L’unione tra Anna Maria Luisa e Giovanni Guglielmo è un’unione serena, nel complesso felice: moglie e marito sono accumunati dall’interesse per l’arte, per la musica e la cultura in genere: Purtroppo anche la coppia resterà senza eredi decretando la fine di Casa Medici.
Sir Horace Mann, console britannico presso la corte del Granducato di Toscana, annota che il giorno della morte di Anna Maria Luisa de’ Medici, il 17 febbraio 1743, Firenze viene colpita da venti fortissimi: “[…] l’Elettrice è morta un’ora fa; […] È voce popolare che se ne è andata in una bufera di vento; ce n’è stata una violentissima stamani, e ha durato per circa due ore, e ora il sole risplende come prima”. Le persone indigenti, dimenticate dal testamento, sono convinte “che il diavolo è venuto a prenderla in quel temporale che scoppiò così improvvisamente quando stava per morire, e si calmò al momento del trapasso“: sembra quasi che la natura colga l’aspetto tragico dell’evento. Anna Maria Luisa lascia questo mondo nei giorni di Carnevale, la città tutta presa dai festeggiamenti si deve fermare per permettere le onoranze funebri e non senza mugugni e malumori. Sempre Sir Horace scrive: “Tutta la nostra allegria è finita, il carnevale è rovinato, e bisogna rinunciare a tutti i progetti di mascherate; […] molti sarebbero stati meno addolorati se avesse campato fino al principio della Quaresima”. Ha la vista corta Firenze, non comprende che l’ultima erede Medici l’ha trasformata in una delle città più conosciute al mondo, una città che può anche far male per la troppa bellezza delle sue opere d’arte. Molte di quelle opere sono state create per volontà delle sue antenate e dei suoi antenati e Anna Maria Luisa de’ Medici, orgogliosa della sua dinastia e del suo cognome, stringe l’ultimo inscindibile legame fra la famiglia Medici e quella che ritiene la città più bella al mondo. Negli anni vissuti in Germania, pur visitando molti centri urbani e apprezzandone le attrattive, ha continuato a pensare che per “voler che queste città paressero belle, bisognerebbe non essere nata a Firenze” e il suo ricordo, forse a tratti malinconico, non l’abbandona mai.
Dall’amore intenso per la sua città e dallo spirito fiero di sentirsi una Medici, nasce il “Patto di famiglia”, una convenzione stipulata nel 1737 da Anna Maria Luisa con la casa Asburgo – Lorena destinata a succedere alla sua famiglia nel governo del granducato. Con questo accordo la mente acuta e lungimirante della principessa “cede, dà e trasferisce al presente a S.A.R. per Lui, e i Suoi Successori Gran Duchi, tutti i Mobili, Effetti e Rarità della successione del Serenissimo Gran Duca suo fratello, come Gallerie, Quadri, Statue, Biblioteche, Gioie ed altre cose preziose, siccome le Sante Reliquie e Reliquiari, e loro Ornamenti della Cappella del Palazzo Reale, che S.A.R. (SUA ALTEZZA REALE) si impegna di conservare, a condizione espressa che di quello [che]è per ornamento dello Stato, per utilità del pubblico e per attirare la curiosità dei Forestieri, non ne sarà nulla trasportato, o levato fuori della Capitale, e dello Stato del Gran Ducato”. Molto tempo prima delle moderne leggi di conservazione, tutela e salvaguardia del patrimonio culturale, Anna Maria Luisa de’ Medici sa che quelle opere “sono” Firenze e che Firenze “è” quelle opere, allora come ora. Sono oggetti appartenuti alla sua casata, sono stati creati per volontà e passione della famiglia Medici e ora che la famiglia non esiste più Anna Maria Luisa, caparbiamente, li lega per sempre alla città. Vincola quei preziosi tesori artistici a Firenze e alla sua storia preoccupandosi che non vengano dispersi, come è accaduto a molte altre collezioni, nei mille rivoli delle successioni dinastiche o nel vuoto dovuto all’estinzione del casato. Viene da domandarsi quante e quanti fra le/i moltissime/i turiste/i di oggi conoscano la storia di questa donazione preziosa che ha scritto molta parte dell’identità, della storia e della realtà del capoluogo toscano.
Degna erede delle più grandi personalità della dinastia medicea, Anna Maria Luisa de Medici è figlia di una delle coppie più infelici e male assortite che le strategie matrimoniali abbiano unito: Cosimo III e Margherita Louise d’Orleans. Viene allevata dalla nonna materna Vittoria della Rovere, lontana dalla madre che lascia la Toscana per la Francia quando la bambina ha solo 8 anni; il padre Cosimo ama profondamente la figlia e il loro legame rimarrà sempre saldo e vivo. La piccola riceve un’educazione rigorosa dal punto di vista religioso e dal punto di vista culturale: studia il latino, le lingue moderne, ama la musica, sa cantare e la sua voce è intonata e dai toni limpidi; vivendo in mezzo ai tesori d’arte della sua famiglia conosce e apprezza la pittura, la scultura e l’architettura e questo le permetterà di diventare un’attenta e raffinata committente.
Per Anna Maria Luisa il padre cerca un matrimonio importante che dia lustro al nome Medici, ma le risorse economiche si sono ridotte e alla fine le trattative si svolgono con il principe elettore del Palatinato-Neuburg Giovanni Guglielmo, vedovo e più grande di lei, che riesce a ottenere per il futuro suocero il titolo di Altezza reale. Le nozze sono celebrate per procura alla fine di aprile del 1691 e all’inizio di maggio la giovane principessa lascia la Toscana per trasferirsi nei possedimenti del marito in Germania. L’unione tra Anna Maria Luisa e Giovanni Guglielmo è un’unione serena, nel complesso felice: moglie e marito sono accumunati dall’interesse per l’arte, per la musica e la cultura in genere; feste, spettacoli teatrali, balletti, concerti animano le giornate nella nuova corte tedesca che, se non è nella sua amata Firenze, ha il vantaggio di essere lontana dalle liti, dalle tensioni, dalle beghe e gli alterchi della sua complicata famiglia. I contatti con i parenti rimangono vivi perché Anna Maria Luisa scrive spesso loro, soprattutto al padre, allo zio Francesco Maria, si interessa dei problemi della dinastia, preoccupata anche lei che il sipario si chiuda per sempre sul casato mediceo. È l’Elettrice palatina che agisce in modo diretto per far sposare il fratello Gian Gastone con la ruvida Anna Maria Francesca di Sassonia, è sempre lei a chiedere allo zio Francesco Maria l’arrivo del “cuginino” tanto desiderato.
Anche il suo matrimonio è senza eredi e ciò rende ancora più vano il tentativo di Cosimo III di ottenere la successione del titolo per la figlia e scongiurare in questo modo la fine della dinastia; saranno poi le grandi potenze a opporsi alla nomina di Anna Maria Luisa come erede al trono del granducato.
Quando l’Elettrice palatina un anno dopo la morte del marito, avvenuta nel 1716, fa rientro in Italia, viene accolta dal padre con molto affetto e gioia, con astio e rancore dal fratello Gian Gastone che la considera responsabile delle sue disgrazie matrimoniali; Anna Maria Luisa torna a Firenze l’orgoglio e il forte senso di appartenenza alla famiglia, assume il ruolo di prima donna del granducato che subito determina il conflitto con la cognata Violante di Baviera, vedova del principe Ferdinando: la nomina di Violante a Governatrice di Siena allontana dalla corte lo scoppio di nuove tempeste.
La vita di Anna Maria Luisa ora è meno mondana del passato, tutta rivolta alla fede, alle attenzioni per il padre, alle opere di beneficenza e di carità: le cronache riferiscono che, durante un soggiorno a Pisa, sa rimboccarsi le maniche, indossare un grembiule e attivamente svolgere i compiti da infermiera curando le persone malate. Le rimane però il gusto per le cose belle e preziose, per i gioielli e le opere d’arte, vuole completare alcuni lavori architettonici rimasti incompiuti come la facciata e il campanile della chiesa di San Lorenzo, le Cappelle medicee, mausoleo della sua famiglia. Dopo la morte di Cosimo III sceglie di vivere fuori Firenze, nella villa La Quiete: la convivenza con il fratello, l’ultimo granduca, si fa difficile. La principessa è comunque figura presente nella corte fiorentina e alla morte di Gian Gastone, nel 1737, è accanto al suo letto raccolta in preghiera.
Secondo quanto stabilito, con l’estinzione del casato Medici il Granducato di Toscana passa sotto il controllo del duca di Lorena; ad Anna Maria Luisa vanno i possedimenti allodiali, le opere d’arte, le proprietà nel Ducato d’Urbino, eredità della nonna Vittoria della Rovere, oltre ad un’ingente somma di denaro. Le viene concesso di rimanere a vivere negli ambienti di Palazzo Pitti, un tempo dimora della sua famiglia, come un’ospite: la sua stanza, dicono le testimonianze, ha un arredamento con mobili “d’argento: tavole, sedie, panchetti, paraventi. Più ricca, singolare, straordinaria […] che bella”.
Intelligente, colta e determinata come è, deve aver vissuto l’ultimo periodo della sua vita con un velo di amarezza: tocca a lei chiudere definitivamente il sipario sulla dinastia Medici e allo stesso tempo, con il “Patto di famiglia” acutamente pensato e tenacemente voluto, tenerla legata eternamente a Firenze.