Toponomastica femminile: ritorniamo ai censimenti toponomastici palermitani che confermano la disparità di genere mai colmata e alle assenti alle quali vorremmo restituire la meritata memoria. Proponiamo un altro nome dii donna di grande valore ma poco nota.
Dopo Rosalia Pipitone, vittima del suo status sociale, costretta a pagare con la morte la liberazione dall’ignoranza, dalla corruzione e dalla violenza causata dalla Mafia, oggi parliamo di Maria Montuoro, simbolo della lotta partigiana per la liberazione dell’Italia dalla piaga del Fascismo.
La figura di Maria Montuoro è proposta dalla scrittrice Lucia Vincenti, che sulla vita di Maria ha scritto articoli di grande interesse: “Maria, nata a Palermo il 16 Ottobre 1909, partecipò alla resistenza lombarda, fu detenuta nel febbraio del 1944 presso il carcere di San Vittore. Trasferita, in seguito, nel campo di Fossoli insieme al fratello Alfonso che non farà mai più ritorno dal lager, fu poi deportata presso il campo di Ravensbruck e quindi trasferita a Siemenstadt, presso Berlino, per lavorare in una fabbrica militarizzata “Siemens ”. Da lì prenderà spunto per molti suoi scritti sul boicottaggio delle donne deportate. Le condizioni di vita all’interno dei lager erano tragiche, toglievano agli esseri umani lì rinchiusi la loro umanità e dignità. Lì le donne, della loro femminilità, perdevano tutto. Rapate, scheletrite, col viso devastato da macchie nere e violacee, gli occhi scavati dalla fame, furono private della loro. Maria scrisse pagine meravigliose e i suoi scritti “Turno B”, vinsero la selezione italiana di un importante concorso mondiale. Erano pagine piene di dolore… tremendamente agghiaccianti… nella loro misera realtà. In questo insieme di miseria, tra queste povere disgraziate, le madri soffrirono ancora di più delle altre, consapevoli del destino che le separava dai loro figli”.
Maria Montuoro si spegne nel 2000, lasciando un intenso ricordo di sé e del coraggio Lasciamole la parola.
Ecco come Maria descrive le donne che, come lei, furono condannate a vivere quell’“inferno” in terra: “Una donna non più giovanissima, con un volto stravolto, stanco e grave, i capelli spartiti in onde larghe sulla fronte e un cerchietto metallico all’anulare. Un’altra donna: strappata a una vita familiare dalla stessa forza cieca e bruta che le aveva portato lontano il marito – forse morto in guerra – obbligandola a lasciare ogni essere caro per andare a prestare servizio in un campo di eliminazione; tutte donne private di dignità e del sorriso….”.