista intimo di Giulio Strozzi, padre – benché ufficialmente adottivo – di Barbara.
Ma tutto questo è ormai ovvio. La stessa Artemisia si era vista dare, nell’elegante e fiorita rima secentesca, della poco di buono solo perché artista e indipendente. E d’altro canto la prostituzione poteva essere un destino inevitabile: si pensi per esempio a Fillide Melandroni, la modella che Caravaggio immortalò nel 1599 come Giuditta, che, perso il padre ed emigrata a Roma, fu spinta alla prostituzione dalla madre, fu definita «cortigiana scandalosa» dalla Chiesa, fu amante di Giulio Strozzi nel periodo romano di lui, fu cacciata da Roma in seguito alle pressioni della famiglia dello stesso, non ottenne sepoltura in terra consacrata quando morì trentasettenne. Quel poco che la storiografia ci tramanda delle donne che ricercano alternative alla vita ristretta loro destinata è noto e rimasticato, ma è difficile evitarlo, come è difficile capire se la fama che accompagnava artiste e modelle fosse reale o frutto di becero sessismo; e oggi non sembra nemmeno utile stabilirlo. A nove anni Barbara Caterina fu adottata dal presumibile padre Giulio Strozzi, poeta e avvocato; la madre era Isabella Garzoni, che lavorava in casa Strozzi. Nel testamento, Giulio nominò Barbara sua unica erede perché a Venezia, diversamente che altrove, le donne potevano ereditare e perché presumibilmente non c’erano altri figli. Giulio stesso era stato adottato e apparteneva a una famiglia in vista di Firenze. Giudice, appassionato di musica, poeta e famoso librettista, aveva lavorato alla corte papale e si era poi trasferito a Venezia, dove aveva aderito all’Accademia degli Incogniti e poi, in pieno stile secentesco, ne aveva fondata una, l’Accademia degli Unisoni, di cui la figlia divenne protagonista. Barbara aveva studiato musica con l’insigne Pier Francesco Cavalli, cantava e suonava magnificamente, componeva arie e madrigali. Soprattutto metteva in musica le opere letterarie del padre per la propria voce.
Tra il 1644 e il 1664 riuscì a pubblicare ben otto volumi delle proprie composizioni: un numero enorme rispetto a quello di tante musiciste rimaste sconosciute. Ma Venezia era una città meno ostile verso le donne e l’ambiente culturale in cui viveva Barbara decisamente favorevole. Ed era all’avanguardia: il cremonese Claudio Monteverdi, grande innovatore, inventore del melodramma, viveva a Venezia ed era famosissimo. Era molto più anziano di Barbara e nessuna fonte riporta una loro qualche conoscenza, ma sembra impossibile che lei, il padre e l’Accademia tutta non lo frequentassero: il più famoso ritratto di Monteverdi è a opera dello stesso Bernardo Strozzi che aveva dipinto lei (naturalmente in abiti e abbigliamento molto più austeri). È noto anche che a Venezia il cremonese produsse moltissimo e non finì il suo capolavoro L’incoronazione di Poppea, il cui duetto finale, di rara bellezza, fu composto da qualcun altro: probabilmente Francesco Sacrati, nella cui opera La finta pazza (su libretto di Giulio Strozzi) si è rinvenuta forte somiglianza con l’opera monteverdiana. Ma non è certo…Nonostante la mole impressionante delle pubblicazioni – in tutto centoventicinque brani – e la fama che l’accompagnava, Barbara non ebbe mai un committente fisso, il che significa che per pubblicare e guadagnare doveva trovare mecenati. La cosa divenne problematica soprattutto dopo la morte di Giulio e Barbara decise di proseguire nella professione di musicista anche da sola.
Molti artisti vivevano di commesse private, ma trovavano spesso lavoro come maestri di cappella o insegnanti presso nobili e istituzioni pubbliche. Anche la citata Artemisia Gentileschi cercò tutta la vita un incarico pubblico e lo trovò solo a Napoli poco prima di morire. Per le artiste, dunque, la strada era molto più impervia che per i loro colleghi. Nel 1644, un anno dopo la morte di Monteverdi, la venticinquenne Barbara pubblicò un primo libro di madrigali a più voci, su testi del padre, che dedicò alla granduchessa di Toscana Vittoria della Rovere, anche perché Giulio aveva mantenuto stretti rapporti con il ramo fiorentino della famiglia (sul presunto bigottismo oscurantista di Vittoria molta critica moderna ha espresso dubbi); nel 1651 un volume di cantate dedicato alle nozze di Ferdinando III d’Asburgo e a Eleonora Gonzaga-Nevers; l’anno seguente un terzo; poi un quarto andato perduto; quindi il quinto con musiche sacre dedicato ad Anna de’ Medici, arciduchessa d’Austria; il sesto, il settimo e l’ottavo contengono arie a una voce sola: la sua. A queste opere vanno aggiunte numerose altre comprese in miscellanee pubblicate in tutto il Seicento. Le composizioni sono spesso di alto virtuosismo, ovvero adatte alla sua finissima tecnica vocale. Non sappiamo quanto le dediche ai nobili personaggi abbiano fruttato all’autrice, ma lei tenne duro.
Barbara Strozzi non si sposò mai e si mantenne da sola. Ebbe una lunga relazione con Giovanni Paolo Vidman (o Widmann), patrizio ammogliato e amico di famiglia (a lui sono dedicate le Bizzarie poetiche di quel Fontei che elogiavano la «gentilissima» e «virtuosissima» Barbara) da cui ebbe tre dei suoi figli, o forse tutti e quattro. Ma, ad onta delle malelingue, non dovette essere un rapporto d’interesse, perché in un’occasione fu lei a prestare dei soldi a lui, così come pagava l’affitto della casa del padre. Riuscì a dare una dote alle due figlie e a un figlio per permettere loro di entrare in convento, e l’altro figlio ricevette un’eredità. Si sa poco degli ultimi dieci anni. Probabilmente pubblicò ancora, ma non è certo, come possibile è una sua attività didattica. Conservò una certa notorietà in ambito specialistico, soprattutto britannico, ma i moderni studi di musicologia e sulla cultura delle donne l’hanno riportata alla fama che merita. La sua musica è forte, innovativa, eloquente, al punto che non mancano rivisitazioni in chiave moderna accanto alle moltissime interpretazioni degli originali. Non sappiamo perché Barbara si recasse a Padova nel maggio del 1677, ma lì si ammalò e morì dopo tre mesi. Si dice fosse in condizioni economiche precarie, ma la sua vita è tutta un «si dice». E nel frattempo le sue opere si spargevano per tutta Europa.
Traduzione francese
Guenoah Mroue
Nous en savons peu sur elle, mais ce peu est précieux car nous en savons encore moins sur les autres. Nous avons l’année de naissance, le 1619, et le jour du baptême dans l’église de Sainte-Sophie, le 6 août. Nous avons aussi la date de la mort, le 11 novembre 1677, à Padoue. Son portrait, réalisé par le prêtre génois Bernardo Strozzi (qui n’était pas un parent) rappelle l’autoportrait contemporain d’Artemisia Gentileschi (qui est mille fois plus beau). Barbara a entre seize et vingt ans, elle tient la viole de jambe et l’archet, elle nous regarde avec un air captivant, elle semble plus âgée, elle est habillée succinctement; Artemisia, par contre, se représente comme Allégorie de la peinture, elle ne nous regarde pas mais son œuvre, le cadrage est audacieux et moderne. Les deux femmes ne semblent pas se ressembler, mais elles ont une chose en commun : l’affirmation de leur profession à travers l’exhibition des instruments du métier. Le génois a peint une Barbara discinta, confirmant les rumeurs sur la jeune musicienne qui, célibataire et de plus artiste, était ipso facto condamnée à une réputation de courtisane. Bien qu’en 1636 Nicolò Fontei, musicien de renom, dédia son deuxième recueil de Bizarreries poétiques mises en musique à la « très gentille et virtuose dame Barbara », et le poète génois Gian Vincenzo Imperiale, l’entendit chanter, la définissa « une des Muses de Parnasse », pour le reste, la réputation de la jeune Strozzi n’était pas au niveau de sa maîtrise musicale reconnue. Ailleurs, on ne lui épargne pas le lazzi, comme dans le texte satirique anonyme où, bien qu’on la voie « chaste », « comme une femme » pouvait « en liberté y passer du temps avec un peu d’amour ». D’autre part, la définition de « virtuosissima cantatrice » donnée par Fontei est partiale, étant le musicien intime de Giulio Strozzi, père - bien qu’officiellement adoptif - de Barbara.
Mais tout cela est devenu évident. Artemisia elle-même s’était vue donner, dans l’élégante et fleurie rime du XVIIe siècle, de la mauvaise qualité uniquement parce qu’artiste et indépendante. Et d’autre part la prostitution pouvait être un destin inévitable : on pense par exemple à Fillide Melandroni, le modèle que Caravaggio a immortalisé en 1599 comme Judith, qui, ayant perdu son père et émigré à Rome, fut poussé à la prostitution par sa mère, fut définie «courtisane scandaleuse» de l’Église, fut l’amante de Giulio Strozzi dans la période romaine de lui, fut chassée de Rome à la suite des pressions de la famille du même, n’obtint pas enterrement consacrée quand elle mourut trente-sept ans. Le peu que l’historiographie nous transmet des femmes qui cherchent des alternatives à la vie restreinte qui leur est destinée est connu et remanié, mais il est difficile de l’éviter, comme il est difficile de comprendre si la renommée qui accompagnait artistes et mannequins était réelle ou le fruit d’un faux sexisme; aujourd’hui, il ne semble même pas utile de le déterminer. À neuf ans, Barbara Caterina a été adoptée par le père présumé Giulio Strozzi, poète et avocat; sa mère était Isabella Garzoni, qui travaillait à la maison Strozzi. Dans son testament, Jules nomma Barbara comme seule héritière car à Venise, contrairement à d’autres, les femmes pouvaient hériter et parce qu’il n’y avait probablement pas d’autres enfants. Jules lui-même avait été adopté et appartenait à une famille en vue de Florence. Juge, passionné de musique, poète et célèbre librettiste, il avait travaillé à la cour pontificale et s’était ensuite installé à Venise, où il avait adhéré à l’Académie des Incogniti et, en plein style du XVIIe siècle, il en avait fondé une, l’Académie des Unisons, dont la fille est devenue le protagoniste. Barbara avait étudié la musique avec l’éminent Pier Francesco Cavalli, chantait et jouait magnifiquement bien, composait des arias et des madrigaux. Surtout, elle mettait en musique les œuvres littéraires de son père pour sa propre voix.
Entre 1644 et 1664, elle réussit à publier huit volumes de ses compositions : un nombre énorme par rapport à celui de nombreuses musiciennes restées inconnues. Mais Venise était une ville moins hostile envers les femmes et l’environnement culturel dans lequel vivait Barbara résolument favorable. Et elle était à l’avant-garde : le Crémonais Claudio Monteverdi, grand innovateur, inventeur du mélodrame, vivait à Venise et était très célèbre. Elle était beaucoup plus âgé que Barbara et aucune source ne rapporte une quelconque connaissance d’elle, mais il semble impossible qu’elle, son père et toute l’Académie ne le fréquentent pas : le portrait le plus célèbre de Monteverdi est l’œuvre du même Bernardo Strozzi qui avait peint (bien sûr dans des vêtements et des vêtements beaucoup plus austères). On sait aussi qu’à Venise le Crémone produisit beaucoup et ne termina pas son chef-d’œuvre Le couronnement de Poppea, dont le duo final, d’une rare beauté, fut composé par quelqu’un d’autre : probablement Francesco Sacrati, dans l’opéra La finta pazza (sur un livret de Giulio Strozzi) on a trouvé une forte ressemblance avec l’œuvre de Monteverdi. Mais ce n’est pas certains... Malgré la masse impressionnante des publications - au total cent vingt-cinq titres - et la renommée qui l’accompagnait, Barbara n’eut jamais de commanditaire fixe, ce qui signifie que pour publier et gagner, elle devait trouver des mécènes. Cela devient problématique surtout après la mort de Giulio et Barbara décide de poursuivre seule la profession de musicien.
De nombreux artistes vivaient de commandes privées, mais trouvaient souvent du travail en tant que maîtres de chapelle ou enseignants auprès de nobles et d’institutions publiques. Même Artemisia Gentileschi, citée plus haut, chercha toute sa vie une charge publique et ne le trouva qu’à Naples peu avant sa mort. Pour les artistes, la route était donc beaucoup plus rude que pour leurs collègues. En 1644, un an après la mort de Monteverdi, Barbara, 25 ans, publia un premier livre de madrigaux à plusieurs voix, sur des textes de son père, qu’elle dédia à la grande-duchesse de Toscane Vittoria della Rovere, aussi parce que Jules avait maintenu des relations étroites avec la branche florentine de la famille (sur le présumé bigoterisme obscurantiste de Victoria beaucoup de critique moderne a exprimé des doutes); en 1651 un volume de cantates dédié aux noces de Ferdinand III de Habsbourg et à Eleonora GonzagueNevers ; l’année suivante un troisième, puis un quatrième perdu ; puis le cinquième avec des musiques sacrées dédié à Anne de Médicis, archiduchesse d’Autriche ; les sixième, septième et huitième contiennent des arias à une seule voix : la sienne. À ces œuvres s’ajoutent de nombreuses autres incluses dans des recueils publiés au XVIIe siècle. Les compositions sont souvent de haute virtuosité, c’est-à-dire adaptées à sa technique vocale très fine. Nous ne savons pas à quel point les dédicaces aux nobles personnages ont profité à l’auteur, mais elle a tenu bon.
Barbara Strozzi ne s’est jamais mariée et est restée seule. Elle eut une longue relation avec Jean-Paul Vidman (ou Widmann), patricien marié et ami de famille (lui sont dédiées les Bizarreries poétiques de ce Fontei qui louaient la « très gentille » et « très vertueuse » Barbara) dont elle eut trois de ses enfants, ou peut-être tous les quatre. Mais, en dépit des mauvaises langues, ce n’était pas une relation d’intérêt, parce qu’à une occasion, elle lui a prêté de l’argent, comme elle payait le loyer de la maison de son père. Elle réussit à donner une dot aux deux filles et à un fils pour leur permettre d’entrer au couvent, et l’autre fils reçut un héritage. On en sait peu sur les dix dernières années. Elle a probablement encore publié, mais ce n’est pas certain, comme c’est possible une activité didactique. Elle conserve une certaine notoriété dans le milieu spécialisé, notamment britannique, mais les études modernes de musicologie et de culture des femmes l’ont ramenée à la renommée qu’elle mérite. Sa musique est forte, innovante, éloquente, au point que les interprétations des originaux ne manquent pas. Nous ne savons pas pourquoi Barbara se rendit à Padoue en mai 1677, mais là, elle tomba malade et mourut après trois mois. On dit qu’elle était dans une situation économique précaire, mais sa vie est toute une «on dit». Et pendant ce temps, ses œuvres se répandaient dans toute l’Europe.
Traduzione inglese
Syd Stapleton
We know little of her, but that little is precious because of the rest we know even less. We have the year of her birth, 1619, and the day of her baptism in the church of Santa Sofia, August 6. We also have the date of her death, November 11, 1677, in Padua. Her portrait, by the Genoese priest Bernardo Strozzi (who was not her relative) is reminiscent of Artemisia Gentileschi's contemporary self-portrait (which is infinitely more beautiful, however). Barbara is between sixteen and twenty years old, she is holding a viola da gamba and bow, she looks at us blankly, she seems older than her age, and she is dressed skimpily. Artemisia, on the other hand, represents herself as an Allegory of Painting, she is not looking at us but at her work, the setting is bold and modern. The two women do not seem to resemble each other, but they have one thing in common: the affirmation of their profession through the display of the tools of the trade. The Genoese painted a discreet Barbara, confirming the rumors about the young musician who, unmarried and an artist to boot, was ipso facto condemned to a reputation as a courtesan. Although in 1636 Nicolò Fontei, a musician of some renown, dedicated his second collection of Bizzarrie poetiche poste in musica to the "most gracious and virtuous maiden, the Signora Barbara," and the Genoese poet Gian Vincenzo Imperiale, upon hearing her sing, called her "one of the Muses of Parnassus." Otherwise, the young Strozzi's reputation was not on the level of her acknowledged musical mastery. Elsewhere, she was not spared laughter, as in the anonymous satirical text in which, although she is seen to be "most chaste," "as a woman" she could "at liberty pass the time with some lover." On the other hand, the definition of "very virtuous maiden" given to her by Fontei is biased, him being a musician intimate with Giulio Strozzi, Barbara's father - though officially adoptive.
But all this is now obvious. Artemisia herself had been given, in the elegant and flowery seventeenth-century speech, as little good just because she was an artist and independent. And on the other hand, prostitution might have been an inevitable fate. Think, for example, of Fillide Melandroni, the model whom Caravaggio immortalized in 1599 as Judith, who, having lost her father and emigrated to Rome, was driven to prostitution by her mother, was called a "scandalous courtesan" by the Church, was Giulio Strozzi's mistress during his Roman period, was driven out of Rome after pressure from his family, and did not get burial in consecrated ground when she died at the age of thirty-seven. What little historiography has handed down to us about women seeking alternatives to the restricted life destined for them is well known and rehashed, but it is difficult to avoid it, just as it is difficult to understand whether the reputation that accompanied female artists and models was real or the result of boorish sexism. And today it does not even seem useful to try to establish it. At the age of nine, Barbara Caterina was adopted by her apparent father Giulio Strozzi, a poet and lawyer. Her mother was Isabella Garzoni, who worked in the Strozzi household. In his will, Giulio named Barbara his sole heir because in Venice, unlike elsewhere, women could inherit and because presumably there were no other children. Giulio himself had been adopted and belonged to a prominent family in Florence. A judge, music lover, poet, and famous librettist, he had worked at the papal court and then moved to Venice, where he had joined the Accademia degli Incogniti and then, in full seventeenth-century style, founded one, the Accademia degli Unisoni, in which his daughter became a leading figure. Barbara had studied music with the distinguished Pier Francesco Cavalli, sang and played beautifully, composed arias and madrigals. Above all, she set her father's literary works to music for her own voice.
Between 1644 and 1664 she managed to publish as many as eight volumes of her own compositions - a huge number compared to that of so many female musicians who remained unknown. But Venice was a city less hostile toward women, and the cultural environment in which Barbara lived was decidedly favorable. And it was avant-garde. The Cremonese Claudio Monteverdi, the great innovator, inventor of melodrama, lived in Venice and was very famous. He was much older than Barbara, and no source reports any acquaintance of theirs, but it seems impossible that she, her father and the whole Accademia did not frequent him. The most famous portrait of Monteverdi is by the same Bernardo Strozzi who had painted her (of course in much more austere dress and attitude). It is also known that in Venice the Cremonese produced a great deal and did not finish his masterpiece L'incoronazione di Poppea, the final duet of which, of rare beauty, was composed by someone else - probably Francesco Sacrati, in whose opera La finta pazza (with libretto by Giulio Strozzi) strong resemblance to Monteverdi's opera has been found. But it is not certain...Despite the impressive volume of publications - a hundred and twenty-five pieces in all - and the accompanying fame, Barbara never had a regular patron, meaning that in order to publish and earn money she had to find patrons. This became especially problematic after Giulio died, and Barbara decided to pursue the profession of music on her own.
Barbara Strozzi never married, and supported herself. She had a long relationship with Giovanni Paolo Vidman (or Widmann), a married patrician and family friend (to him are dedicated Fontei’s Bizzarrie poetiche poste in musica praising the "gentilissima" and "virtuosissima" Barbara). By Vidman she had three of her children, or perhaps all four. But, malicious tongues notwithstanding, it did not have to be a relationship of financial interest, for on one occasion it was she who lent him money, just as she paid the rent on her father's house. She managed to give a dowry to her two daughters and one son to enable them to enter the convent, and the other son received an inheritance. Little is known about her last ten years. She probably still published, but it is not certain, as possible is a teaching activity by her. She retained some reputation in specialist circles, especially British, but modern studies in musicology and women's culture have restored her to the fame she deserves. Her music is strong, innovative, and eloquent, to the point that there is no shortage of modern reinterpretations alongside the many interpretations of the originals. We do not know why Barbara went to Padua in May 1677, but it was there that she fell ill and died after three months. It is said that she was in a precarious financial condition, but her life is all "rumor." And in the meantime, her works were spreading all over Europe.
Traduzione spagnola
Claudio Ardita
Sabemos poco sobre ella, pero ese poco es muy valioso porque de las otras artistas sabemos aún menos. Sabemos el año de nacimiento, 1619, y el día del bautismo en la iglesia de Santa Sofía, el 6 de agosto. También sabemos la fecha de su muerte, el 11 de noviembre de 1677, en Padua. Su retrato, obra del «Fraile genovés» Bernardo Strozzi (que no era pariente suyo), recuerda el autorretrato coetáneo de Artemisia Gentileschi (que, sin embargo, es infinitamente más bello). Barbara tiene entre dieciséis y veinte años, sujeta con una mano la viola de gamba y el arco, nos mira con aire ensimismado, parece mayor de lo que es y viste de modo sucinto; Artemisia, en cambio, se representa como la Alegoría de la Pintura, no nos mira a nosotros sino a su obra, el encuadre es audaz y moderno. No parece que las dos mujeres se asemejen, pero tienen una cosa en común: la afirmación de su profesión a través de la exhibición de las herramientas del oficio. El genovés, al pintar a una Barbara desaliñada, confirmó las habladurías sobre la joven música que, al no estar casada y al ser una artista, se veía ipso facto condenada a una fama de cortesana. Si bien en 1636 Nicolò Fontei, músico de cierta fama, dedicó su segunda colección de Bizzarrie poetiche poste in musica a la «gentilissima e virtuosissima donzella la Signora Barbara», y el poeta genovés Gian Vincenzo Imperiale, al escucharla cantar, la definió como «una delle Muse di Parnaso», por lo demás, la reputación de la joven Strozzi no correspondía a su reconocida maestría musical. En otras obras no se le escatiman las burlas, como en el texto satírico anónimo en el que, aunque es «castissima», «come femina» podía «in libertà passarvi il tempo con qualche amore». Por otro lado, la definición de "virtuosissima cantante" atribuida por Fontei era subjetiva, al ser este músico amigo íntimo de Giulio Strozzi, padre –oficialmente adoptivo– de Barbara.
Pero todo esto ya es obvio. Artemisia había sido calificada como persona poco recomendable sólo por el hecho de ser artista e independiente en el periodo más próspero del siglo XVII. Y, por otra parte, la prostitución podía ser un destino inevitable: piénsese, por ejemplo, en Fillide Melandroni, la modelo que Caravaggio inmortalizó en 1599 como Judit, quien, huérfana de padre y emigrada a Roma, fue empujada a la prostitución por su madre; fue calificada de «corteggiana scandalosa» por la Iglesia, fue amante de Giulio Strozzi durante la estancia romana de este último, fue expulsada de Roma por presiones de su familia y no recibió sepultura en tierra consagrada cuando murió a los treinta y siete años. Es bien sabido lo poco que la historiografía nos ha dejado de las mujeres que buscaron alternativas a la vida rígida que se les había destinado, pero es difícil evitarlo, como también es difícil entender si la fama que acompañó a las artistas y modelos femeninas fue real o fruto del machismo grosero; y hoy ni siquiera parece útil establecerlo. Giulio Strozzi, poeta, abogado y supuesto padre de Barbara Caterina, la adoptó cuando tenía nueve años; su madre era Isabella Garzoni, quien trabajaba en casa de Strozzi. En su testamento, Giulio nombró a Barbara su única heredera porque en Venecia, a diferencia de otros lugares, las mujeres podían heredar y porque se presumía que no hubiera otros hijos. El propio Giulio había sido adoptado y pertenecía a pertenecía a una importante familia de Florencia. Juez, melómano, poeta y célebre libretista, trabajó en la corte papal y luego se trasladó a Venecia, donde ingresó en la Accademia degli Incogniti y luego, según el estilo del siglo XVII, fundó su Academia, la Accademia degli Unisoni, en la que su hija fue protagonista. Barbara estudió música con el célebre maestro Pietro Francesco Cavalli, cantaba y tocaba maravillosamente y compuso arias y madrigales. Sobre todo, musicó para su propia voz las obras literarias de su padre.
Entre 1644 y 1664, consiguió publicar nada menos que ocho volúmenes de sus propias composiciones: un número enorme comparado con el de muchas músicas que siguen siendo desconocidas. Pero Venecia era una ciudad menos hostil hacia las mujeres y el ambiente cultural en el que vivía Barbara era decididamente favorable y vanguardista: el cremonés Claudio Monteverdi, gran innovador e inventor del melodrama, vivía en Venecia y era muy famoso. Era mucho mayor que Barbara y ningún documento informa de que se conocieran, pero parece imposible que ella, su padre y toda la Academia no lo frecuentaran. El retrato más famoso de Monteverdi es de Bernardo Strozzi que la había pintado a ella (naturalmente con ropas y trajes mucho más austeros). También se sabe que en Venecia el compositor cremonés produjo mucho y no terminó su obra maestra La coronación de Popea, cuyo dúo final, de singular belleza, se supone que había sido compuesto por otra persona, es decir, Francesco Sacrati. De hecho, su ópera La finta pazza (el libreto es de Giulio Strozzi) tiene un gran parecido con la ópera de Monteverdi. Pero no es seguro…A pesar del impresionante volumen de publicaciones –ciento veinticinco piezas en total– y de la fama que la acompañaba, Barbara nunca tuvo un comisionista fijo, lo que significaba que, para publicar y ganar dinero, tenía que encontrar mecenas. Esto se hizo especialmente problemático tras la muerte de Giulio, y Barbara decidió seguir en la profesión de música por su cuenta.
Muchos artistas vivían de encargos privados, pero a menudo encontraban trabajo como maestros de capilla o profesores con nobles e instituciones públicas. Como la ya mencionada Artemisia Gentileschi, quien buscó un puesto público durante toda su vida y sólo lo encontró en Nápoles poco antes de su muerte. Para las mujeres artistas, por tanto, el camino era mucho más empinado que para sus colegas varones. En 1644, un año después de la muerte de Monteverdi, Barbara, a los 25 años, publicó un primer libro de madrigales a varias voces, usando los textos de su padre, que dedicó a la Gran Duquesa de la Toscana Vittoria della Rovere, porque Giulio había mantenido estrechas relaciones con la rama florentina de la familia (muchos críticos modernos han expresado dudas sobre el supuesto fanatismo oscurantista de Vittoria); en 1651 un volumen de cantatas dedicadas a la boda de Fernando III de Habsburgo y Leonor Gonzaga-Nevers; al año siguiente un tercer volumen; luego un cuarto que se ha perdido; después el quinto con música sacra dedicado a Ana de Médici, archiduquesa de Austria; el sexto, el séptimo y el octavo contienen arias para una sola voz: la suya. A estas obras hay que añadir otras muchas incluidas en misceláneas publicadas a lo largo del siglo XVII. Las composiciones suelen ser de gran virtuosismo, adaptadas a su técnica vocal. No sabemos cuánto ganaba la autora con las dedicatorias a personajes nobles, pero se ganaba la vida.
Barbara Strozzi nunca se casó y se mantenía a sí misma. Tuvo una larga relación con Giovanni Paolo Vidman (o Widmann), un patricio casado y amigo de la familia (a él están dedicadas las Bizzarie poetiche del ya mencionado Fontei, donde se elogiaba a la "gentilissima" y "virtuosissima" Barbara) con el que tuvo tres de sus hijos, o quizá los cuatro. Pero, a pesar de las habladurías, no tenía por qué ser una relación de interés, ya que en una ocasión fue ella quien le prestó dinero, al igual que pagaba el alquiler de la casa de su padre. Consiguió dar una dote a sus dos hijas y a un hijo para que pudieran entrar en el convento, y el otro hijo cobró una herencia. Poco se sabe de los últimos diez años. Probablemente seguía publicando, pero no es seguro, como es posible su actividad como docente. Mantuvo cierta notoriedad en los círculos especializados, principalmente británicos, pero los estudios modernos de musicología y de cultura de las mujeres le han devuelto la fama que merece. Su música es fuerte, innovadora, elocuente, hasta el punto de que no faltan interpretaciones modernas junto a las numerosas interpretaciones de los originales. No sabemos por qué Barbara fue a Padua en mayo de 1677, pero allí cayó enferma y murió al cabo de tres meses. Se dice que su situación económica era precaria, pero toda su vida es un ‘se dice que’. Mientras tanto, sus obras se difundían por toda Europa.