L'altra metà del cielo per le vie di Genova

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La città di Genova, femminile nel nome, non si discosta nel calcolo toponomastico dalla media nazionale, e forse internazionale: solo il quattro o il 5 per cento delle sue strade è intitolato a donne. Il suo centro storico, il più grande d’Europa, dove le strade sono spesso frammentate in vicoli e vicoletti, passaggi, scalinate, come accade in gran parte delle città omaggia madonne, sante e beate e lascia poco spazio a una memoria femminile laica.

Genova, non dimentichiamo, è città medaglia d’oro della Resistenza e lo scorso 13 settembre ha finalmente voluto dedicare uno spazio collettivo alle tante donne, partigiane e occasionali collaboratrici, spesso giovanissime, che si sono prodigate con grande coraggio e tenacia al fine di liberare l’Italia dai tedeschi e dai fascisti e costruire uno Stato libero e democratico. In Valbisagno oggi troviamo “via Donne della Resistenza”, una strada piccola ma importante per il suo valore simbolico, in quanto restituisce alle donne il loro ruolo fondamentale nella lotta per la libertà. Ci sono da tempo strade dedicate singolarmente a partigiane particolarmente care alla memoria della città. Felicita “Alice” Noli (1906-1944) è stata un raro esempio di energia e coraggio, capace di insultare a viso aperto fascisti e tedeschi, ma di salvare un repubblichino perché padre di un bimbo piccolo. Prima picchiata e torturata, non fece mai i nomi dei compagni. Venne fucilata, ultima del gruppo, per rappresaglia dopo l’uccisione di due militi delle brigate nere. Stefanina Moro (1927-1943) faceva parte dei gruppi di collegamento tra partigiani, ed è morta a soli sedici anni per le torture inflitte dai fascisti.

Tea Benedetti, che se n’è andata nel 2000, è stata partigiana e poi operaia, in prima fila nelle lotte per la giustizia sociale e l’emancipazione della donna, costruttrice del movimento delle pubbliche assistenze in Liguria e in Italia. Per le altre intitolazioni femminili della città, la scelta è variegata: ci sono donne non liguri, ma che hanno lasciato un segno profondo nella storia o nell’arte, e donne genovesi, alcune legate a episodi locali, altre significative per l’impronta profonda e ancora viva nel nostro presente.

Tra le prime troviamo Sofonisba Anguissola (1532-1625), piacentina di nascita, grande ritrattista apprezzata in tutta Europa: è stata la prima donna che ha studiato “a bottega”, aprendo così le porte dell’arte come professione a tutte le altre donne dopo di lei. Sibilla Mertens, (1797-1857), archeologa tedesca. Eleonora Duse (1858-1924), nata a Vigevano, veneta di origine, una delle più grandi attrici del teatro moderno italiano. Con lei possiamo citare un’altra attrice italiana, Adelaide Ristori (1822-1906), nata a Cividale del Friuli.

LogoDOLSGenova400E ancora: Giuditta Tavani (1830-1867), romana, simbolo della lotta risorgimentale per la liberazione di Roma. Francesca Saverio Cabrini (1850-1927), lombarda ma naturalizzata statunitense, religiosa fondatrice delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù, prima cittadina americana a essere proclamata santa. Ermelinda Rigon (1889-1973), piemontese, fondatrice del cenacolo Domenicano. Maria Brighenti (1868-1915), romana, di distintissima famiglia: volle diventare assistente alla truppa durante la Grande Guerra, e morì in Libia massacrata dai ribelli, meritando la medaglia d’oro. E poi ci sono le genovesi, come Virginia Centurione Bracelli (1587-1651), giovane e ricca vedova che dedicò la sua vita a opere di carità e fondò la congregazione religiosa delle “Brignoline”; Susanna Fontanarossa, vissuta nel XV secolo e, si dice, madre di Cristoforo Colombo; Laura Pinelli e Sofia Lomellini, nobildonne aderenti all’Arciconfraternita della Morte che nel 1627, anno in cui la peste (la stessa descritta dal Manzoni) colpì la popolazione di Genova, lasciarono il lusso e gli agi dei palazzi nobiliari per dedicarsi agli appestati; Pellegrina Amoretti (1756-1787), di Oneglia, giurista, ricordata per essere stata la terza donna laureata in Italia. Si aggiungono Teresa Durazzo Pallavicini (1805-1895), nobildonna, sposata giovanissima con Giorgio Doria e attiva per tutta la vita, con marito e figli, nei movimenti di opposizione genovesi; Antonietta Massuccone Mazzini, sorella maggiore di Giuseppe, alla quale è intitolata la strada dove ha vissuto; Carlotta Benettini (1812-1873) battagliera durante il Risorgimento e attiva nei Comitati di Soccorso, considerata una delle maggiori esponenti del movimento mazziniano e nominata socia onoraria della Consociazione operaia genovese; Madre Eugenia Ravasco (1845-1900), filantropa e religiosa, che ha fondato la Scuola Magistrale Normale e la casa per le giovani operaie. Infine, sono ricordate anche donne che potremmo definire “normali”, ma che la casualità degli avvenimenti ha permesso loro di esprimersi per coraggio e determinazioni, rivelando così di essere invece “speciali”. Eccone alcune:

Le Sorelle Avegno: durante un incendio a bordo della nave inglese Croesus (siamo nel 1855), sviluppatosi proprio davanti alla piccola baia di San Fruttuoso, Caterina e Maria saltarono su un piccolo gozzo e si lanciarono verso il bastimento in fiamme, e in diversi viaggi caricarono molti dei naufraghi, portandoli in salvo. Purtroppo a un tratto il gozzo si rovesciò e Maria, madre di otto figli piccolissimi, annegò. Anche Caterina morì dopo poco, a seguito della faticosa impresa, ma grazie alle due sorelle le vittime dell’incendio furono solo ventiquattro. Maria venne insignita della prestigiosa Victoria Cross e dalla Medaglia d’Oro alla Memoria (è stata la prima donna a riceverla). I principi Doria disposero che le due donne fossero sepolte, con tutti gli onori, nella cripta dell’Abbazia di San Fruttuoso, dove tuttora riposano.

Rosanna Benzi (1948-1991): colpita a soli quattordici anni da una grave forma di poliomielite, divenne tetraplegica e afflitta da una grave insufficienza respiratoria che la costrinse a vivere per tutta la vita in un polmone d’acciaio. Ma la sua voglia di vivere era tanta che Rosanna fece sentire la sua voce ben oltre la gabbia tramite cui respirava, impegnata in prima linea nella lotta per i diritti dei disabili. Scrisse libri, Il vizio di vivere e Girotondo in una stanza, fondò la rivista Gli altri, e realizzò inchieste su handicap e sessualità e sul disumano trattamento inflitto ai malati psichiatrici.

Maria Grazia Casazza: vigilatrice penitenziaria nel carcere di Torino “Le Vallette”, durante un incendio innescatosi per caso (era il 1989), si è prodigata con enorme generosità per aiutare le detenute a uscire dalle celle, ed è morta per l’intossicazione causata dalle venefiche esalazioni dei materiali combusti. Aveva solo ventinove anni. Infine, un tocco internazionale: Il 21 luglio 2010, alla presenza del premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi, la rotonda della Fiumara di Genova è stata intitolata alle Donne di Teheran, ricordate per il loro coraggio e come “pioniere dei diritti civili”.