Maria Agamben Federici

MARIA AGAMBEN FEDERICI

Di Fiorenza Taricone

Maria Agamben nasce a L’Aquila il 19 settembre del 1899 da Alfredo e Nicolina Auriti. Laureata in Lettere, insegna Italiano e Storia nelle scuole medie superiori e svolge attività giornalistica.

A Roma, dove si è trasferita per motivi di studio, conosce Mario Federici, autore di testi teatrali e critico già noto. Si sposano nel 1926, in pieno fascismo. Durante il regime, si trasferisce con il marito all’estero e continua a insegnare presso gli Istituti italiani di cultura, prima a Sofia, poi in Egitto e poi a Parigi. Fa ritorno a Roma nel 1939 e s’impegna nella Resistenza.

Nello stesso periodo, come delegata dell’Unione Donne dell’Azione Cattolica Italiana (Udaci), organizza un piano di assistenza per le impiegate dello Stato, rimaste disoccupate.

Nel 1944, in occasione del congresso costitutivo delle Acli (Associazioni cristiane lavoratori italiani), viene eletta prima Delegata femminile e in questa veste l’anno successivo organizza il Convegno nazionale per lo studio delle condizioni del lavoro femminile, che costituisce un importante momento di confronto delle donne cattoliche.

Come rappresentante del settore femminile delle Acli partecipa nell’inverno tra il ‘44 e il ‘45 ai lavori preparatori di fondazione del Centro Italiano Femminile (Cif), assieme a Mons. Giovanni Battista Montini, sostituto della Segreteria di Stato, futuro Paolo VI, grande sostenitore del Cif, e Maria Rimoldi, presidente delle Donne Cattoliche. Maria Federici ricopre la carica di Presidente del Centro Italiano Femminile dal 1944 al 1950, ma il radicalismo di alcune sue posizioni non piace ai vertici del Cif, dove ha non pochi contrasti (Fiorenza Taricone, Il Centro Italiano Femminile dalle origini agli anni Settanta, Milano, F. Angeli, 2001).

La sua preoccupazione maggiore è quella di educare le masse femminili alla vita pubblica, evento del tutto insolito per le donne cattoliche, che quasi all’improvviso si trovano a votare prive di una cultura politica che possa definirsi tale. Maria Federici è molto attenta alle condizioni materiali della vita quotidiana delle donne, la cui durezza impedisce spesso di distrarsi dai bisogni familiari. Lavora anche per assistere adeguatamente l’infanzia e l’adolescenza attraverso la costruzione di asili, scuole, refettori, aiuti agli emigranti, agli sfollati e ai reduci, ricoprendo la carica di vice presidente della Commissione nazionale Onu a favore dell’infanzia.

Nel 1946 viene eletta all’Assemblea Costituente nel collegio unico nazionale per la Democrazia Cristiana. Ha il privilegio, condiviso con poche altre sue colleghe, di far parte della Commissione dei 75, incaricata di redigere il progetto di Carta Costituzionale, e così chiamata per il numero dei suoi componenti, scelti su designazione dei vari gruppi parlamentari in modo da rispecchiarne la proporzione. Ne fanno parte, oltre a Maria Federici, Leonilde Iotti (Gruppo Comunista), Lina Merlin (Gruppo Socialista), Teresa Noce (Gruppo Comunista), Ottavia Penna (Fronte Liberale Democratico dell’Uomo Qualunque), che dà le dimissioni dalla Commissione pochi giorni dopo la nomina ed è sostituita da un uomo. Infine, Angela Gotelli, democristiana, è nominata nella Commissione sette mesi dopo, in sostituzione del deputato Caristia.

Durante il dibattito sull’accesso delle donne alla magistratura, Maria Federici afferma che l’unico elemento discriminatorio per l’accesso deve essere il merito e non le attitudini. Come componente della Terza Sottocommissione che si occupa dei diritti e doveri economico-sociali, presenta una relazione sulle garanzie economiche e sociali per la famiglia, in cui sostiene che lo Stato deve intervenire per tutelare le lavoratrici madri ed eliminare tutti gli ostacoli di natura economica che impediscono ai cittadini di formare una famiglia. Nella discussione sul diritto di proprietà e d’intrapresa economica, sostiene la necessità di una riforma agraria, per l’elevazione morale e mate- riale dei contadini.

Nella discussione del Titolo IV, caldeggia l’eliminazione di ogni ostacolo che releghi la donna in settori limitati e che sia d’impedimento all’accesso a uffici pubblici e cariche elettive.

Dopo la sua uscita dal Cif, dà vita all’Associazione nazionale famiglie emigranti (Anfe), di cui

è presidente fino al 1981. Nel ‘48 è eletta Deputata per la Democrazia Cristiana. È relatrice del disegno di legge sulla Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri divenuto legge nel 1950, n. 860.

È socia fondatrice del Comitato italiano di difesa morale e sociale della donna (1950), insieme alla senatrice Merlin e alle onorevoli Angela Guidi Cingolani e Maria De Unterrichter Jervolino, madre dell’on. Rosa Russo Jervolino. Il Cidd opera dapprima per ottenere l’approvazione della proposta di legge Merlin sull’abolizione delle case chiuse, e successivamente, per assistere praticamente le donne che lasciano la prostituzione, allo scopo di reinserirle nella vita sociale.

Nell’ultimo periodo della sua vita si dedica esclusivamente all’impegno assistenziale e culturale, soprattutto in difesa degli emigranti.

Muore a L’Aquila nel 1984.