Adagiata sulla dorsale dei Lepini, a seicento metri di quota, Segni mantiene ancora un carattere prevalentemente agropastorale, anche se la produzione di materiali da costruzione ha sviluppato il settore secondario e il turismo vi ha messo radici ormai consolidate, grazie alla natura invitante, all’aria salubre e al buon clima estivo: castagneti e faggete ricoprono le pendici dei rilievi, il monte Lupone richiama gli amanti del trekking e dei grandi panorami, mentre fragole, more e funghi attraggono i visitatori più golosi.
Il suo nome è forse legato alle insegne (signa) che i romani posero al momento della conquista: ubicata lungo la valle del Sacco, al tempo chiamato Tolero, la cittadina rivestì un ruolo strategico che le permise di godere di una certa indipendenza e di coniare sue monete d’argento. Tito Livio, nel libro I (56,3) dell’Ab urbe condita, racconta che Tarquinio il Superbo, volendo estendere e rafforzare i confini dell’impero, vi inviò alcuni coloni per farne una difesa avanzata dell’urbe. L’elemento architettonico più caratteristico di Segni è la cinta muraria ben conservata, interrotta da numerosi varchi, di cui la porta Saracena costituisce il gioiello più prezioso. Per la grandezza dei suoi massi, essa è spesso paragonata alla porta dei Leoni di Micene e il parallelo tra le due opere è stato certamente alla base dell’attuale gemellaggio con il Comune greco. Il centro storico, a forma di fiasco, ha un tessuto stradale articolato e irregolare, con vicoli stretti e raramente lineari. Delle 131 strade comunali, 45 sono dedicate a uomini e 7 a donne. L’indice di femminilizzazione si assesta dunque intorno al 15%, ben più alto della media nazionale (8%). Ad est, su un colle limitrofo meno elevato, si trova Gavignano, molto apprezzata dalle famiglie romane che intorno al I secolo a. C. vi edificarono numerose ville di campagna di cui restano oggi architravi, capitelli e mosaici. In periodo medioevale il borgo si sviluppa intorno al suo castello: cinta muraria a pianta trapezoidale, mastio quadrangolare a forma di torre, palazzo baronale definiscono il castrum. La famiglia dei Conti ne controlla il feudo fino al Seicento, e sarà poi sostituita da Aldobrandini, Pamphili, francesi. Gavignano tornerà allo Stato della Chiesa nel secondo decennio dell’1800 e finalmente, nel 1861, entrerà a far parte del Regno d’Italia. Qui, la regina Margherita ha avuto l’onore di una via, ma né la principessa Olimpia Aldobrandini, né tanto meno Olimpia II, che pure furono titolari del feudo, sono riuscite a strappare un’intitolazione. Dimenticate dalla toponomastica anche le Pie Operaie, che per gran parte del Novecento vissero nel palazzo baronale. Del resto non c’è molto da stupirsi: scorrendo i nomi degli attuali amministratori e consiglieri non v’è traccia del genere femminile.
di Maria Pia Ercolini
Uomini in luce e donne in ombra
Dall’homepage del sito della città di Segni si accede alla sezione “Uomini Illustri” che conta 9 religiosi e un senatore. Eppure, con le preziose indicazioni della bibliotecaria locale e di un giovane segnino, riaffiorano una ad una anche le donne che hanno dato altrettanto lustro alla città: tra quelle di sangue blu primeggiarono Fulvia Conti Sforza, riformatrice dello statuto segnino alla fine del XVI secolo, ed Eleonora Orsini (1592-1634), prima duchessa di Segni, donna colta e celebrata dai poeti dell’epoca, virtuosa compositrice di brani musicali.
Donne pie e operose furono le numerose monache di tre ordini diversi che lavorarono a Segni a partire dalla fine del XIX secolo. Le Figlie della Carità di San Vincenzo de’ Paoli vi arrivarono nel 1870 assolvendo a un duplice compito: gestire l’ospedale dell’Opera Pia Milani-Rossi e occuparsi dell’istruzione delle fanciulle. Tra loro si contano infermiere e maestre che si spesero con abnegazione per tutta la comunità.
L’ospedale, ormai chiuso, fu istituito nella prima metà dell’Ottocento e fu sostenuto da generose donazioni; i fondatori sono entrambi omaggiati nella toponomastica locale (Via Milani e Via Rossi) e, dopo il 1900, l’unica strada che venne intitolata a una benefattrice è via Maria Valenzi. Nata a Segni nel 1837 e morta a Roma nel 1883, rimasta vedova e senza figli, nominò l’ospedale erede dei suoi beni. Non andrebbe però dimenticato lo spirito altrettanto filantropico di altre donne citate solo in fonti di storia locale: Luisa Boisbrissen, Imperatrice Volpicelli, Maria Volpicelli, Teresa Allegrini e sicuramente molte ancora.
Dal 1887 furono attive anche le Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret, chiamate a Segni da papa Leone XIII, che organizzarono l’asilo, la scuola elementare e un laboratorio di cucito. Tra tutte citeremo suor Maria Grazia Presutti che vi insegnò per oltre cinquanta anni. Infine, le suore del SS. Sacramento, dette le Sacramentine, che dal 1930 si occuparono dell’Istituto Magistrale fino alla fine degli anni Novanta. A fronte di una tale presenza, nello stradario ottocentesco di Segni comparivano via delle Monache e via delle Vergini, ma attualmente non ce n’è più traccia, sostituite nel secondo dopoguerra da nomi maschili ritenuti “più appropriati”. Scomparsa è anche via delle Streghe. L’ammodernamento toponomastico ha risparmiato le strade dedicate alle sante Lucia, Agata, Anna e Piazza Santa Maria. A queste recentemente è stata aggiunta via Madre Teresa di Calcutta, che ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Segni durante la sua visita nel 1990. Unica donna laica rimane quindi Maria Valenzi, ma in una città così devota dovrebbero poter trovare posto i nomi di suore infermiere, cuoche e maestre che hanno accudito e istruito la comunità per decenni.
Per qualche via ancora da intitolare, dopo Verdi e Puccini, si potrebbe suggerire il nome di una musicista locale, certo meno famosa, ma che fece onore alla sua città: Sandra Caratelli (1912-1976), pianista e compositrice. Tra le sue opere vanno segnalate “Fantasia da concerto n. 1” e “Inquietudine”. Anche lo stradario di Gavignano riserva poche sorprese: ha due vie a tema religioso (Annunziata e Delle Grazie) e una per la celebratissima Regina Margherita. Nessuna donna? Le ricerche non hanno portato risultati, ma quando mi trovo in un simile stallo concludo di non aver cercato abbastanza e mi rifiuto di credere che non ci sia stata in questi luoghi nessuna donna, laica o religiosa, che abbia dato il suo contributo sociale o culturale. Allora affido le speranze a queste poche righe affinché funzionino da appello per chi voglia scavare, per curiosità o magari per spirito campanilista, e proporre un nuovo nome da ricordare.
di Saveria Rito