Due profondi valloni corrono ai lati del centro storico di Ariccia, antica città latina assoggettata al dominio romano e ai capricci del vulcano laziale: tufi, peperini, colate laviche, lapilli e scorie ricoprono la vallata, lontana erede di un cratere. A metà strada tra le conche lacustri di Albano e Nemi, raggiunte dalla via Appia, Aricia divenne un ambito luogo di vacanza per gli antichi romani e un'importante tappa del Grand Tour per artisti e letterati del Settecento. La sua vocazione turistica la rende ancora oggi meta privilegiata di gite domenicali fuori porta per le famiglie della capitale, attratte dal mito della porchetta e del buon vino, serviti nelle tipiche fraschette.
La cittadina ne ospita ben 44, per lo più concentrate intorno a palazzo Chigi: sono il frutto di una tradizione antica, legata ai prodotti del territorio. Queste zone, tuttavia, offrono dell'altro da vedere: dal ponte monumentale a tre ordini di archi voluto da papa Pio IX, al palazzo e al parco dei Chigi, dal museo del Barocco Romano, alla Collegiata dell'Assunta, dall’antica via Sacra che sale fino a Monte Cucco, ai resti della villa imperiale di Vitellio. La toponomastica cittadina racconta solo in parte i legami tra personaggi e sito e non presta attenzione alla parità di genere. Su 312 aree di circolazione, 76 sono dedicate a uomini e 10 a donne, poco più del 24% per le glorie maschili, poco più del 3% per gli onori femminili: due figure storiche (Azia e Antonietta Chigi), tre creature mitologiche (Diana Aricina, Egeria e Flora) e quattro personaggi di difficile identificazione (Aurelia, Flavia, Rosa, Silvia). Sono assenti dallo scenario odonomastico aricino studiose e artiste, partigiane e madonne e l’unica intitolazione religiosa ricorda Rosa Severini, fondatrice di una scuola pia destinata all’educazione delle ragazze povere e affidata a Lucia Filippini, di cui abbiamo memoria nelle strade di Castel Gandolfo: il catechismo insegnato da sole donne, senza l’apporto dei sacerdoti, fu considerata, sul finire del Seicento, un’innovazione rivoluzionaria.
di Maria Pia Ercolini
Le dee, la principessa, le “cappellone”
Passeggiando per il centro di Ariccia ci imbattiamo in via Azia e in via Egeria. Nomi di origine romana: la prima, madre dell'imperatore Augusto e figlia di M. Atio Balbo. Gli avi di Azia da parte di padre vantavano numerosi senatori ed erano originari del luogo. La via quindi trova il motivo della sua presenza nella finalità di sottolineare il forte legame con l'Urbs e la sua storia, e il ruolo non secondario dell'antica comunità aricina. Ma ad Ariccia il legame con la storia romana si fa più complesso perché il nome di Egeria, la ninfa trasformata in fonte poiché “si sciolse in lacrime” (OVIDIO, Metamorfosi, XV, 549) per aver perso il suo amante, il re Numa Pompilio, si ricollega al misterioso culto di Diana Aricina a cui, in zona non centrale, viene dedicata una via. Diana Aricina è la dea venerata dalle città latine che si oppongono a Roma. Egeria e Diana sono legate al mondo della femminilità: le donne le invocano nel parto. Le due dee, con ruoli diversi, ridanno nuova vita al mitico Ippolito che dopo la morte, per volere di Diana, proprio ad Ariccia rinasce come adulto. Non più adolescente, avrà un altro nome: Virbio, il vir bis, il “due volte uomo”. In questi luoghi, gli antichi riti dedicati a Diana e ad Egeria sono legati al mondo misterioso del bosco, del “non abitato”, al mistero del generare, ai riti di iniziazione grazie ai quali la persona diviene adulta e trova nell'inserimento nella comunità, una nuova forma di esistenza.
Da una parte antiche donne romane, dall'altra parte benefattrici. Basta attraversare l'Appia, lasciarsi alle spalle il monumentale Palazzo Chigi ed incontriamo la strada intitolata ad Antonietta Chigi. È nata il 12 marzo del 1839 ad Ivanovsky, distretto di Kursk in Russia. Il matrimonio con Mario Chigi nel 1857 l'ha condotta ai Castelli Romani. Lei porta con sé le tradizioni e le abitudini di una nobile ed importante famiglia europea. Suo nonno, generale dell'esercito zarista, ha salvato San Pietroburgo dall'attacco di Napoleone; sua madre, la principessa Leonilla Bariatinsky, una delle donne più affascinanti d'Europa, frequenta i salotti più importanti del tempo, in Russia, in Francia, in Svizzera. Molte delle doti di Antonietta sono dovute proprio all'educazione ricevuta dalla madre: entrambe intelligentemente sensibili. Ariccia ha potuto sperimentare questa sensibilità: Antonietta ha fatto in modo che ad Ariccia si aprissero un Asilo ed una Farmacia pubblica gestiti dalla Congregazione francese delle Figlie della Carità. La costruzione dell'Ospedale Ortopedico Sanatorio d'Italia si deve sempre a lei. Le Figlie della Carità, soprannominate ad Ariccia, le “cappellone” a causa del loro particolare copricapo, sono rimaste nella memoria della gente del luogo. Tutte ricordano la loro disponibilità come la loro creatività ed inventiva nel fare scuola alle ragazze povere, nell'accudire le bimbe e i bimbi dell'Asilo, i malati e i poveri. Erano anche apertamente coraggiose se, come ricorda una donna aricina nella sua testimonianza offerta per il libro “Ariccia, I Chigi, Le Figlie della Carità”, le suore ospitarono rifugiati e soldati durante la Seconda Guerra mondiale. E la superiora apostrofò come “giuda” l'ariccino che accompagnava i tedeschi a cercare i soldati. Anche loro meriterebbero una strada. Il ricordo affettuoso lo hanno già: dovrebbero entrare a far parte di quel patrimonio di simboli che aiuta tutti, ariccini e non, a confrontarsi con la storia. Con loro anche Maria Antonia Scalera Stellini. Nata nel 1634 in Puglia da un'umilissima famiglia, Maria Antonia decide di dedicarsi alla vita consacrata. Forse ciò che più la attrae dell'isolamento claustrale è la possibilità di studiare, di dedicarsi alla poesia. La famiglia, però, decide per lei il matrimonio. Rimasta vedova, si risposa e viene a vivere ad Ariccia dove il marito ha trovato lavoro presso i Principi Chigi. Qui incontra un ambiente favorevole alla poesia che rimane ed è il suo interesse principale. Viene ascritta nell'Accademia degli Sfaccendati di Ariccia e successivamente nell'Arcadia di Roma col nome di Aricia Gnateatide. Riscuote grandi successi, diviene famosissima e al suo funerale nella chiesa centrale di Ariccia le vengono attribuiti degli onori speciali. Il vescovo concede il permesso agli Accademici Sfaccendati di recitare in Chiesa le sue poesie con tanto di scenari variopinti e personaggi tratti dalle stesse opere della Scalera. Ha scritto Maria Antonia “...se ‘l mio Canto havrà propizia sorte/ Io saprò […] vincer il Tempo e incatenar la Morte”. Sappiamo già che ha vinto la sua battaglia personale per una vita più realizzata. Ricordandola, con una strada, noi potremmo contribuire a vincere la battaglia contro l'oblio in cui cadono le donne.
di Mary Nocentini