A Nuoro, vicinissima alla Cattedrale di Santa Maria della Neve, c’è una piccola strada in salita tra via Matteotti e via Antonio Mereu. È difficile individuarla e in molte mappe non è neppure segnata, ma resta l’unica in tutta l’isola a ricordare Adelasia Cocco.
È una scalinata percorribile soltanto a piedi e da chi è in buona salute e sarebbe piacevole trovare, dopo l’ultimo gradino sommitale, una targa esplicativa, per conoscere questa donna straordinaria e, con l’occasione, riprendere fiato.
Adelasia, nata a Sassari nel 1885, è stata la prima donna medico condotto italiana, e per capirne i meriti è necessario contestualizzare la sua scelta.
La prima laureata in medicina nel mondo fu Miranda Stuart (1792?-1865), che ottenne il titolo a Edimburgo nel 1812, sotto le false spoglie di James Barry, e divenne protagonista di una brillante carriera nel corpo sanitario dell’esercito inglese: il suo genere sessuale venne scoperto solo dopo la morte, al momento dell’autopsia. In Italia la prima laurea in medicina fu conseguita a Firenze nel 1877 da Ernestina Paper, che aprì uno studio medico per la cura di donne e bambini. Seguirono le lauree di Maria Valleda Farnè (Torino 1878), Anna Kuliscioff (Napoli 1887), Maria Montessori (Roma 1894, in medicina e pedagogia). In Sardegna la prima laurea femminile in medicina fu di Paola Satta, nel 1902, rilasciata dall’Università di Cagliari.
I suddetti titoli furono possibili per le minori resistenze maschili verso l’esercizio di alcuni rami specifici della medicina, quali pediatria e ginecologia, da parte femminile: la prima perché appariva come un’estensione delle cure materne, la seconda perché si riteneva opportuno e conveniente che la donna fosse curata, per certe patologie, da un’altra donna, mettendo i suoi familiari (mariti, in primis, e genitori) e la paziente stessa, al riparo da timori e disagi. Le nostre prime laureate, tuttavia, difficilmente riuscirono a esercitare la loro professione e sovente rientrarono nei più tradizionali ruoli di donne e madri, mentre poche, e con gran difficoltà, ebbero la licenza di ricoprire ruoli accademici.
Adelasia era diversa. Figlia dell'intellettuale progressista Salvatore Cocco, si laureò nel 1913 a Sassari con Luigi Zoja (1866-1959), direttore dell'Istituto di patologia e clinica medica, discutendo una tesi sul potere autolitico del siero di sangue come contributo alle reazioni immunitarie.
Appena titolata, chiese la condotta medica e nel 1915, vinte le resistenze delle autorità nuoresi che non trovarono alcun cavillo legale che ne impedisse l’assegnazione, ottenne l’incarico a Lollove, luogo in cui Grazia Deledda ambientò il romanzo La Madre. Oggi Lovolle è una frazione di Nuoro che dista 15 km dalla città e ospita una trentina di abitanti, per lo più anziani, ma nei primi anni del secolo scorso contava poco meno di 400 cittadini, prevalentemente contadini e pastori. A Lollove Adelasia ricoprì il posto di medico, rimasto vacante dopo l’uccisione in un agguato di Andrea Romangia, e in quei primi anni venne “accompagnata” nell’esercizio della sua professione da un assessore a cavallo, ma, prima fra le donne sarde, nel 1919, ottenne la patente automobilistica e con essa l’autonomia e la libertà di movimento.
Dal 1928 Adelasia fu ufficiale sanitario a Nuoro: c’è una vecchia fotografia risalente a quel periodo, che la ritrae davanti al suo tavolo di lavoro tra microscopio, carte, penne e un vaso colmo di fiori (è diventata la locandina di apertura dell’anno sanitario 2006, a essa dedicato). Nel 1935 divenne direttrice del laboratorio medico provinciale d’igiene e profilassi e negli anni successivi il suo lavoro la vide protagonista di studi microbiologici: rabbia, malaria, enteriti causate da batteri patogeni.
Adelasia fu medico curante di Attilio Deffenu, amica personale di Grazia Deledda e del pittore Antonio Ballero. Tra i suoi impegni professionali, fu anche attiva nell’Associazione Nazionale Italiana delle Dottoresse in Medicina e Chirurgia, fondata nel 1921 e ora chiamata più brevemente Associazione Donne Medico. Ci ha lasciato nel 1983, a 98 anni, e la sua terra l’ha quasi dimenticata.
Dalla sua laurea è passato quasi un secolo. Venticinque anni dopo nell’intera nazione c’erano soltanto 367 donne iscritte all’albo dei medici; dopo un altro quarantennio in Italia le donne erano soltanto il 12% di tutti i medici e bisogna attendere ancora otto anni per vedere una donna - Rita Levi Montalcini - ricevere il Nobel per la Medicina: siamo al 1986. Oggi le mediche costituiscono il 37% delle iscrizioni all’Albo e il 64% dei medici sotto i 35 anni, ma spesso sono ancora vittime di pregiudizi di genere, tanto ai vertici, quanto in realtà di frontiera, nelle guardie mediche dei piccoli Comuni.
La strada di professioniste e intellettuali è tuttora costellata di difficoltà, poiché esse, a differenza degli uomini, debbono sempre dare prova di eccezionali capacità e competenze per poter raggiungere qualche strameritato riconoscimento. Anche nella toponomastica cittadina le loro figure scompaiono, nascoste dalla miriade di colleghi. Nelle sporadiche intitolazioni femminili, anche in quelle più recenti, si continuano a preferire martiri e vittime, a professioniste che hanno arricchito l’umanità con il loro lavoro quotidiano.
In tutta la Sardegna c’è una sola via Adelasia Cocco e nemmeno la città che le ha dato i natali e la laurea la ricorda.