Da alcuni mesi sono in compagnia della “Cucchiara”, da quando Giovanna Crivelli me l’ha presentata. Dico “sono in compagnia” perché il romanzo della scrittrice siculo-tedesca Ada Zapperi Zucker assorbe e fa entrare nella storia di donna Ciccia, detta la Cucchiara, così profondamente da renderla familiare e amica al lettore e soprattutto alla lettrice. Tra dieci giorni, l’opera riceverà a Massa un nuovo riconoscimento che conferma il suo valore e la sua forza narrativa.
La Cucchiara è un personaggio storico, ostessa catanese, antenata di Ada Zapperi Zucker che ne racconta la storia in un romanzo articolato in racconti che intrecciano fili di storie ordinarie e insieme straordinarie.
“La Cucchiara: una famiglia siciliana” cresce come una saga avvincente che risucchia chi legge nel turbine di vite ripescate dal vuoto dell’invisibilità e raccontate da una singolare prospettiva multipla. In certi momenti l’autrice s’immerge nella storia delle sue antenate e creature -Ciccia, Sara, Elena, Agata, Antonietta, Anna- prende le distanze dal loro mondo di brutale sottocultura patriarcale e, da narratrice onnisciente, riflette e parla con i suoi lettori dell’arroganza del sotto-pensiero sessista che accompagna le vite di donne e uomini, chiudendoli in gabbie di convenzioni e consuetudini accettate anche a costo di sofferenza. In altri momenti del suo racconto, Ada Zapperi Zucker entra in quel mondo da una prospettiva verghiana e dà parola ad una comunità atavica, segnata da convenzioni dolorosamente discriminanti, subite con rassegnazione. I motti di sapienza ed insipienza antica costellano scelte, movimenti di vita, destini: così l’autrice svela dinnanzi a noi l’abisso da cui veniamo e di cui ci scopriamo, anche noi, vittime inconsapevoli. È proprio qui , una delle ragioni di forza dell’opera: parla di noi, pur portandoci altrove.
“La Cucchiara” ha familiarità con Toponomastica femminile, non solo perché attraversa le strade della città di Catania, maschile anche nella toponomastica, non solo perché di donna Ciccia resta ricordo nella toponomastica orale non cartografata, ma anche per un più forte punto d’incontro: il romanzo di Ada ZapperiZucker come le battaglie di Toponomastica femminile, ha al centro il silenzio delle donne e sulle donne.
Dal silenzio ora riemerge donna Ciccia, figura potentee diversa, figura dominante, eppure a rischio di oblio se la scrittura di Ada ed una targa toponomastica non l’avessero salvata.
La sottocultura patriarcale, con i suoi pregiudizi, stereotipi, modelli primitivi, è il terreno insidioso (perché produce infelicità) e necessario (perché su quello bisogna camminare) su cui si muovono la Cucchiara e le donne e gli uomini della sua casa.
Poche regole, non scritte, ferree: le donne non hanno parola, obbediscono sempre, sanno di essere nate per piacere e compiacere un uomo e che al piacere di quell’uomo tutto è dovuto.
Ada racconta una società piramidale, gerarchica, nella quale le donne stanno al gradino più basso, al gradino che sta sotto anche quello degli uomini afflitti da qualche minorità.
Cosa cambia in quasi un secolo, nella Catania di donna Ciccia, dal tempo della Cucchiara a quello delle sue nipoti? Poco. Ma crescono l’insofferenza delle donne, il loro tentativo\desiderio di fuga, nel quale si sperimenta la sorellanza, purché invisibile anch’essa.
Né l’appartenere ad una condizione più agiata, l’essere portatrici di dote, l’avere studiato l’italiano e saper parlare, salvano la Cucchiara e le altre. Anzi le espongono a rischi e ad attacchi più subdoli. Vittime di uomini a caccia di patrimoni. Sottoposte a più rigidi controlli e cerimoniali. Più soggette alla regola dell’obbedienza alle convenzioni sociali.
Ma Ada Zapperi non ferma il suo sguardo al mondo femminile, racconta anzi un mondo poliedrico, abitato da uomini e donne. Ed è qui un altro motivo di forza della sua opera: donne e uomini pensano da uomini e nutrono insieme, da vittime o da aguzzini, il mostro della sottocultura patriarcaleche divora e stritoladonne e uomini.
Complici del sacrificio delle figlie, i padri obbediscono, come le madri, e non certo con una prospettiva di più grande felicità personale, alle stesse leggi spietate e naturalissime che i padri hanno tramandato e di cui si ritengono naturali “tutori”, “perché sempre così è stato”
Francesco P. sacrifica ad un matrimonio infelice la figlia Antonietta, la più amata delle sue figlie edei suoi figli , quella che aveva accudito i fratelli e la madre malata, “conquistandosi anche il rispetto di Puddu e Santu. “Il che non era poco, considerando il fatto che apparteneva alla sottocategoria delle femmine”.
Il principe-padre la costringe a sposarsi per salvare “l’onore” della famiglia”.”Dichiarò che senza quel matrimonio non avrebbe più potuto andare per strada per strada come prima. La vergogna , il rossore gli sguardi ironici di chi lo conosceva lo avrebbero ucciso” .
Agata, la seconda figlia, sottratta alla potestà del padre e sottoposta a quella dei fratelli, capì che “per uscire dalla campana di vetro dove l’avevano relegata i fratelli, doveva correre il rischio di cadere nelle reti di un imbroglione…aveva intuito che anche lui era un disperato chiuso in una gabbia, una gabbia diversa dalla sua”. E così s’incaponisce a sposare, contro tutti (tranne la Cucchiara), quel”moscardino” e diseredato di Nino, lei bella come una “cassata”.
Puddu e Santina sono diversi ”aguzzini” di Agata. Anna, madre di Nino, s’accanisce contro di lei perché “vestito vecchio, smesso, buttato, ecco cos’era una donna con un passato disonorevole”
La Cucchiara, per far pervenire un pacco di spaghetti, deve eludere il controllo di Vincenzo, che la controlla e lascia in eredità a d Agata 10 appartamenti: ma quella figlia sua non la rivide più.
Don Michelangelo Fichera, padre di Sara, accoglie, infine, la figlia data in sposa, ”per riparare”, a Peppino P. , di 20 anni più anziano.
In questo mondo-gabbia la Cucchiara è comunque una diversa. Bella e incalzante la serie di battute che donna Ciccia scambia con don Ciccio, allora suo corteggiatore: Lei: ”Cu libera voli stari, nun si stassi a ‘ncatinari”; lui: “casa senza omu, casa senza nomu”; lei: “di uomini ne ho avuti due e credo che abbiano dato un nome onorato a questa casa…se non fosse bastato il mio da solo” . in questa conclusione, che suggella l’incontro, la Cucchiara è straordinariamente diversa: sta nella cultura patriarcale ma le tiene testa, come può.
Consentirà a don Ciccio di entrare nella sua vita e di “smontare, pezzo pezzo, quel letto con cui annullava tutto quanto aveva contato fino a quel momento per sé , come cosa inservibile, da buttare via: la sua identità di donna indipendente”. Avrebbe detto anni dopo: “Mi sono messa la corda al collo, me ne accorsi appena andò via”.
Eppure, unica e diversa, la Cucchiara lascia eredità, anche di nome. Come gli uomini. Ci sarà la Cucchiaredda, Agata: una femmina che donna Ciccia salva da un destino di miseria economica e morale con mezzi silenziosi e clandestini che lei sola sa concepire.
In questo mondo di infelicità tessute insieme, in modo inconsapevolmente complice, da uomini e donne, dunque, la Cucchiara svetta. E svettando, lascia un segno forte di sé. La conferma mi viene dalle parole di Mara, un’ alunna sensibile e attenta.
Alla fine della lettura del romanzo in classe, Mara - che mi ha appena raccontato di un fidanzato geloso che la insegue e annichilisce e alla quale consiglio di interrompere la relazione e di dedicarsi a se stessa- risponde mesta e consapevole: “La Cucchiara avrebbe detto di non mettermi il cappio da sola!”. È il segno, lieve e decisivo, che Ada Zapperi Zucker ha costruito un grande personaggio, del quale e con il quale continueremo a parlare.