Giuditta Pasta
Nota con il cognome del marito, l'avvocato e tenore Giuseppe Pasta, Giuditta Maria Costanza Negri è forse la più celebre cantante lirica del XIX secolo.
Nacque a Saronno nel 1798 e studiò presso il Conservatorio di Milano.
Il suo esordio come contralto non fu certo un successo ma di una voce inizialmente limitata e debole, che presentava difetti di omogeneità, attraverso uno studio tenace e instancabile, riuscì a valorizzarne perfino gli aspetti negativi e a trasformarla in una voce dall'eccezionale estensione (dal la grave al re sovracuto). Tale particolare caratteristica fece di lei l'interprete ideale delle prime opere di Vincenzo Bellini, mentre la musica scritta appositamente da Bellini per la cantante (la Sonnanbula e Norma) si rivelò particolarmente adatta a metterne in risalto le peculiarità.
Donizetti compose per lei l'Anna Bolena e Giovanni Pacini la Niobe.
Cantò nei principali teatri d'Italia e d'Europa, facendosi apprezzare, oltre che per l'estensione della sua voce, per l'espressività drammatica delle interpretazioni e il forte temperamento.
Nel 1848 appoggiò i patrioti italiani durante i moti rivoluzionari delle Cinque Giornate di Milano; avuta notizia della vittoria degli insorti, il 22 marzo si recò con un manipolo di fedelissimi sul colle di Brunate, dove piantò la bandiera tricolore e intonò l'inno dell'Italia libera.
Morì a Como nel 1865.
di Clara Campari
Palma Bucarelli
“Regina di quadri” la definì Indro Montanelli che di lei disse: «Quello che non sarebbe riuscito ad un uomo ... riuscì a Palmina ... questa ragazza dal volto pallidissimo e dagli occhi verdi imperativi, difese il patrimonio che le era stato affidato con la tenacia di un mastino».
Era nata a Roma nel 1910; all’università fu allieva di Adolfo Venturi e Piero Toesca e compagna di studi di Giulio Carlo Argan.
Divenne ispettrice alla Galleria Borghese a soli 23 anni. Bella, mondana, all’avanguardia nel pubblico e nel privato, prima sovrintendente donna in un empireo di maschi, assunse la direzione della Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma nel luglio del ’41, quando l’Italia era già in guerra; salvò le maggiori opere nascondendole nel Palazzo Farnese di Caprarola e a Castel Sant’Angelo.
In più di trent’anni di attività (fino al 1975) sistemò con criteri moderni la Galleria, che perse il suo ruolo di contenitore per diventare punto di incontro aperto agli artisti e al pubblico, luogo privilegiato per conferenze, manifestazioni, mostre con un occhio particolare alla didattica.
Amata e odiata, soprattutto dai figurativi per la sua predilezione verso l'astrattismo, espose Burri e Manzoni meritandosi un'interrogazione parlamentare; sostenne giovani come Pino Pascali, Jannis Kounellis e Michelangelo Pistoletto.
Tappe memorabili furono le grandi mostre di Picasso nel '53, Mondrian nel '56, Pollock nel '58.
Morì a Roma nel 1998 e il Comune le ha intitolato una strada nei pressi della “sua” galleria.
di Livia Capasso
Saveria Antiochia
«La lotta contro sé stessi: ecco il vero cuore della lotta alla mafia. Battere la rassegnazione, la stanchezza, la paura.»
Queste parole di Saveria Antiochia rispecchiano fedelmente la sua vita, dal giorno in cui suo figlio Roberto, agente di scorta del questore palermitano Ninni Cassarà, muore con lui nell’agguato mafioso del 6 agosto 1985. È allora che Saveria prende carta e penna e scrive un’appassionata lettera di denuncia al Ministro dell’Interno, stigmatizzando le connivenze, l’omertà e la latitanza di uno Stato che, delegando la lotta alla mafia all’iniziativa di poche persone coraggiose, le condanna di fatto al massacro: parole che cadono come proiettili e che attirano su Saveria non poche critiche. Ma lei non se ne cura e continua la sua dignitosa battaglia.
Lo stesso anno fonda con Nando dalla Chiesa il circolo milanese ‘Società civile’; in seguito partecipa al Coordinamento antimafia. Durante la “primavera di Palermo” viene eletta consigliera comunale indipendente e, nel 1995, collabora alla creazione di “Libera”, rete di associazioni antimafia che oggi conta almeno 800 realtà.
Nei processi per la strage di Palermo, Saveria siede al banco dei testimoni e accusa duramente mandanti ed esecutori: tra di essi c’è Totò Riina, che per questo crimine sarà condannato all’ergastolo.
Saveria si spegne a Roma il 12 marzo 2001, a 79 anni: per ironia del destino, lo stesso giorno viene revocato il carcere duro a Riina e ai magistrati palermitani vengono tolte le scorte.
di Anna Altobelli