Se nel precedente itinerario sivigliano hanno predominato le intitolazioni stradali legate alla sfera del sacro, per questo ultimo percorso cittadino, mondo religioso e mondo laico di intrecciano saldamente.
Si parte da Plaza de Santa Isabel il cui nome ricorda l’omonimo monastero fondato da Doña Isabel de León nel 1490 per accogliere le suore dell’ordine di San Juan. Parte dell’edificio divenne in seguito un carcere femminile, successivamente trasformato in Casa de Arrepentidas (pentite) che accolse le donne che avevano abbandonato prostituzione. Per loro si apriva la possibilità di una nuova esistenza, spesso attraverso il matrimonio che poteva garantire uno status sociale accettato e riconosciuto.
Anche in Spagna, come in Italia, i monasteri sono state per secoli istituzioni largamente diffuse; in molti casi erano la destinazione obbligata per tutte quelle figlie per le quali non si voleva o non si poteva pagare una dote matrimoniale. La dote prevista per l’inserimento di una giovane nel monastero era molto inferiore rispetto a quelle per le nozze, anche le famiglie aristocratiche guardavano con occhio favorevole la vita claustrale che consentiva di non frazionare e dissipare il patrimonio, lasciandolo il più possibile intatto al primogenito. La monacazione forzata è stata una triste realtà per molto tempo, se una donna non poteva diventare la sposa di un uomo, doveva diventare sposa di Dio. Il nubilato era una “non condizione” esistenziale, un limbo non solo riprovevole agli occhi del mondo ma considerato un inutile dispendio economico per la famiglia. Recinti obbligati, luoghi per esercitare “il controllo sociale” delle donne ‒ scrive Gabriella Zarri ‒ i conventi sono stati anche luoghi di cultura, dove venivano educate le giovani aristocratiche, dove le suore realizzavano notevoli opere di ricamo, di pittura, di scrittura, di musica e dove le religiose più ricche intervenivano come committenti di pregevoli arredi sacri, di importanti lavori di ampliamento, restauro e abbellimento.
Calle Santa Catalina dà il nome dalla chiesa omonima. Si tratta di un edificio del Trecento costruito sui resti di una moschea come spesso è accaduto nella storia di Siviglia.
Poco lontano un’altra strada celebra la memoria di Santa Angela della Cruz, fondatrice nel 1875 delle Sorelle della Compagnia della Croce, una congregazione dedita alla cura delle persone bisognose e povere. Il vero nome della religiosa era Maria de los Angeles Guerrero Gonzales ed era nata a Siviglia nel 1846, in una famiglia di modeste condizioni.
Mescolando sacro e profano, l’odonomastica della zona ricorda Marcedes de Velilla, nata a Siviglia nel 1852 e cresciuta in un ambiente colto dove ebbe modo di formarsi. Mercedes è riconosciuta come una delle principali esponenti del movimento letterario andaluso della seconda metà del XIX secolo.
Siviglia ha un’altra figlia importante celebrata, non lontano da qui, con una statua in bronzo posta su un piedistallo in marmo. Si tratta del mezzobusto di Pastora Imperio, danzatrice di flamenco figlia di una gitana, anche lei ballerina, e di un sarto che realizzava gli abiti per i toreri.
Pastora, che viene considerata la più illustre rappresentante della danza flamenca di tutti i tempi, era nata a Siviglia nel 1887 e debuttò sul palcoscenico a soli 10 anni. Nel corso della sua carriera, ricca di successi e di fama, intensa e duratura se si pensa che il ritiro definitivo dalle scene è del 1962, Pastora è stata artista completa, ballerina, cantante, attrice ma sempre del folclore spagnolo. Così la descrive lo scrittore e giornalista spagnolo Ramón Pérez de Ayala, dopo aver assistito a uno dei suoi primi spettacoli: “Era solo una ragazzina, una bambina energica. Arrivava sul palco vestita di rosso: abito, pantaloncino, calze e scarpe. Fiori rossi fra i capelli. Una fiammata. Iniziò a ballare. Tutto divenne furore e vertigine; allo stesso tempo, tutto era ritmico e misurato. In mezzo a quella spirale di movimenti, qualcosa di fisso capta l’attenzione, sono due pietre preziose, due enormi e infuocati smeraldi: i suoi occhi. Gli occhi verdi captavano e fissavano lo sguardo dello spettatore.” La statua raffigura Pastora mentre con le braccia alzate sembra cominciare una danza; riecheggiano le parole di due commediografi sivigliani, Serafín e Joaquin Álvarez Quintero: “[…] ostentazione di eleganza e grazia, inizia la danza da disegnare con braccio forte e armonioso”.
Il ponte sul Guadalquivir non lontano da qui è dedicato a Isabel II, la prima regina di Spagna, visto che Isabella la Cattolica ebbe la corona solo di Castiglia.
Salì al trono nel 1833 grazie ad una legge emanata dal padre Ferdinando VII che modificava il sistema tradizionale di successione e permetteva, in mancanza di eredi maschi, la possibilità di incoronare una donna; essendo però ancora una bambina fu nominata sua reggente la madre Maria Cristina di Borbone-Due Sicilie. L’incoronazione ufficiale si ebbe nel 1843 quando Isabel, a soli 13 anni, fu dichiarata maggiorenne; a sedici anni le fu imposto il matrimonio con il cugino Francesco d’Assisi Borbone Parma, un uomo che lei non riuscì ad amare né apprezzare. La regina vide aumentare il potere del Parlamento rispetto all’istituzione monarchica e anche la disgregazione di parte del territorio d’oltreoceano, con alcune possedimenti coloniali che raggiunsero l’indipendenza; durante il suo regno, però, la Spagna visse un periodo di modernizzazione grazie alla costruzione di molte industrie, la riapertura delle università (ritenute dal padre Ferdinando VII solo un covo di pericolosi sovversivi) e la costruzione di una vasta rete ferroviaria. Dopo la rivoluzione chiamata “La Gloriosa”, Isabella II fu costretta all’esilio in Francia e da lì, nel 1870 con l’abdicazione, lasciò la corona al figlio Alfonso XII. Non tornò più in Spagna, morì a Parigi nel 1904; le sue spoglie furono rimpatriate e sepolte nel monastero dell’Escorial accanto agli altri sovrani regnanti, mentre il suo non amato marito già due anni prima aveva trovato sepoltura insieme alle regine consorti.
Costeggiando il fiume lungo il Paseo de Cristóbal Colón si giunge alla Plaza de Toros. La annuncia sorprendentemente un monumento equestre femminile che sembra aspettarci e guidarci all’interno dell’arena, luogo maschile per eccellenza fino a pochi anni fa.
La statua, ricorda la scritta posta intorno all’alto basamento, raffigura la Contessa di Barcellona, María Mercedes di Borbone – Due Sicilie, madre del ex re Juan Carlos e nonna dell’attuale re Felipe VI. Una donna non sivigliana che, dicono le fonti, amò profondamente questa città in cui visse dall’età di otto anni fino al momento dell’esilio nel 1935.
Un’altra sivigliana di adozione è Antonia Diaz, scrittrice e poeta nata nel 1827. A lei è stata dedicata una strada che costeggia un lato dell’arena. Antonia Diaz ricevette un’educazione tradizionale, tutta rivolta a impartirle regole per diventare una buona madre e una devota moglie. Se è diventata una scrittrice lo si deve alla sua tenacia e alla sua volontà e al fatto che cominciò a consultare e studiare i libri della biblioteca paterna. Come spesso accade, la sua carriera di scrittrice si scontrò con quella del marito, il poeta José Lamarque de Novoa, che ebbe sempre un ruolo di maggior rilievo rispetto a lei.
Il primo percorso toponomastico di Siviglia era iniziato con la figura di Carmen e con Carmen ora si chiude anche questo itinerario. Attraversato il paseo de Cristóbal Colón si trova ancora una volta la famosa gitana raffigurata in una statua bronzea, energica, audace, sicura come tante volte l’abbiamo immaginata ascoltando la musica di Bizet.
Camminando per le vie di Siviglia ho incontrato più di un’opera scultorea dedicata a un personaggio femminile, reale o di fantasia non importa. Un fatto poco usuale da noi.
Viene spontaneo fare un confronto e mi domando: quante statue femminili si trovano a Roma? Penso alle tante sirene o Naiadi o Muse o altre figure allegoriche che decorano fontane anche imponenti, ma è una cosa diversa. Ripenso all’erma dedicata a Colomba Antonietti al Gianicolo, ai busti marmorei dedicati a Santa Caterina, Vittoria Colonna e Grazia Deledda al Pincio, collocati in mezzo a così tanti ritratti marmorei maschili che quasi sfuggono alla nostra attenzione; mi torna in mente il monumento equestre ad Anita Garibaldi al Gianicolo, posto un po’ più in basso rispetto alla statua del marito.
Mi sembra che qui a Siviglia, invece, le statue femminili siano accolte nella città e la loro scoperta mi ha davvero colpito: mi sembrano presenze vive, immerse nella vita urbana e quotidiana con una naturalezza che sorprende.
Sarebbe bello incontrare anche nelle nostre vie, girato un angolo, la figura di una scrittrice, di una danzatrice, di una nobildonna, di una politica a ricordare che le donne nella storia ci sono state.
Anche in Spagna, come in Italia, i monasteri sono state per secoli istituzioni largamente diffuse; in molti casi erano la destinazione obbligata per tutte quelle figlie per le quali non si voleva o non si poteva pagare una dote matrimoniale. La dote prevista per l’inserimento di una giovane nel monastero era molto inferiore rispetto a quelle per le nozze, anche le famiglie aristocratiche guardavano con occhio favorevole la vita claustrale che consentiva di non frazionare e dissipare il patrimonio, lasciandolo il più possibile intatto al primogenito. La monacazione forzata è stata una triste realtà per molto tempo, se una donna non poteva diventare la sposa di un uomo, doveva diventare sposa di Dio. Il nubilato era una “non condizione” esistenziale, un limbo non solo riprovevole agli occhi del mondo ma considerato un inutile dispendio economico per la famiglia. Recinti obbligati, luoghi per esercitare “il controllo sociale” delle donne ‒ scrive Gabriella Zarri ‒ i conventi sono stati anche luoghi di cultura, dove venivano educate le giovani aristocratiche, dove le suore realizzavano notevoli opere di ricamo, di pittura, di scrittura, di musica e dove le religiose più ricche intervenivano come committenti di pregevoli arredi sacri, di importanti lavori di ampliamento, restauro e abbellimento.
Calle Santa Catalina dà il nome dalla chiesa omonima. Si tratta di un edificio del Trecento costruito sui resti di una moschea come spesso è accaduto nella storia di Siviglia.
Poco lontano un’altra strada celebra la memoria di Santa Angela della Cruz, fondatrice nel 1875 delle Sorelle della Compagnia della Croce, una congregazione dedita alla cura delle persone bisognose e povere. Il vero nome della religiosa era Maria de los Angeles Guerrero Gonzales ed era nata a Siviglia nel 1846, in una famiglia di modeste condizioni.
Mescolando sacro e profano, l’odonomastica della zona ricorda Marcedes de Velilla, nata a Siviglia nel 1852 e cresciuta in un ambiente colto dove ebbe modo di formarsi. Mercedes è riconosciuta come una delle principali esponenti del movimento letterario andaluso della seconda metà del XIX secolo.
Siviglia ha un’altra figlia importante celebrata, non lontano da qui, con una statua in bronzo posta su un piedistallo in marmo. Si tratta del mezzobusto di Pastora Imperio, danzatrice di flamenco figlia di una gitana, anche lei ballerina, e di un sarto che realizzava gli abiti per i toreri.
Pastora, che viene considerata la più illustre rappresentante della danza flamenca di tutti i tempi, era nata a Siviglia nel 1887 e debuttò sul palcoscenico a soli 10 anni. Nel corso della sua carriera, ricca di successi e di fama, intensa e duratura se si pensa che il ritiro definitivo dalle scene è del 1962, Pastora è stata artista completa, ballerina, cantante, attrice ma sempre del folclore spagnolo. Così la descrive lo scrittore e giornalista spagnolo Ramón Pérez de Ayala, dopo aver assistito a uno dei suoi primi spettacoli: “Era solo una ragazzina, una bambina energica. Arrivava sul palco vestita di rosso: abito, pantaloncino, calze e scarpe. Fiori rossi fra i capelli. Una fiammata. Iniziò a ballare. Tutto divenne furore e vertigine; allo stesso tempo, tutto era ritmico e misurato. In mezzo a quella spirale di movimenti, qualcosa di fisso capta l’attenzione, sono due pietre preziose, due enormi e infuocati smeraldi: i suoi occhi. Gli occhi verdi captavano e fissavano lo sguardo dello spettatore.” La statua raffigura Pastora mentre con le braccia alzate sembra cominciare una danza; riecheggiano le parole di due commediografi sivigliani, Serafín e Joaquin Álvarez Quintero: “[…] ostentazione di eleganza e grazia, inizia la danza da disegnare con braccio forte e armonioso”.
Il ponte sul Guadalquivir non lontano da qui è dedicato a Isabel II, la prima regina di Spagna, visto che Isabella la Cattolica ebbe la corona solo di Castiglia.
Salì al trono nel 1833 grazie ad una legge emanata dal padre Ferdinando VII che modificava il sistema tradizionale di successione e permetteva, in mancanza di eredi maschi, la possibilità di incoronare una donna; essendo però ancora una bambina fu nominata sua reggente la madre Maria Cristina di Borbone-Due Sicilie. L’incoronazione ufficiale si ebbe nel 1843 quando Isabel, a soli 13 anni, fu dichiarata maggiorenne; a sedici anni le fu imposto il matrimonio con il cugino Francesco d’Assisi Borbone Parma, un uomo che lei non riuscì ad amare né apprezzare. La regina vide aumentare il potere del Parlamento rispetto all’istituzione monarchica e anche la disgregazione di parte del territorio d’oltreoceano, con alcune possedimenti coloniali che raggiunsero l’indipendenza; durante il suo regno, però, la Spagna visse un periodo di modernizzazione grazie alla costruzione di molte industrie, la riapertura delle università (ritenute dal padre Ferdinando VII solo un covo di pericolosi sovversivi) e la costruzione di una vasta rete ferroviaria. Dopo la rivoluzione chiamata “La Gloriosa”, Isabella II fu costretta all’esilio in Francia e da lì, nel 1870 con l’abdicazione, lasciò la corona al figlio Alfonso XII. Non tornò più in Spagna, morì a Parigi nel 1904; le sue spoglie furono rimpatriate e sepolte nel monastero dell’Escorial accanto agli altri sovrani regnanti, mentre il suo non amato marito già due anni prima aveva trovato sepoltura insieme alle regine consorti.
Costeggiando il fiume lungo il Paseo de Cristóbal Colón si giunge alla Plaza de Toros. La annuncia sorprendentemente un monumento equestre femminile che sembra aspettarci e guidarci all’interno dell’arena, luogo maschile per eccellenza fino a pochi anni fa.
La statua, ricorda la scritta posta intorno all’alto basamento, raffigura la Contessa di Barcellona, María Mercedes di Borbone – Due Sicilie, madre del ex re Juan Carlos e nonna dell’attuale re Felipe VI. Una donna non sivigliana che, dicono le fonti, amò profondamente questa città in cui visse dall’età di otto anni fino al momento dell’esilio nel 1935.
Un’altra sivigliana di adozione è Antonia Diaz, scrittrice e poeta nata nel 1827. A lei è stata dedicata una strada che costeggia un lato dell’arena. Antonia Diaz ricevette un’educazione tradizionale, tutta rivolta a impartirle regole per diventare una buona madre e una devota moglie. Se è diventata una scrittrice lo si deve alla sua tenacia e alla sua volontà e al fatto che cominciò a consultare e studiare i libri della biblioteca paterna. Come spesso accade, la sua carriera di scrittrice si scontrò con quella del marito, il poeta José Lamarque de Novoa, che ebbe sempre un ruolo di maggior rilievo rispetto a lei.
Il primo percorso toponomastico di Siviglia era iniziato con la figura di Carmen e con Carmen ora si chiude anche questo itinerario. Attraversato il paseo de Cristóbal Colón si trova ancora una volta la famosa gitana raffigurata in una statua bronzea, energica, audace, sicura come tante volte l’abbiamo immaginata ascoltando la musica di Bizet.
Camminando per le vie di Siviglia ho incontrato più di un’opera scultorea dedicata a un personaggio femminile, reale o di fantasia non importa. Un fatto poco usuale da noi.
Viene spontaneo fare un confronto e mi domando: quante statue femminili si trovano a Roma? Penso alle tante sirene o Naiadi o Muse o altre figure allegoriche che decorano fontane anche imponenti, ma è una cosa diversa. Ripenso all’erma dedicata a Colomba Antonietti al Gianicolo, ai busti marmorei dedicati a Santa Caterina, Vittoria Colonna e Grazia Deledda al Pincio, collocati in mezzo a così tanti ritratti marmorei maschili che quasi sfuggono alla nostra attenzione; mi torna in mente il monumento equestre ad Anita Garibaldi al Gianicolo, posto un po’ più in basso rispetto alla statua del marito.
Mi sembra che qui a Siviglia, invece, le statue femminili siano accolte nella città e la loro scoperta mi ha davvero colpito: mi sembrano presenze vive, immerse nella vita urbana e quotidiana con una naturalezza che sorprende.
Sarebbe bello incontrare anche nelle nostre vie, girato un angolo, la figura di una scrittrice, di una danzatrice, di una nobildonna, di una politica a ricordare che le donne nella storia ci sono state.