Susanna Horenbout
Sara Balzerano

Viola Gesmundo

 

Inghilterra, XVI secolo.

La corte di Enrico VIII è un ambiente, nell’Europa di questa nuova epoca moderna, tra i più folli e torbidi. La dinastia Tudor siede sul trono del regno da meno di venticinque anni, dalla fine della Guerra delle due Rose, e questa infanzia di potere ha creato, nella testa del re, un teatro di intrighi, congiure e tradimenti per cui, anche con il minimo sospetto, si finisce per conoscere la mano del boia. Le pretese avanzate dalle antiche famiglie nobiliari, che possono vantare un lignaggio risalente a Guglielmo il Conquistatore, fanno sentire Enrico sotto costante scacco. E dunque, nelle caselle bianche e nere che è egli stesso a comandare, cavalli, torri, alfieri, semplici pedoni, o regine, cadono inesorabilmente, insieme alle loro teste, anche per un semplice quanto infondato sospetto. Muoversi su una tale plancia richiede abilità e scaltrezza, intelligenza e spirito di adattamento. Chiunque può avanzare. Chiunque, con la stessa velocità, può venir fagocitato dalla scure capitale. Ed è in questo esatto ambiente che vive e opera Susanna Horenbout, destreggiandosi tra regine amate e cadute in disgrazia, riuscendo a rimanere comunque una delle artiste più apprezzate dal sovrano, una delle iniziatrici della tradizione dei ritratti miniati in Inghilterra.

Nata nell’allora contea delle Fiandre, probabilmente in Belgio, nella cittadina di Gand, intorno al 1503, Horenbout è quella che si dice una figlia d’arte. Suo padre Gerard, infatti, non solo gestisce una bottega nella quale lei e il fratello Lucas apprendono il mestiere, ma è talmente abile nel proprio lavoro da ottenere il ruolo di artista di corte presso Margherita d’Austria. L’uomo, inoltre, lavora alle miniature del Libro d’Ore Sforza, un volume di preghiere commissionato in principio da Bona di Savoia, vedova del Signore di Milano, Galeazzo Maria Sforza, e poi proseguito per volontà della nobildonna asburgica. Com’era solito avvenire all’epoca, non si ha la certezza che tutte le miniature siano state eseguite da Gerard Horenbout: le opere realizzate all’interno di un laboratorio venivano attribuite al maestro, rendendo così difficili le future assegnazioni. Molto probabilmente, sia Lucas che Susanna lavorano in prima persona al Libro d’Ore Sforza.

Certo è che Susanna è già un’artista di livello. Nel 1521, infatti, Albrecht Dürer acquista da lei, per un fiorino, un'immagine di Cristo Salvatore, scrivendo poi entusiasta del fatto che l’autrice sia una donna:«È davvero meraviglioso che il quadro di una donna sia così bello» (Ist ein gross Wunder, das ein Weibsbild also viel machen soll). Secondo Kathleen E. Kennedy, professora associata in Studi Medievali dell’Università di Bristol, lo stupore del grande autore fiammingo non è relativo al genere dell’artista quanto alla sua giovane età. Nella prima metà del Cinquecento, intorno agli anni Venti, l’intera famiglia Horenbout si trasferisce in Inghilterra, chiamata, presso la corte Tudor, dal cardinale Wolsey. Wolsey, figlio di un macellaio, è uno di quegli homines novi di cui Enrico VIII ama circondarsi e che rappresentano il tentativo di creare una legittimità posticcia, o comunque innovativa, che metta a tacere le voci e le critiche verso questa dinastia minore che è riuscita ad agguantare il potere. Il cardinale ha un profondo amore per l’arte, e lo stesso Enrico VIII ha tutto l’interesse a intraprendere un mecenatismo che funga da cassa di risonanza per la sua casata. Sarà quello che farà sua figlia, Elisabetta I, con William Shakespeare; è ciò che fa lui, ad esempio, con gli Horenbout, specializzati nella tecnica della miniatura, tecnica che, nell’idea del re, deve essere usata per «rappresentare l'approvazione dei Tudor da parte di Dio come famiglia sovrana dell'Inghilterra».

Nemmeno in terra inglese si hanno notizie certe dell’operato di Susanna. Nel 1529, quando muore la madre Margaret, il suo è l’unico nome della famiglia ad apparire sul memoriale in ottone a lei dedicato. Oltre ad averlo commissionato, si pensa che l’artista ne abbia anche disegnato il modello. A parte questo episodio, le attestazioni di Horenbout non riguardano tanto la sua carriera di pittrice e miniaturista, quanto piuttosto il suo ruolo di dama di corte e segretaria della regina. Fatto questo, stando almeno alle parole della già citata Kathleen E. Kennedy, che si spiega con facilità: Susanna Horenbout è una donna e tanto basta affinché le sue opere, le sue eventuali attribuzioni, vengano fagocitate dal nome del padre prima e del fratello poi. Eppure di lei parla Giorgio Vasari nel capitolo Di diversi artefici fiamminghi, all’interno del trattato Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, del 1568: «Susanna sorella del detto Luca, che fu chiamata perciò ai servigii d’Enrico Ottavo re d’Inghilterra e vi stette onoratamente tutto il tempo di sua vita»; e di lei parla anche Lodovico Guicciardini, discendente del più famoso Francesco, che, nell’opera Descrittione di Lodovico Guicciardini patritio fiorentino di tutti i Paesi Bassi altrimenti detti Germania inferiore del 1566, afferma:

«Susanna sorella di Luca Hutembout prenominato: la quale fu eccellente nella pittura, massime nel fare opere minutissime oltre a ogni credere, et eccellentissima nell'alluminare, in tanto che il gran' Re Henrico ottavo con gran doni et gran provvisione, la tirò in Inghilterra, dove visse molti anni in gran favore, et gratia di tutta la Corte, et ivi finalmente si mori ricca, et honorata.»

Ciò che era dunque evidente alla contemporaneità è stato via via taciuto dal trascorrere del tempo, come se una balbuzie avesse colto la penna stessa della storia. E così, quello che sappiamo con certezza di Susanna Horenbout è che, poco dopo il suo arrivo in Inghilterra, si sposa con John Parker, custode del palazzo di Westminster, addetto al guardaroba e yeoman, coltivatore benestante con piena autonomia sul podere che lavorava. Alla coppia, riportano i documenti, il sovrano regala per il Capodanno 1532-1533 una coppa dorata con coperchio e cucchiai. Queste sue nozze con un uomo di corte sono forse ciò che la introduce nell’ambiente che ruota attorno alla famiglia reale. Sono, però, solo le sue capacità che le permettono di passare indenne attraverso la follia assoluta con la quale Enrico VIII gestisce i suoi matrimoni. Diventa gentildonna al seguito di Jane Seymor, terza moglie del sovrano Tudor. E quando la regina muore di setticemia, undici giorni dopo aver partorito l’unico figlio maschio di Enrico, a breve distanza peraltro dallo stesso Parker, Susanna Horenbout si trova in gravi ristrettezze economiche. Sposa in seconde nozze, il 22 settembre 1539 a Westminster, John Gilman (o Gylmyn), freeman di un'azienda vinicola che, di lì a breve, diventerà sergente del King's Woodyard. Quindici giorni dopo, la donna si reca a Cleves per scortare in Inghilterra la quarta moglie del re, Anna, della quale, forse per la conoscenza della lingua fiamminga, forse per la sua abilità nello svolgere in maniera eccellente anche il lavoro di segretaria, sarà «prima delle sue gentildonne», avendo anche un piccolo gruppo di servitori alle proprie dipendenze.

Intorno al 1540, i Gilman hanno il loro primo figlio, Henry, il cui padrino è lo stesso re. Oltre a Jane Seymor e Anna di Cleves, la vita di corte di Susanna prosegue tra le cerchie di Catherine Parr e, probabilmente, della regina Maria — dalla quale pare abbia ricevuto in dono due iarde di raso nero — fino alla sua morte, avvenuta intorno al 1550. La data precisa non è conosciuta: si sa solo che nel 1554 il marito si risposa. L’afasia del racconto si accontenta di tramandare questo. Non un accenno alla sua tecnica, alla sua bravura, alla sua innovazione. Niente che parli della sua arte. Nessuna opera che porti il suo nome e il suo cognome. Tutto sembra sparito nel nulla. La vita e l’agire di Susanna Horenbout paiono limitarsi al ruolo di dama di corte; al suo essere figlia e sorella di. Eppure i diversi ruoli sanno convivere e potrebbero alimentarsi l’un l’altro. Ne è un esempio la vicenda di Levina Teerlinc. Figlia d’arte anche lei (suo padre, Simon Bening, è un pittore fiammingo di estremo valore), come Susanna impara il mestiere nella bottega paterna. Giunta in Inghilterra, diviene dama di corte sia di Maria I che di Elisabetta I. Pur non avendo sue sicure attribuzioni, abbiamo però notizie di ritratti in miniatura, doni più che commissioni, realizzati per entrambe le sovrane. E nella ricerca, il suo nome è annoverato con chiarezza tra coloro che innovano la tecnica della miniatura inglese.

Cosa è dunque accaduto a Susanna Horenbout nel percorso della memoria che l’ha quasi fatta cadere nell’oblio? Cosa le è mancato? Cosa, è forse più giusto chiedersi, le è stato tolto?

Domande, queste, ovviamente tendenziose.

A ben vedere, il proprio posto Susanna Horenbout se l’è costruito e guadagnato. Ce lo dicono, tra gli altri, Vasari e Guicciardini, Dürer e lo stesso Enrico VIII. Sta quindi a noi, donne e uomini dell’oggi, guardare oltre funzioni e relazioni precostituite per iniziare finalmente a conoscere l’altra parte della Storia. Una parte bellissima, che aspetta solo di essere scoperta, ricordata e raccontata.


Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

 

Angleterre, XVIe siècle.

 La cour d’Henri VIII était, dans l’Europe de cette nouvelle époque moderne, l’un des environnements les plus fous et troublés. La dynastie Tudor occupait le trône du royaume depuis moins de vingt-cinq ans, depuis la fin de la guerre des Deux-Roses, et cette jeunesse du pouvoir avait créé, dans l’esprit du roi, un théâtre d’intrigues, de conspirations et de trahisons où, même avec le moindre soupçon, on finissait par connaître la main du bourreau. Les prétentions des anciennes familles nobles, qui pouvaient se targuer d’une lignée remontant à Guillaume le Conquérant, mettaient Henri sous une pression constante. Et ainsi, sur l’échiquier qu’il commandait lui-même, cavaliers, tours, fous, simples pions ou reines tombaient inexorablement, avec leurs têtes, parfois pour un simple soupçon infondé. Évoluer sur un tel échiquier demandait habileté et ruse, intelligence et esprit d’adaptation. N’importe qui pouvait progresser. N’importe qui, avec la même rapidité, pouvait être dévoré par la hache capitale. C’était dans cet environnement exact que vivait et œuvrait Susanna Horenbout, naviguant entre des reines adulées et tombées en disgrâce, tout en restant l’une des artistes les plus appréciées du souverain, et une des pionnières de la tradition des portraits miniatures en Angleterre.

Née dans l’ancienne province de Flandre, probablement en Belgique, dans la ville de Gand, vers 1503, Horenbout était ce qu’on appelait une fille d’art. Son père, Gérard, non seulement dirigeait un atelier où elle et son frère Lucas apprenaient le métier, mais il était si talentueux qu’il avait obtenu le rôle d’artiste de cour auprès de Marguerite d’Autriche. L’homme travaillait aussi sur les miniatures du Livre d’heures Sforza, un recueil de prières commandé initialement par Bona de Savoie, veuve du seigneur de Milan, Galeazzo Maria Sforza, et poursuivi par la noble autrichienne. Comme c’était souvent le cas à l’époque, il n’y avait aucune certitude que toutes les miniatures aient été réalisées par Gérard Horenbout : les œuvres produites dans un atelier étaient attribuées au maître, rendant ainsi les attributions futures difficiles. Très probablement, Lucas et Susanna travaillaient eux-mêmes sur le Livre d’heures Sforza.

Ce qui était certain, c’est que Susanna était déjà une artiste de haut niveau. En 1521, Albrecht Dürer avait acheté à Susanna, pour un florin, une image du Christ Sauveur, écrivant ensuite avec enthousiasme que l’auteur était une femme : « C’est vraiment merveilleux qu’une femme puisse réaliser une œuvre aussi belle » (Ist ein gross Wunder, das ein Weibsbild also viel machen soll). Selon Kathleen E. Kennedy, professeure associée en études médiévales à l’Université de Bristol, l’étonnement du grand artiste flamand n’était pas lié au genre de l’artiste, mais plutôt à son jeune âge. Dans la première moitié du XVIe siècle, autour des années 1520, toute la famille Horenbout s’était transférée en Angleterre, appelée à la cour des Tudor par le cardinal Wolsey. Wolsey, fils d’un boucher, était l’un de ces homines novi dont Henri VIII aimait s’entourer, et qui représentaient une tentative de créer une légitimité artificielle, ou du moins novatrice, pour faire taire les critiques envers cette dynastie mineure qui avait réussi à s’emparer du pouvoir. Le cardinal avait un profond amour pour l’art, et Henri VIII lui-même avait tout intérêt à entreprendre un mécénat qui servirait de caisse de résonance pour sa maison royale. Ce serait ce que ferait sa fille, Élisabeth Ire, avec William Shakespeare ; c’était ce qu’il faisait, par exemple, avec les Horenbout, spécialisés dans la technique de la miniature, une technique qui, dans l’idée du roi, devait être utilisée pour « représenter l’approbation divine des Tudor comme famille souveraine d’Angleterre».

Même en Angleterre, on ne disposait pas de certitudes sur l’œuvre de Susanna. En 1529, lorsque sa mère Margaret était morte, son nom était le seul de la famille à apparaître sur le mémorial en laiton qui lui était dédié. En plus de l’avoir commandé, on pensait que l’artiste en avait également dessiné le modèle. À part cet épisode, les attestations concernant Horenbout ne portaient pas tant sur sa carrière de peintre et miniaturiste que sur son rôle de dame de cour et secrétaire de la reine. Selon Kathleen E. Kennedy, cela s’expliquait facilement : Susanna Horenbout était une femme, et cela suffisait pour que ses œuvres et ses éventuelles attributions soient absorbées d’abord par le nom de son père, puis par celui de son frère. Et pourtant, Giorgio Vasari parlait d’elle dans le chapitre Di diversi artefici fiamminghi, dans son traité Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, de 1568 : «Susanna, sœur dudit Lucas, qui fut appelée au service d’Henri VIII, roi d’Angleterre, et y resta honorablement toute sa vie». Et elle est également mentionnée par Lodovico Guicciardini, descendant du plus célèbre Francesco, qui, dans son ouvrage Descrittione di Lodovico Guicciardini patritio fiorentino di tutti i Paesi Bassi altrimenti detti Germania inferiore de 1566, affirme:

«Susanna, sœur de Luca Hutembout susmentionné, qui a été excellente dans la peinture, surtout dans la réalisation d’œuvres minutieuses au-delà de toute croyance, et extrêmement talentueuse dans l’art de l’enluminure, à tel point que le grand roi Henri VIII, avec de grands dons et une généreuse provision, l’a attiré en Angleterre, où elle a vécu de nombreuses années en grande faveur et grâce auprès de toute la cour, et où elle est morte finalement riche et honorée».

Ce qui était donc évident pour ses contemporains a été progressivement effacé par le passage du temps, comme si une hésitation avait saisi la plume même de l’histoire. Et ainsi, ce que nous savons avec certitude de Susanna Horenbout, c’est que, peu après son arrivée en Angleterre, elle a épousé John Parker, gardien du palais de Westminster, responsable de la garde-robe et yeoman, un riche cultivateur jouissant d’une pleine autonomie sur les terres qu’il travaillait. Selon les documents, le souverain a offert au couple, pour le Nouvel An 1532-1533, une coupe dorée avec un couvercle et des cuillères. Ce mariage avec un homme de cour est peut-être ce qui a introduit Susanna dans l’environnement proche de la famille royale. Cependant, ce sont uniquement ses compétences qui lui ont permis de survivre à la folie absolue avec laquelle Henri VIII gérait ses mariages. Elle devient dame de compagnie auprès de Jane Seymour, troisième épouse du roi Tudor. Et lorsque la reine meurt de septicémie, onze jours après avoir donné naissance au seul fils d’Henri, et peu de temps après Parker lui-même, Susanna Horenbout se retrouve dans de graves difficultés financières. Le 22 septembre 1539, elle épouse en secondes noces John Gilman (ou Gylmyn), un freeman d’une entreprise vinicole qui devient peu après sergent du King’s Woodyard. Quinze jours plus tard, elle se rende à Clèves pour accompagner en Angleterre la quatrième épouse du roi, Anne, dont elle devient, peut-être grâce à sa connaissance du flamand ou à ses compétences en tant que secrétaire, la « première des dames de compagnie », avec un petit groupe de serviteurs à sa charge.

Vers 1540, les Gilman ont leur premier fils, Henry, dont le parrain était le roi lui-même. Outre Jane Seymour et Anne de Clèves, la vie de cour de Susanna se poursuit auprès de Catherine Parr et, probablement, de la reine Marie — qui, semble-t-il, lui offre deux yards de satin noir — jusqu’à sa mort, survenue vers 1550. La date précise n’est pas connue ; on sait seulement qu’en 1554, son mari se remarie. L’aphasie du récit se contente de transmettre cela. Pas une mention de sa technique, de son talent, de son innovation. Rien qui parle de son art. Aucune œuvre ne porte son nom et son prénom. Tout semble avoir disparu. La vie et les actions de Susanna Horenbout semblent se limiter à son rôle de dame de cour, à son statut de fille et de sœur de. Pourtant, ces différents rôles peuvent coexister et s’enrichir mutuellement. L’exemple de Levina Teerlinc en témoigne. Elle aussi fille d’art (son père, Simon Bening, étant un peintre flamand de grand talent), Levina apprend le métier dans l’atelier paternel. Arrivée en Angleterre, elle devient dame de compagnie auprès de Marie Ire et d’Élisabeth Ire. Bien qu’aucune attribution certaine ne lui soit connue, on a des témoignages de portraits en miniature, des cadeaux plus que des commandes, réalisés pour les deux souveraines. Et dans les recherches, son nom est clairement mentionné parmi ceux qui ont innové la technique de la miniature anglaise.

Qu’est-il donc arrivé à Susanna Horenbout dans le parcours de la mémoire qui l’a presque fait sombrer dans l’oubli ? Que lui a-t-il manqué ? Ou plutôt, que lui a-t-on ôté ?

Ces questions sont, bien sûr, tendancieuses.

Mais en y regardant de plus près, Susanna Horenbout a su construire et gagner sa place. Cela nous est confirmé, entre autres, par Vasari, Guicciardini, Dürer et Henri VIII lui-même. Il nous revient donc, à nous, femmes et hommes d’aujourd’hui, de regarder au-delà des fonctions et des relations préétablies pour enfin découvrir l’autre partie de l’Histoire. Une partie magnifique, qui attend seulement d’être découverte, rappelée et racontée.


Traduzione spagnola

?/em>

 


Traduzione inglese

Syd Stapleton/em>

England, 16th century.

The court of Henry VIII is an environment among the most maddening and murky, in the Europe of this new modern age. The Tudor dynasty had been sitting on the throne of the kingdom for less than twenty-five years, since the end of the War of the Roses, and this infancy of power has created, in the king's mind, a theater of intrigue, conspiracy, and treachery whereby, even with the slightest suspicion, one ends up knowing the hand of the executioner. The claims made by the ancient noble families, who can boast lineage dating back to William the Conqueror, make Henry feel under constant checkmate. And so, in the black and white squares that he himself commands, horses, rooks, bishops, mere pawns, or queens, fall inexorably, along with their heads, even on unfounded suspicion. Moving on such a chessboard requires skill and cunning, intelligence and a spirit of adaptation. Anyone can advance. Anyone, with equal speed, can fall under the capital axe. And it is in this environment that Susanna Horenbout lived and worked, juggling beloved and disgraced queens, while still managing to remain one of the ruler's most prized artists, one of the initiators of the tradition of illuminated portraits in England.

Born in the then region of Flanders, probably in Belgium, in the town of Ghent, around 1503, Horenbout was what is known as a child of art. Her father Gerard not only ran a workshop in which she and her brother Lucas learned the trade, but was so skilled in his own work that he obtained the position of court artist to Margaret of Austria. The man also worked on the miniatures for the Sforza Book of Hours, a volume of prayers commissioned in the beginning by Bona di Savoia, widow of the Lord of Milan, Galeazzo Maria Sforza, and then continued at the behest of the Hapsburg noblewoman. As was usual at the time, there is no certainty that all the miniatures were executed by Gerard Horenbout. Works made within a workshop were attributed to the master, thus making future assignments difficult. Most likely, both Lucas and Susanna worked on the Sforza Book of Hours themselves.

What is certain is that Susanna was already a level-headed artist. In 1521 Albrecht Dürer bought an image of Christ the Savior from her for one florin, later writing enthusiastically that the creator was a woman: "It is really wonderful that a woman's picture is so beautiful" (Ist ein gross Wunder, das ein Weibsbild also viel machen soll). According to Kathleen E. Kennedy, associate professor in Medieval Studies at the University of Bristol, the astonishment of the great Flemish author is not related to the artist's gender as much as to her young age. In the first half of the sixteenth century, around the 1920s, the entire Horenbout family moved to England, called to the Tudor court by Cardinal Wolsey. Wolsey, the son of a butcher, is one of those homines novi whom Henry VIII liked to surround himself with and who represented an attempt to create a posturing, or at least innovative, legitimacy that would silence the voices and criticism of this minor dynasty that had managed to grab power. The cardinal had a deep love of art, and Henry VIII himself had every interest in engaging in patronage that would serve as a sounding board for his household. It would be what his daughter, Elizabeth I, would do with William Shakespeare - it is what he did, for example, with the Horenbouts, who specialized in the technique of miniature painting, a technique which, in the king's idea, was to be used to "represent God's approval of the Tudors as the sovereign family of England."

Even in English lands there is no definite record of Susanna's work. In 1529, when her mother Margaret died, hers was the only family name to appear on the brass memorial dedicated to her. In addition to commissioning it, the artist is also thought to have designed the model. Apart from this episode, Horenbout's attestations are less about her career as a painter and miniaturist than about her role as court lady and secretary to the queen. This fact, according at least to the words of the aforementioned Kathleen E. Kennedy, is easily explained. Susanna Horenbout was a woman, and that was enough for her works, her eventual attributions, to be swallowed up by the name of her father first and her brother later. Yet Giorgio Vasari spoke of her in the chapter Di diversi artefici fiamminghi, within the 1568 treatise Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori: "Susanna sister of the said Luca, who was therefore called to the servants of Henry the Eighth King of England and stayed there honorably all the time of her life." And Lodovico Guicciardini, a descendant of the more famous Francesco, also speaks of her, who, in the work Descrittione di Lodovico Guicciardini patritio fiorentino di tutti i Paesi Bassi altrimenti detti Germania inferiore, otherwise called Lower Germany in 1566, states:

«Susanna sister of Luca Hutembout prenominated: who was excellent in painting, especially in making very minute works beyond all belief, and very excellent in illuminating, so much so that the great King Henry the eighth with great gifts and great provision, took her to England, where she lived for many years in great favor and grace of the whole Court, and there she finally died rich and honored».

What was thus evident to contemporaries has been gradually silenced by the passage of time, as if a stutter had seized the very pen of history. And so, what we know with certainty about Susanna Horenbout is that, shortly after her arrival in England, she married John Parker, keeper of the Palace of Westminster, checkroom attendant and yeoman, a well-to-do farmer with full autonomy over the farm he worked. To the couple, the documents report, the sovereign gave them for New Year's Eve 1532-1533 a golden cup with a lid and spoons. These nuptials of hers to a man of the court were perhaps what introduced her to the environment revolving around the royal family. It was, however, only her skills that allowed her to pass unscathed through the absolute madness with which Henry VIII handled his marriages. She became a gentlewoman in the retinue of Jane Seymor, third wife of the Tudor ruler. And when the queen died of septicaemia, eleven days after giving birth to Henry's only son, a short distance moreover from Parker himself, Susanna Horenbout found herself in dire financial straits. She married a second time, on September 22, 1539, at Westminster, to John Gilman (or Gylmyn), a freeman of a winery who would shortly thereafter become a sergeant at King's Woodyard. Fifteen days later, she traveled to Cleves to escort the king's fourth wife, Anne, to England, of whom, perhaps because of her knowledge of the Flemish language, perhaps because of her ability to do excellently even the work of a secretary, she would be "first among her gentlewomen," also having a small group of servants in her employ.

Around 1540, the Gilmans had their first child, Henry, whose godfather was the king himself. In addition to Jane Seymor and Anne of Cleves, Susanna's court life continued among the circles of Catherine Parr and, probably, Queen Mary-from whom she apparently received a gift of two yards of black satin - until her death around 1550. The precise date is not known: all that is known is that in 1554 her husband remarried. The aphasia of the narrative is content to pass on this. Not a hint of her technique, her skill, her innovation. Nothing that speaks of her art. No work bearing her name and surname. Everything seems to have disappeared into thin air. Susanna Horenbout's life and actions seem to be limited to the role of court lady - to her being the daughter and sister of…. Yet the different roles knew how to coexist and could feed off each other. An example of this is the story of Levina Teerlinc. A daughter of art herself (her father, Simon Bening, was a highly valued Flemish painter), like Susanna she learned her trade in her father's workshop. Arriving in England, she became lady-in-waiting to both Mary I and Elizabeth I. While her attributions are not certain, we do, however, have reports of miniature portraits, gifts rather than commissions, made for both sovereigns. And in research, her name is clearly counted among those who innovated the technique of English miniature painting.

What, then, has happened to Susanna Horenbout in the journey of memory that has almost caused her to fall into oblivion? What did she miss? What, it is perhaps more fair to ask, was taken from her?

Questions, these, that are obviously tendentious.

On closer inspection, Susanna Horenbout has built and earned her own place. We are told this by, among others, Vasari and Guicciardini, Dürer and Henry VIII himself. So it is up to us, women and men of today, to look beyond pre-established functions and relationships to finally begin to know the other side of History. A beautiful part, just waiting to be discovered, remembered and told.

Le artiste delle arti non convenzionali

Giunto alla sua quinta edizione, Calendaria 2025 è dedicato alle donne che, nel corso dei secoli e in ogni latitudine, hanno compiuto esperienze artistiche diverse, non comprese nella convenzionale tripartizione di pittura-scultura-architettura. Ogni mese di cui si compone Calendaria 2025 è illustrato da una giovane artista di diversa provenienza e dal tratto unico. Inoltre, ogni settimana, sulla testata giornalistica www.vitaminevaganti.com, saranno pubblicati -in italiano, francese, spagnolo, inglese- le biografie delle protagoniste di questa edizione.



Gennaio
Calendaria 2025 - Ende 
Calendaria 2025 - Herrad von Landsberg
Calendaria 2025 - Susanna Horenbout

Herrad von Landsberg
Livia Capasso

Viola Gesmundo

 

Nella mentalità medioevale era diffusa la misoginia e la condizione della donna rimaneva quella che era stata già della società greco-romana, cioè di subordinazione e soggezione nei riguardi di un potere mantenuto saldamente dai maschi. Anzi la teologia scolastica, ribadendo lo stato di inferiorità della donna, rendeva questa subordinazione ancora più pesante, soprattutto negli strati popolari, mentre al vertice della piramide societaria alle donne era affidato il compito di salvaguardare gli interessi economici e dinastici di nobili famiglie, e capitava che qualche regina o principessa riuscisse a occupare ruoli di comando. Questa stessa tendenza si verificava anche nei grandi monasteri femminili europei, dove, a partire dall’VIII secolo, la badessa, rigorosamente di origine nobiliare, giungeva a svolgere compiti di governo, sapeva leggere e scrivere, possedeva una conoscenza teologica e una cultura filosofica complesse. I monasteri divennero uno dei principali centri del sapere, soprattutto per le donne, alle quali era vietato in altri modi l’accesso all’istruzione.

È il caso di Ildegarda di Bingen (1098-1179). badessa del Monastero di Disibodenberg prima e di Rupertsberg poi, autrice del Liber Scivias, dove narra delle sue visioni mistiche, e di molti altri trattati, o di Eloisa (1099 circa-1164), letterata, amante e moglie di Abelardo che conosciamo attraverso le lettere e i Problemata, una raccolta di questioni teologiche derivate dalla lettura della Bibbia. I casi sono tanti e sono poco conosciuti. Un altro esempio è quello di Herrad von Landsberg, badessa del Monastero di Mont Sainte Odile, che allora portava il nome di Hohenburg. Per le giovani ragazze della nobiltà che vivevano nel convento, Herrad decise di redigere un manuale di istruzioni, l'Hortus deliciarum (Il giardino delle delizie), del quale compilò, tra il 1159 e il 1175 circa, sia il testo in lingua latina che le miniature. Herrad (o Herrade) nacque verso il 1130 in un castello situato nella zona del Basso Reno in una famiglia appartenente alla nobiltà alsaziana. Entrò nell’abbazia agostiniana di Hohenburg, situata sui monti Vosgi, dedicata a Sainte Odile, e fu istruita dalla badessa Relinda, messa a dirigere l'abbazia di Hohenbourg da Federico Barbarossa.

Autoritratto di Herrad von Landsberg dall' Hortus deliciarum

La descrizione in latino nell’autoritratto recita:

«Herrat hohenburgensis abbatissa post Rilindam ordinata ac monitis et exemplis eius instituta».

Ritratto della Badessa Herrad de Landsberg visibile sul muro del chiostro di Mont Sainte Odile

Dipinto murale raffigurante monache nell’abbazia di Hohenburg

 

Relinda aveva reso il centro religioso uno dei più prosperi della zona, e lo dirigeva come una grande impresa, in cui le religiose ricevevano un’ottima educazione. Alla morte di Relinda, nel 1167, Herrad le successe nel governo dell'abbazia, ma già da tempo aveva assunto la responsabilità di insegnare alle altre consorelle, e aveva avviato con loro un progetto a cui lavorò per tutta la vita. Herrad continuò a dirigere il convento di Hohenburg per quasi trent’anni, fino alla morte, avvenuta nel 1195. L'Hortus è considerata la prima enciclopedia, per giunta illustrata, redatta da una donna, scritta in latino, con 344 miniature, una raccolta di testi tratti dalla Bibbia, dai Padri, dagli scrittori medievali, contemporanei di Herrad, anche profani, relativi a varie discipline: storia, filosofia, teologia, temi biblici, astronomia, astrologia. Il contenuto non era esclusivamente religioso, comparivano anche argomenti mondani, come i segni dello zodiaco, le arti liberali e perfino la ruota della fortuna. Nel titolo fa riferimento a una definizione di Onorio Augustodunense, teologo e filosofo tedesco vissuto tra gli ultimi decenni dell’XI secolo e la prima metà del XII, che nella sua opera Speculum ecclesiae definisce il Paradiso come “Hortus deliciarum”, la casa di Dio che racchiude tutti i tesori della divina sapienza e conoscenza.

Il lavoro di Herrad voleva essere una sorta di “manuale” sul quale le monache avrebbero potuto studiare e imparare le dottrine dell’epoca. Vi compaiono anche poesie e canti, creati dalla stessa Herrad e dalle sue consorelle. L’autrice spiegava così nell’introduzione alla grande opera la ragione del suo progetto:

«Herrade, per grazia di Dio badessa, pur se indegna, della chiesa di Hohenburg, alle dolci vergini di Cristo che lavorano fedelmente a Hohenburg […]. Faccio sapere alle vostre santità che, come una piccola ape ispirata da Dio, ho raccolto dai diversi fiori delle Sacre Scritture e dagli scritti filosofici in questo libro, intitolato Hortus deliciarum, e l’ho riunito per lode e onore di Cristo e per amore per la Chiesa, come se fosse un dolce favo».

Mosè conduce gli ebrei attraverso il Mar Rosso - dall’Hortus deliciarum

Il profeta Giona viene vomitato dal pesce presso Ninive - dall’Hortus deliciarum

La cifra stilistica peculiare dell'Hortus consiste nel linguaggio delle immagini. Le miniature non sono semplici illustrazioni che fanno da supporto al testo, ma divengono addirittura loro stesse un testo, che non a caso rappresenta più di un terzo rispetto al totale del manoscritto. Purtroppo non abbiamo più accesso alle splendide miniature originali; tuttavia una monumentale opera critica di storici dell’arte dei codici miniati, che nella prima metà dell'800 hanno studiato il manoscritto originale, riproducendo col disegno o ricopiando con la tecnica del 'ricalco' quasi tutte le miniature, ha permesso la ricostruzione quasi integrale, sia del testo che delle miniature, che sono la parte più preziosa del Giardino creato da Herrad. Per secoli il manoscritto è riuscito a sfuggire alle vicissitudini della storia: incendi, guerre, saccheggi, rivoluzioni, ed è rimasto custodito dalle religiose nel convento di Hohenburg fino al 1546, anno del grande incendio che distrusse completamente l’abbazia. L’ultima badessa, Agnese di Oberkirch, lo donò al vescovo di Strasburgo e così l'Hortus deliciarum entrò a far parte dell'archivio diocesano di Saverne. Più tardi il manoscritto si trovò nel convento certosino di Molsheim, dove nel XVII secolo fu realizzata una copia del testo. Durante la Rivoluzione francese, il manoscritto passò alla biblioteca nazionale e universitaria di Strasburgo. Fu allora che gli ammiratori iniziarono a studiarlo, tra questi il capo della polizia di Strasburgo Christian Maurice Engelhardt, che pubblicò nel 1818 la prima monografia sull'Hortus, e il conte Auguste de Bastard che studiò per dieci anni il manoscritto a Parigi, facendone riprodurre fedelmente gran parte del testo e delle immagini. Purtroppo, nella notte tra il 24 e il 25 agosto 1870, la biblioteca fu vittima del bombardamento della città di Strasburgo da parte dei prussiani. L'incendio distrusse la seconda biblioteca più grande della Francia e, con essa, più di 400.000 volumi del patrimonio regionale. Il Giardino delle delizie fu ridotto in cenere. Ne rimasero quindi solo delle copie: oltre a quelle realizzate da Engelhardt e da Auguste de Bastard, il testo fu copiato e pubblicato anche dal canonico e archeologo strasburghese Alexandre Joseph Straub e da G.Keller tra il 1879 e il 1899. Questa pubblicazione trova un complemento molto prezioso nell'opera, realizzata nel 1952 da Joseph Walter, bibliotecario e direttore degli archivi cittadini di Sélestat.

L’ultimo grande lavoro di ricostruzione del codice è stato effettuato dal Warburg Institute e pubblicato nel 1979. Seppur ricostruito, l’Hortus rimarrà per sempre un codice sconosciuto nella sua interezza; indubbiamente, grazie a queste copie, noi oggi possiamo avere un'idea della grandiosità dell'originale, ma non possiamo vedere che un riflesso del suo fascino. Nel manoscritto Cristo sta al centro di tutte le riflessioni, è la fonte della vita vera, e se la Chiesa sulla terra non è perfetta, ma esposta a mille tentazioni, è la Gerusalemme celeste la splendente meta della divina salvezza. L’opera inizia con la creazione degli angeli, la caduta di Lucifero, la creazione del mondo e la caduta dell'uomo, continua col Diluvio universale e pone l'accento sul tentativo dell'umanità, prima della venuta di Cristo, di rialzarsi con le proprie forze. In questo contesto compare il sapere nelle figure delle sette arti liberali, con i rappresentanti della filosofia antica, Socrate e Platone.

La filosofia in trono tra le sette arti liberali - dall’Hortus deliciarum

Poi la consegna dei Dieci comandamenti a Mosé sul monte Sinai e la nuova alleanza della Grazia che inizia con Gesù Cristo; la sua nascita, la sua vita, dal battesimo nel fiume Giordano, fino alla passione.

Gli angeli annunciano ai pastori la nascita di Gesù – dall’Hortus deliciarum

La nascita di Gesù – dall’Hortus deliciarum

Il battesimo di Gesù nel Giordano – dall’Hortus deliciarum

Gesù e la Samaritana al pozzo - dall’Hortus deliciarum

Gesù e gli apostoli addormentati presso il Monte degli Ulivi - dall’Hortus deliciarum

La crocifissione di Cristo - dall’Hortus deliciarum

La Pentecoste e la discesa della Spirito Santo sugli apostoli - dall’Hortus deliciarum

Dopo il mandato agli apostoli inizia una nuova fase della storia della salvezza, la Chiesa viene costituita dal popolo e viene mostrata la rappresentazione delle battaglie delle Virtù contro i Vizi. La Scala delle Virtù mostra come l'ascesa in alto riesce solo a chi dimentica l'amore per sé stesso. La Chiesa è rappresentata come un edificio con torri merlate di due piani. Al piano di sotto si trova il mondo laico, al quale appartengono dame e cavalieri, contadini e artigiani e anche i monaci ignoranti e gli eremiti. Il piano di sopra rappresenta la Chiesa docente e vi appartengono apostoli e papi, vescovi e abati e anche alcune donne.

La scala delle Virtù (sin.) - L'edificio della Chiesa (Regina Ecclesia) con i credenti (dex) - dall’Hortus deliciarum

L'ultima parte dell'Hortus inizia con la comparsa dell'Anticristo, la sua arrogante signoria e la sua caduta. Segue una rappresentazione ricca di figure del Giudizio universale, del corteo dei santi e dei dannati, l'Inferno, con i suoi luoghi di punizioni, la beatitudine dei Prescelti.

La Donna dell'Apocalisse (sin.) - L’Inferno (dex) - dall’Hortus deliciarum

Herrad conclude l'Hortus con due tavole acquarellate che non hanno alcun rapporto diretto con il resto della sua opera, nelle quali descrive il convento di Mont Sainte Odile e la Congregazione. Il Monte è un convento cristiano, posto sotto la protezione di Cristo, circondato da Maria e Pietro alla sua destra, Giovanni Battista e Odile alla sua sinistra, che abbassa rispettosamente la testa. Due alte torri romaniche circondano l'ingresso dell'edificio in pietra. Herrad ha voluto raffigurare anche la badessa Relinde, colei che l'ha preceduta e poi formata. Nella parte inferiore Odile riceve da suo padre, il duca Adalrico, la chiave del castello di Hohenburg, che lei trasformerà in convento. In basso è rappresentata la natura selvaggia del Monte in quel momento. La seconda tavola è dedicata ai membri della Congregazione: sono rappresentate tutte le suore che vengono menzionate coi loro nomi: quarantasette religiose e tredici laiche. Herrad si rappresenta a destra mentre ha in mano una scatola contenente l'inizio di una delle sue poesie.

Mont Sainte Odile (sin.) - La Congregazione (dex) - dall’Hortus deliciarum

L'Hortus deliciarum attinge da una tradizione centenaria della miniatura sacra, soprattutto dell'arte bizantina. Mentre Cristo e i suoi angeli, gli apostoli e i profeti compaiono negli abiti tradizionali dell'arte paleocristiana, le rimanenti figure portano gli abiti delle storie bibliche di quel tempo e così l'Hortus deliciarum diventa un inestimabile testimone di abiti ed arredi, armi, attrezzi e utensili del XII secolo. I re e i loro scudieri, le dame compaiono negli abiti di corte, i combattenti indossano l’armatura da cavaliere con cotta di maglia, spada e scudo. Per quanto riguarda la tecnica pittorica, risultano preferiti i colori vivaci, rosso, azzurro, verde, castano e giallo oro. Mentre la prospettiva è spesso insufficiente, nulla la resa di volume e spazio, colpisce l’accurato disegno degli abiti. Non è nota un'opera completa simile, l’unica parentela con le miniature dell'Hortus è quella di alcune vetrate nella parte romanica della cattedrale di Strasburgo, soprattutto nel presbiterio e nel transetto.


Traduzione francese

Rachele Stanchina

 

Pendant le Moyen- âge la misogynie était bien diffusée et la femme était, comme dans la société grecque et romaine, soumise et assujéttée au pouvoir qui demeurait fermement maintenu par le monde masculin. En surplus, la théologie scolastique, en confirmant la situation d’infériorité de la femme, rendait cette subordination encore plus forte, notamment au milieu des couches populaires, tandis qu’ au sommet de la pyramide les femmes pouvaient avoir la charge de sauvegarder les intêrets économiques et dynastiques de familles nobles: il n’était pas rare qu’ une reine ou bien une princesse réussisse à occuper des charges de pouvoir. Cette situation se confirmait aussi dans les grands monastères féminins de l’Europe où, à partir du VIII siècle, l’Abbesse, qui était exclusivement d’origines nobles, arrivait à accomplir des tâches administratives, savait lire et écrire et possédait une connaissance approfondie soit de la philosophie que de la théologie. En cette période les monastères deviennent un des principaux centres de culture et de connaissance, surtout pour les femmes, auxquelles l’accès à l’éducation était autrement nié.

C’est bien le cas de HILDEGARDE DE BINGEN (1098-1179), abbesse du monastère de Disibodenberg d’abord et de celui de Rupertsberg ensuite, autrice d’un grand nombre de traités mais surtout du LIBER SCIVIAS où elle raconte ses visions mystiques. Ou encore de celui d’ HELOISE (1099-1164), femme littrée, maîtresse et épouse d’Abelard dont la rénommée est parvenue jusqu’à nous grâce à ses lettres et les PROBLEMATA, un recueil de questions de théologie issues de la lecture de la Bible. Les exemples sont nombreux et peu connus, un autre est celui de HERRAD VON LANDSBERG, abbesse au monastère de Mont Saint Odile, qui à l’époque se nommait Hohenburg. Pendant la période qui va du 1159 au 1175 elle a écrit en latin, tout en dessinant les enluminures, l’HORTUS DELICIARUM, une sorte de manuel d’instructions dediée aux jeunes filles de la noblesse qui vivaient au couvent. Herrad (ou bien Herrade) est née d’une famille noble d’Alsace vers 1130, dans un château du Bas- Rhin. Elle entre dans l’Abbaye Agostinienne de Hohenburg, dans les Vosges, dediée à Sainte Odile. Ici elle réçoit son istruction grâce à l’abbesse Relinda, que Frédéric Barberousse a mis à la tête du couvent.

Portrait de Herrad von Landsberg tiré du HORTUS DELICIARUM.

La description latine dans le portrait dit:

«Herrat hohenburgensis abbatissa post Rilindam ordinata ac monitis et exemplis eius instituta».

Portrait de l’abbesse Herrad de Landsberg visible sur la paroi du cloître de Mont Sainte Odile

Fresque répresentant des religieuses dans l’abbaye de Hohenburg

 

Au cours des années Relinda avait fait de Hohenburg un des centres religieux le plus prospère des environs et elle le dirigeait comme une grande entreprise, où les moines pouvaient recevoir une excellente éducation. A la mort de Relinda, survenue en 1167, l’administration de l’abbaye passe à Herrad. Toutefois elle avait dejà réçu auparavant la charge d’éduquer ses consœurs et elle avait démarré le projet auquel dédia toute sa vie.Elle poursuit sa charge pendant presque treinte ans, jusqu’à sa mort en 1195. L’HORTUS est considéré la première encyclopédie, de surcroît illustrée, rédigée par une femme: écrite en latin, elle recueille 344 enluminures, des textes tirés de la Bible et des Pères ainsi que d’écrivains médiévaux ou contemporains de Herrad. Ne manquent pas des textes profanes qui traitent plusieurs disciplines: Histoire, Philosophie, Theologie, Astronomie et Astrologie. Les thèmes ne sont pas exclusivement religieux, mais font leur apparition aussi des sujets mondains, tels que les signes du zodiaque, les arts libéraux ou bien la roue de la fortune. Le titre vient d’une citation de Onorio Augustodunense, théologien et philosophe allemand vivant entre la fin du XI siècle et la prémière moitié du XII, qui dans son œuvre SPECULUM ECCLESIAE appelle le paradis “HORTUS DELICIARUM”, la maison du Seigneur qui abrite tous les trésors de la sagesse divine et de la connaissance.

Avec son œuvre Herrad voulait offrir à ses consœurs une sorte de “manuel” pour étudier et apprendre les doctrines de l’époque: on y trouve aussi des poèmes et des chants, écrits par Herrad elle – même ou par autres moines. Dans l’introduction à sa grande œuvre l’autrice explique ainsi la raison de son projet:

«Herrad, par la grâce de Dieu abbesse, bien que indigne, de l’église de Hohenburg, aux douces vierges du Christ qui travaillent fidèlement à Hohenburg ... Je fais part à Votre Sainteté que, telle qu’ une petite abeille inspirée par le Seigneur, j’ai cueilli des Saintes écritures et des traités de philosophie plusieurs fleurs et je les ai réunies dans ce livre , que j’ai nommé HORTUS DELICIARUM, comme s’il était un rayon de miel, pour la louange et l’honneur de Christ et pour l’amour de l’Eglise».

Moise conduit les juives à travers la mer Rouge – - d’après l’ HORTUS DELICIARUM

Le prophète Jona est vomi par la baleine près de Ninive, d’après l’ HORTUS DELICIARUM

Ce qui rend stylistiquement unique l’HORTUS c’est le language des illustration. Les enluminures ne sont pas des simples dessins qui font de soutien au texte, mais deviennent elles- mêmes un texte qui représente plus qu’un tiers par rapport au total du manuscript. Malheureusement nous n’avons plus accès aux merveilleuses enluminures originelles. Cependant on a pu reconstruir presque totalement le texte et les enluminures, qui sont la partie la plus précieuse du JARDIN de Herrad, grâce à une monumentale œuvre critique faite par des historienS de l’art spécialisés en manuscrits enluminés. Pendant la prémière moitié di XIX siècle, ils ont étudié le manuscipt original, en riproduisant avec le dessin ou bien en recopiant avec la technique de la gravure presque toutes les miniatures (qui sont la partie la plus précieuse du JARDIN créé par Herrad), ce qui a permis la reconstruction presque complète de l’oeuvre originelle. Au long des siècles le manuscript a réussi à éviter les vicissitudes de l’Histoire: les moines du couvent de Hohenburg l’ont protégé des incendies, guerres, pillages ou révolutions jusqu’au 1546, année du grand feu qui a entièrement détruit l’Abbaye. La dernière Abbesse, Agnès de Oberkirch, le donne à l’Evèque de Strasbourg et c’est ainsi que l’HORTUS DELICIARUM devient partie des archives diocésaines de Saverne. Par la suite le manuscript passe au monastère des moines chartreux de Molsheim, où vient réaliséé une copie au XVII siècle. Au cours de la Révolution il passe à la bibliothéque Nationale et Universitaire de Strasbourg et c’est en cette période que les admirateurs commencent à l’examiner et à l’étudier. Parmi tous, le chef de la Police de Strasbourg Christian Maurice Engelhardt qui publie en 1818 la prémière monographie sur l’HORTUS et le comte Auguste de Bastard qui a étudié à Paris le manuscript pendant dix ans, tout en faisant réproduire fidélément une grand partie soit du texte que des illustrations. Malheureusement, la nuit entre le 24 et 25 août 1870 la ville de Strasbourg fut bombardée par les Prussiens et la bibliothèque, la deuxième plus grande de France, fut détruite par un incendie qui reduit en cendres plus que 400.000 volumes, parmi lesquels le JARDIN DES DELICES. Il en nous restent seulement des copies: celles réalisées par Engelhardt et par Auguste de Bastard et celle publiée par le chanoine et archéologue de Strasbourg Alexandre Joseph Straub avec G. Keller entre 1879 et 1899. Cette dernière publication a été complétée en 1952 par l’ouvrage précieuse de Joseph Walter, bibliothécaire et directeur des archives de la ville de Sélestat.

La dernière grande oeuvre de reconstruction du code a eu lieu avec la publication du Warburg Institute en 1979. Malgré toutes ces réconstructions, la forme complète originale demeurera à toujour inconnue: les copies nous permettent d’avoir une idée de la grandeur du manuscript, idée qui n’est qu’un reflet de son charme originel. Au centre de toute argumentation du manuscript se trouve Christ, source de la vraie vie: l’Eglise sur terre n’est pas parfaite, exposéé à des milliers de tentations, tandis que la Jérusalem céléste se pose comme le but resplendissant du salut divin. L’ œuvre commence avec la création des anges, la chute de Lucifer, la création du Monde et la chute de l’homme. Elle poursuit avec le Déluge et mets l’accent sur la tentative de l’humanité, avant la survenue du Christ, de se relever avec ses propres forces. C’est ici que se présente le savoir sous la forme des sept arts libéraux, avec Socrate et Platon, représentants de la philosophie ancienne.

la Philosophie en majesté parmi les sept arts libéraux - d’après Hortus deliciarum

Suivent la livraison des tablettes de la Loi à Moise sur le Mont Sinai et la nouvelle alliance de la Grâce qui commence avec Jésus Christ: sa naissance et sa vie, du baptême dans le Jourdain jusqu’à sa passion.

Les anges annoncent aux bergers la naissance de Jésus – d’après Hortus deliciarum

La naissance de Jésus – d’après Hortus deliciarum

Le baptême dans le Jourdain – d’après Hortus deliciarum

Jésus et la Samaritaine au puit - d’après Hortus deliciarum

Jésus et les apôtres endormis près du Mont des oliviers - d’après Hortus deliciarum

la crucifixion du Christ - d’après Hortus deliciarum

La Pentecôte et la descente de l’Esprit Saint sur les Apôtres - d’après Hortus deliciarum

Après le mandat des Apôtres s’ouvre une nouvelle phase de l’histoire du salut: l’Eglise est constituée par le peuple et on montre la représentation des batailles entre les Vertus et les Vices. L’échelle des Vertus montre comme l’ascension vers le haut réussit seulement à celui qui oublie l’amour pour lui- même. L’Eglise est représentée comme un édifice avec des tours crénelées de deux étages: en bas trouve place le monde laique, auquel appartiennent dames et chevaliers, paysans et artisans ainsi que moines ignorants et ermites. En haut trouve sa place l’Eglise enseignante avec les Apôtres, les Papes, les évêques, les abbés et aussi certaines femmes.

L’échelle des Vertus (gauche)- l’édifice de l’Eglise (Regina Ecclesia)- les croyants (droite).

La dernière partie de l’HORTUS s’ouvre avec l’apparition de l’Antichrist, sa suprématie arrogante et sa chute, suivie par une riche représentation des personnages du Jugement dernier, le cortège des saints et des damnés, l’Enfer avec ses lieux de punitions et la béatitude des élus.

la femme de l’Apocalypse (gauche)- l’Enfer (droite) d’après Hortus deliciarum

Herrad conclut l’HORTUS avec deux planches à l’aquarelle qui n’ont pas un rapport direct avec le reste de son œuvre. Dans la prémière planche elle dépeint le couvent de Mont Sainte Odile et la Congrégation. Le mont est un couvent chrétien, soumis à la protection du Christ, entouré par Marie et Saint Pierre à droite, Saint Jean Baptiste et Sainte Odile à gauche, laquelle baisse la tête de façon respectueuse. Deux hautes tours romanes entourent l’entrée de l’édifice en pierres. Herrad a voulu représenter aussi l’abbesse Relinde, celle qui l’a precédée et qui l’a instruite. Dans la partie inférieure Odile réçoit de son père, le Duc Adalrique, la clé du Château de Hohenburg, qu’elle transformera en couvent. En bas, la nature sauvage du Mont à l’époque. La deuxième planche est dédiée aux membres de la Congrégation. Herrad réproduit toutes les moines avec leurs prénoms: quarante-sept réligieuses et treize laiques. Elle se dépeint elle – même à droite, portant dans la main une boîte avec le début d’un de ses poèmes.

Mont Sainte- Odile (gauche)- La Congrégation (droite) - d’après Hortus deliciarum

L’HORTUS DELICIARUM s’inspire à la tradition séculaire de l’enluminure sacre, notamment celle de l’art byzantin. D’un côté le Christ et les anges, les Apôtres et les Prophètes sont représentés avec les vêtements typiques de l’art paléochrétien tandis que les autres personnages portent des vêtements de l’époque. C’est ainsi que les illustrations deviennent un témoignage précieux de meubles, armes, vêtements, outils et ustensiles du XII siècle. Les rois, les écuyers et les dames sont peints en habits de cour, les combattants portent l’armure de chevalier avec la cotte de mailles , l’épée et le bouclier. Pour ce qui concerne la technique picturale, Herrad préfère les couleurs vivaces tels que le rouge, l’azur, le vert, le châtain et le jaune doré. Malgré la perspective soit souvent insuffisante et nul le rendement de volume et d’espace, la précision du dessin des vêtements est frappante. Les enluminures de l’HORTUS n’ont pas d’égales, encore aujourd’hui on n’a pas trouvé un ouvrage similaire. Toutefois on peut réperer quelque ressemblance dans certains vitraux, surtout ceux du presbytère et du transept, dans la partie romanique de la Cathédrale de Strasbourg.


Traduzione spagnola

Lisa Lanteri

 

En la mentalidad medieval predominaba la misoginia y la condición de la mujer seguía siendo la misma que había sido en la sociedad greco-romana, es decir de subordinación y de sumisión con respecto a un poder mantenido firmemente por los hombres. Es más, la teología escolástica hacía hincapié en el estado de inferioridad de la mujer, así que esta subordinación resultaba aún más pesada, sobre todo en las clases populares. En cambio, las mujeres que pertenecían a la cumbre de la pirámide social eran las responsables de la salvaguardia de los intereses económicos y dinásticos de familias nobles, e incluso alguna reina o princesa lograba ocupar cargos de mando. Esta misma tendencia tenía lugar también en los grandes monasterios femeninos de Europa donde, a partir del siglo VIII, la abadesa, rigurosamente de origen noble, llegaba a desempeñar tareas de gobierno, sabía leer y escribir, tenía un conocimiento teológico y una cultura filosófica elaborados. Los monasterios se convirtieron en uno de los centros principales del saber, sobre todo para las mujeres, que no podían tener acceso a la instrucción por otros medios.

Es el caso de Ildegarda de Bingen (1098-1179), primero abadesa del Monasterio de Disibodenberg y luego del de Rupertsberg, autora del Liber Scivias –en el que cuenta sus visiones místicas– y de otros muchos tratados; o en el caso de Eloisa (ca 1099-1164), literata, amante y esposa de Abelardo, que conocemos a través de las cartas y de los Problemata, una recolección de cuestiones teológicas procedentes de la lectura de la Biblia. Los casos son muchos y poco conocidos. Otro ejemplo es el de Herrad von Landsberg, abadesa del Monasterio de Mont Sainte Odile, que entonces se llamaba Hohenburgo. Herrad decidió redactar un manual para las jóvenes mujeres de la nobleza que vivían en el convento, el Hortus deliciarum (El jardín de las delicias), del que realizó –entre 1159 y 1175 aproximadamente– tanto el texto en lengua latina como las miniaturas. Herrad (o Herrade) nació hacia 1130 en un castillo ubicado en la zona del Bajo Reno en una familia perteneciente a la nobleza alsaciana. Entró en la abadía agustiniana de Hohenburgo –situada en la cordillera de los montes Vosgos– dedicada a Santa Odilia y fue educada por la abadesa Relinda, que dirigía la abadía por voluntad de Federico Barbarroja.

Autorretrato de Herrad von Lansberg, Hortum deliciarum

La descripción del autorretrato reza en latín:

«Herrat Hohenburgoensis abbatissa post Rilindam ordinata ac monitis et exemplis eius instituta».

Retrato de la Abadesa Herrad de Landsberg visible en la pared del claustro de Mont Sainte Odile

Mural que representa a monjas en la abadía de Hohenburgo

 

Relinda convirtió el centro religioso en uno de los más prósperos de la zona, y lo dirigía como una gran empresa, en la que las religiosas recibían una educación excelente. Tras la muerte de Relinda, en 1167, Herrad le sucedió en el gobierno de la abadía, pero ya había asumido la responsabilidad de enseñar a las demás hermanas desde hacía tiempo y había empezado un proyecto con ellas, en el que trabajó toda su vida. Herrad siguió dirigiendo el convento de Hohenburgo durante casi 30 años, hasta su muerte en 1195. El Hortus se considera como la primera enciclopedia, ilustrada, redactada por una mujer, escrita en latín, con 344 miniaturas, una colección de textos tomados de la Biblia, de los Padres de la Iglesia, y de escritores medievales, contemporáneos de Herrad –incluso profanos– relacionados con varias disciplinas: historia, filosofía, teología, temas bíblicos, astronomía, astrología. El contenido no era únicamente religioso, se encontraban también asuntos mundanos, como los signos zodiacales, el arte liberal, incluso la rueda de la fortuna. El título hace referencia a una definición de Honorio Augustodunense, teólogo y filósofo alemán que vivió entre las últimas décadas del siglo XI y la primera mitad del siglo XII; en su obra Speculum ecclesiae define el Paraíso como “Hortus deliciarum”, la casa de Dios que contiene todos los tesoros de la divina sabiduría y del divino conocimiento.

El trabajo de Herrad quería ser una especie de “manual” en el que las monjas pudieran estudiar y aprender las doctrinas de la época. Se hallan también poemas y cantos, realizados por la misma Herrad y por sus hermanas. La autora explica así –en la introducción a su gran obra– la razón de su proyecto:

«Herrade abadesa por gracia de Dios, aunque indigna, de la iglesia de Hohenburgo, a las dulces vírgenes de Cristo que trabajan fielmente en Hohenburgo […]. Comunico a vuestras santidades que, como una pequeña abeja inspirada por Dios, he cogido diferentes flores de las Sagradas Escrituras y de los escritos filosóficos en este libro, titulado Hortus deliciarum, y lo he reunido por alabanza y honor de Cristo y por amor a la Iglesia, como si fuese un dulce panal».

Moisés conduce a los judíos por el Mar Rojo – Hortus deliciarum

El pez vomita al profeta Jonás en Ninive – Hortus deliciarum

La característica estilística peculiar del Hortus consiste en el lenguaje de las imágenes. Las miniaturas no son simples ilustraciones que acompañan al texto, sino que incluso se convierten ellas mismas en texto, que justamente representa más de un tercio del total del manuscrito. Lamentablemente ya no tenemos acceso a las maravillosas miniaturas originales; sin embargo, una obra crítica monumental de historiadores del arte de los códigos miniados, que en la primera mitad del siglo XIX estudiaron el manuscrito original, reproduciendo a través del diseño o copiando de nuevo a través de la técnica del “calco” casi todas las miniaturas, ha permitido la reconstrucción casi completa tanto del texto como de las miniaturas, que son la parte más valiosa del Jardín creado por Herrad. Durante siglos el manuscrito logró escapar a las vicisitudes de la historia: incendios, guerras, saqueos, revoluciones, y las monjas siguieron guardándolo hasta 1546, año del gran incendio que destruyó totalmente la abadía. La última abadesa, Inés de Oberkirch, lo donó al obispo de Estrasburgo y así el Hortus deliciarum pasó a formar parte del archivo diocesano de Saverne. Más tarde, el manuscrito pasó al convento cartujo de Molsheim, donde en el siglo XVII se realizó una copia del texto. Durante la Revolución francesa, el manuscrito pasó a la biblioteca nacional y universitaria de Estrasburgo. Fue entonces cuando los aficionados comenzaron a estudiarlo, entre ellos el jefe de la policía de Estrasburgo, Christian Maurice Engelhardt, que publicó en 1818 la primera monografía sobre el Hortus, y el conde Auguste de Bastard, que estudió durante diez años el manuscrito en París, haciendo reproducir fielmente gran parte del texto y de las imágenes. Desgraciadamente, durante la noche entre el 24 y el 25 de agosto de 1870, la biblioteca fue víctima del bombardeo de la ciudad de Estrasburgo por parte de los prusianos. El incendio destruyó la segunda mayor biblioteca de Francia y, con ella, más de 400.000 volúmenes del patrimonio regional. El Jardín de las delicias se redujo a cenizas. Quedaron entonces solamente algunas copias: además de las que habían realizado Engelhardt y Auguste de Bastard, el texto también fue copiado y publicado por el canónigo y arqueólogo estrasburgués Alexandre Joseph Straub y por G. Keller entre 1879 y 1899. Esta publicación encuentra un complemento muy importante en la obra, realizada en 1952 por Joseph Walter, bibliotecario y director de los archivos municipales de Sélestat.

El último gran trabajo de reconstrucción del códice se efectuó en el Warburg Institute y se publicó en 1979. Si bien reconstruido, el Hortus seguirá siendo para siempre un código desconocido en su totalidad; sin duda, gracias a estas copias, hoy tenemos una idea de la genialidad del original, pero podemos ver solo un reflejo de todo su encanto. En el manuscrito Cristo está en el centro de todas las reflexiones, es la fuente de la verdadera vida y, dado que la Iglesia en la tierra no es perfecta, sino que se ve expuesta a miles de tentaciones, Jerusalén celestial es la brillante meta de la divina salvación. La obra empieza con la creación de los ángeles, la caída de Lucífero, la creación del mundo y la caída del hombre, continúa con el Diluvio universal y pone el acento sobre el intento de la humanidad de levantarse gracias a sus propias fuerzas, antes de la llegada de Cristo. En este contexto aparece el saber en las figuras de las siete artes liberales, con los representantes de la filosofía antigua, Sócrates y Platón.

La filosofía en el trono entre las siete artes liberales - Hortus deliciarum

Luego, la entrega de los Diez mandamientos a Moisés en el monte Sinaí y la nueva alianza de la Gracia que empieza con Jesús Cristo; su nacimiento, su vida, desde el bautismo en el río Jordán, hasta su pasión.

Los ángeles anuncian a los pastores el nacimiento de Jesús – Hortus deliciarum

El nacimiento de Jesús – Hortus deliciarum

Hortus deliciarum

Jesús y la Samaritana en el pozo - Hortus deliciarum

Jesús y los apóstoles dormidos en el Monte de los Olivos - Hortus deliciarum

La crucifixión de Cristo - dall’Hortus deliciarum

La Pentecostés y la bajada del Espíritu Santo sobre los apóstoles - Hortus deliciarum

Después del mandato a los apóstoles empieza una nueva fase en la historia de la salvación, el pueblo constituye la Iglesia y se muestra la representación de las batallas de las Virtudes contra los Vicios. La escalera de la Virtud muestra cómo solamente quien abandona el amor por sí mismo consigue subir. La Iglesia aparece representada como un edificio con torres almenadas con dos pisos. En el piso de abajo se encuentra el mundo laico, al que pertenecen damas y caballeros, campesinos y artesanos y también los monjes ignorantes y los eremitas. El piso de arriba representa la Iglesia escolástica a la que pertenecen apóstoles y papas, obispos y abades y también algunas mujeres.

La escalera de la Virtud (izqda) - El edificio de la Iglesia (Reina Ecclesia) con los creyentes (dcha) - Hortus deliciarum

La última parte del Hortus empieza con la aparición del Anticristo, de su arrogante señoría y de su caída. Sigue una representación rica en figuras sobre el Juicio universal, el cortejo de santos y condenados, el Infierno, con sus lugares de castigo, la beatitud de los Elegidos.

La Mujer del Apocalipsis (izqda) - El Infierno ( dcha) - Hortus deliciarum

Herrad concluye el Hortus con dos tablas con acuarela que no tienen ninguna relación directa con el resto de la obra, en las que describe el convento de Mont Sainte Odile y su Congregación. El Monte es un convento cristiano, puesto bajo la protección de Cristo, rodeado por María y Pedro a su derecha, Juan Bautista y Odile a su izquierda, que inclina respetuosamente la cabeza. Dos torres altas románicas rodean la entrada del edificio de piedra. Herrad quiso representar también a la abadesa Relinde, su predecesora y educadora. En la parte inferior Odile recibe de su padre, el duque Adalrico, la llave del castillo de Hohenburgo, que ella transformará en convento. En la parte baja se representa la naturaleza salvaje del Monte en aquel momento. La segunda tabla está dedicada a las componentes de la Congregación: se representan todas las monjas las cuales se mencionan a través de sus nombres: cuarenta y siete religiosas y trece laicas. Herrad se representa a sí misma a la derecha con una caja en la mano que contiene la parte inicial de uno de sus poemas.

Mont Sainte Odile ( izqda) – La Congregación ( dcha) - dall’Hortus deliciarum

El Hortus deliciarum viene de una tradición centenaria de la miniatura sagrada, sobre todo del arte bizantino. Mientras que Cristo y sus ángeles, los apóstoles y los profetas aparecen en traje tradicional del arte paleocristiano, las demás figuras llevan la ropa de las historias bíblicas de aquel tiempo y de esta manera el Hortus deliciarum se convierte en un inestimable testimonio de ropa y decoraciones, armas y herramientas del siglo XII. El rey y sus escuderos así como las damas aparecen en traje de la corte, los combatientes llevan armaduras de caballero con sobrepelliz de punto, espada y escudo. Por lo que se refiere a la técnica pictórica, se prefieren los colores vivos: rojo, azul, verde, marrón y amarillo oro. Si la perspectiva es muchas veces insuficiente, el volumen y el espacio son inexistentes; sin embargo, llama la atención el riguroso dibujo de la ropa. No se conoce ninguna otra obra completa similar, el único parentesco con las miniaturas del Hortus son algunos vitrales en la parte románica de la catedral de Estrasburgo, sobre todo en el presbiterio y en el transepto.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

 

Misogyny was widespread in the medieval mentality, and the status of women remained what it had previously been in Greco-Roman society, that is, one of subordination and subjection to a power held firmly by males. Scholastic theology, by reiterating the inferior status of women, made this subordination even more burdensome, especially in the popular strata, while at the top of the societal pyramid women were entrusted with the task of safeguarding the economic and dynastic interests of noble families, and it happened that a few queens or princesses managed to occupy leadership roles. This same tendency also occurred in the great European women's monasteries, where, starting in the 8th century, the abbess, strictly of aristocratic origin, came to perform administrative tasks, could read and write, and possessed complex theological knowledge and philosophical culture. Monasteries became one of the main centers of knowledge, especially for women, who were otherwise forbidden access to education. 

This is the case of Hildegard of Bingen (1098-1179). abbess of first the Monastery of Disibodenberg and then Rupertsberg, author of the Liber Scivias, where she tells of her mystical visions, and many other treatises, or Eloisa (c. 1099-1164), a woman of letters, mistress and wife of Abelard whom we know through letters and the Problemata, a collection of theological questions derived from reading the Bible. The cases are many but are little known. Another example is that of Herrad von Landsberg, abbess of the Monastery of Mont Sainte Odile, which then bore the name Hohenburg. For the young girls of the nobility who lived in the convent, Herrad decided to draw up a manual of instruction, the Hortus deliciarum (The Garden of Delights), of which she compiled, between about 1159 and 1175, both the Latin text and the miniatures. Herrad (or Herrade) was born around 1130 in a castle located in the Lower Rhine area into a family belonging to the Alsatian nobility. She entered the Augustinian abbey of Hohenburg, located in the Vosges Mountains, dedicated to Sainte Odile, and was instructed by Abbess Relinda, who was put in charge of Hohenbourg Abbey by Frederick Barbarossa.

Self-portrait of Herrad von Landsberg from the Hortus deliciarum

The Latin description in the self-portrait reads:

«Herrat hohenburgensis abbatissa post Rilindam ordinata ac monitis et exemplis eius instituta».

Portrait of Abbess Herrad de Landsberg visible on the cloister wall of Mont Sainte Odile

Wall painting depicting nuns in Hohenburg Abbey.

 

Abbess Relinda had made the religious center one of the most prosperous in the area, and ran it as a large enterprise, in which the nuns received an excellent education. When Relinda died in 1167, Herrad succeeded her in the governance of the abbey, but she had long since taken on the responsibility of teaching the other sisters, and had initiated with them a project on which she worked throughout her life. Herrad continued to lead the Hohenburg convent for nearly 30 years until her death in 1195. The Hortus is considered to be the first encyclopedia, illustrated to boot, written by a woman, written in Latin, with 344 miniatures, a collection of texts from the Bible, the priests, medieval writers, Herrad's contemporaries, including secular ones, relating to various disciplines, such as history, philosophy, theology, biblical themes, astronomy, and astrology. The content was not exclusively religious. Worldly topics also appeared, such as the signs of the zodiac, the liberal arts, and even the wheel of fortune. In the title she refers to a definition by Honorius Augustodunense, a German theologian and philosopher who lived between the last decades of the 11th century and the first half of the 12th century, who in his work Speculum ecclesiae defines Paradise as "Hortus deliciarum," the house of God that contains all the treasures of divine wisdom and knowledge.

Herrad's work was intended to be a kind of "manual" in which nuns could study and learn the doctrines of the time. Poems and songs, created by Herrad herself and her sisters, also appear in it. The author explained the reason for her project as follows in the introduction to the great work:

«Herrade, by the grace of God abbess, though unworthy, of the church of Hohenburg, to the sweet virgins of Christ who work faithfully in Hohenburg [...]. I make it known to your holinesses that, like a little bee inspired by God, I have gathered from the various flowers of the Holy Scriptures and philosophical writings in this book, entitled Hortus deliciarum, and have gathered it together for the praise and honor of Christ and out of love for the Church, as if it were a sweet honeycomb».

Moses leads the Jews through the Red Sea - from Hortus deliciarum

The prophet Jonah is vomited by the fish near Nineveh - from Hortus deliciarum

The distinctive stylistic feature of the Hortus consists in the language of images. The miniatures are not simply illustrations supporting the text, but even become text themselves, which not surprisingly accounts for more than one-third of the manuscript's total. Unfortunately, we no longer have access to the splendid original miniatures. However, a monumental critical work of art historians of illuminated manuscripts, who in the first half of the 19th century studied the original manuscript, reproducing with drawing or recopying with the technique of 'recopying' almost all the miniatures, has allowed the almost complete reconstruction, both of the text and of the miniatures, which are the most valuable part of the Garden created by Herrad. For centuries the manuscript managed to escape the vicissitudes of history, such as fires, wars, looting, and revolutions, and remained guarded by the nuns in the Hohenburg convent until 1546, the year of the great fire that completely destroyed the abbey. The last abbess, Agnes of Oberkirch, donated it to the bishop of Strasbourg, and so the Hortus deliciarum became part of the diocesan archives of Saverne. Later the manuscript was found in the Carthusian monastery in Molsheim, where a copy of the text was made in the 17th century. During the French Revolution, the manuscript passed to the national and university library in Strasbourg. It was then that admirers began to study it, among them Strasbourg police chief Christian Maurice Engelhardt, who published the first monograph on the Hortus in 1818, and Count Auguste de Bastard, who studied the manuscript for ten years in Paris, having much of the text and images faithfully reproduced. Unfortunately, on the night of August 24-25, 1870, the library fell victim to the shelling of the city of Strasbourg by the Prussians. The fire destroyed the second largest library in France and, with it, more than 400,000 volumes of the regional heritage. The Garden of Delights was reduced to ashes. As a result, only copies remained. In addition to those made by Engelhardt and Auguste de Bastard, the text was also copied and published by Strassburg canon and archaeologist Alexandre Joseph Straub and G.Keller between 1879 and 1899. This publication finds a very valuable complement in the work, produced in 1952 by Joseph Walter, librarian and director of the city archives of Sélestat.

The last major work of reconstruction of the codex was carried out by the Warburg Institute and published in 1979. Although reconstructed, the Hortus will forever remain an unknown codex in its entirety, yet thanks to these copies, we today can get a glimpse of the grandeur of the original. But we can only see a reflection of its charm. In the manuscript Christ stands at the center of all reflections, he is the source of true life, and if the Church on earth is not perfect, but exposed to a thousand temptations, it is the heavenly Jerusalem that remains the shining goal of divine salvation. The work begins with the creation of the angels, the fall of Lucifer, the creation of the world and the fall of man, continues with the universal flood, and emphasizes humanity's attempt, prior to the coming of Christ, to rise again by its own strength. In this context, knowledge appears in the figures of the seven liberal arts, with the representatives of ancient philosophy, Socrates and Plato.

Philosophy enthroned among the seven liberal arts - from the Hortus deliciarum

Then came the giving of the Ten Commandments to Moses on Mount Sinai and the new covenant of Grace beginning with Jesus Christ; his birth, his life, from his baptism in the Jordan River, to his passion.

Angels announce the birth of Jesus to the shepherds - from the Hortus deliciarum

The birth of Jesus - from the Hortus deliciarum

The baptism of Jesus in the Jordan - from the Hortus deliciarum

Jesus and the Samaritan woman at the well - from the Hortus deliciarum

Jesus and the apostles asleep by the Mount of Olives - from the Hortus deliciarum

The crucifixion of Christ - from the Hortus deliciarum

Pentecost and the descent of the Holy Spirit upon the apostles - from the Hortus deliciarum

After the mandate to the apostles a new phase of salvation history begins, the Church is established by the people and the depiction of the battles of the Virtues against the Vices is shown. The Ladder of Virtues shows how the ascent to the heights comes only to those who forget self-love. The Church is depicted as a two-story building with crenellated towers. Downstairs is the secular world, to which ladies and knights, peasants and artisans, and even ignorant monks and hermits belong. The floor above represents the teaching Church and there belong apostles and popes, bishops and abbots and also some women.

The Ladder of Virtues (left) - The Church building (Regina Ecclesia) with believers (right) - from the Hortus deliciarum.

The last part of the Hortus begins with the appearance of the Antichrist, his arrogant lordship, and his fall. This is followed by a figure-filled depiction of the Last Judgment, the procession of the saints and the damned, Hell, with its places of punishment, and the bliss of the Chosen Ones.

The Woman of the Apocalypse (left) - The Inferno (right) - from the Hortus deliciarum

Herrad concludes the Hortus with two watercolor plates that bear no direct relationship to the rest of her work, in which she describes the Mont Sainte Odile convent and congregation. The Mount is a Christian convent, placed under the protection of Christ, surrounded by Mary and Peter on his right, John the Baptist and Odile on his left, who respectfully lowers her head. Two tall Romanesque towers surround the stone entrance to the building. Herrad also wanted to depict Abbess Relinde, the one who preceded and then formed her. At the bottom Odile receives from her father, Duke Adalric, the key to Hohenburg Castle, which she will turn into a convent. At the bottom is depicted the wilderness of the Mount at that time. The second panel is devoted to the members of the Congregation. All the nuns are represented and are mentioned by their names - forty-seven religious and thirteen laywomen. Herrad is depicted on the right while holding a box containing the beginning of one of her poems.

Mont Sainte Odile (left) - The Congregation (right) - from the Hortus deliciarum

The Hortus deliciarum draws from a centuries-old tradition of sacred miniatures, especially Byzantine art. While Christ and his angels, apostles and prophets appear in the traditional garments of early Christian art, the remaining figures wear the clothes of the biblical stories of that time, and so the Hortus deliciarum becomes an invaluable witness to the clothing and furnishings, weapons, tools and utensils of the 12th century. Kings and their squires, ladies appear in their court clothes, and fighters wear knight's armor with chain mail, sword and shield. In terms of painting technique, bright colors, red, blue, green, chestnut and golden yellow are preferred. While the perspective is often insufficient, including in the rendering of volume and space, the careful design of the clothing is striking. No similar complete work is known, the only kinship with the Hortus miniatures being that of some stained glass windows in the Romanesque part of Strasbourg Cathedral, especially in the chancel and transept.

 

Ende
Barbara Belotti

Viola Gesmundo

 

Trasferiamoci col pensiero all’interno del monastero di San Salvador di Tábara, nel regno di Leon della penisola iberica. Quello di San Salvador di Tábara era un complesso monastico importante, posto sotto la protezione del sovrano, con una vasta biblioteca e uno scriptorium dove si trascrivevano e decoravano i codici. Nel più rigoroso silenzio venivano preparate le pergamene per la scrittura, si copiavano i testi, si decoravano le pagine, si creavano raffinati capilettera. Copisti, pittrici e pittori, miniatrici e miniatori facevano parte degli oltre 600 religiosi di entrambi i sessi presenti nel monastero dalla cui creatività e maestria sono nati capolavori.

Beato di Tábara, La torre del monastero di San Salvador di Tábara e il contiguo scriptorium, 970 ca, Madrid, Archivio storico nazionale

Tra loro visse una donna, una monaca molto probabilmente o forse un’aristocratica e colta vedova desiderosa di vivere nella pace del convento parte della sua vita, il cui nome è Ende o En, a seconda di come si interpreta il colophon del codice Beato di Girona, se «Ende pintrix» oppure «En depintrix». La scritta, oltre a fornire i nomi della miniatrice e del copista «Frater Emeterius et presbiter», sottolinea il valore dell’artista, ricordata come pittrice e come «Dei aiutrix» ‒ aiutante di Dio ‒ rimarcandone così l’abilità con le immagini e i colori, ma anche la straordinaria capacità di farsi interprete dell’eterno spirito divino e della sua divulgazione. Il Beato di Girona è un codice del X secolo, probabilmente realizzato intorno al 975, uno dei più importanti della Spagna conservato nella Cattedrale di Girona in Catalogna, copiato come altri da un Commento dell’Apocalisse redatto tra il 776 e il 786 dal monaco Beato de Liébana. È formato da 284 fogli di pergamena di vitello, suddiviso in paragrafi e redatto in scrittura visigotica su bifolio; sono più di cento i fogli miniati, molti dei quali a tutta pagina, e costituiscono un importante lavoro del quale Ende, con l’apposizione della firma, dà prova di avere piena consapevolezza del suo ruolo e del suo valore artistico.

Deve essere stata una donna di vasta cultura, Ende, tra le più antiche pittrici dell’arte occidentale. La decorazione del Beato di Girona si dimostra un’opera di livello elevato, gli studi definiscono il codice il culmine artistico raggiunto dallo scriptorium del monastero di Tábara. La qualità pittorica raggiunta da Ende si rivela superiore rispetto agli altri manoscritti del periodo ed evidenzia un esuberante uso dei colori, una felice forza creativa e una grande abilità tecnica. Il suo lavoro rientra nella riforma decorativa che nel X secolo riguardò questi testi ma Ende seppe guardare in primo luogo agli influssi carolingi e islamici senza dimenticare quelli mozarabici, visigoti, sasanidi e nordafricani.

Beato di Girona, L’uccello e il serpente, 975 ca, Girona, Cattedrale di Santa Maria

 Sono caratteristiche della cosiddetta scuola mozarabica, nata in Spagna dall’incontro della cultura cristiana con quella islamica, la ripartizione a bande sovrapposte di alcune immagini e la policromia che la miniatrice esprime con enfasi nuova;

Beato di Girona, L’apertura dei quattro sigilli, 975 ca, Girona, Cattedrale di Santa Maria 
Beato di Girona, Il messaggio della Chiesa di Smirne, 975 ca, Girona, Cattedrale di Santa Maria

dal mondo musulmano derivano gli archi a ferro di cavallo presenti in molte architetture miniate e i motivi iconografici di animali predatori, come nella miniatura delle due bestie che richiama il passo dell’Apocalisse di San Giovanni:

«E vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo. La bestia che io vidi era simile a una pantera, con le zampe come quelle di un orso e la bocca come quella di un leone. E vidi salire dalla terra un’altra bestia che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, ma parlava come un drago. Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia».

Beato di Girona, Le due bestie, 975 ca, Girona, Cattedrale di Santa Maria

Ha una forte componente espressiva l’arte di Ende, quasi visionaria come è visionario il linguaggio dell’Apocalisse; ma accanto all’intensa espressività la pittrice inserisce elementi naturalistici, ricerche volumetriche e spaziali che sembrano anticipare i linguaggi artistici dell’epoca romanica.

Beato di Girona, La donna e il dragone, 975 ca, Girona, Cattedrale di Santa Maria

Piena di elementi drammatici è la scena della Donna e il dragone o della Donna vestita di sole, che traduce in immagini uno dei testi più noti dell’Apocalisse: «Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto». Nell’angolo superiore sinistro una figura femminile ha il bacino occupato dal sole, simbolo della luce e della contrapposizione al male; i suoi piedi poggiano sulla luna e la posizione potrebbe indicare il pieno controllo su quel satellite che, nel mondo antico, veniva indicato come l’astro regolatore del tempo e dei ritmi di vita e natura; intorno al corpo della donna sono raffigurate le stelle. La sua interpretazione rimane piuttosto controversa, gli studi oscillano tra la raffigurazione simbolica della Chiesa e quella di Maria. Dalla donna vestita di sole deriverà secoli dopo l’iconografia dell’Immacolata Concezione: le stelle diventeranno un diadema, il sole all’altezza del bacino sarà trasformato in una luce circonfusa (come nel dipinto di Andrea Semino del 1588), il drago sostituito dal serpente tentatore dell’Eden (come nel quadro di Giambattista Tiepolo del 1768).

Andrea Semino (attribuito a), Immacolata, 1588, olio su tela, Genova, Chiesa di San Pietro in banchi. 
Giambattista Tiepolo, Immacolata Concezione, 1768, olio su tela, Madrid, Museo del Prado.

Ancora dallo stesso passo dell’Apocalisse:

«Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito»..

Come scritto nel testo, la creatura mostruosa si erge contro la donna, ha sette teste, le corna e i diademi, simbolo del potere politico, e con la parte finale della coda trascina le stelle verso il basso: traduzione in immagini impeccabile. Gli altri punti di questo passo si trovano distribuiti nelle due pagine della miniatura, mentre nella parte inferiore destra compare una scena dell’Inferno, nel quale gli angeli scaraventano i peccatori e il diavolo appare legato. In questa scena Ende non traduce in immagini ciò che è scritto nell’Apocalisse, bensì l’integrazione di un commento del Beato de Liébana. La vivacità espressiva dello stile di Ende è uno dei punti di forza del Codice di Girona, che si rivela tra i più alti esempi della pittura del Basso Medioevo spagnolo. La miniatrice svela però altre qualità artistiche che la rendono una protagonista del suo tempo.

Beato di Girona, L’arca di Noè e gli effetti del diluvio, 975 ca, Girona, Cattedrale di Santa Maria

Come dimostra la raffigurazione dell’arca di Noè, c’è in lei la volontà di rendere in modo naturale sia i gesti che le forme anatomiche di esseri umani e animali, con un realismo che appare sorprendente soprattutto nella raffigurazione dei corpi morti in balia delle acque o abbandonati sul fondale.

Beato di Girona, San Giovanni con il testimone, 975 ca, Girona, Cattedrale di Santa Maria

Superando gli stilemi della stilizzazione, della fissità e della bidimensionalità di molti esempi pittorici precedenti, Ende apre a nuovi linguaggi artistici nei quali la ricerca dello spazio e dei volumi raggiunge livelli alti.


Traduzione francese

Rachele Stanchina

 

Déplaçons-nous par la pensée à l’intérieur du monastère de Saint Salvador de Tàbara, dans le royaume de Léon en Espagne. Il s’agissait d’un complexe monastyque important, placé sous la protection du Roi, avec une grande bibliothèque et un scriptorium où les manuscrits à miniatures étaient transcripts et décorés. Dans le silence absolu on preparait les parchemins pour l’écriture, on récopiait les textes, on décorait les pages, on dessinait des têtes de lettres raffinées. Dans le monastère travaillaient comme copistes, peintres, enlumineurs plus que 600 moines , des hommes ainsi que des femmes, et leur art a créé des véritables chefs d’œuvre.

Beato di Tábara, Béat de Tàbara, La tour du monastère de Saint Salvador de Tàbara et le scriptorium annexe, 970 environ, Madrid, Archive Historique National

Parmi eux a vécu une femme, probablement une moine ou bien une veuve aristocratique et cultivée qui voulait vivre une partie de sa vie au sein du paisible couvent. Son prénom est Ende ou En, cela depend de l’interprétation du colophon du code BEAT DE GIRONA, si “Ende pintrix” ou bien “En depintrix”. Cette inscription nous transmet le nom de la miniaturiste et du copiste, “Frater Emeterius et presbiter”, tout en soulignant la valeur de l’artiste, qui vient rappeléé comme peintre et “Dei aiutrix”- assistante de Dieu. On reconnaît ainsi non seulement l’habilité de Ende avec les illustrations et les couleurs, mais aussi son extraordinaire capacité de devenir interprète de l’esprit divin et se savoir comment le divulguer. Le BEAT DE GIRONA est un code du X siècle, probablement réalisé en 975 environ, un des plus importants d’Espagne, conservé dans la Cathédrale de Girona en Catalogne. Il est copié, comme beaucoup d’autres, à partir d’un Commentaire à l’Apocalypse écrit entre 776 et 786 par le moine Beato de Liébana. Il s’agit d’un code de 284 feuilles de parchemin de veau, divisé en paragraphes et redigé en écriture wisigothe sur bifolio. Les feuilles enluminéés sont plus que cent, beaucoup d’entre elles sont à pleine page et constituent un important travail. Avec l’apposition de sa signature Ende démontre d’avoir pris conscience soit de son rôle que de sa valeur artistique.

Elle a dû être une femme très cultivéé, et une parmi les plus anciennes peintres de l’art occidental. La décoration du BEAT DE GIRONA se présente comme une une œuvre de haut niveau: les critiques assurent qu’ avec ce code le scriptorium de Tàbara a atteint le sommet artistique. La maîtrise de Ende et son habilité comme peintre dépassent celles des autres manuscripts de l’époque: l’usage des couleurs, la force créative et une grande technique sont bien évidents. Son travail participe à la reforme de la décoration des codes qui a eu lieu au cours du X siècle. Cependant Ende a su se diriger vers les influences carolingiennes et islamiques sans oublier les autres tendances mozarabes, wisigothes, sassanides et nord africaines.

Béat de Girona, L’oiseau et le serpent, 975 environ, Girona, Cathédrale de Sainte Marie

Une des caractéristiques de l’école mozarabique, néé en Espagne de la rencontre entre la culture chrétienne avec celle de l’Islam, c’est la ripartition de certaines images en bandes superposées, ainsi que la polychromie, que Ende utilise avec une nouvelle vigueur.

Béat de Girona, L’ouverture des quatre sceaux, 975 environ, Girona, Cathédrale de Sainte Marie
Béat de Girona, Le message de l’église de Smyrne, 975 environ, Girona, Cathédrale de Sainte Marie

Les arcs en fer à cheval qu’on peut admirer dans un grand nombre d’architectures représentées dans les enluminures ou bien les motifs qui reproduisent des animaux prédateurs trouvent leur origine dans le monde musulman. L’enluminure des deux bêtes est liée à un passage de l’Apocalypse de Saint Jean:

Béat de Girona, Les deux bêtes, 975 environ, Girona, Cathédrale de Sainte Marie

L’art de Ende se caractérise par une forte composante expressive, il est presque visionnaire, ainsi que le language de l’Apocalypse. Cependant, à côté d’une forte expressivité, Ende pose des éléments naturalistes, des recherches de volume et d’espace qui paraîssent anticiper les languages artistiques de l’époque romaine.

Béat de Girona, La femme et le dragon, 975 environ, Girona, Cathédrale de Sainte Marie

La scène de La femme et le dragon, ou bien de La femme vetue de soleil est riche en éléments dramatiques et traduit en images un des textes les plus connus de l’Apocalypse:

”Un signe formidable parut dans le ciel: une femme habillée de soleil, la lune étant sous ses pieds et, sur la tête, une couronne de douze étoiles. Elle était enceinte, et criait fort à cause des douleurs et du travail de l’accouchement”.

Au coin supérieur à gauche, une figure féminine tient dans le bassin le soleil, symbole de la lumière qui s’oppose au mal: ses pieds se posent sur la lune et cette position pourrait conduire à un contrôle complet sur ce satellite qui, au moyen- âge, était considéré comme l’astre qui réglait le temps et les rhtymes de la vie ainsi que de la nature. Tout autour du corps de la femme sont représentées des étoiles. L’interprétation de cette image demeure plutôt controversée: les études se partagent entre la représentation symbolique de l’Eglise et celle de Marie. De cette femme habillée en soleil découle, bien de siècles aprés, l’iconographie de la conception immaculée: les étoiles vont devenir un diadème, le soleil à l’hauteur du bassin sera transformé en une lumière rayonnante (comme dans le tableau de Andrea Semino du 1588), le dragon est substitué par le serpent tentateur de l’Eden (comme dans le tableau de Giambattista Tiepolo du 1768).

Andrea Semino (attribué) Immaculée, 1588, Huile sur toile, Genova, Eglise de Saint Pierre dans les bancs
Giambattista Tiepolo, Immaculée Conception, 1768, Huile sur toile, Madrid, Musée del Prado.

Toujours tiré du même passage de l’Apocalypse:

“Un autre signe se manifesta dans le ciel: un énorme dragon rouge, avec sept têtes et dix cornes, et sur les têtes sept diadèmes. Sa coue faisait glisser sur la terre un tiers des étoiles du ciel. Le dragon se plaça devant la femme qui allait accoucher, pour avaler l’enfant dès qu’elle l’accouchait.”

Dans l’oeuvre de Ende la créature monstrueuse se dresse contre la femme, elle a sept têtes, les cornes et les diadèmes, symbole du pouvoir politique. Avec la partie terminale de sa queue elle fait glisser les étoiles vers le bas: la traduction par images est parfaite. D’autres détails de ce passage sont distribués dans les deux pages de l’enluminure, tandis que dans la partie inférieure à droite Ende reproduit une scène de l’Enfer, où les anges font tomber les pécheurs et le diable est representé lié. Dans cette scène Ende ne reproduit pas en images ce qui est écrit dans l’Apocalypse, mais un commentaire du Bèat de Liébana. L’un des atouts du Code de Girona est la vivacité d’expression du style de Ende, qui se présente comme un des plus hauts exemples de la peinture du bas moyen- âge espagnol. Toutefois la miniaturiste a bien d’autres qualités artistiques qui font d’elle une véritable protagoniste de son époque.

Béat de Girona, L’arche de Noé et les effets du déluge, 975 environ, Girona, Cathédrale de Sainte Marie

Dans la réprésentation de l’arche de Noé elle veut rendre de façon naturelle les corps des hommes et des animaux, ainsi que leurs mouvements, avec un réalisme qui paraît surprenant surtout lorsqu’ elle réproduit les corps morts à la merci des eaux ou bien sur les fonds.

Béat de Girona, Saint Jean avec le témoin, 975 environ, Girona, Cathédrale de Sainte Marie

Ende s’ouvre à des nouveaux languages artistiques, où la recherche de l’espace et des volumes atteint des hauts niveaux, en outrepassant les détails stylistiques de la fixité et de la bidimensionnalité, propres de la plus grande partie de peintres de l’époque.


Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

 

Mudémonos con el pensamiento al interior del monasterio de San Salvador de Tábara, en el reino de León de la península ibérica. El monasterio de San Salvador de Tábara era un importante complejo monástico, bajo la protección del soberano, con una vasta biblioteca y un scriptorium donde se copiaban y decoraban los códices. En el más riguroso silencio se preparaban los pergaminos para la escritura, se copiaban los textos, se decoraban las páginas y se creaban refinadas letras capitulares. Entre más de 600 religiosas y religiosos presentes en el monasterio había copistas, miniaturistas, pintoras y pintores cuya creatividad y maestría dieron lugar a obras maestras.

Beato de Tábara, La torre del monasterio de San Salvador de Tábara y el scriptorium, ca 784, Archivo Histórico Nacional de Madrid

Entre ellos vivió una mujer, probablemente una monja o tal vez una viuda aristocrática y culta que deseaba pasar parte de su vida en la paz del convento, cuyo nombre era Ende o En, dependiendo de cómo se interprete el colofón del códice Beato de Girona: «Ende pintrix» o «En depintrix». La inscripción, además de proporcionar los nombres de la miniaturista y del copista «Frater Emeterius et presbiter», destaca el valor de la artista, recordada como pintora y como «Dei aiutrix» ‒ayudante de Dios‒, subrayando así su habilidad con las imágenes y los colores, así como su extraordinaria capacidad para ser intérprete del eterno espíritu divino y su divulgación. El Beato de Gerona es un códice del siglo X, probablemente realizado hacia el año 975, uno de los más importantes de España, conservado en la Catedral de Girona, en Cataluña. Fue copiado, como otros, de un Comentario al Apocalipsis redactado entre el año 776 y el 786 por el monje Beato de Liébana. Está compuesto por 284 folios de pergamino de ternera, a dos columnas y redactados en escritura visigótica sobre bifolio. Más de cien de sus folios están miniados, muchos de ellos a toda página, y constituyen un trabajo importante del cual Ende, al firmarlo, demuestra ser plenamente consciente de su papel y de su valor artístico.

Ende debe de haber sido una mujer de vasta cultura, una de las pintoras más antiguas del arte occidental. La decoración del Beato de Girona se revela como una obra de alto nivel. Los estudios sobre este códice lo consideran la cúspide artística alcanzada por el scriptorium del monasterio de Tábara. La calidad pictórica lograda por Ende es superior a la de otros manuscritos de la época y evidencia un uso exuberante del color, una fuerza creativa notable y una gran habilidad técnica. Su trabajo se inscribe en la reforma decorativa que en el siglo X afectó a estos textos, pero Ende supo mirar, ante todo, a las influencias carolingias e islámicas sin olvidar las mozárabes, visigodas, sasánidas y norteafricanas.

Beato de Girona, El pájaro y la serpiente, ca 975, Girona, Catedral de Santa María

La división en bandas superpuestas de algunas imágenes y la policromía que la miniaturista expresa con un nuevo énfasis son características de la llamada escuela mozárabe, nacida en España del encuentro entre la cultura cristiana y la islámica.

Beato de Girona, La apertura de los cuatro sellos, ca 975, Girona, Catedral de Santa María
Beato di Girona, Mensaje a la iglesia de Esmirna, ca 975, Girona, Catedral de Santa María

Los arcos de herradura presentes en muchas arquitecturas miniadas y los motivos iconográficos de animales depredadores derivan del mundo musulmán, como en la miniatura de las dos bestias que remite al pasaje del Apocalipsis de San Juan:

«Y vi subir del mar una bestia que tenía diez cuernos y siete cabezas; en sus cuernos, diez diademas, y en cada cabeza, un título blasfemo. La bestia que vi era semejante a una pantera, con patas como las de un oso y boca como la de un león. Y vi subir de la tierra otra bestia que tenía dos cuernos, semejantes a los de un cordero, pero hablaba como un dragón. Esta ejerce todo el poder de la primera bestia en su presencia y obliga a la tierra y a sus habitantes a adorar a la primera bestia».

Beato de Girona, Las dos bestias, ca 975, Girona, Catedral de Santa María

El arte de Ende tiene una fuerte componente expresiva, casi visionaria, al igual de visionario que el lenguaje del Apocalipsis; pero junto a esta intensa expresividad, la pintora incorpora elementos naturalistas, investigaciones volumétricas y espaciales que parecen anticipar los lenguajes artísticos de la época románica.

Beato de Girona, La mujer vestida de sol y el dragón, ca 975, Girona, Catedral de Santa María

Llena de elementos dramáticos, es la escena de la Mujer y el Dragón o de la Mujer vestida de sol, que traduce en imágenes uno de los textos más conocidos del Apocalipsis: «Un signo grandioso apareció en el cielo: una mujer vestida de sol, con la luna bajo sus pies y, sobre su cabeza, una corona de doce estrellas. Estaba embarazada, y gritaba por las dolencias y el trabajo del parto». En la esquina superior izquierda, una figura femenina tiene el abdomen ocupado por el sol, símbolo de la luz y de la oposición al mal; sus pies descansan sobre la luna, y su posición podría indicar el pleno control sobre este satélite que, en el mundo antiguo, era considerado el astro regulador del tiempo y de los ritmos de la vida y la naturaleza; alrededor del cuerpo de la mujer están representadas las estrellas. Su interpretación sigue siendo bastante controversial; los estudios oscilan entre la representación simbólica de la Iglesia y la de María. De la Mujer vestida de sol derivará, siglos después, la iconografía de la Inmaculada Concepción: las estrellas se convertirán en una diadema, el sol a la altura del abdomen será transformado en una luz envolvente (como en la pintura de Andrea Semino de 1588), y el dragón será sustituido por la serpiente tentadora del Edén (como en el cuadro de Giambattista Tiepolo de 1768).

 Andrea Semino (attribué) Immaculée, 1588, Huile sur toile, Genova, Eglise de Saint Pierre dans les bancs
Giambattista Tiepolo, Inmaculada Concepción, 1768, óleo sobre lienzo, Madrid, Museo del Prado

En el mismo pasaje del Apocalipsis:

«Entonces apareció otro signo en el cielo: un enorme dragón rojo, con siete cabezas y diez cuernos, y sobre sus cabezas siete diademas. Su cola arrastraba un tercio de las estrellas del cielo y las precipitaba sobre la tierra. El dragón se colocó frente a la mujer, que estaba a punto de dar a luz, para devorar al niño en cuanto naciera».

Como se describe en el texto, la criatura monstruosa se alza contra la mujer; tiene siete cabezas, cuernos y diademas, símbolos del poder político, y con la cola arrastra las estrellas hacia abajo: una impecable traducción con imágenes. Los otros puntos de este pasaje están distribuidos entre las dos páginas de la miniatura, mientras que en la parte inferior derecha aparece una escena del Infierno, donde los ángeles arrojan a los pecadores y el diablo aparece atado. En esta escena, Ende no traduce con imágenes lo que está escrito en el Apocalipsis, sino que integra un comentario del Beato de Liébana. La vivacidad expresiva del estilo de Ende es uno de los puntos fuertes del Códice de Girona, que se revela como uno de los más elevados ejemplos de la pintura del Bajo Medievo español. Sin embargo, la miniaturista muestra otras cualidades artísticas que la convierten en una verdadera protagonista de su tiempo.

Beato de Girona, El arca de Noé y los efectos del diluvio, ca 975, Girona, Catedral de Santa María

Como demuestra la representación del arca de Noé, en ella se percibe la voluntad de expresar de manera natural tanto los gestos como las formas anatómicas de seres humanos y animales, con un realismo que resulta sorprendente, especialmente en la representación de los cuerpos muertos a merced de las aguas o abandonados en el fondo marino.

Beato de Girona, San Juan con el testigo, ca 975, Girona, Catedral de Santa María

Superando los estilemas de la estilización, la rigidez y la bidimensionalidad de muchos ejemplos pictóricos anteriores, Ende abre paso a nuevos lenguajes artísticos en los que la búsqueda del espacio y los volúmenes alcanza elevados niveles.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

 

Let us transfer our thoughts to the interior of the monastery of San Salvador of Tábara, in the kingdom of Leon on the Iberian Peninsula. San Salvador of Tábara was an important monastic complex, placed under the protection of the sovereign, with a vast library and scriptorium where codices were transcribed and illustrated. In the strictest silence, parchments were prepared for writing, texts were copied, pages were illustrated, and refined letterheads were created. Copyists, painters, and illustrators were part of the more than 600 religious of both sexes in the monastery, from whose creativity and mastery masterpieces were born.

Gerona Beatus, The library tower and adjoining scriptorium, c. 975, Girona, Cathedral of Santa Maria

Among them lived a woman, a nun most likely, or perhaps an aristocratic and cultured widow eager to live in the peace of the convent for part of her life, whose name is Ende or En, depending on how one interprets the colophon of the codex Beato di Girona, whether "Ende pintrix" or "En depintrix." The inscription, in addition to providing the names of the miniaturist and the copyist "Frater Emeterius et presbiter," underscores the value of the artist, who is remembered as a painter and as "Dei aiutrix" - God's helper - thus emphasizing her skill with images and colors, but also her extraordinary ability to make herself an interpreter of the eternal divine spirit and its dissemination. The Beato di Girona is a 10th-century codex, probably made around 975, one of the most important in Spain preserved in the Cathedral of Girona in Catalonia, copied like others from a Commento del’Apocalisse written between 776 and 786 by the monk Beatus de Liébana. It consists of 284 sheets of calf parchment, divided into paragraphs and drafted in Visigothic script on bifolium. There are more than a hundred illuminated sheets, many of them full-page, and it constitutes an important work of which Ende, by affixing her signature, gives evidence of her full awareness of its role and artistic value.

Ende must have been a woman of vast culture, among the oldest painters in Western art. The decoration of the Beato di Girona proves to be work of a high standard. Studies call the codex the artistic apex achieved by the scriptorium of the monastery of Tábara. The pictorial quality achieved by Ende proves to be superior to other manuscripts of the period and shows an exuberant use of color, a happy creative force and great technical skill. Her work is part of the decorative reform that affected these texts in the 10th century, but Ende was able to look primarily to Carolingian and Islamic influences without forgetting Mozarabic, Visigothic, Sasanian, and North African ones.

Gerona Beatus, The Bird and the Serpent, c. 975, Girona, Cathedral of Santa Maria

Characteristic of the so-called Mozarabic school, which arose in Spain from the encounter of Christian and Islamic cultures, are the overlapping banding of some images and the polychromy that the miniaturist expresses with new emphasis.

Gerona Beatus, The Opening of the Four Seals, c. 975, Girona, Cathedral of Santa Maria

Gerona Beatus, The Message of the Church of Smyrna, c. 975, Girona, Cathedral of St. Mary

From the Muslim world derive the horseshoe arches found in many illuminated architectures and the iconographic motifs of predatory animals, as in the miniature of the two beasts that recalls the passage from the Apocalypse of St. John.

"And I saw a beast come up out of the sea that had ten horns and seven heads, on the horns ten diadems and on each head a blasphemous title. The beast that I saw was like a panther, with paws like those of a bear and a mouth like that of a lion. And I saw rising from the earth another beast that had two horns, similar to those of a lamb, but it spoke like a dragon. It wields all the power of the first beast in its presence and forces the earth and its inhabitants to worship the first beast."

Gerona Beatus, The Two Beasts, c. 975, Girona, Cathedral of Santa Maria

Ende's art has a strong expressive component, almost as visionary as the language of the Apocalypse is visionary. But alongside the intense expressiveness the painter inserts naturalistic elements, volumetric and spatial research that seem to anticipate the artistic languages of the Romanesque period.

Gerona Beatus, The Woman and the Dragon, c. 975, Girona, Cathedral of St. Mary

Full of dramatic elements is the scene of the Woman and the Dragon or the Woman Clothed with the Sun, which translates into images one of the best-known texts of Revelation:

«A great sign appeared in the sky: a woman clothed with the sun, with the moon under her feet and, on her head, a crown of twelve stars. She was with child, and cried out in labor pains and labor in childbirth.»..

In the upper left corner, a female figure has her pelvis occupied by the sun, a symbol of light and opposition to evil. Her feet rest on the moon, and the position could indicate full control over that satellite, which, in the ancient world, was referred to as the regulating star of time and the rhythms of life and nature. Around the woman's body are depicted the stars. Her interpretation remains quite controversial, studies oscillate between the symbolic depiction of the Church and that of Mary. From the woman clothed with the sun will derive centuries later the iconography of the Immaculate Conception. The stars will become a diadem, the sun at the height of the pelvis will be transformed into a circumfused light (as in Andrea Semino's painting of 1588), the dragon replaced by the tempter serpent of Eden (as in Giambattista Tiepolo's painting of 1768).

Andrea Semino (attributed to), Immaculate Conception, 1588, oil on canvas, Genoa, Church of San Pietro in banchi
Giambattista Tiepolo, Immaculate Conception, 1768, oil on canvas, Madrid, Prado Museum

Again, from the same passage in Revelation:

«Then there appeared another sign in the sky: a huge red dragon, with seven heads and ten horns and on its heads seven diadems; its tail dragged a third of the stars of heaven and hurled them down to the earth. The dragon stood before the woman, who was about to give birth, so that he would devour the child as soon as she gave birth to him.

As written in the text, the monstrous creature stands against the woman, has seven heads, horns and diadems, a symbol of political power, and with the end of its tail drags the stars downward - impeccable translation into imagery. The other points in this passage are found spread across the two pages of the miniature, while a scene from Hell appears in the lower right-hand part, in which angels cast off sinners and the devil appears bound. In this scene Ende does not translate what is written in Revelation into images, but rather the integration of a commentary by the Blessed de Liébana. The expressive vividness of Ende's style is one of the strengths of the Codex of Girona, which turns out to be among the highest examples of the painting of the Spanish Late Middle Ages. However, the miniaturist reveals other artistic qualities that make her a leading figure of her time.

Gerona Beatus, Noah's Ark and the Effects of the Flood, c. 975, Girona, Cathedral of Santa Maria

As the depiction of Noah's ark shows, there is in her a willingness to render in a natural way both the gestures and the anatomical forms of human beings and animals, with a realism that appears striking, especially in the depiction of dead bodies at the mercy of the waters or abandoned on the seabed.

Gerona Beatus, St. John with the Witness, c. 975, Girona, Cathedral of St. Mary

Overcoming the stylization, fixity and two-dimensionality of many earlier pictorial examples, Ende opens up to new artistic languages in which the search for space and volume reaches high levels.

Germaine Tailleferre
Silvia De Maria

Daniela Godel

 

Germaine Tailleferre è l’unica donna compositrice appartenente al cosiddetto “Gruppo dei Sei,” un circolo musicale sorto spontaneamente a Parigi attorno al 1920; insieme a lei ne fanno parte i compositori francesi Darius Milhaud, Arthur Honegger, Francis Poulenc, Georges Auric e Louis Durey. Il gruppo nasce come reazione alle tendenze dominanti dell’impressionismo musicale di Claude Debussy e del wagnerismo, per raccogliere invece l'eredità musicale di Erik Satie. Jean Cocteau ne scrive nel 1918 il manifesto programmatico, con il titolo Il Gallo e l'Arlecchino, esponendone l’ideologia e l’estetica musicale. Germaine Tailleferre nasce il 19 aprile 1892 a Saint-Maur-des-Fossés, nella banlieue parigina, con il nome di Marcelle Taillefesse. La piccola inizia a studiare il pianoforte con sua madre, e comincia in tenera età a comporre piccoli lavori. Gli studi musicali sono apertamente osteggiati dal padre, rappresentante di una società che considera la cultura musicale per una donna solo come completamento dell’educazione e non come professione. Così a vent’anni si trasferisce a Parigi, cambiando il suo cognome in Tailleferre, dove studia con Koechlin e con Ravel, e dove, in Conservatorio, incontra Milhaud, Auric e Honegger. Assieme a loro frequenta l’ambiente di Montmartre e Montparnasse, dove conosce letterati (Apollinaire e Léger) e pittori (Picasso e Modigliani). Proprio in uno dei rinomati atelier di questi pittori, il 15 gennaio 1918 si svolse il primo concerto dei "Nouveaux Jeunes", con Tailleferre, Poulenc e Durey. Il programma includeva due lavori della compositrice: Jeux de plein air e la Sonatina per quartetto d'archi in due movimenti.

Il “Groupe des Six” negli anni ’20: Jean Cocteau (al pianoforte), Darius Milhaud, un disegno rappresentante Georges Auric, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Francis Poulenc, and Louis Durey. Il “Groupe des Six” negli anni ’50 (con Jean Cocteau al pianoforte): da sinistra a destra, Darius Milhaud, Georges Auric, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Francis Poulenc, Louis Durey.

Le sue composizioni cominciano ad essere apprezzate dai più grandi solisti del tempo, come il violinista Jacques Thibault e il pianista Alfred Cortot; la prima Sonata per violino e pianoforte viene eseguita a Parigi nel 1922 proprio dai due prestigiosi interpreti. Nel 1923 il balletto Le Marchand d'oiseaux vede un ampio successo. Cortot esegue anche il Concerto per pianoforte, commissionatole poco dopo dalla principessa di Polignac. È in questi anni che Tailleferre trascorre molto tempo con Maurice Ravel a Montfort-l'Amaury. Si incontrano vicino Biarritz nel 1919-20; Ravel si interessa ai giovani compositori e dispensa a Germaine consigli sia in tema di scrittura che di orchestrazione. Queste visite regolari, caratterizzate da lunghe passeggiate intorno a Montfort, sono sempre concluse da lunghe e spossanti ore al pianoforte. Tutto finisce misteriosamente nel 1930, e Tailleferre non rivede mai più Ravel, rifiutando sempre, anche ai suoi cari, di fornire delle spiegazioni.

Nel 1925 Germaine sposa il caricaturista americano Ralph Barton, trasferendosi a New York; durante il soggiorno americano ha modo di frequentare il mondo del cinema e stringere amicizia con Charlie Chaplin, che le propone di comporre colonne sonore per Hollywood. Come spesso accade nella storia delle donne compositrici, allo sviluppo della carriera si frappone il marito geloso del successo, un marito che le impedisce di lavorare e di ampliare il suo giro di conoscenze e addirittura arriva al tentato omicidio per fermarla. Per queste ragioni la musicista decide nel 1929 di porre fine al matrimonio con Barton ,che in seguito si toglierà la vita, e di tornare in Francia. Le Six chansons françaises sono sicuramente una reazione al divorzio. Vengono utilizzati dei testi risalenti al XV-XVII secolo, riguardanti la condizione della donna. Ogni opera è dedicata a un’amica e si tratta di uno dei rari esempi di femminismo nella sua produzione. A 39 anni, il 4 giugno 1931, a Boulogne, Germaine partorisce la sua unica figlia, Françoise. L'anno successivo si sposa con il padre della bambina, il giurista francese Jean Lageat. Di nuovo tuttavia il matrimonio diviene un ostacolo alla sua carriera. Nonostante tutto, Tailleferre lavora di buona lena: nascono la Suite per orchestra da camera, il Divertissement nello stile di Luigi XV, il Concerto per violino, andato perduto nella sua forma originale, e il suo capolavoro, il Concerto grosso per due pianoforti, quartetto di sassofoni, otto voci soliste e orchestra (1934). Compone anche una lunga serie di musiche da film.

Nel 1937 collabora con Paul Valéry per la sua Cantata del Narciso, per soprano, baritono, coro femminile e archi. All'inizio del 1942 completa i Tre Studi per pianoforte e orchestra dedicati a Marguerite Long. L'occupazione tedesca la spinge a fuggire negli Stati Uniti con la sorella e Françoise, imbarcandosi in Portogallo. Passa gli anni della guerra a Filadelfia, dove smette quasi del tutto di comporre per dedicarsi alla figlia. Rientra in Francia nel 1946, andando a vivere a Grasse, vicino a Nizza. Nel 1955 firma il suo secondo divorzio e nello stesso anno compone cinque opere brevi per Radio France, intitolate Du style galant au style méchant. A partire dagli anni Sessanta si impegna sempre più frequentemente nella musica da film e comincia a girare l'Europa in duo con il baritono Bernard Lefort, tra i suoi amici più fedeli fino alla morte che avviene a Parigi il 7 novembre 1983, all'età di 91 anni.

Germaine Tailleferre © Palazzetto Bru Zane - Centre de Musique Romantique Française

Germaine Tailleferre fotografata da Arnold Genthe

Alla domanda se avesse incontrato molti ostacoli alla sua vita artistica, Germaine, a ottantanove anni, risponde: «Sì! Sempre! Ho sposato un americano che diventò matto. La prima cosa che fece fu comprarmi un pianoforte giocattolo. E poi il secondo marito, mentre scrivevo la Cantate de Narcisse con Paul Valèry, m’impediva costantemente di lavorare. Diventai famosa piuttosto rapidamente grazie a Les Six, e questo li irritava. Ho avuto una vita veramente difficile, non mi piace parlarne perché io scrivo musica come una liberazione. Ad ogni modo, le cose erano sempre contro di me, qualunque cosa succedesse». «Une Marie Laurencin pour l'oreille» (una Marie Laurencin dell'orecchio): così Jean Cocteau parla di Germaine Tailleferre. Questa corrispondenza tra gli acquerelli decorativi di Laurencin e la musica di Tailleferre, a dire il vero, non è molto appropriata. Ingenuità, freschezza, femminilità, sono sì qualità associate a Tailleferre, fin dal suo arrivo nel gruppo dei Sei, ma nella sua musica c’è soprattutto un vigore autentico, talora venato (malgrado armonie di una grande sensualità) di inaspettata austerità.

La produzione di Tailleferre è vastissima: dalla lirica al balletto, dalla musica sinfonica a quella da camera e solistica, dai concerti alle cantate, con un eclettismo che ne dimostra la profonda cultura. Si è ritenuto troppo a lungo che la sua opera si riducesse a una serie di affascinanti lavori per pianoforte composti nel periodo tra le due Guerre e che la sua carriera di compositrice fosse conclusa con la Seconda guerra mondiale. Pensarla così significa dimenticare che, oltre a questi brevi brani, Tailleferre ha composto soprattutto musica da camera, melodie, due concerti per pianoforte, tre studi per pianoforte e orchestra, il Concerto per violino, il notevole e imponente Concerto Grosso, quattro balletti, quattro opere, due operette, senza contare numerosi altri lavori per piccoli ensemble o grandi orchestre (come il sorprendente Concerto per due chitarre e orchestra, recentemente ritrovato e registrato nel 2004 in Germania da Chris Bilobram e Cristina Altmann). La maggior parte di queste musiche è stata scritta tra il 1945 e il 1983, anno della sua morte. Fino a poco tempo fa, un’enorme parte della sua produzione maggiore era rimasta inedita. Solo recentemente se ne è potuta misurare l'ampiezza, cominciando ad assegnarle, o a renderle, il posto che merita.

Germaine Tailleferre

Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

 

Germaine Tailleferre est la seule compositrice femme appartenant au “Groupe des Six”, un cercle musical qui s’est formé spontanément à Paris vers 1920; avec elle, font partie de ce groupe les compositeurs français Darius Milhaud, Arthur Honegger, Francis Poulenc, Georges Auric et Louis Durey. Le groupe naît comme une réaction aux tendances dominantes de l’impressionnisme musical de Claude Debussy et du wagnérisme, cherchant plutôt à poursuivre l’héritage musical d’Erik Satie. Jean Cocteau écrit en 1918 un manifeste programmatique, intitulé Le Coq et l’Arlequin, exposant l’idéologie et l’esthétique musicale du groupe. Germaine Tailleferre naît le 19 avril 1892 à Saint-Maur-des-Fossés, en banlieue parisienne, sous le nom de Marcelle Taillefesse. Dès son plus jeune âge, elle commence à étudier le piano avec sa mère et compose de petites pièces. Ses études musicales sont ouvertement opposées par son père, un homme représentant une société qui considère la culture musicale pour une femme comme un complément à l'éducation, et non comme une profession. Ainsi, à 20 ans, elle part pour Paris, change son nom en Tailleferre et y étudie avec Koechlin et Ravel, où elle rencontre Milhaud, Auric et Honegger. Ensemble, ils fréquentent l’ambiance de Montmartre et Montparnasse, où elle rencontre des écrivains (Apollinaire et Léger) et des peintres (Picasso et Modigliani). C’est dans l’un des célèbres ateliers de ces peintres que le premier concert des «Nouveaux Jeunes» a lieu le 15 janvier 1918, avec Tailleferre, Poulenc et Durey. Le programme inclut deux œuvres de la compositrice : Jeux de plein air et la Sonatina pour quatuor à cordes en deux mouvements.

Le "Groupe des Six" dans les années 1920: Jean Cocteau (au piano), Darius Milhaud, un dessin représentant Georges Auric, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Francis Poulenc, et Louis Durey. Le "Groupe des Six" dans les années 1950: Jean Cocteau (au piano), Darius Milhaud, un dessin représentant Georges Auric, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Francis Poulenc, et Louis Durey.

Ses compositions commencent à être appréciées par les plus grands solistes de l’époque, comme le violoniste Jacques Thibault et le pianiste Alfred Cortot ; sa première sonate pour violon et piano est jouée à Paris en 1922 par ces deux prestigieux interprètes. En 1923, le ballet Le Marchand d’oiseaux rencontre un grand succès. Cortot interprète aussi Le Concert pour piano qu’elle compose peu après, commandé par la princesse de Polignac. C’est durant ces années que Tailleferre passe beaucoup de temps avec Maurice Ravel à Montfort-l’Amaury. Ils se rencontrent près de Biarritz en 1919-20; Ravel s’intéresse aux jeunes compositeurs et donne des conseils à Germaine, tant en termes de composition que d’orchestration. Ces visites régulières, souvent marquées par de longues promenades autour de Montfort, se terminent toujours par de longues heures au piano. Tout prend fin mystérieusement en 1930, et Tailleferre ne reverra jamais Ravel, refusant toujours, même à ses proches, de donner des explications.

En 1925, Germaine épouse le caricaturiste américain Ralph Barton et part pour New York ; pendant son séjour américain, elle fréquente le monde du cinéma et se lie d’amitié avec Charlie Chaplin, qui lui propose de composer des bandes originales pour Hollywood. Comme c’est souvent le cas dans l’histoire des femmes compositrices, son mari jaloux du succès de sa femme empêche son travail et ses relations, allant jusqu’à tenter de la tuer pour lui empêcher de continuer sa carrière. Pour ces raisons, la musicienne décide en 1929 de mettre fin à son mariage avec Barton, qui se suicidera par la suite, et de retourner en France. Les Six chansons françaises sont certainement une réaction à ce divorce. Elle utilise des textes datant des XVe-XVIIe siècles concernant la condition des femmes. Chaque œuvre est dédiée à une amie, et elles représentent l’un des rares exemples de féminisme dans sa production. À 39 ans, le 4 juin 1931, à Boulogne, Germaine donne naissance à sa fille unique, Françoise. L’année suivante, elle épouse le père de l’enfant, le juriste français Jean Lageat. Toutefois, ce mariage devient à nouveau un obstacle à sa carrière. Malgré tout, Tailleferre travaille d’arrache-pied : elle compose la Suite pour orchestre de chambre, le Divertissement dans le style de Louis XV, le Concerto pour violon, perdu dans sa forme originale, et son chef-d'œuvre, le Concerto grosso pour deux pianos, quatuor de saxophones, huit voix solistes et orchestre (1934). Elle compose également une longue série de musiques de film.

En 1937, elle collabore avec Paul Valéry pour sa Cantate du Narcisse, pour soprano, baryton, chœur féminin et orchestre. Au début de 1942, elle termine les Trois Études pour piano et orchestre dédiées à Marguerite Long. L’occupation allemande la pousse à fuir aux États-Unis avec sa sœur et Françoise, embarquant depuis le Portugal. Elle passe les années de guerre à Philadelphie, où elle cesse presque complètement de composer pour se consacrer à sa fille. Elle rentre en France en 1946 et s’installe à Grasse, près de Nice. En 1955, elle signe son deuxième divorce et compose la même année cinq œuvres courtes pour Radio France, intitulées Du style galant au style méchant. À partir des années 1960, elle se consacre de plus en plus à la musique de film et commence à parcourir l’Europe en duo avec le baryton Bernard Lefort, un de ses plus fidèles amis jusqu’à sa mort, survenue à Paris le 7 novembre 1983, à l’âge de 91 ans.

Germaine Tailleferre © Palazzetto Bru Zane - Centre de Musique Romantique Française

Germaine Tailleferre photographiée par Arnold Genthe

Interrogée à 89 ans sur les obstacles rencontrés dans sa vie artistique, Germaine répond : «Oui ! Toujours! J’ai épousé un Américain qui est devenu fou. La première chose qu’il a faite a été de m’acheter un piano jouet. Et puis le deuxième mari, pendant que j’écrivais la Cantate de Narcisse avec Paul Valéry, m’empêchait constamment de travailler. Je suis devenue célèbre assez rapidement grâce aux Six, et cela les irritait. J’ai eu une vie vraiment difficile, je n’aime pas en parler parce que j’écris de la musique comme une libération. De toute façon, les choses étaient toujours contre moi, quoi qu’il se passe.» «Une Marie Laurencin pour l’oreille» (une Marie Laurencin de l’oreille) : c’est ainsi que Jean Cocteau parle de Germaine Tailleferre. Cette comparaison entre les aquarelles décoratives de Laurencin et la musique de Tailleferre n’est pas vraiment appropriée. L’ingéniosité, la fraîcheur, la féminité sont certes des qualités associées à Tailleferre, depuis son arrivée dans le groupe des Six, mais dans sa musique, il y a surtout une véritable vigueur, parfois teintée (malgré des harmonies d’une grande sensualité) d’une austérité inattendue.

La production de Tailleferre est vaste: de l’opéra au ballet, de la musique symphonique à la musique de chambre et soliste, des concertos aux cantates, avec un éclectisme qui témoigne de sa profonde culture. On a trop longtemps cru que son œuvre se réduisait à une série de charmants morceaux pour piano composés entre les deux guerres et que sa carrière de compositrice était terminée avec la Seconde Guerre mondiale. Penser ainsi revient à oublier que, au-delà de ces courts morceaux, Tailleferre a composé surtout de la musique de chambre, des mélodies, deux concertos pour piano, trois études pour piano et orchestre, le Concerto pour violon, le remarquable et imposant Concerto Grosso, quatre ballets, quatre opéras, deux opérettes, sans compter de nombreuses autres œuvres pour petits ensembles ou grandes orchestres (comme le surprenant Concerto pour deux guitares et orchestre, récemment retrouvé et enregistré en 2004 en Allemagne par Chris Bilobram et Cristina Altmann). La plupart de ces œuvres a été écrite entre 1945 et 1983, année de sa mort. Jusqu’à récemment, une grande partie de sa production majeure était restée inédite. Ce n’est que récemment qu’on a pu en mesurer l’ampleur, lui attribuant ou lui rendant enfin la place qu’elle mérite.

Germaine Tailleferre

Traduzione inglese

Syd Stapleton

 

Germaine Tailleferre is the only female composer belonging to the so-called "Group of Six," a musical circle that sprang up spontaneously in Paris around 1920. Along with her were the French composers Darius Milhaud, Arthur Honegger, Francis Poulenc, Georges Auric and Louis Durey. The group emerged as a reaction to the dominant trends of Claude Debussy's musical impressionism and Wagnerism, to instead take up the musical legacy of Erik Satie. Jean Cocteau wrote its programmatic manifesto in 1918, under the title The Rooster and the Harlequin, expounding its ideology and musical aesthetics. Germaine Tailleferre was born on April 19, 1892, in Saint-Maur-des-Fossés, in the Parisian suburbs, under the name Marcelle Taillefesse. The little girl began studying the piano with her mother, and began at an early age to compose small works. Her musical studies were openly opposed by her father, representative of a society that considered musical culture for a woman only as a completion of education and not as a profession. So, at age 20 she moved to Paris, changing her last name to Tailleferre, where she studied with Koechlin and Ravel, and where, at the Conservatory, she met Milhaud, Auric, and Honegger. Together with them she frequented the milieu of Montmartre and Montparnasse, where she met men of letters (Apollinaire and Léger) and painters (Picasso and Modigliani). It was in one of the renowned ateliers of these painters that the first concert of the "Nouveaux Jeunes" took place on January 15, 1918, with Tailleferre, Poulenc and Durey. The program included two works by the composer, Jeux de plein air and the Sonatina for string quartet in two movements.

The "Groupe des Six" in the 1920s: Jean Cocteau (at the piano), Darius Milhaud, a drawing depicting Georges Auric, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Francis Poulenc, and Louis Durey. The "Groupe des Six" in the 1950s: Jean Cocteau (at the piano), Darius Milhaud, a drawing depicting Georges Auric, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Francis Poulenc, and Louis Durey.

Her compositions began to be appreciated by the greatest soloists of the time, such as violinist Jacques Thibault and pianist Alfred Cortot. The first Sonata for violin and piano was performed in Paris in 1922 by precisely those two prestigious performers. In 1923 the ballet Le Marchand d'oiseaux saw widespread success. Cortot also performed the Piano Concerto, commissioned by the Princess de Polignac. It was during these years that Tailleferre spent much time with Maurice Ravel at Montfort-l'Amaury. They met near Biarritz in 1919-20. Ravel took an interest in young composers and dispensed advice to Germaine on both writing and orchestration. These regular visits, characterized by long walks around Montfort, were always concluded by long, exhausting hours at the piano. It all ended mysteriously in 1930, and Tailleferre never saw Ravel again, always refusing, even to her loved ones, to provide an explanation.

In 1925 Germaine married American caricaturist Ralph Barton, moving to New York. During her American sojourn she was able to frequent the world of cinema and befriend Charlie Chaplin, who proposed that she compose soundtracks for Hollywood. As is often the case in the history of women composers, the development of her career was impeded by her husband who was jealous of her success - a husband who prevented her from working and expanding her circle of acquaintances and even went so far as to attempt murder to stop her. For these reasons, the musician decided in 1929 to end her marriage to Barton, who would later take his own life, and return to France. The Six chansons françaises were definitely a reaction to the divorce. Texts from the 15th-17th centuries are used, concerning the condition of women. Each work was dedicated to a female friend - one of the rare examples of feminism in her output. At age 39, on June 4, 1931, in Boulogne, Germaine gave birth to her only daughter, Françoise. The following year she married the child's father, French jurist Jean Lageat. Again, however, marriage became an obstacle to her career. In spite of everything, Tailleferre worked in good spirits: the Suite for chamber orchestra, the Divertissement in the style of Louis XV, the Violin Concerto, which has been lost in its original form, and her masterpiece, the Concerto grosso for two pianos, saxophone quartet, eight solo voices and orchestra (1934) were born. She also composed a long series of film scores.

In 1937 she collaborated with Paul Valéry on his Cantata del Narciso, for soprano, baritone, women's choir and strings. In early 1942 she completed the Three Studies for Piano and Orchestra dedicated to Marguerite Long. The German occupation prompted her to flee to the United States with her sister and Françoise, embarking for Portugal. She spent the war years in Philadelphia, where she almost completely stopped composing to devote herself to her daughter. She returned to France in 1946, going to live in Grasse, near Nice. In 1955 she obtained her second divorce and in the same year composed five short works for Radio France, entitled Du style galant au style méchant. Beginning in the 1960s she became increasingly involved in film music and began touring Europe in a duo with baritone Bernard Lefort, among her most loyal friends until her death, which occurred in Paris on November 7, 1983, at the age of 91.

Germaine Tailleferre © Palazzetto Bru Zane - Center for French Romantic Music

Germaine Tailleferre photographed by Arnold Genthe

Asked if she had encountered many obstacles to her artistic life, Germaine, at eighty-nine, replied, "Yes! Always! I married an American who went crazy. The first thing he did was to buy me a toy piano. And then the second husband, while I was writing the Cantate de Narcisse with Paul Valèry, was constantly preventing me from working. I became famous rather quickly because of Les Six, and that irritated them. I had a really difficult life. I don't like to talk about it because I write music as a liberation. Anyway, things were always against me no matter what." "Une Marie Laurencin pour l'oreille" (a Marie Laurencin for the ear) is how Jean Cocteau spoke of Germaine Tailleferre. This correspondence between Laurencin's decorative watercolors and Tailleferre's music is actually not very appropriate. Naiveté, freshness, femininity, are, yes, qualities associated with Tailleferre, since her arrival in the group of Six, but in her music there is above all an authentic vigor, sometimes veined (despite harmonies of a great sensuality) with unexpected austerity.

Tailleferre's output was vast - from opera to ballet, from symphonic to chamber and solo music, from concertos to cantatas, with an eclecticism that demonstrated her profound cultural breadth. It was assumed too long that her oeuvre could be reduced to a series of fascinating piano works composed in the interwar period and that her career as a composer ended with World War II. To think of it this way is to forget that, in addition to these short pieces, Tailleferre composed mainly chamber music, melodies, two piano concertos, three studies for piano and orchestra, the Violin Concerto, the remarkable and impressive Concerto Grosso, four ballets, four operas, two operettas, not to mention numerous other works for small ensembles or large orchestras (such as the astonishing Concerto for Two Guitars and Orchestra, recently rediscovered and recorded in 2004 in Germany by Chris Bilobram and Cristina Altmann). Most of this music was written between 1945 and 1983, the year of her death. Until recently, a huge part of her major output had remained unpublished. Only recently has its breadth been able to be gauged, beginning to assign it, or give it, the place it deserves.

Germaine Tailleferre

Traduzione spagnola

Silvia Cercarelli

 

Germaine Tailleferre es la única mujer compositora que pertenece al llamado "Grupo de los Seis", un círculo musical que surgió espontáneamente en París alrededor de 1920; junto a ella forman parte del grupo los compositores franceses Darius Milhaud, Arthur Honegger, Francis Poulenc, Georges Auric y Louis Durey. El grupo nació como reacción a las tendencias dominantes del impresionismo musical y el wagnerismo de Claude Debussy, para recoger el legado musical de Erik Satie. En 1918 Jean Cocteau escribió el manifiesto programático, con el título El gallo y el arlequín, exponiendo la ideología y estética musical del grupo. Germaine Tailleferre nació el 19 de abril de 1892 en Saint-Maur-des-Fossés, en los suburbios parisinos, con el nombre de Marcelle Taillefesse. La niña comenzó a estudiar piano con su madre, y comenzó a temprana edad a componer pequeñas obras. A los estudios musicales se opuso abiertamente su padre, un representante de una sociedad que consideraba la cultura musical para una mujer solo como una finalización de la educación y no como una profesión. Así que a los veinte años se mudó a París, cambiando su apellido por el de Tailleferre. Allí estudió con Koechlin y Ravel y, en el Conservatorio, conoció a Milhaud, Auric y Honegger. Junto a ellos frecuentó el ambiente de Montmartre y Montparnasse, donde conoció a escritores (Apollinaire y Léger) y pintores (Picasso y Modigliani). Fue en uno de los renombrados estudios de estos pintores que tuvo lugar el primer concierto de los "Nouveaux Jeunes" el 15 de enero de 1918, con Tailleferre, Poulenc y Durey. El programa incluía dos obras de la compositora: Jeux de plein air y Sonatina per quartetto d'archi in due movimenti.

El "Groupe des Six" en los años 20: Jean Cocteau (al piano), Darius Milhaud, un dibujo que representa a Georges Auric, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Francis Poulenc y Louis Durey. El "Groupe des Six" en los años 50: Jean Cocteau (al piano), Darius Milhaud, un dibujo que representa a Georges Auric, Arthur Honegger, Germaine Tailleferre, Francis Poulenc y Louis Durey.

Sus composiciones comenzaron a ser apreciadas por los mayores solistas de la época, como el violinista Jacques Thibault y el pianista Alfred Cortot; la primera Sonata per violino e pianoforte fue ejecutada en París en 1922 por los dos prestigiosos intérpretes. En 1923 el ballet Le Marchand d'oiseaux fue un gran éxito. Poco después, Cortot también interpretó el Concerto per pianoforte, encargado por la princesa de Polignac. Fue durante estos años que Tailleferre pasó mucho tiempo con Maurice Ravel en Montfort-l'Amaury. Se encontraban cerca de Biarritz en 1919-20; Ravel se interesaba por los compositores jóvenes y le dio consejos a Germaine tanto en la composición como en la orquestación. Estas visitas regulares, caracterizadas por largos paseos por Montfort, se completan siempre con largas y agotadoras horas al piano. Todo terminó misteriosamente en 1930, y Tailleferre nunca volvió a ver a Ravel, siempre negándose a dar explicaciones, incluso a sus seres queridos.

En 1925 Germaine se casó con el caricaturista estadounidense Ralph Barton y se mudó a Nueva York; durante su estancia en Estados Unidos tuvo la oportunidad de frecuentar el mundo del cine y entablar amistad con Charlie Chaplin, quien le propuso componer bandas sonoras para Hollywood. Como suele suceder en la historia de las mujeres compositoras, el desarrollo de la carrera se ve obstaculizado por un marido celoso del éxito, un marido que impide que su mujer trabaje y amplie su círculo de conocidos e incluso llega a intentar asesinarla para detenerla. Por estas razones, en 1929 la música decidió poner fin a su matrimonio con Barton, quien más tarde se quitó la vida, y regresar a Francia. Las Six chansons françaises son sin duda una reacción al divorcio. Utilizan textos que datan de los siglos XV-XVII sobre la condición de la mujer. Cada obra está dedicada a una amiga y es uno de los raros ejemplos de feminismo en su producción. A la edad de 39 años, el 4 de junio de 1931, en Boulogne, Germaine dio a luz a su única hija, Françoise. Al año siguiente se casó con el padre de la niña, el jurista francés Jean Lageat. Una vez más, sin embargo, el matrimonio se convirtió en un obstáculo para su carrera. A pesar de todo, Tailleferre trabajó a buen ritmo: la Suite per orchesta da camera, el Divertissement al estilo de Luis XV, el Concierto para violín, perdido en su forma original, y su obra maestra, el Concerto grosso para dos pianos, cuarteto de saxofones, ocho voces solistas y orquesta (1934). También compuso una larga serie de música para películas.

En 1937 colaboró con Paul Valéry para su Cantata del Narciso, para soprano, barítono, coro femenino y cuerdas. A principios de 1942 terminó los Tres estudios para piano y orquesta dedicados a Marguerite Long. La ocupación alemana la empuja a huir a los Estados Unidos con su hermana y Françoise, embarcándose en Portugal. Pasó los años de la guerra en Filadelfia, donde dejó casi por completo de componer para dedicarse a su hija. Regresó a Francia en 1946, y se fue a vivir a Grasse, cerca de Niza. En 1955 firmó su segundo divorcio y ese mismo año compuso cinco obras cortas para Radio France, tituladas Du style galant au style méchant. A partir de los años sesenta se involucró cada vez más en la música de cine y comenzó a recorrer Europa a dúo con el barítono Bernard Lefort, uno de sus amigos más fieles hasta su muerte en París el 7 de noviembre de 1983, a la edad de 91 años.

Germaine Tailleferre © Palazzetto Bru Zane - Centro de Música Romántica Francesa

Germaine Tailleferre fotografiada por Arnold Genthe

Cuando se le pregunta si ha encontrado muchos obstáculos en su vida artística, Germaine, a la edad de ochenta y nueve años, responde: “¡Sí! ¡Todo el rato! Me casé con un estadounidense que se volvió loco. Lo primero que hizo fue comprarme un piano de juguete. Y luego el segundo marido, mientras escribía el Cantate de Narcisse con Paul Valèry, me impedía constantemente trabajar. Me hice famosa bastante rápido gracias a Les Six, y esto los irritó. He tenido una vida muy difícil, no me gusta hablar de ello porque escribo música como una liberación. De todos modos, las cosas siempre estuvieron en mi contra, pasara lo que pasara”. “Une Marie Laurencin pour l'oreille” (una Marie Laurencin para los oídos): así habla Jean Cocteau de Germaine Tailleferre. Esta correspondencia entre las acuarelas decorativas de Laurencin y la música de Tailleferre, a decir verdad, no es muy apropiada. Ingenuidad, frescura, feminidad, son en efecto cualidades asociadas a Tailleferre, desde su llegada al grupo de los Seis, pero en su música hay sobre todo un auténtico vigor, a veces teñido (a pesar de las armonías de gran sensualidad) de una austeridad inesperada.

La producción de Tailleferre es muy vasta: de la ópera al ballet, de la música sinfónica a la música de cámara y solista, de los conciertos a las cantatas, con un eclecticismo que demuestra su profunda cultura. Durante mucho tiempo se ha pensado que su obra se redujo a una serie de fascinantes obras para piano compuestas en el período de entreguerras y que su carrera como compositora terminó con la Segunda Guerra Mundial. Pensar así es olvidar que, además de estas piezas breves, Tailleferre compuso principalmente música de cámara, melodías, dos conciertos para piano, tres estudios para piano y orquesta, el Concierto para violín, el notable e imponente Concerto Grosso, cuatro ballets, cuatro óperas, dos operetas, por no mencionar muchas otras obras para pequeños grupos o grandes orquestas (como el sorprendente Concierto para dos guitarras y orquesta, recientemente encontrado y grabado en 2004 en Alemania por Chris Bilobram y Cristina Altmann). La mayor parte de esta música fue escrita entre 1945 y 1983, el año de su muerte. Hasta hace poco, buena parte de su gran producción había permanecido inédita. Sólo recientemente se ha podido medir su amplitud, empezando a asignarle, o a reconocerle, el lugar que merece.

Germaine Tailleferre

 

Mél Bonis
Laura Bertolotti

Daniela Godel

 

Il sogno della musica può sopravvivere a dispetto di un ambiente ostile, forse è questa la lezione che si trae dalla vita di Mélanie Helene Bonis, nata nel 1858 in una famiglia piccolo borghese parigina e destinata a diventare sarta, secondo la madre, che le impresse una severa educazione religiosa. Invece Mélanie imparò da sola a suonare il pianoforte, a dodici anni, aiutata da lezioni di solfeggio, e fu un amico di famiglia, Hippolyte Maury, insegnante di corno, a convincere i riluttanti genitori a impartirle una formale istruzione musicale. Così nel 1876 fu ammessa come uditrice alla classe di organo del Conservatorio di Parigi, poi studiò Armonia e Accompagnamento pianistico in una classe frequentata anche da Claude Debussy. Nel 1879 ricevette un premio per l'Accompagnamento e nel 1990 un primo premio per l'Armonia. Il suo maestro, Auguste Bazille, disse di lei: «È la migliore della classe, ma è paralizzata dalla paura». È questo l'anno in cui incontra l'amore della sua vita, Amédee Louis Hettich, studente di canto, poeta e giornalista.

Mel Bonis nel 1901. © Association Mel Bonis

A quel tempo una donna poteva suonare e insegnare pianoforte ma non poteva aspirare alla professione di compositrice, perciò quando musicò le poesie di Amédee si firmò con uno pseudonimo maschile, Mel, per celare la sua vera identità. Amédee chiese la sua mano ma trovò la ferma opposizione della famiglia che organizzò, in alternativa, un matrimonio con il ricco vedovo Albert Domage, di ventidue anni più grande di lei, con cinque figli e non particolarmente amante della musica. Nel 1883 Mélanie si assoggettò completamente alla volontà dei genitori e si adeguò alla vita matrimoniale, lasciando gli studi musicali. Ebbe tre figli a cui si dedicò per dieci anni. Il caso volle che la sua vita tornasse a incrociare quella di Amédee e dal loro amore nacque una bambina, mai riconosciuta legalmente, Madéleine, data alla luce durante un viaggio in Svizzera per presunte cure termali, subito affidata a una cameriera, ma seguita nella crescita da lontano. In forza della rigorosa educazione ricevuta, Mélanie visse con molti sensi di colpa la relazione con Amédee con cui si risolse di comunicare solo per ottenere notizie della loro piccola. Alla morte del marito, nel 1918, poté accoglierla finalmente in casa, ma solo quando uno dei suoi figli si innamorò della ragazza ne rivelò la vera identità.

La sua opera comprende un corpus di circa trecento composizioni, sessanta per pianoforte solo, altre a quattro mani, altre ancora per due pianoforti, e poi ventisette melodie, una dozzina per duetti e/o coro, venticinque canti religiosi, trenta per organo, venti di musica da camera, undici opere orchestrali. Il suo stile compositivo è stato definito essenzialmente tardo-romantico, si avvicina a quello di Gabriel Fauré e di Claude Debussy. A partire dagli anni Novanta del secolo scorso la sua opera è stata oggetto di riscoperta da parte di vari musicologi, aiutati dai e dalle pronipoti per giungere alla completa catalogazione. Esiste anche una biografia, ad opera di Christine Géliot, sua pronipote, pubblicata nel 1998, dal titolo Mel Bonis: femme et compositeur. 1858-1937. Si può affermare che il talento di Mélanie abbia dovuto venire dolorosamente a patti con le logiche del tempo che vedevano le donne ai margini della società, sempre relegate in posti di secondo piano. Tuttavia il dono della sua musica la ricorda nella grandezza che non le è stata riconosciuta in vita. Mélanie si spense il 18 marzo del 1937 ed è sepolta nel Cimitero di Montmartre, a Parigi.

Mel Bonis al pianoforte, suonando una sinfonia burlesque, durante gli anni ’20.
© Association Mel Bonis

Mel Bonis distesa a Sarcelles, Francia. © Association Mel Bonis

Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

 

Le rêve de la musique peut survivre malgré un environnement hostile. C'est peut-être la leçon que l'on tire de la vie de Mélanie Hélène Bonis, née en 1858 dans une famille petite-bourgeoise parisienne et destinée à devenir couturière selon sa mère, qui lui imposait une éducation religieuse stricte. Pourtant, Mélanie apprend seule à jouer du piano à l'âge de douze ans, aidée par des cours de solfège. C’est un ami de la famille, Hippolyte Maury, professeur de cor, qui a convaincu ses parents réticents de lui offrir une formation musicale formelle. Ainsi, en 1876, elle est admise comme auditrice à la classe d'orgue du Conservatoire de Paris. Par la suite, elle étudie l’harmonie et l’accompagnement pianistique dans une classe où se trouvait également Claude Debussy. En 1879, elle reçoit un prix pour l’accompagnement, et en 1880, un premier prix pour l’harmonie. Son professeur, Auguste Bazille, disait d’elle : « Elle est la meilleure de la classe, mais paralysée par la peur. Cette même année, elle rencontre l’amour de sa vie, Amédée Louis Hettich, étudiant en chant, poète et journaliste. 

Mel Bonis en 1901. © Association Mel Bonis

À cette époque, une femme pouvait jouer et enseigner le piano, mais elle ne pouvait aspirer à une carrière de compositrice. Ainsi, lorsqu’elle met en musique les poèmes d’Amédée, elle signe sous un pseudonyme masculin, Mel, pour cacher sa véritable identité. Amédée demande sa main, mais il se heurte à l’opposition ferme de la famille, qui organise à la place un mariage avec le riche veuf Albert Domange, de vingt-deux ans son aîné, père de cinq enfants et peu intéressé par la musique. En 1883, Mélanie se soumet complètement à la volonté de ses parents et adopte la vie conjugale, abandonnant ses études musicales. Elle a eu trois enfants, auxquels elle se consacre pendant dix ans. Le destin fit qu’elle recroise la route d’Amédée, et de leur amour naît une fille, Madeleine, qui n’a jamais été reconnue légalement. L’enfant vit le jour lors d’un voyage en Suisse soi-disant pour des soins thermaux. Elle est confiée immédiatement à une gouvernante, mais Mélanie suit son développement à distance. Fidèle à l’éducation rigoureuse qu’elle avait reçue, Mélanie vit sa relation avec Amédée avec beaucoup de culpabilité. Elle décide de ne communiquer avec lui que pour obtenir des nouvelles de leur fille. À la mort de son mari en 1918, elle peut enfin accueillir Madeleine chez elle. Cependant, ce n’est que lorsque l’un de ses fils tombe amoureux de la jeune fille qu’elle révèle sa véritable identité.

Son œuvre comprend un corpus d’environ trois cents compositions : soixante pour piano seul, d'autres pour piano à quatre mains ou pour deux pianos, vingt-sept mélodies, une douzaine pour duos et/ou chœur, vingt-cinq pièces religieuses, trente pour orgue, vingt œuvres de musique de chambre, et onze compositions orchestrales. Son style musical, essentiellement post-romantique, s'approche de celui de Gabriel Fauré et Claude Debussy. Depuis les années 1990, son œuvre a fait l'objet d'une redécouverte par divers musicologues, aidés par ses arrière-petits-enfants pour parvenir à une catalogation complète. Une biographie, écrite par Christine Géliot, son arrière-petite-fille, a été publiée en 1998 sous le titre Mel Bonis : femme et compositeur. 1858-1937. On peut dire que le talent de Mélanie a dû composer douloureusement avec les logiques de son époque, qui cantonnent les femmes à des rôles subalternes. Cependant, le don de sa musique rappelle la grandeur qui ne lui a pas été reconnue de son vivant. Mélanie s'éteint le 18 mars 1937 et repose au cimetière de Montmartre, à Paris.

Mel Bonis au piano, jouant une symphonie burlesque, pendant les années 20.
© Association Mel Bonis

Mel Bonis allongée à Sarcelles, France. © Association Mel Bonis

Traduzione inglese

Syd Stapleton

 

The dream of music can survive in spite of a hostile environment - perhaps this is the lesson drawn from the life of Mélanie Helene Bonis, born in 1858 into a Parisian petit-bourgeois family and destined to become a seamstress, according to her mother, who imprinted a strict religious upbringing on her. Instead, Mélanie learned to play the piano on her own at the age of twelve, aided by solfege lessons, and it was a family friend, Hippolyte Maury, a horn teacher, who convinced her reluctant parents to give her a formal musical education. As a result, in 1876 she was admitted as an auditor to the organ class at the Paris Conservatory, then studied Harmony and Piano Accompaniment in a class also attended by Claude Debussy. In 1879 she received a prize for Accompaniment and in 1890 a first prize for Harmony. Her teacher, Auguste Bazille, said of her, "She is the best in the class, but she is paralyzed by fear." This was the year she met the love of her life, Amédee Louis Hettich, a singing student, poet and journalist.

Mel Bonis in 1901. © Association Mel Bonis

At that time a woman could play and teach piano but could not aspire to the profession of composer, so when she set Amédee's poems to music she signed herself with a male pseudonym, Mel, to conceal her true identity. Amédee asked for her hand but found firm opposition from her family, who arranged, as an alternative, a marriage to a wealthy widower Albert Domage, twenty-two years her senior, a man not particularly fond of music, with five children. In 1883 Mélanie submitted completely to her parents' wishes and adjusted to married life, leaving behind her musical studies. She had three children to whom she devoted herself for ten years. As chance would have it, her life again intersected with Amédee's, and from their love a child, Madéleine, was born, never legally recognized, born during a trip to Switzerland for supposed spa treatment, immediately entrusted to a maid, but followed in her growth from afar. By virtue of the strict upbringing she received, Mélanie experienced her relationship with Amédee with much guilt, with whom she resolved to communicate only to obtain news of their little girl. When her husband died in 1918, she was finally able to welcome her into her home, but only when one of her children fell in love with the girl did she reveal her true identity.

Her work includes about three hundred compositions, sixty for solo piano, others for four hands, still others for two pianos, and then twenty-seven melodies, a dozen for duets and/or choir, twenty-five religious songs, thirty for organ, twenty of chamber music, eleven orchestral works. Her compositional style has been described as essentially late Romantic, approaching that of Gabriel Fauré and Claude Debussy. Since the 1990s her work has been the subject of rediscovery by various musicologists, aided by her great-grandchildren to achieve complete cataloguing. There is also a biography, by Christine Géliot, her great-granddaughter, published in 1998, entitled Mel Bonis: femme et compositeur 1858-1937. It can be argued that Mélanie's talent had to come painfully to terms with the logics of the time that saw women on the margins of society, always relegated to second-class places. Nevertheless, the gift of her music recalls her in the greatness that was not recognized in her lifetime. Mélanie passed away on March 18, 1937, and is buried in Montmartre Cemetery, Paris.

Mel Bonis at the piano, playing a burlesque symphony, during the 1920s.
© Association Mel Bonis

Mel Bonis lying down in Sarcelles, France. © Association Mel Bonis

Traduzione spagnola

Erika Incatasciato

 

El sueño de la música puede sobrevivir, incluso frente a un ambiente hostil; tal vez esta sea la lección que aprendemos de la vida de Mélanie Helen Bonis, quien nació en 1858 en una familia parisina de clase media baja y estaba destinada a convertirse en costurera, según su madre, quien le impartió las estrictas normas de la moral católica. Sin embargo, Mélanie aprendió a tocar el piano de manera autodidacta a los doce años, con la ayuda de unas clases de solfeo; y fue un amigo de la familia, Hippolyte Maury, maestro de cuerno, quien convenció a sus reacios padres a darle una instrucción musical formal. De este modo, en 1876 fue admitida como oyente en la clase de órgano del Conservatorio de París; luego estudió Acompañamiento y Armonía para piano, donde compartió el aula con Claude Debussy. En 1879 recibió un premio por el Acompañamiento y en 1990 ganó el primer premio por la Armonía. Su maestro, Auguste Bazille, dijo de ella: «Es la mejor de la clase, pero está paralizada por el miedo». Ese mismo año conoció al amor de su vida, Amédée-Luis Hettich, estudiante de canto, poeta y periodista.

Mel Bonis en 1901. © Association Mel Bonis

En aquella época, una mujer podía tocar el piano y enseñar piano, pero no podía aspirar a la profesión de compositora; por lo tanto, cuando musicalizó los poemas de Amédée se firmó bajo el seudónimo andrógino Mel, para ocultar su verdadera identidad. Amédée le pidió la mano, pero encontró la firme oposición de su familia que, en alternativa, arregló un matrimonio con el rico viudo Albert Domage, veintidós años mayor que ella, con cincos hijos y no particularmente amante de la música. En 1883, Mélanie se sometió plenamente a la voluntad de sus padres y se adaptó a la vida matrimonial dejando los estudios de música. Tuvo tres hijos, a los que se dedicó durante diez años. Por casualidad, su vida volvió a cruzarse con la de Amédée y de su amor nació Madéleine, hija jamás reconocida legalmente, que alumbró en un viaje a Suiza, justificado con una estancia en las termas, y que enseguida confió a una camarera, aunque la siguió desde lejos. Por la rigurosa educación recibida, Mélanie vivió con un gran sentimiento de culpa su relación con Amédée, con quien decidió comunicar solo para obtener noticias de su hija. Tras la muerte de su marido, en 1918, pudo finalmente acogerla en su casa, pero solo cuando uno de sus hijos se enamoró de su hija reveló su verdadera identidad.

Su obra consta de casi trescientas composiciones: sesenta solo para piano, otras a cuatro manos, otras más para dos pianos, veintisiete melodías, una docena de duetos y/o coros, veinticinco cantos religiosos, treinta para órgano, veinte de música de cámara y once obras de orquesta. Su estilo compositivo se definió esencialmente del romanticismo tardío y se acercaba al de Gabriel Fauré y Claude Debussy. A partir de los años noventa del siglo pasado, su obra fue redescubierta gracias a varios musicólogos ayudados por sus bisnietos y bisnietas para llegar a la catalogación completa. Hay también una biografía, escrita por Christine Géliot, bisnieta suya, publicada en 1998 con el título Mel Bonis: femme et compositeur. 1858-1937. Podemos decir que el talento de Mélanie tuvo que transigir con la mentalidad de la época que veía a las mujeres en los márgenes de la sociedad, siempre relegadas a un segundo plano. Sin embargo, el don de su música nos recuerda la grandeza que no le fue reconocida en vida. Mélanie murió el 18 de marzo de 1937 y fue enterrada en el cementerio de Montmartre (París).

Mel Bonis al piano, tocando una sinfonía burlesca, durante los años 20.
© Association Mel Bonis

Mel Bonis acostada en Sarcelles, Francia. © Association Mel Bonis

 

Sottocategorie

 

 

 Wikimedia Italia - Toponomastica femminile

    Logo Tf wkpd

 

CONVENZIONE TRA

Toponomastica femminile, e WIKIMEDIA Italia