Chiude in questi giorni la bella mostra fotografica e documentaria DONNE E LAVORO, esposta al Centro Commerciale EUROMA 2 della capitale: 90 pannelli, curati dall’Associazione Toponomastica femminile, attraversano gli spazi lavorativi delle donne, fra tradizione e modernità.
Allestita per la prima volta in maggio ai Musei Capitolini (Centrale Montemartini), l’esposizione ha raggiunto in settembre il Museo Archeologico di Terni e la Biblioteca Comunale della stessa città e, dopo la nuova esperienza romana, sarà presto accolta a Padova, arricchita di nuovi pannelli sulle attività produttive locali: faranno dunque la loro comparsa immagini e testi sulle lavoratricidei bachi da seta e sulle “mistre”, abilissime orlatrici di scarpe della Riviera del Brenta.
I pannelli, provenienti da tutta Italia, vogliono sollecitare una riflessione su un impegno femminile, costantemente presente, seppure in forme diverse, e in continua evoluzione: testimoniano la fatica, ma anche i successi delle lotte sostenute dalle donne per raggiungere la parità e intendono sollecitare le amministrazioni a promuovere la memoria dell’operato femminile attraverso l’odonomastica cittadina.
Le targhe stradali restituiscono infatti storie dimenticate o non raccontate, e contribuiscono a mantenere vivo il ricordo di figure esemplari: ma la presenza di parchi, giardini e aree di circolazione intitolate a donne è ancora marginale e soprattutto mancano dalle nostre vie quei modelli femminili moderni che costituiscono una preziosa fonte d’ispirazione e stimolo per le nuove generazioni.
La prima mostra fotografica di targhe stradali intitolate a donne risale all’ottobre del 2012 (Roma, Casa Internazionale delle Donne), in occasione del 1° Convegno nazionale di Toponomastica femminile. Da allora, una ventina di esposizioni hanno attraversato la capitale: dai corridoi della Sapienza alle biblioteche, dai centri culturali alle strutture scolastiche. Per le scuole è stata un’occasione di apertura verso la cultura di genere e di collegamento tra contesto formativo e impalcatura istituzionale.
L’area laziale ha avuto molteplici occasioni di presentare alla cittadinanza riflessioni e immagini in chiave di genere sull’odonomastica: Tivoli, Albano, Colonna, Ariccia, Aprilia, Formia, Cori, Sacrofano, Bassiano, Sora…
Altre iniziative in ambito nazionale hanno toccato Palermo e Catania, per poi risalire la costa tirrenica da Napoli a Genova, e visitare infine il capoluogo piemontese. Sul versante adriatico, mostre analoghe hanno preso le mosse dal Veneto – con Padova, Chioggia, Rovigo e Lendinara – per diffondersi in Romagna – da Rimini a Ravenna – e in Friuli Venezia Giulia, da Udine a Trieste.
Dalla scorsa estate una grande mostra itinerante work in progress gira per la Puglia e ha già raggiunto una dozzina di comuni.
Intitolazioni a resistenti e madri costituenti percorrono invece la Lombardia: da Garbagnate a Lodi, da Albino a Scansorosciate e a Melegnano.
Oltre al ricco repertorio di targhe stradali – che ricordano letterate, poete, giornaliste, politiche, scienziate, artiste, educatrici, operaie, archeologhe eccetera – sono esposte in mostra una serie di immagini sul tema del lavoro femminile: documenti, foto d’epoca, foto attuali, rappresentazioni di opere d’arte.
Un’ampia sessione è dedicata alle artigiane.
Merlettaie, ricamatrici e sarte, con approfondimenti e specificità regionali, occupano metà lato del quadrilatero.
L’arte femminile del ricamo è stata per lo più convogliata nelle manifatture gestite da uomini. Tuttavia i conventi di clausura hanno creato a volte una rete in grado di offrire alle orfane la possibilità di reinserirsi nel contesto sociale esterno proprio grazie ai proventi realizzati dalla vendita dei ricami.
La lavorazione del merletto è diffusa a livello capillare nel nostro Paese: in luoghi e tempi diversi ha scelto l’ambiente claustrale, di scuola, bottega e fabbrica, ma soprattutto si è realizzata all’aperto, lungo i vicoli dei borghi, in forma collettiva insieme alle altre donne del vicinato, con cui condividere “l’intreccio dei fili con quello del racconto e dei commenti delle notizie quotidiane”. I Merletti di Burano, Chioggia e Pellestrina, le trine di San Sepolcro, i tomboli di Offida e Isernia, i ricami dell’Aemilia Ars bolognese costituiscono punte di diamante del vasto panorama offerto dalla tradizione. Negli ultimi secoli, il ricamo dei corredi matrimoniali e l’applicazione di merletti e trine, hanno rappresentato un’importante fonte di reddito per le ragazze.
Un piccolo introito per le famiglie rurali proveniva anche dal lavoro delle giovani lavandaie. Le ragazze di campagna andavano in città a prendere i panni sporchi delle case benestanti, li lavavano a fiume e li riconsegnavano puliti e stirati. “Anche attraverso questi panni che andavano avanti e indietro dalla città al fiume transitava l’emancipazione femminile”: le clienti, che nella loro comunicazione abituale usavano una lingua più evoluta, insegnavano loro malgrado alle contadine, cresciute nel dialetto, espressioni e forme della lingua italiana.
Nei paesi marinari le attività femminili assumevano caratteri propri. La prolungata assenza degli uomini, rendeva le donne protagoniste incontestate dell’organizzazione familiare e sociale. Ecco dunque che si prodigano in appoggio alle attività di pesca: producono reti e vele, bagnano i cordami, preparano le esche. A Torre del Greco, dove la pesca e la lavorazione del corallo hanno lontane origini, le donne, molto abili nel taglio nella bucatura e nel confezionamento di collane, costituiscono la stragrande maggioranza del personale operaio addetto al settore.
Non mancano in mostra documentazioni su forme d’arte diverse, dalla pittura alla scultura, dalla fotografia alla musica. La storiografia ha cancellato, occultato, sottostimato la presenza delle donne nella musica, eppure, raffigurazioni antichissime le ritraggono alle prese con strumenti e composizioni. Per lungo tempo alle cantanti venne vietata l’esibizione in pubblico e, in tempi non lontani, molti ambienti restarono comunque inospitali. Nel sordido mondo del jazz, ad esempio, viaggiare ed esibirsi rappresentava un rischio per le donne. Ma vi furono ugualmente grandi musiciste, seppure occultate: il loro lavoro, di compositrici e arrangiatrici, è stato spesso attribuito a uomini. Più forte la presenza femminile nel blues. Tra le tante voci nere, se ne distingue una bianca: quella di Janis Joplin.
“Le grandi donne del blues nascono povere, hanno vite difficili, ma hanno dato vita alla grande musica del Novecento. Il jazz, il rock e anche tanta musica colta sarebbero impensabili senza il loro canto”.