Billie Holiday
Laura Coci
Giulia Tassi
«Gli alberi del Sud danno uno strano frutto,/sangue sulle foglie, sangue sulle radici,/un corpo nero dondola nella brezza del Sud/strano frutto appeso agli alberi di pioppo».
Sono alcuni versi della canzone Strange fruit, scritta da un insegnante ebreo comunista del Bronx, Abel Meerepol, con lo pseudonimo di Lewis Allan, e ascoltata per caso da Barney Josephson, proprietario di un night del Greenwich Village a New York, il Café Society, che la propone alla già celebre cantante Billie Holiday, la quale accetta di inserirla nel proprio repertorio. È il 1939: linciaggi ed esecuzioni di uomini di colore, a scopo dimostrativo, sono frequenti nelle città del Sud degli Stati Uniti e approvati da buona parte dei bianchi, il sistema di segregazione razziale è pienamente in vigore e raramente è messo in discussione. Lo stesso padre di Billie – da lei ritrovato dopo l’abbandono qualche tempo prima – muore di polmonite perché gli ospedali di Dallas, Texas, rifiutano di accogliere e curare un nero. L’esecuzione del brano non è scontata: Holiday può eseguirlo solo su esplicita autorizzazione della direzione dei club e dei teatri nei quali si esibisce, praticamente mai negli stati meridionali, perché potrebbe suscitare proteste e disordini. E non lo è neppure la registrazione: la Columbia, l’etichetta per la quale la cantante ha un contratto esclusivo, le concede una deroga per l’incisione con la piccola Commodore Records di Milt Graber; è il 20 aprile 1939. Non è tutto: un funzionario del Fbn (Federal bureau of narcotics), il suprematista bianco Harry J. Anslinger, ordina a Billie di non eseguire più in pubblico la canzone, nella quale la cantante dà prova di tutta la propria straordinaria espressività, e al rifiuto di lei inizia a farla pedinare costantemente per coglierla in flagrante in possesso degli stupefacenti di cui, come di alcool, fa largo uso. Nota l’attivista Angela Davis che per Billie Holiday Strange Fruit rappresenta un punto di non ritorno, oltre che l’emblema di una vita, come donna di colore povera, connotata ai suoi inizi da mancanza di opportunità e sfruttamento, nella sua interezza e fino alla morte segnata da discriminazione e razzismo.
Fotografia di Gjon Mili scattata al Cafe Society di New York nel 1947 (dal sito, ricchissimo e documentato, https://eatdrinkfilms.com/2020/12/14/billie-holiday-a-gallery/) |
Il vero nome di Billie Holiday è Eleonora Fagan ed è nata il 7 aprile 1915 a Filadelfia da Clarence Halliday, di diciassette anni, e Sarah ‘Sadie’ Fagan, di diciannove, che perde il lavoro come domestica presso una famiglia di bianchi non appena questa scopre che è incinta; la giovane riesce a sopravvivere facendo le pulizie e servendo le pazienti ricoverate in un ospedale cittadino in cambio dell’assistenza per sé e per la piccola che sta per nascere. Il padre, chiamato alle armi e mandato in Europa a combattere nella Grande guerra, al rientro in patria abbandona la famiglia e, come suonatore di banjo e chitarra, entra a far parte prima dei McKinney Cotton Pickers, poi, nel 1928, della celebre orchestra diretta da Fletcher Henderson, con la quale resta cinque anni, ritrovando la figlia che nel frattempo ha intrapreso la carriera di cantante.
L’infanzia non è semplice per la piccola Eleonora, affidata ai nonni materni, che abitano in una casa poverissima, con una cugina più grande, i figli di lei e l’anziana bisnonna, già schiava e madre di sedici figlie e figli avuti dal proprio padrone bianco. Neppure il matrimonio di Sadie con uno scaricatore del porto di Baltimora riesce a garantire stabilità alla bimba: lui si dimostra un padre attento e affettuoso, ma purtroppo muore precocemente. In un ambiente comunque degradato, il 24 dicembre 1926, appena undicenne, Eleonora subisce un tentativo di violenza da parte di un vicino: questo è condannato a cinque anni di prigione, lei è destinata a un istituto religioso fino al compimento della maggiore età; la madre, tuttavia, si rivolge a un avvocato e riesce a riportarla a casa. Subisce un’ulteriore violenza, questa volta consumata, e la denuncia, ma non viene creduta ed è rinchiusa in riformatorio per due mesi. Poi raggiunge la madre a New York e inizia a prostituirsi in un bordello clandestino di Harlem; è arrestata e condannata ad altri quattro mesi di riformatorio. Una volta rimessa in libertà, per non prostituirsi di nuovo, cerca lavoro come ballerina in un locale notturno: non sa muovere un passo, ma è assunta immediatamente come cantante e a quindici anni inizia la sua carriera. È in questo periodo che le colleghe iniziano a chiamarla ‘Lady’ perché, contrariamente a tutte le altre ragazze, rifiuta di ricevere le mance dai clienti nella scollatura della camicetta o alzando la gonna. La narrazione degli anni difficili, drammatici talvolta, dell’infanzia e della prima adolescenza si legge nell’autobiografia Lady sings the blues, data alle stampe nel 1956 (la traduzione italiana La signora canta il blues data al 1979).
La svolta per la carriera di Billie Holiday (nome d’arte che unisce il nome dell’attrice preferita Billie Dove e il cognome adottato dal padre musicista) avviene nel 1933, quando è notata dal produttore John Hammond, che le organizza una seduta di incisione con il proprio cognato, un musicista in quel momento sulla cresta dell’onda: Benny Goodman; poi, nel 1935, le procura un contratto col pianista Teddy Wilson per una serie di incisioni che incontrano notevole successo. Di lei Hammond dice: «Il suo modo di cantare ha pressoché cambiato il mio gusto e la mia vita musicale, perché è stata la prima ragazza che ho incontrato a cantare davvero come un genio del jazz improvvisato». Seguono importanti ingaggi con Count Basie, Artie Shaw e Lester Young. Nel 1939 Billie Holiday, artista già affermata, subisce un episodio di discriminazione che segna l’abbandono dell’orchestra di Artie Shaw (nella quale lei è l’unica componente di colore): al Lincoln Hotel di New York le viene chiesto di usare il montacarichi invece dell’ascensore, per soddisfare una richiesta dei clienti bianchi dell’albergo. Lei stessa ricorda: «Non mi è mai stato permesso di visitare il bar o la sala da pranzo come hanno fatto gli altri membri della band, […] mi hanno fatto entrare e uscire dalla cucina». Con Lester Young nasce, invece, una affettuosa amicizia che li lega per tutta la vita: lei conia per lui il soprannome di ‘Prez’, lui per lei quello di ‘Lady Day’; è lui — altri raccontano sia stata Sylvia Sime, un’ammiratrice a sua volta divenuta cantante — a suggerirle di presentarsi sul palcoscenico sempre con una o più gardenie bianche tra i capelli: questo particolare la trasforma in un’icona indimenticabile. Nel 1947, Billie è incriminata e condannata per detenzione di stupefacenti; sconta dieci mesi di detenzione nel campo di prigionia federale di Alderson, West Virginia: il suo rientro sulle scene, alla Carnegie Hall di New York, il 27 marzo 1948 è un trionfo.
Billie Holiday e Coleman Hawkins in una fotografia di autore non noto scattata presumibilmente negli anni Cinquanta
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Il 10 novembre 1956, Holiday si presenta di nuovo alla Carnegie Hall per due concerti davanti a una platea gremita ed entusiasta: le registrazioni saranno poi parzialmente pubblicate nel 1961, nell’album The essential Billie Holiday. Il critico Nat Hentoff così scrive nelle note di copertina: «Per tutta la notte, Billie era in una forma superiore a quella che era stata in genere negli ultimi anni della sua vita. Non solo c’era la certezza del fraseggio e dell’intonazione, ma c’era anche un calore estroverso, un entusiasmo palpabile di raggiungere e toccare il pubblico. E c’era spirito beffardo. Un sorriso era spesso appena evidente sulle sue labbra e sui suoi occhi come se, per una volta, potesse accettare il fatto che c’erano persone che l’hanno amata». Dopo il primo tour europeo nel 1954, nel 1958 viene per la prima e unica volta in Italia, a Milano: purtroppo gli organizzatori, del tutto ignari di chi sia e di quale tipo di musica interpreti, la fanno esibire in un teatro a quel tempo riservato all’avanspettacolo, lo Smeraldo. Il pubblico, non abituato al jazz, la fischia da subito e lei è costretta ad abbandonare il palco dopo cinque canzoni; un gruppo di appassionati e intenditori, con la mediazione di Mal Waldron, il pianista che la accompagna negli ultimi anni in tutti i concerti, riesce a organizzare a tempo di record uno spettacolo nel minuscolo Teatro Gerolamo di Piazza Beccaria e qui le viene tributata una vera ovazione. Del febbraio 1958 sono le registrazioni del suo canto del cigno artistico: sontuosamente accompagnata dall’orchestra di Ray Ellis, registra le tracce che comporranno lo splendido disco Lady in satin.
All’inizio del 1959 la cirrosi epatica di cui soffre si aggrava; tenta di smettere di bere, senza riuscirvi; tra il 3 e l’11 marzo torna in studio di registrazione, ancora con un gruppo diretto da Ray Ellis, ma il risultato è più emozionante che artisticamente valido; l’ultima canzone che registra è Baby, won’t you please come home?; il disco uscirà postumo, col titolo The last recording. La morte, il 15 marzo di quell’anno, del suo grande amico Lester Young aggrava la situazione. Il 31 maggio viene trovata esanime sul pavimento del suo appartamento newyorchese: è immediatamente ricoverata al Metropolitan Hospital Center, ma contestualmente arrestata per gli stupefacenti trovati nella sua stanza, e – per volontà dell’implacabile Harry J. Anslinger – ammanettata al letto dell’ospedale. Si spegne Il 17 luglio, a quarantaquattro anni.
Lester Young e Billie Holiday in una fotografia di cui non sono noti data e autore
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È bello, però, chiudere la vicenda terrena di Billie Holiday ricordando la grande storia d’amore platonica tra lei e Lester ‘Prez’ Young, il grande sassofonista omosessuale che fu l’unico uomo a volerle veramente bene e a restarle vicino per lunghi periodi, a differenza del padre, del marito e degli amanti, e tantomeno di chi si era accanito con ottusa crudeltà contro di lei, donna fragile e geniale. Si erano conosciuti in uno studio di registrazione, lei aveva ventidue anni e lui ventisette. Lester Young era elegante, timido, ironico, immaginifico con le parole come con le note: buona parte dello slang tipico della scena jazz di quegli anni viene da lui. Mentre era a Parigi, pochi giorni prima della propria morte, a chi gli chiedeva di Billie Holiday lui aveva risposto semplicemente: «È sempre la mia Lady».
Traduzione francese
Guenoah Mroue
«Les arbres du Sud donnent un étrange fruit, /sang sur les feuilles, sang sur les racines, /un corps noir balançant dans la brise du Sud/étrange fruit accroché aux arbres de peuplier».
Ce sont quelques vers de la chanson Strange fruit, écrite par un enseignant juif communiste du Bronx, Abel Meerepol, sous le pseudonyme de Lewis Allan, et écoutée par hasard par Barney Josephson, propriétaire d’une boîte de nuit du Greenwich Village à New York, le Café Society, qui la propose à la célèbre chanteuse Billie Holiday, qui accepte de l’inclure dans son répertoire. Nous sommes en 1939 : les lynchages et les exécutions d’hommes noirs, à des fins de démonstration, sont fréquents dans les villes du sud des États-Unis et approuvés par la plupart des Blancs, le système de ségrégation raciale est pleinement en vigueur et rarement remis en question. Le même père de Billie - qu’elle a retrouvé après l’abandon quelque temps auparavant - meurt d’une pneumonie parce que les hôpitaux de Dallas, au Texas, refusent d’accueillir et de soigner un noir. Holiday ne peut l’interpréter qu’avec l’autorisation expresse de la direction des clubs et des théâtres où elle se produit, pratiquement jamais dans les États du Sud, car cela pourrait susciter des protestations et des troubles. Columbia, le label pour lequel la chanteuse a un contrat exclusif, lui accorde une dérogation pour l’enregistrement avec le petit Commodore Records de Milt Graber, le 20 avril 1939. Ce n’est pas tout : un fonctionnaire du Fbn (Federal bureau of Narcotics), le suprématiste blanc Harry J. Anslinger, ordonne à Billie de ne plus jouer en public la chanson, dans laquelle la chanteuse fait preuve de toute son extraordinaire expressivité, et au refus d’elle, il commence à la suivre constamment pour l’attraper en flagrant délit en possession des stupéfiants dont, comme l’alcool, se consommaient beaucoup. Note l’activiste Angela Davis qui représente pour Billie Holiday Strange Fruit un point de non-retour, ainsi que l’emblème d’une vie en tant que femme noire pauvre, marquée à ses débuts par le manque d’opportunités et d’exploitation, dans son intégralité et jusqu’à sa mort marquée par la discrimination et le racisme.
Photo de Gjon Mili prise au Cafe Society de New York en 1947 (à partir du site, très riche et documenté, |
Le vrai nom de Billie Holiday est Eleonora Fagan, née le 7 avril 1915 à Philadelphie de Clarence Halliday, âgée de dix-sept ans, et de Sarah 'Sadie' Fagan, âgée de dix-neuf ans, qui perd son emploi comme domestique dans une famille de blancs dès qu’elle découvre qu’elle est enceinte; la jeune fille réussit à survivre en faisant le ménage et en servant les patientes hospitalisées en échange de soins pour elle-même et pour la petite fille qui va naître. Son père, appelé aux armes et envoyé en Europe pour combattre dans la Grande Guerre, quitte sa famille à son retour et, en tant que banjo et guitariste, entre avant les McKinney Cotton Pickers, puis, en 1928, du célèbre orchestre dirigé par Fletcher Henderson, avec lequel il reste cinq ans, retrouvant sa fille qui entre-temps a entrepris la carrière de chanteuse.
L’enfance n’est pas simple pour la petite Éléonore, confiée aux grands-parents maternels, qui habitent dans une maison très pauvre, avec une cousine plus âgée, les fils d’elle et l’arrière-grand-mère âgée, déjà esclave et mère de seize filles et fils de son maître blanc. Même le mariage de Sadie avec un docker du port de Baltimore ne réussit pas à garantir la stabilité de l’enfant : il se montre un père attentif et affectueux, mais malheureusement il meurt prématurément. Dans un environnement dégradé, le 24 décembre 1926, à peine onze ans, Eleonora subit une tentative de violence de la part d’un voisin : celui-ci est condamné à cinq ans de prison, elle est destinée à un institut religieux jusqu’à l’âge de la majorité; la mère, cependant, se tourne vers un avocat et parvient à la ramener à la maison. Elle subit une nouvelle violence, cette fois consommée, et la dénonce, mais elle n’est pas crue et est enfermée en détention juvénile pendant deux mois. Puis elle rejoint sa mère à New York et commence à se prostituer dans un bordel clandestin de Harlem; elle est arrêtée et condamnée à quatre mois de prison pour mineurs. Une fois libérée, pour ne plus se prostituer, elle cherche du travail comme danseuse dans une boîte de nuit : elle ne sait pas faire un pas, mais elle est immédiatement engagée comme chanteuse et à quinze ans elle commence sa carrière. C’est à cette période que les collègues commencent à l’appeler 'Lady' parce que, contrairement à toutes les autres filles, elle refuse de recevoir les pourboires des clients dans le décolleté du chemisier ou en soulevant sa jupe. Le récit des années difficiles, parfois dramatiques, de l’enfance et de la petite adolescence se lit dans l’autobiographie Lady sings the blues, publiée en 1956 (la traduction italienne La dame chante le blues date de 1979).
La carrière de Billie Holiday (nom de scène combinant le prénom de l’actrice préférée Billie Dove et le nom adopté par son père musicien) prend un tournant en 1933, quand elle est remarquée par le producteur John Hammond, qui lui organise une séance de gravure avec son beau-frère, Un musicien à ce moment-là sur la crête de la vague : Benny Goodman; puis, en 1935, il lui procure un contrat avec le pianiste Teddy Wilson pour une série d’enregistrements qui rencontrent un grand succès. Hammond dit d’elle : «Sa façon de chanter a presque changé mon goût et ma vie musicale, parce qu’elle a été la première fille que j’ai rencontrée à chanter vraiment comme un génie du jazz improvisé». S’ensuivent d’importants engagements avec Count Basie, Artie Shaw et Lester Young. En 1939, Billie Holiday, artiste déjà établie, subit un épisode de discrimination qui marque l’abandon de l’orchestre d’Artie Shaw (dans lequel elle est la seule composante de couleur) : au Lincoln Hotel de New York, on lui demande d’utiliser le monte-charge au lieu de l’ascenseur, pour satisfaire une demande des clients blancs d’hôtel. Elle-même se souvient : «Je n’ai jamais été autorisé à visiter le bar ou la salle à manger comme l’ont fait les autres membres du groupe, [...] ils m’ont fait entrer et sortir de la cuisine». Avec Lester Young naît, au contraire, une amitié affectueuse qui les lie toute leur vie : elle lui donne le surnom de 'Prez', il lui donne celui de 'Lady Day'; c’est lui - d’autres racontent que c’était Sylvia Sime, une admiratrice à son tour devenue chanteuse - à lui suggérer de se présenter sur scène toujours avec un ou plusieurs gardénias blancs dans les cheveux : ce détail la transforme en une icône inoubliable. En 1947, Billie est inculpée et condamnée pour détention de stupéfiants; elle purge dix mois de détention dans le camp fédéral d’Alderson, en Virginie-Occidentale : son retour sur scène, au Carnegie Hall de New York, le 27 mars 1948 est un triomphe.
Billie Holiday et Coleman Hawkins dans une photographie d’auteur inconnue prise probablement dans les années 1950
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Le 10 novembre 1956, Holiday se présente de nouveau au Carnegie Hall pour deux concerts devant un public très enthousiaste : les enregistrements seront ensuite partiellement publiés en 1961, sur l’album The essential Billie Holiday. Le critique Nat Hentoff écrit ainsi dans ses notes de couverture : «Toute la nuit, Billie était dans une forme supérieure à ce qu’elle avait été généralement dans les dernières années de sa vie. Non seulement il y avait la certitude du phrasé et de l’intonation, mais il y avait aussi une chaleur extravertie, un enthousiasme palpable pour atteindre et toucher le public. Et il y avait un esprit moqueur. Un sourire était souvent à peine perceptible sur ses lèvres et sur ses yeux comme si, pour une fois, elle pouvait accepter le fait qu’il y avait des gens qui l’aimaient». Après la première tournée européenne en 1954, en 1958, elle vient pour la première et unique fois en Italie, à Milan : malheureusement, les organisateurs, totalement ignorants de qui elle est et de quel type de musique elle interprète, le font jouer dans un théâtre à cette époque réservé à l’avant-spectacle, l’émeraude. Le public, peu habitué au jazz, la siffle immédiatement et elle est obligée de quitter la scène après cinq chansons; un groupe de passionnés et de connaisseurs, avec la médiation de Mal Waldron, le pianiste qui l’accompagne ces dernières années dans tous les concerts, réussit à organiser en un temps record un spectacle dans le minuscule Théâtre Gerolamo de Piazza Beccaria et ici on lui donne une véritable ovation. En février 1958 sont enregistrés les enregistrements de son chant du cygne artistique : somptueusement accompagné par l’orchestre de Ray Ellis, elle enregistre les morceaux qui composeront le splendide disque Lady en satin.
Au début de 1959, la cirrhose du foie s’aggrave; elle tente d’arrêter de boire, sans succès; entre le 3 et le 11 mars, elle revient au studio d’enregistrement, toujours avec un groupe dirigé par Ray Ellis, mais le résultat est plus excitant qu’artistiquement valable; la dernière chanson qu’elle enregistre est Baby, won’t you please comme home? L’album sort à titre posthume sous le titre The last recording. La mort, le 15 mars de cette année, de son grand ami Lester Young aggrave la situation. Le 31 mai, elle est retrouvée immobile sur le sol de son appartement new-yorkais : elle est immédiatement hospitalisée au Metropolitan Hospital Center, mais en même temps arrêtée pour les stupéfiants trouvés dans sa chambre, et - par la volonté de l’implacable Harry J. Anslinger - menottée au lit de l’hôpital. Elle s’éteint le 17 juillet, à quarante-quatre ans.
Lester Young et Billie Holiday dans une photographie dont la date et l’auteur ne sont pas connus
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Mais c’est bien de clore l’histoire de Billie Holiday en se souvenant de la grande histoire d’amour platonique entre elle et Lester 'Prez' Young, le grand saxophoniste homosexuel qui fut le seul homme à vraiment l’aimer et à rester près d’elle pendant de longues périodes, contrairement à son père, du mari et des amants, et encore moins de ceux qui s’étaient acharnés avec une cruauté aveugle contre elle, femme fragile et brillante. Ils se sont rencontrés dans un studio d’enregistrement, elle avait 22 ans et lui 27. Lester Young était élégant, timide, ironique, imaginant avec des mots comme avec des notes : une bonne partie de l’argot typique de la scène jazz de ces années-là vient de lui. Alors qu’il était à Paris, quelques jours avant sa mort, il avait simplement répondu à ceux qui lui demandaient de Billie Holiday: «Elle est toujours ma Dame».
Traduzione inglese
Syd Stapleton
"Southern trees bear strange fruit,/Blood on the leaves, and blood at the root,/Black bodies swinging in the southern breeze/Strange fruit hanging from the poplar trees."
These are a few lines from the song Strange Fruit, written by a Jewish, communist, teacher from the Bronx, Abel Meerepol, under the pseudonym Lewis Allan. It was heard by Barney Josephson, owner of a Greenwich Village nightclub in New York, the Café Society, who proposed it to the already famous singer Billie Holiday, and she agreed to include it in her repertoire. It was 1939. Lynchings and executions of black men were common in the southern U.S. and approved by many whites. The system of racial segregation was fully in place and rarely questioned. Billie's own father - whom she found after being abandoned some time earlier - died of pneumonia because hospitals in Dallas, Texas, refused to accept and treat a black man. The performance of the song was not a given. Holiday could only perform it with the explicit permission of the management of the clubs and theaters in which she performed, practically never in the southern states, because it could provoke protests and riots. Nor was recording the song easy. Columbia, the label with which the singer had an exclusive contract, granted her a waiver to record with Milt Graber's small label called Commodore Records, April 20, 1939. That's not all! An official of the FBN (Federal Bureau of Narcotics), the white supremacist Harry J. Anslinger, ordered Billie to stop performing the song in public, in which the singer demonstrated all her extraordinary expressiveness, and upon her refusal began to have her constantly tailed to catch her “in flagrante delicto” in possession of the narcotics of which, like alcohol, she made extensive use. Activist Angela Davis has noted that for Billie Holiday Strange Fruit represented a point of no return, as well as an emblem of a life, as a poor black woman, confronted from the beginning by a lack of opportunity and by exploitation, marked by discrimination and racism, continuing until her death.
Photograph by Gjon Mili taken at the Cafe Society in New York in 1947 |
Billie Holiday's birth name was Eleanor Fagan. She was born on April 7, 1915, in Philadelphia, to Clarence Halliday, age seventeen, and Sarah 'Sadie' Fagan, age nineteen. Sadie lost her job as a maid with a white family as soon as soon as it was discovered that she was pregnant. The young mother-to-be managed to survive by cleaning, and by serving patients admitted to a city hospital in exchange for care for herself and her soon-to-be-born baby. Billie’s father, who was called to arms and sent to Europe to fight in the World War I, abandoned the family upon his return home and, as a banjo and guitar player, joined first the McKinney Cotton Pickers, then, in 1928, the famous orchestra conducted by Fletcher Henderson, with which he remained five years, finding his daughter had meanwhile embarked on a singing career.
Childhood was not easy for little Eleanor, entrusted to her maternal grandparents, who lived in a decrepit house with an older cousin, her children and her elderly great-grandmother, formerly a slave and mother of sixteen daughters and sons fathered by her white master. Even Sadie's marriage to a longshoreman in the Baltimore harbor fails to provide stability for the child. He proved to be a caring and loving father, but unfortunately died early. In a nonetheless degraded environment, on December 24, 1926, just 11 years old, Eleanor was subjected to an attempted rape by a neighbor, who was sentenced to five years in prison. She was sent to a religious institution until she came of age, but her mother consulted a lawyer and managed to bring her home. She suffered further violence, this time consummated, and reported it, but was not believed - and was locked up in reform school for two months. She then joined her mother in New York and began prostituting herself in an underground brothel in Harlem. She was arrested and sentenced to another four months in reform school. Once she was released, she sought work as a dancer in a nightclub in order not to have to prostitute herself again. She had no skills as a dancer, but she was immediately hired as a singer, and at the age of fifteen began her career. It was during this period that female colleagues begin to call her 'Lady' because, unlike all the other girls, she refused to receive tips from customers in the neckline of her blouse or by raising her skirt. The narrative of her difficult, sometimes dramatic, years of childhood and early adolescence can be read in the autobiography Lady Sings the Blues, published in 1956 (the Italian translation La signora canta il blues dates to 1979).
The turning point for Billie Holiday's career (a stage name combining the name of her favorite actress Billie Dove and the surname adopted by her musician father) came in 1933, when she was noticed by producer John Hammond, who arranged a recording session for her with his own brother-in-law, a musician at that time on the crest of a wave - Benny Goodman. Then, in 1935, he got her a contract with pianist Teddy Wilson for a series of recordings that met with considerable success. Hammond said of her, "Her singing almost changed my taste and my musical life, because she was the first girl I ever met who really sang like an improvising jazz genius." Major engagements with Count Basie, Artie Shaw and Lester Young followed. In 1939 Billie Holiday, already an established performer, suffered discrimination that led to her departure from Artie Shaw's orchestra (in which she was the only black member). At the Lincoln Hotel in New York City she was asked to use the freight elevator instead of the normal passenger elevator, in order to comply with a request from the hotel's white guests. She recalled, "I was never allowed to visit the bar or the dining room as the other band members did, [...] they let me in and out through the kitchen." With Lester Young, however, an affectionate friendship was born that bound them together for life. She coined for him the nickname 'Prez', and he for her that of 'Lady Day'. It was he - others say it was Sylvia Sime, an admirer who in turn became a singer - who suggested that she always appear on stage with one or more white gardenias in her hair. This detail transformed her into an unforgettable icon. In 1947, Billie was indicted and convicted for drug possession. She served ten months in a federal prison camp in Alderson, West Virginia. Her return to the stage, at New York's Carnegie Hall, on March 27, 1948, was a triumph.
Billie Holiday and Coleman Hawkins in a photograph by an unknown author taken presumably in the 1950s |
On November 10, 1956, Holiday appeared again at Carnegie Hall for two concerts before a packed and enthusiastic audience. The recordings would later be partially released in 1961, on the album The Essential Billie Holiday. In the liner notes, critic Nat Hentoff wrote, "Throughout the night, Billie was in better shape than she had generally been in the last years of her life. Not only was there a certainty of phrasing and intonation, but there was an extroverted warmth, a palpable enthusiasm to reach out and touch the audience. And there was mocking wit. A smile was often barely evident on her lips and eyes as if, for once, she could accept the fact that there were people who loved her." After her first European tour in 1954, in 1958 she came for the first and only time to Italy, to Milan. Unfortunately, the organizers, completely unaware of who she was and what kind of music she performed, had her perform in a theater at that time reserved for the avant-garde, the Smeraldo. The audience, unaccustomed to jazz, immediately booed her, and she was forced to leave the stage after five songs. A group of fans and connoisseurs, with the aid of Mal Waldron, the pianist who accompanied her in her last years in all her concerts, managed, in record time, to organize a show in the tiny Teatro Gerolamo in Piazza Beccaria, and there she was given a standing ovation. February 1958 saw the recording of her artistic swan song. Sumptuously accompanied by Ray Ellis's orchestra, she recorded the tracks that would make up the splendid album Lady in Satin.
In early 1959, the cirrhosis of the liver from which she was suffering worsened. She tried to stop drinking, without succeeding. Between March 3 and 11 she returned to the recording studio, again with a group directed by Ray Ellis, but the result was more emotional than artistically sound. The last song she recorded was Baby, Won't You Please Come Home? The record would be released posthumously, under the title Last Recording. The death, on March 15 of that year, of her great friend Lester Young aggravated the situation. On May 31, she was found comatose on the floor of her New York apartment. She was immediately admitted to the Metropolitan Hospital Center, but simultaneously arrested for the narcotics found in her room, and - at the behest of the relentless Harry J. Anslinger - handcuffed to her hospital bed. She died on July 17, at the age of forty-four.
Lester Young and Billie Holiday in a photograph - the date and photographer are unknown.
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It is good, however, to close the story of Billie Holiday's earthly existence by remembering the great platonic love affair between her and Lester 'Prez' Young, the great homosexual saxophonist who was the only man who truly loved her and remained close to her for long periods - unlike her father, husband and lovers, let alone those who had turned with obtuse cruelty against her, a fragile and brilliant woman. They had met in a recording studio when she was twenty-two and he was twenty-seven. Lester Young was elegant, shy, ironic, as imaginative with words as with musical notes. Much of the slang typical of the jazz scene of those years came from him. While in Paris, a few days before his own death, to those who asked him about Billie Holiday he had replied simply, "She's still my Lady."
Traduzione spagnola
Silvia Cercarelli
“Los árboles sureños dan fruta extraña / Sangre las hojas y sangre en la raíz / Cuerpos negros se balancean en la brisa del sur / Extraña fruta cuelga de los álamos”.
Estos son solo algunos versos de la canción Strange fruit, escrita por un profesor comunista judío del Bronx, Abel Meerepol, bajo el seudónimo de Lewis Allan. Cuando Barney Josephson, dueño del Café Society, un night club en Greenwich Village, en Nueva York, la escuchó por casualidad, la propuso a la ya famosa cantante Billie Holiday, quien accedió a incluirla en su repertorio. Estamos en 1939: los linchamientos y ejecuciones de hombres negros, que se proponen servir de ejemplo, son frecuentes en las ciudades del sur de los Estados Unidos y la mayoría de los blancos los aprueba; el sistema de segregación racial está plenamente en vigor y rara vez se cuestiona. El mismo padre de Billie, con quien mantenía un contacto después del abandono, algún tiempo antes, muere de neumonía porque los hospitales de Dallas, Texas, se niegan a recibir y tratar a un hombre negro. Poder cantar esta canción no es un algo simple: Holiday solo puede interpretarla con el permiso explícito de la dirección de los clubes y teatros en los que actúa, prácticamente nunca en los estados del sur, porque podría causar protestas y disturbios. Y ni siquiera es fácil poderla grabar: Columbia, la compañía discográfica con la que la cantante tiene un contrato de exclusividad, le concede grabarla excepcionalmente con la pequeña Commodore Records de Milt Graber; estamos a 20 de abril de 1939. Eso no es todo: un funcionario del FBN (Federal Bureau of Narcotics), el supremacista blanco Harry J. Anslinger, ordena a Billie que deje de interpretar en público la canción en la que la cantante demuestra toda su extraordinaria expresividad. Cuando ella se niega, Anslinger la hace seguir constantemente para atraparla con las manos en la masa en posesión de drogas que, como el alcohol, consume en gran cantidad. La activista Angela Davis señala que para Billie Holiday Strange Fruit representa un punto sin retorno, así como el emblema de una vida de mujer negra pobre, caracterizada en sus inicios por la falta de oportunidades y la explotación, en su totalidad y hasta la muerte marcada por la discriminación y el racismo.
Fotografía de Gjon Mili tomada en el Café Society de Nueva York en 1947 |
El verdadero nombre de Billie Holiday es Eleonora Fagan. Nació el 7 de abril de 1915 en Filadelfia, hija de Clarence Halliday, de diecisiete años, y Sarah 'Sadie' Fagan, de diecinueve. Sadie, que pierde el trabajo como doméstica para una familia blanca cuando descubren su embarazo; logra sobrevivir hciendo la limpieza en un hospital de la ciudad y atendiendo a las pacientes a cambio de soporte para ella y su futura hija. El padre de Billie tuvo que alistarse y partir hacia Europa para luchar en la Gran Guerra y a su regreso a casa abandonó a la familia. Se unió a los McKinney Cotton Pickers como banjo y guitarrista y luego, en 1928, a la famosa orquesta dirigida por Fletcher Henderson, donde permaneció durante cinco años, reencontrándose con su hija que mientras tanto se había embarcado en la carrera de cantante.
La infancia no fue fácil para la pequeña Eleonora, encomendada a sus abuelos maternos, que vivían en una casa muy pobre, con una prima mayor, sus hijos y su anciana bisabuela, antigua esclava y madre de dieciséis hijas e hijos de su dueño blanco. Ni siquiera el matrimonio de Sadie con un trabajador portuario de Baltimore pudo garantizar la estabilidad a la niña: demuestra ser atento y cariñoso como un padre, pero muere prematuramente. Al vivir en un ambiente degradado, el 24 de diciembre de 1926, cuando apenas tiene once años, Eleonora sufre un intento de violación por parte de un vecino. A él le condenan a cinco años de prisión y a ella la destinan a un instituto religioso hasta cumplir la mayoría de edad, pero la madre recurrió a un abogado y logró llevarla a casa. Más tarde sufre otra violación, esta vez efectiva, y la denuncia, pero no le creen y la encierran en un reformatorio durante dos meses. Luego se reúne con su madre en Nueva York y comienza a prostituirse en un burdel clandestino en Harlem; la arrestan y la condenan a otros cuatro meses en un reformatorio. Una vez liberada, para no volver a prostituirse, busca trabajo como bailarina en una discoteca: no sabe mover un paso, pero inmediatamente la contratan como cantante y a los quince años empieza su carrera. Fue durante este período que sus colegas empezaron a llamarla 'Lady' porque, a diferencia de las otras chicas, se negaba a recibir propinas de los clientes en el escote de su blusa o levantándose la falda. La historia de los años difíciles, a veces dramáticos, de su infancia y adolescencia, puede leerse en la autobiografía Lady sings the blues, publicada en 1956 (la versión publicada en español es Lady sings the blues, 1988).
El gran avance en la carrera de Billie Holiday (nombre artístico que combina el de su actriz favorita Billie Dove y el apellido adoptado por su padre como músico) ocurrió en 1933, cuando Billie fue descubierta por el productor John Hammond, quien organizó una sesión de grabación con su cuñado Benny Goodman, en ese momento músico en la cresta de la ola. Luego, en 1935, le consiguió un contrato con el pianista Teddy Wilson para una serie de grabaciones que tuvieron un éxito considerable. Hammond dice de ella: "Su forma de cantar casi cambió mi gusto y mi vida musical, porque fue la primera chica que conocí que realmente cantaba como un genio del jazz improvisado”. Siguieron importantes fichajes con Count Basie, Artie Shaw y Lester Young. En 1939, cuando Billie Holiday ya era una artista consolidada, sufrió un episodio de discriminación que marcó el abandono de la orquesta de Artie Shaw (en la que ella era la única persona negra): en el Hotel Lincoln de Nueva York se le pidió que utilizara el montacargas en lugar del ascensor, para satisfacer una solicitud de los clientes blancos del hotel. La misma Billie recuerda: “Nunca me permitieron visitar el bar o el comedor como lo hacían los otros miembros de la banda, [...] Me obligaban a entrar y salir por la cocina”. Con Lester Young, en cambio, nació una amistad afectuosa que los unió de por vida: ella acuñó el apodo de 'Prez' para él, él para ella el de 'Lady Day'; fue él –otros dicen que fue Sylvia Sime, una admiradora que a su vez se convirtió en cantante– quien le sugirió que siempre apareciera en el escenario con alguna gardenia blanca en el pelo: este detalle la convirtió en un icono inolvidable. En 1947, Billie fue acusada y condenada por posesión de drogas; cumplió diez meses de prisión en el campo de prisioneros federales de Alderson, en Virginia Occidental. Su regreso a los escenarios, en el Carnegie Hall de Nueva York, el 27 de marzo de 1948, fue un triunfo.
Billie Holiday y Coleman Hawkins en una fotografía de un artista desconocido supuestamente tomada en la década de 1950. |
El 10 de noviembre de 1956, Holiday regresó al Carnegie Hall para dos conciertos frente a un público abarrotado y entusiasta: las grabaciones se publicarían parcialmente en 1961, en el álbum The essential Billie Holiday. El crítico Nat Hentoff escribió: “Durante toda la noche, Billie se hallaba en una forma superior a la que había tenido en los últimos años de su vida. No solo teníamos la certeza de fraseo y entonación, sino que también se percibía una calidez extrovertida, un entusiasmo palpable de alcanzar al público y ‘tocarlo’. Y había un espíritu burlón. A menudo apenas se notaba una sonrisa en sus labios y ojos, como si, por una vez, pudiera aceptar el hecho de que había personas que la amaban”. Después del primer tour europeo en 1954, en 1958 Billie viajó a Italia por primera y única vez a Milán: lamentablemente los organizadores, completamente inconscientes de quién era y qué tipo de música interpretaba, la hicieron actuar en un teatro en ese momento reservado para el entretenimiento de vanguardia, el Smeraldo. El público, poco acostumbrado al jazz, la abucheó inmediatamente y ella se vio obligada a abandonar el escenario después de cinco canciones. Un grupo de entusiastas y conocedores, ayudado por Mal Waldron, pianista que en los últimos años acompañó a Billie en todos sus conciertos, logró hacer un espectáculo en tiempo récord en el minúsculo Teatro Gerolamo de Piazza Beccaria, donde Billie recibió una ovación. En febrero de 1958 grabó su canto del cisne artístico: suntuosamente acompañada por la orquesta de Ray Ellis, grabó las pistas que compondrían el espléndido álbum Lady in satin.
A principios de 1959 su cirrosis hepática empeoró; intentó dejar de beber, pero no lo consiguió; entre el 3 y el 11 de marzo regresó a un estudio de grabación, de nuevo con un grupo dirigido por Ray Ellis, pero el resultado fue más emocionante que artísticamente válido. La última canción que grabó fue Baby, won't you please come home? El álbum se lanzará póstumamente, con el título The last recording. El 15 de marzo de ese año, la muerte de su querido amigo Lester Young empeoró la situación. El 31 de mayo la encontraron moribunda en el suelo de su apartamento de Nueva York: la ingresaron de inmediato en el Centro Hospitalario Metropolitano, pero al mismo tiempo la arrestaron por las drogas halladas en su habitación, y –por voluntad del implacable Harry J. Anslinger– la esposaron a la cama del hospital. Murió el 17 de julio, a los cuarenta y cuatro años.
Lester Young y Billie Holiday en una fotografía cuya fecha y autor se desconocen
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Nos gusta, sin embargo, concluir la historia terrenal de Billie Holiday recordando la gran historia de amor platónico entre ella y Lester 'Prez' Young, el gran saxofonista homosexual que fue el único hombre que realmente la quiso y permaneció a su lado durante largos períodos, a diferencia de su padre, su esposo y sus amantes, y aún más de quien que se había ensañado con obtusa crueldad contra ella, una mujer frágil y brillante. Lester y Billie se habían conocido en un estudio de grabación cuando ella tenía veintidós años y él veintisiete. Lester Young era elegante, tímido, irónico, imaginativo tanto con las palabras como con las notas: gran parte de la jerga típica de la escena jazzística de aquellos años proviene de él. Mientras estaba en París, unos días antes de su muerte, cuando le preguntaron por Billie Holiday, respondió simplemente: “Ella siempre es mi Lady.”