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Salwa Salem
Il contributo di Salwa Salem all’interno del movimento femminile impegnato nella costruzione di rapporti tra donne palestinesi e israeliane, verso la fine degli anni ottanta, con la sua peculiarità di intellettuale esule palestinese inserita nella società italiana, è fondamentale per la comprensione della questione palestinese e per la realizzazione di un nuovo modo di far politica in un’ottica femminile e pacifista. La sua esperienza in Italia, costituisce un esempio riuscito di integrazione produttiva, che ha contribuito alla formazione di un pensiero interculturale, valore oggi più che mai attuale e fondamentale per la creazione di una prospettiva cosmopolita, capace di mostrare in una luce diversa la realtà nazionale e di reinterpretarla. Crediamo che la città di Parma dove ha vissuto ventidue anni, conosciuta e amata da molte persone, debba dedicarle un'intitolazione che ne perpetui il ricordo, come esempio di apertura al mondo degli ‘altri’, contro ogni tentazione di coscienza nazionale che innalza se stessa a criterio del mondo e come modello di valore sul quale riflettere. Siamo convinte che questa richiesta sarà sostenuta da molti cittadini parmigiani dai quali era chiamata ‘La Signora gentile’, con tutta l’ammirazione e l’affetto dimostrati negli anni della sua permanenza a Parma.
Fonti
Salwa Salem, Con il vento nei capelli. Vita di una donna palestinese, Giunti 1993.
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[i] Le donne palestinesi hanno avuto un ruolo molto attivo nella sfera pubblica, già nell’organizzazione della resistenza contro gli inglesi e poi contro gli israeliani. Risale agli anni venti la prima organizzazione femminile con la nascita dell’Unione delle donne palestinesi e nel 1929 ha avuto luogo il primo Congresso delle donne arabe di Palestina, che ha visto partecipare centinaia di donne. Negli anni sessanta e settanta, sono nate moltissime organizzazioni di base, partiti e comitati di donne che hanno contribuito alla nascita di una società civile forte con l’obiettivo primaio di combattere l’occupazione israeliana. La vivacità culturale e politica di quegli anni ha determinato importanti ricadute sulla visibilità delle donne, che hanno ottenuto risultati importanti nella rappresentanza pubblica e politica. Nelle elezioni municipali del 2004 e del 2005, per esempio, le donne elette sono state il 17% del totale. Il 30 % degli avvocati sono donne e in generale il livello d’istruzione delle donne equivale o supera quello degli uomini.
(Ruba Salih, Musulmane rivelate, Donne, islam, modernità, Carocci 2008.)
[ii] Il culmine della partecipazione femminile alla resistenza e al simultaneo nation-building si avrà con la prima intifada, la rivolta delle pietre che inizia nel 1987 e termina con gli accordi di Oslo, nel 1993. La prima intifada verrà descritta come un movimento di femminilizzazione della società e della lotta palestinese e la presenza e il ruolo delle donne nelle strade, nelle manifestazioni, nelle strutture di supporto della resistenza e della società sarà centrale nella sua iconografia.
(Ruba Salih, Musulmane rivelate, Donne, islam, modernità, Carocci 2008.)
Filiz Şaybak
(Van, 1980 – Mexmur, 2016)
Per intitolare strade o piazze a questa grande comandante partigiana è presto: bisognerà prima fare chiarezza su chi sono gli eroi e chi i terroristi. Intanto, la foto con i suoi occhi del colore della divisa è affissa in tutti i villaggi del Kurdistan accanto a quella con i baffoni ormai bianchi di Abdullah Öcalan.
Comandante Avesta Harun
di Andrea Zennaro
Filiz Şaybak (pronuncia: Filis Shaibak) nasce nel 1980 a Van, un piccolo paese nel Kurdistan turco. Il suo carattere è forte e indomabile come quello della gente a cui appartiene, i Curdi. Sono un antico popolo di origine indoeuropea. Hanno sempre vissuto liberi e autonomi. Ben arroccati sulle loro montagne, neanche Alessandro Magno riuscì a sottometterli. La loro lingua era ed è tuttora diversissima da tutte le altre. Fu l'Impero Ottomano a imporre loro la fede musulmana. Dopo la I Guerra Mondiale l'Impero Ottomano si sgretolò in fretta. La Società delle Nazioni divise la zona in due protettorati, un regno e una repubblica: Mesopotamia e Palestina alla Gran Bretagna, Siria e Libano alla Francia, Persia e Turchia autonome. Ai Curdi nulla. Il Kurdistan fu diviso in quattro parti, una turca, una siriana, una iraniana (ex persiana) e una irachena (ex mesopotamica). In modi e tempi diversi, tutti e quattro i nuovi stati hanno sempre represso le spinte identitarie e indipendentiste curde. La repressione peggiore è stata quella turca: vietato parlare curdo nei villaggi, vietato celebrare il Newroz (il tradizionale capodanno curdo che ricorre il 21 marzo, sempre festeggiato con fuochi e danze), insomma vietato non aderire al nuovo grande progetto di Turchia moderna e occidentale imposto da Kemal Atatürk.
Filiz cresce in una famiglia numerosa e piena di affetto. Gode di un amore inseparabile con il fratello Tekin e con la sorella Nurcan. Vive sulle montagne che conosce bene, considera gli alberi e i sassi come esseri viventi con tanto di nomi e sentimenti, ama e rispetta la Natura, di cui fin da bambina ha imparato a capire e accettare i cicli. Crescendo va a scuola a Mezri, la città più vicina a Van. Ama imparare ma le dispiace che a scuola non possa parlare il curdo né cantare i canti e danzare i balli tradizionali del suo popolo. È una bambina, non riesce a capire perché il maestro picchi i compagni di classe che si lasciano sfuggire una parola in curdo, non capisce chi sono davvero quelli che a scuola chiamano "terroristi". Tekin, il fratello maggiore, si arrabbia, vuole la libertà. L'altro fratello, il primogenito, ha studiato ed è diventato imam, lui è per la pace ma si rende conto che così non è giusto.
Nel 1984 il PKK (il partito dei lavoratori curdi, capeggiato da Abdullah Öcalan), dichiarato illegale e considerato un'organizzazione terroristica, entra in clandestinità e inizia la lotta armata contro lo stato turco. Sui monti del Qandil Filiz vede uomini che portano lunghi fucili e le sorridono. Filiz ne ha simpatia, non paura. In città Tekin scopre il movimento studentesco clandestino legato al PKK e vi entra portando con sé le sorelle, ormai cresciute. Filiz e Nurcan convincono (o costringono) la madre a togliere il velo che le copre il capo e la dignità, la donna non deve più essere sottomessa.
Le ingiustizie aumentano di continuo. Un giorno vede uomini e donne uccisi e trascinati per le strade dall'esercito turco. Arriva il giorno in cui Filiz decide di lasciare la scuola: lo fa a malincuore, ma non può continuare a studiare la lingua e le leggi di chi uccide i suoi fratelli, non vuole andare a lavorare per uno Stato che le è nemico.
In casa Şaybak non tarda ad arrivare la polizia turca. Da allora in poi fermi, arresti, perquisizioni e interrogatori saranno all'ordine del giorno. Finché Tekin viene arrestato. Terrorismo è l'accusa, dodici anni la condanna. Resta in carcere due anni, quando esce per un'amnistia ha le idee chiare.
Un giorno Tekin sparisce, va in montagna con i compagni; in braccio un fucile, nome di battaglia Harun Van: Harun come un compagno morto prima di lui e Van come il paese in cui è nato. Combatte per dare ai futuri bambini curdi l'infanzia normale e serena che lui non ha avuto.
L'ONU e l'Europa intervengono per un cessate il fuoco. Non è una vera e propria tregua, la Turchia, dicono, ha diritto a difendersi dai terroristi. La Turchia formalmente mantiene la tregua, in realtà rompe il cessate il fuoco e continua la guerriglia in montagna. Tekin è circondato dagli elicotteri, è il solo a rimanere vivo, lotta strenuamente solo contro tutti; ha mitragliatrici da ogni lato e bombe dal cielo. L'ultima pallottola la tiene per sé.
Un mese dopo la morte di Tekin, è Filiz a scomparire. Prende il fucile del fratello e continua la sua strada. Nome di battaglia Avesta Harun: Avesta come il nome dei testi sacri zoroastriani, la fede del Kurdistan prima dell'imposizione dell'Islam, e Harun come il suo amato fratello maggiore.
In Turchia il governo passa nelle mani di Erdogan e la guerra contro il Kurdistan si fa sempre più feroce.
Avesta diventa in breve tempo la comandante di un gruppo speciale n cui uomini e donne sono totalmente pari, la gerarchia è data solo dalla bravura sul campo e dalla cultura politica, che ci si scambia nelle costanti riunioni di lettura e autoformazione. È una comandante per niente severa, molto attenta al lato umano e ai bisogni di chi la segue, tenera con chi è in difficoltà o ha paura e dura con chi vuole mettere i piedi in testa ai più deboli.
Oltre all'YPG (gruppi armati di autodifesa del popolo curdo) si forma l'HPG (gruppi di difesa delle donne), una serie di gruppi militari speciali per le donne, per il Kurdistan libero e per la parità sessuale. Avesta è a capo di uno di questi gruppi. Sotto la sua guida il PKK ottiene i suoi migliori risultati militari contro l'esercito turco, che ha buone armi ma non conosce quelle montagne indomabili.
Foraggiato dall'Occidente, compare un nuovo nemico. Si tratta del Daesh (a noi noto con il nome di ISIS), un esercito di "barbari che si reputano gli inviati di Dio", come li definisce Avesta. Lei sta contemplando la neve sui monti del Quandil, a lei così familiari fin da piccina, e leggendo un libro di Öcalan quando arrivano le urla: "Il Daesh ha attaccato Mexmur!"
Mexmur, poco più che un campo profughi, è la località principale del Kurdistan iracheno, punto di arrivo di un lunghissimo esodo di Curdi cacciati dalla Turchia. Qui non ci sono attività belliche ma solo civili e postazioni mediche, ma rimane un luogo simbolicamente importante per l'identità curda e per il confederalismo democratico che lì è applicato.
La squadra di Avesta è una delle prime a partire. Daesh spara solo qualche colpo poi tutti salgono su un SUV e scappano via. Mexmur è liberata in breve tempo, la stessa scena si ripete per i villaggi vicini. I Curdi sembrano vincere. La situazione precipita quando l'esercito di Erdogan entra in Siria, disposto a tutto pur di fermarli. È il 2016: la Turchia sembra preferire le bestie del Daesh al confederalismo democratico del PKK; secondo Ankara il vero terrorista è ancora una volta Öcalan, non il sedicente Califfo e i suoi uomini incappucciati.
Nell'ultimo villaggio da liberare il Daesh è accerchiato e i Curdi vincono molto in fretta. Ma gli ultimi due colpi della barbarie colpiscono un braccio e un fianco di Avesta. Gli organi vitali non sono compromessi ma sta perdendo tanto, troppo sangue. Un altro comandante la carica di corsa su una jeep. Le mine intorno a Mexmur sono l'accoglienza irachena ai Curdi in fuga dalla Turchia, per non farli andare troppo in giro fuori dal campo: la jeep salta proprio su una di queste. Quando Avesta viene messa sulla seconda jeep ha già perso i sensi. Nella Mexmur liberata dove la aspettavano le cure mediche e i festeggiamenti per la vittoria non fa in tempo ad arrivare.
Fonti
Marco Rovelli, La guerriera dagli occhi verdi
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Muriel Siebert
di Ester Rizzo
E’ nata a Cleveland il 12 settembre 1928. Ha frequentato la Western Reserve University per due anni, dovendo poi abbandonare gli studi per dare assistenza al padre malato.
Quando si trasferì a New York, nel 1954, fu assunta come tirocinante nella società di investimenti Bache & Company, percependo un salario di sessantacinque dollari a settimana. Dopo aver lavorato per diverse società di intermediazione finanziaria denunciò che i colleghi maschi guadagnavano di più, a parità di mansioni svolte, e le fu consigliato che per ottenere un salario paritario avrebbe dovuto “comprarsi” un posto al New York Stock Exchange.
Così fece, diventando la prima donna a Wall Street ad acquistare, nel 1967, un desk al New York Stock Exchange, unica donna fra 1.365 uomini. Nel 1969 diventò inoltre la prima donna a guidare una società di investimento, la Muriel Siebert & Company, stabilendo che metà dei profitti della sua società dovessero essere donati in beneficenza ad altre donne per aiutarle ad iniziare la loro attività in finanza.
Negli anni Settanta lottò contro le "abitudini sessiste" dell’ambiente finanziario di Manhattan. Una volta, addirittura, non le fu permesso di usare l'ascensore proprio perché donna.
Dal 1977 al 1982 fu sovrintendente del sistema bancario dello Stato di New York.
Nel 1987 per ottenere "un bagno femminile" al settimo piano del New York Stock Exchange, minacciò di installare una toilette portatile.
Per tutta la vita condannò pubblicamente le politiche discriminatorie degli ambienti di lavoro legati alla finanza.
Ha ricevuto diciassette lauree ad honorem.
Nel 2007, a quaranta anni dalla conquista del suo “desk”, suonò la campanella a Wall Street alla fine delle contrattazioni.
Ammalatasi di cancro, è morta il 26 agosto 2013 ad 84 anni in un ospedale di Manhattan.
E' stata definita una pioniera della finanza a stelle e strisce.
Fonti
http://america24.com/news/wall-street-26-08-2013/59062
http://www.ilpost.it/2013/08/28/muriel-siebert/
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