Dusty Springfield
Laura Candiani


Marika Banci

 

Era il 1965 e al Festival di Sanremo si esibivano, a fianco di interpreti italiani/e, cantanti di fama internazionale, soprattutto di provenienza inglese e americana; quell'edizione fu vinta da Bobby Solo con Se piangi, se ridi, in parte risarcito dell'esclusione dell'anno precedente, quando non fu fatto cantare in playback a causa dell'abbassamento di voce. Su quel palco, insieme fra gli altri a Gene Pitney, Petula Clark, Connie Francis, comparve anche la giovane e graziosa inglese Dusty Springfield, semisconosciuta al pubblico italiano. Cantò due brani che non lasciarono un segno particolare: Tu che ne sai e Di fronte all'amore. Ma proprio lì aveva ascoltato una canzone che l'aveva colpita particolarmente e che continua a essere bellissima: Io che non vivo, musica e voce di Pino Donaggio, testo di Vito Pallavicini. Pensate che se ne vendettero più di 80 milioni di dischi in tutto il mondo e fu cantata dalle massime celebrità: da Cher a Elvis Presley, da Tom Jones a Brenda Lee. E Dusty, appunto, se la portò a Londra dove la fece tradurre dall'amica Vicky Wickham: nacque così You Don't Have to Say You Love Me che le fruttò ottime vendite e grande popolarità.

Paul e Ringo con Tom Jones e Dusty Springfield ai Melody Maker Pop Awards alla Post Office Tower, Londra, 13 settembre 1966

Prendendo qualche notizia da Ondarock (specie riguardo al memorabile Lp Dusty in Memphis) e dal bel libro di Lucio Mazzi Just like a woman dedicato alle straordinarie donne interpreti del pop, del rock e della canzone d'autore, si viene a sapere che Dusty si chiamava Mary Isabel Catherine Bernadette O'Brien, ma fu soprannominata Dusty, che si potrebbe tradurre con "impolverata" perché era una bambina molto vivace e giocava spesso a pallone all'aria aperta. Era nata a Londra il 16 aprile 1939 da una coppia arrivata dall'Irlanda e amava fin da piccola la musica, grazie anche alla passione del nonno che le faceva ascoltare dischi di qualità; lei però voleva cantare e aveva come idolo la celebre Peggy Lee. Prima dei venti anni lasciò gli studi ed entrò in un gruppo musicale femminile: le Lana Sisters; l'esperienza le fu utile per darle delle basi di armonia, di tecnica di canto e di registrazione dei suoni. Cominciò con qualche esibizione in pubblico e alla tv, incise fra l'altro la versione tradotta del brano di Mina Tintarella di luna. Nel 1960 formò un gruppo folk con il fratello Tom e Reshad Feild, denominato The Springfields; ebbero un certo successo, trovarono un contratto, perfino poterono cantare a Nashville, il tempio americano della musica folk, e registrare un album. Ma il trio durò poco perché lei decise di fare carriera da solista, scegliendo come cognome proprio Springfield, e perché altri generi di musica si stavano affermando.

Subito realizza un 45 giri che entra nelle classifiche e le dà notorietà: I Only Want To Be with You; seguono altri dischi interessanti (fra cui A Girl Called Dusty) e collaborazioni con musicisti destinati a grande fama, come Burt Bacharach e Carole King. Viene anche in Italia e fa conoscere Stupido stupido, versione tradotta di Wishin' and Hopin'. In quello stesso 1964 a Città del Capo, in Sudafrica, avviene un fatto senza precedenti: si esibisce in un concerto in cui il pubblico, per sua richiesta, è misto e ciò le frutta l'immediata espulsione dal Paese. Sarà definita una scocciatrice dalla stampa britannica; in realtà è una persona coerente, dal carattere spiccato, che non tollera il razzismo e le discriminazioni. Un sondaggio della rivista New Musical Express comunque la mette al primo posto fra le voci femminili, eppure era l'epoca di cantanti forse più celebri di lei come Sandie Shaw (la ricordate? amava esibirsi a piedi nudi) e Cilla Black.

Tornando al Festival di Sanremo e alla registrazione del futuro grande successo, anzi un evergreen come si dice in gergo, fra le prime cento canzoni di ogni tempo secondo un sondaggio della Bbc, si racconta che Dusty fosse molto pignola, attenta ai suoni, una vera perfezionista e pretendeva un effetto di eco che in studio non si riusciva a ottenere. Alla fine fu soddisfatta quando poté cantare nel fondo di una scala, dalla cantina della sede discografica dove era stato montato un microfono. In breve ebbe anche un'altra notevole gratificazione professionale perché le fu offerto un programma televisivo tutto per sé dove lanciò il secondo Lp e presentò al pubblico inglese nuovi talenti, personaggi del blues emergenti, da Steve Wonder ragazzino alle Supremes, da Marvin Gaye ai Temptations. Riconfermata in patria cantante dell'anno, la sua carriera trova sbocchi straordinari negli Usa dove la talentuosa Carole King scrive apposta per lei Some of Your Lovin' e Goin' Back e Bacharach le regala The Look of Love, brano indimenticabile che farà parte della colonna sonora del film Agente 007 Casino Royale.

Dusty era assai miope, ma non portava gli occhiali per mostrare i suoi begli occhi sempre truccati alla perfezione; indossava abiti luccicanti che mettevano in evidenza la sua figurina snella e minuta, portava i capelli biondi, secondo la moda di allora, gonfi e cotonati, ma era una ragazza cattolica di provenienza umile, dal carattere mutevole, insicura, con molti dolori dentro di sé che mascherava sotto l'apparente felicità ed eleganza. Un suo problema poco risolto, vista l'epoca, era l'orientamento sessuale che le creava notevoli disagi e inquietudine. Quello però che metteva pace fra le due anime, quella di Mary e quella di Dusty, era la notevole voce di mezzosoprano estremamente duttile, tanto che l'avevano soprannominata "gazza ladra", perché alla lettera rubava modi, tonalità, stile, acuti, passando da un genere all'altro con una disinvoltura senza pari: tradizione, folk, pop, rock, blues, soul, tutto era in grado di sperimentare.

Fra 1967 e 1970 la sua carriera è all'apice: incide nuovi album in cui inserisce raffinate interpretazioni di pezzi nuovi, scritti per lei da Bacharach e altri prestigiosi musicisti, a fianco di versioni inglesi di successi internazionali, fra cui Ne me quitte pas di Jacques Brel. Ritorna alla Bbc con trasmissioni tutte sue, ma di nuovo negli Usa, la sua seconda patria artistica, raccoglie i successi più clamorosi e realizza quello che probabilmente è il suo album migliore, Dusty in Memphis, in cui sfoggia le grandi doti vocali. Dal 1971 inizia tuttavia un decennio in cui Dusty vede appannarsi la sua popolarità, inoltre è il momento in cui la stampa pettegola comincia a interrogarsi sulla sua vita sentimentale; che sia una conseguenza di questo o un caso, certo è che la cantante si trasferisce a vivere a Hollywood e lascia la vita pubblica e il suo lavoro, forse anche per una serie di cure. Nel 1978 ritorna sulle scene con un nuovo look: capelli corti, spettinati, sempre bella ed elegante; ha da promuovere l'album In Begins Again e l'anno dopo ha un altro disco da presentare al pubblico, mentre si esibisce per l'ultima volta a Londra, in un importante evento benefico, davanti alle massime autorità.

Poi è il silenzio, finché Dusty viene coinvolta in un concerto dei Pet Shop Boys, suoi grandissimi ammiratori; è il 1987 e con loro canta What Have I Done to Deserve This? che diventa subito molto popolare. L'anno seguente un album celebra i 25 anni di carriera, intanto decide di ritornare a vivere in Gran Bretagna. Nel 1989 i Pet Shop Boys le dedicano nuovi brani e producono Reputation che la riporta al successo. Nel 1995, mentre sta registrando canzoni inedite, Dusty avverte un nodulo al seno che verrà curato e combattuto, ma dopo tre anni la battaglia è persa. Non fa in tempo a ricevere l'onorificenza di Officer of the Order of the British Empire e muore il 2 marzo 1999 a Henley-on-Thames, non ancora sessantenne. Persino Elisabetta II, notoriamente assai riservata, spenderà per lei sincere parole di rimpianto. D'altra parte proprio una regina se n'era andata, anche se del pop.


Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

 

C'était en 1965 et au Festival de Sanremo que se produisaient, aux côtés des interprètes italiens, des chanteurs de renommée internationale, principalement d'origine anglaise et américaine ; cette édition a été remportée par Bobby Solo avec Se piangi, se ridi, partiellement compensé par l'exclusion de l'année précédente, lorsqu'il n’avait pas pu chanter en playback à cause de sa voix qui avait baissé. Sur cette scène, aux côtés d'autres comme Gene Pitney, Petula Clark, Connie Francis, est apparue aussi la jeune et jolie anglaise Dusty Springfield, presque inconnue du public italien. Elle a chanté deux pièces qui n’ont pas laissé de trace particulière : Tu che ne sai et Di fronte all'amore. Mais c'est là qu'elle a entendu une chanson qui l'impactera particulièrement et qui continue à être magnifique : Io che non vivo, musique et voix de Pino Donaggio, texte de Vito Pallavicini. Pensez que plus de 80 millions de disques ont été vendus dans le monde entier et elle a été chantée par les plus grandes célébrités : de Cher à Elvis Presley, de Tom Jones à Brenda Lee. Et Dusty, justement, l'a emporté à Londres où elle l’a traduit par son amie Vicky Wickham : c’est ainsi qu’est né You Don't Have to Say You Love Me, qui lui rapportera d'excellentes ventes et une grande popularité.

Paul et Ringo avec Tom Jones et Dusty Springfield aux Melody Maker Pop Awards à la Post Office Tower, Londres le 13 septembre 1966

En prenant quelques informations d'Ondarock (surtout concernant le mémorable LP Dusty in Memphis) et du beau livre de Lucio Mazzi Just Like a Woman dédié aux extraordinaires femmes interprètes de pop, de rock et de chanson d'auteur, on apprend que Dusty s'appelait Mary Isabel Catherine Bernadette O'Brien, mais on la surnomme Dusty, qui pourrait se traduire par "poussiéreuse" car elle était une enfant très vive et jouait souvent au ballon en plein air. Elle est née à Londres le 16 avril 1939 d'un couple venu d'Irlande et elle aime la musique depuis son enfance, grâce aussi à la passion de son grand-père qui lui faisait écouter des disques de qualité ; elle, cependant, voulait chanter et avait pour idole la célèbre Peggy Lee. Avant d'avoir vingt ans, elle quitte les études et rejoint un groupe musical féminin : les Lana Sisters ; cette expérience lui est utile pour lui donner des bases d'harmonie, de technique vocale et d'enregistrement des sons. Elle commence par quelques performances publiques et à la télévision, elle enregistre entre autres la version traduite du pièce de Mina Tintarella di luna. En 1960, elle forme un groupe folk avec son frère Tom et Reshad Feild, nommé The Springfields ; ils ont un certain succès, trouvent un contrat et purent même chanter à Nashville, le temple américain de la musique folk, et enregistrer un album. Mais le trio dure peu car elle décide de faire carrière en solo, choisissant comme nom de scène justement Springfield, et parce que d'autres genres de musique s'affirment.

Elle réalise immédiatement un 45 tours qui entre dans les classements et lui donnera notoriété : I Only Want to Be with You ; d'autres disques intéressants suivent (dont A Girl Called Dusty) et des collaborations avec des musiciens destinés à une grande renommée, comme Burt Bacharach et Carole King. Elle a vécu aussi en Italie et a fait connaître Stupido stupido, version traduite de Wishin' and Hopin'. Cette même année, en 1964, à Cape Town, en Afrique du Sud, un fait sans précédent se produit : elle se produit lors d'un concert où le public, à sa demande, était mixte, ce qui lui vaut une expulsion immédiate du pays. Elle a été qualifiée de casse-pieds par la presse britannique ; en réalité, c'était une personne cohérente, au caractère bien trempé, qui ne tolérait pas le racisme et les discriminations. Un sondage de la revue New Musical Express la place néanmoins au premier rang parmi les voix féminines, et pourtant c'était l'époque de chanteuses peut-être plus célèbres qu'elle comme Sandie Shaw (vous vous en souvenez ? elle aimait se produire pieds nus) et Cilla Black.

En revenant au Festival de Sanremo et à l'enregistrement de son futur grand succès, en fait un evergreen comme on dit dans le jargon, parmi les cent premières chansons de tous les temps selon un sondage de la BBC, on raconte que Dusty était très exigeante, attentive aux sons, une véritable perfectionniste qui exigeait un effet d'écho que l'on ne pouvait pas obtenir en studio. À la fin, elle était satisfaite lorsqu'elle pouvait chanter au fond d'un escalier, depuis la cave de la maison de disque où un microphone avait été installé. En peu de temps, elle a eu aussi une autre gratification professionnelle notable car on lui propose une émission télévisée entièrement dédiée où elle lance son deuxième LP et présente au public anglais de nouveaux talents, des personnages du blues émergents, de Steve Wonder jeune aux Supremes, de Marvin Gaye aux Temptations. Reconduite chez elle comme chanteuse de l'année, sa carrière trouve des débouchés extraordinaires aux États-Unis où la talentueuse Carole King lui écrit Some of Your Lovin' et Goin' Back et Bacharach lui offre The Look of Love, pièce inoubliable qui fera partie de la bande originale du film Agente 007 Casino Royale.

Dusty était très myope, mais elle ne portait pas de lunettes pour montrer ses beaux yeux toujours parfaitement maquillés ; elle portait des vêtements scintillants qui mettaient en valeur sa silhouette mince et petite, elle avait des cheveux blonds, selon la mode de l'époque, volumineux et bouclés, mais c'était une fille catholique d'origine modeste, au caractère changeant, insécure, avec beaucoup de douleurs en elle qu'elle masquait sous l'apparente joie et élégance. Un de ses problèmes non résolus, vu l'époque, était son orientation sexuelle qui lui créait des désagréments et de l'inquiétude. Ce qui mettait cependant la paix entre les deux âmes, celle de Mary et celle de Dusty, était sa voix de mezzo-soprano extrêmement versatile, tant et si bien qu'on l'avait surnommée "pie voleuse", car littéralement elle volait des façons, des tonalités, des styles, des aigus, passant d'un genre à l'autre avec une aisance inégalée : tradition, folk, pop, rock, blues, soul, elle pouvait tout expérimenter.

Entre 1967 et 1970, sa carrière était à son apogée : elle enregistrait de nouveaux albums dans lesquels elle incluait des interprétations raffinées de pièces nouveaux, écrits pour elle par Bacharach et d'autres musiciens prestigieux, à côté de versions anglaises de succès internationaux, dont Ne me quitte pas de Jacques Brel. Elle revenait à la BBC avec des émissions toutes à elle, mais de nouveau aux États-Unis, sa deuxième patrie artistique, elle récoltait les succès les plus éclatants et réalisait ce qui est probablement son meilleur album, Dusty in Memphis, dans lequel elle mettait en avant ses grandes qualités vocales. À partir de 1971, elle entame cependant une décennie où Dusty voit sa popularité s'estomper, de plus, c'était le moment où la presse People commençait à s'interroger sur sa vie sentimentale ; que ce soit une conséquence de cela ou une coïncidence, il est certain que la chanteuse a déménagé à Hollywood et a abandonné la vie publique et son travail, peut-être aussi à cause d'une série de soins. En 1978, elle retourne sur scène avec un nouveau look:cheveux courts, décoiffés, toujours belle et élégante; elle avait à promouvoir l'album In Begins Again et l'année suivante, elle avait un autre disque à présenter au public, tout en se produisant pour la dernière fois à Londres, lors d'un important événement caritatif, devant les plus hautes autorités.

Puis vint le silence, jusqu'à ce que Dusty soit impliquée dans un concert des Pet Shop Boys, ses grands admirateurs ; c'était en 1987 et avec eux elle chante What Have I Done to Deserve This?, qui devient immédiatement très populaire. L'année suivante, un album célébre les 25 ans de carrière, entre-temps elle décide de retourner vivre en Grande-Bretagne. En 1989, les Pet Shop Boys lui dédient de nouvelles pièces et produisent Reputation qui la ramène au succès. En 1995, tandis qu'elle enregistrait des chansons inédites, Dusty sentait une grosseur au sein qui sera traitée et combattue, mais après trois ans, la bataille sera perdue. Elle ne reçoit pas à temps l'honneur de Officer of the Order of the British Empire et meurt le 2 mars 1999 à Henley-on-Thames, pas encore sexagénaire. Même Élisabeth II, notoirement très réservée, dépense pour elle des paroles sincères de regret. D'autre part, une reine était vraiment partie, même si c'était du pop.


Traduzione spagnola

Erika Incatasciato

 

Era 1965 y en el Festival de San Remo, junto a artistas italianas e italianos, actuaban cantantes de renombre internacional, sobre todo de origen británico y estadounidense. En aquella edición ganó Bobby Solo con la canción Se Piangi, se ridi, lo que lo ompensó parcialmente de la exclusión del año anterior, cuando no le permitieron cantar en Playback debido a una pérdida de voz. En ese escenario, junto a otras cantantes como Gene Pitney, Petula Clark y Connie Francis, también apareció la joven y agraciada británica Dusty Springfield, poco conocida entre el público italiano. Cantó dos canciones que no dejaron una huella singular: Tu che ne sai y Di fronte all’amore. Pero justo allí escuchó una canción que la impresionó particularmente y que sigue siendo muy hermosa: Io che non vivo, música y voz de Pino Donaggio, letra de Vito Pallavicini. Pensad que se vendieron más de 80 millones de discos en todo el mundo y que fue interpretada por las mayores celebridades: de Cher a Elvis Presley, de Tom Jones a Brenda Lee. Y Dusty, precisamente, la llevó a Londres y se la hizo traducir por su amiga Vicky Wickham dando a luz You Don’t Have to Say You Love Me, que le dio buenas ventas y gran popularidad.

Paul y Ringo con Tom Jones y Dusty Springfield en los premios Melody Maker Pop Awards en la Post Office Tower, Londres, 13 de septiembre de 1966

Teniendo en cuenta la información de Ondarock (especialmente sobre el memorable disco «Dusty in Memphis») y en el buen libro de Lucio Mazzi Just like a Woman dedicado a las extraordinarias mujeres intérpretes del pop, del rock y de la canción de autor, sabemos que Dusty se llamaba Mary Isabel Catherine Bernadette O’Brien, pero fue apodada Dusty, que podemos traducir con «polvorienta», porque era una niña muy activa y a menudo jugaba al aire libre. Nació en Londres el 16 de abril de 1939 de padres inmigrantes irlandeses y desde niña amaba la música, también gracias a la pasión de su abuelo que le hacía escuchar discos de calidad; pero ella quería cantar e idolatraba a Peggy Lee. Antes de los veinte años dejó los estudios y se unió a un grupo musical femenino: las Lana Sisters. La experiencia le fue útil ya que le dio las bases de armonía, de técnica de canto y de grabación de sonidos. Comenzó con algunas actuaciones en público y en la televisión, grabó, entre otras cosas, la versión traducida de la canción de Mina Tintarella di Luna. En 1960, creó un grupo de folk con sus hermanos Tom y Reshad Feild que llamaron The Springfields. Los tres tuvieron bastante éxito, consiguieron un contrato e incluso cantaron en Nashville –el templo estadounidense de la mùsica folk– y grabaron un álbum. Pero el trío no duró mucho porque ella decidió hacer carrera en solitario –con el mismo apellido Springfield– y otros géneros musicales se estaban imponiendo.

Enseguida grabó el 45 rpm I Only Want to be with You que llegó a ser un hit y le dio fama; siguen otros discos interesantes, como A Girl Called Dusty, y colaboraciones con músicos destinados a la fama, como Burt Bacharach y Carole King. Fue también a Italia y dio a conocer la versión traducida de Wishin’ and Hopin’: Stupido Stupido. En ese mismo 1964, en la Ciudad del Cabo, en Sudáfrica, ocurrió un hecho sin precedentes: actuó en un concierto donde solicitó que el público fuera mixto y eso le causó enseguida la expulsión del país. La prensa británica la consideraba molesta; en efecto, fue una persona consecuente con un carácter fuerte que no toleraba el racismo y las discriminaciones. Una encuesta de la revista New Musical Express la puso en primer lugar entre todas las voces femeninas, sin embargo, era una época en que había cantantes quizás más famosas que ella, como Sandie Shaw (¿La recordáis? Le gustaba actuar descalza) y Cilla Black.

Volviendo al Festival de San Remo y a la grabación de su gran éxito, que también puede decirse de popularidad perenne, entre las cien mejores canciones según una encuesta de la BBC, se dice que Dusty era muy meticulosa, atentas a los sonidos, una verdadera perfeccionista y que exigía un efecto de eco que no se podía conseguir en el estudio. Por fin, se sintió satisfecha cuando pudo cantar en el rincón más humilde de una escalera, desde la bodega de la sede discográfica donde habían colocado un micrófono. Pronto tuvo otra gran gratificación profesional cuando le propusieron un programa de televisión propio donde presentó su segundo álbum e introdujo al público nuevos talentos, a nuevas promesas del blues: desde el joven Steve Wonder hasta las Supremes, de Marvin Gaye a los Temptations. Reafirmada como mejor cantante del año en su país, su carrera alcanzó nuevas alturas en los Estados Unidos, donde la talentosa Carole King escribió solo para ella Some of Your Lovin’ y Goin’ Back y Bacharach le regaló The Look of Love, una canción inolvidable que fue incluida en la banda sonora de la película 007 Casino Royal.

Dusty era muy miope, pero no usaba gafas para mostrar sus hermosos ojos siempre perfectamente maquillados; vestía ropas brillantes que resaltaban su figura esbelta y menuda, llevaba el cabello rubio y esponjoso, según la moda de la época, pero detrás de esa imagen de felicidad y elegancia, se escondía una chica católica de origen humilde, voluble, insegura y con muchos dolores interiores. En la época en que vivía, su orientación sexual era un tema pendiente que le causaba un gran malestar e inquietud. Lo que logró apaciguar las dos almas, la de Mary y la de Dusty, fue la voz extraordinaria de mezzosoprano altamente versátil, hasta el punto que la apodaron «urraca», porque literalmente robaba modos, tonalidades, estilos, agudos, mientras pasaba de un género a otro con una facilitad sin igual: tradiciones, folk, pop, rock, blues, soul; todo estaba a su alcance.

Entre 1967 y 1970 su carrera estaba en su apogeo: grabó nuevos discos en los que incluyó refinadas versiones de nuevas canciones escritas para ella por Bacharach y otros prestigiosos músicos, junto a versiones inglesas de éxitos internacionales, como Ne me quitte pas de Jacques Brel. Volvió a la BBC con programas proprios, pero nuevamente se fue a los Estados Unidos, su segunda patria artística, donde logró sus mejores éxitos y realizó quizás su mejor álbum en el que exhibió su voz dotada: Dusty in Memphis. Sin embargo, desde 1971 comenzó una década en la que Dusty vio su popularidad decaer y paralelamente el periodismo sensacionalista empezó a interesarse por su vida amorosa. Coincidencia o no, lo que fue cierto es que la cantante se mudó a vivir a Hollywood y dejó su vida pública y su carrera, quizás también para recibir algún tipo de tratamiento. En 1978, regresó con un nuevo aspecto: cabello corto y despeinado, siempre hermosa y elegante. Tenía que promover el álbum In Begins Again y el año siguiente lanzó otro disco , mientras actuaba por última vez en Londres, en un gran evento benéfico, ante a las máximas autoridades.

Y luego hubo silencio hasta el 1987, cuando Dusty fue invitada a un concierto de los Pet Shop Boys, sus grandes admiradores, y junto a ellos cantó ¿What Have I done to Deserve This? que rápidamente se hizo muy popular. El año siguiente un álbum conmemoró sus 25 años de carrera, mientras tanto decidió regresar a vivir en el Reino Unido. En 1989 los Pet Shop Boys le dedicaron nuevas canciones y produjeron Reputation que la devolvió al éxito. En 1995, mientras grababa unas canciones inéditas, Dusty sintió un bulto en el pecho que fue tratado y contra el cual luchó, pero después de tres años perdió su batalla. No alcanzó a recibir la Orden del Imperio Británico. Murió el 2 de marzo de 1999 en Henley-on-Thames, sin llegar a los sesenta años. Incluso la reina Isabel II, conocida por ser muy reservada, dedicó sinceras palabras de pésame para ella. De hecho había fallecido una reina, aunque fuera del pop.