L’isola di Sant’Antioco è speciale perché non è un’isola già da molti secoli, da quando i Romani costruirono un ponte (ancora visibile) per collegarla alla Sardegna. È poi unica in Italia (e paragonabile a Cipro nel Mediterraneo), perché divisa nettamente in due : da una parte, tutto proteso verso l’isola di San Pietro, si trova il comune di Calasetta, abitato da “tabarchini” di origine ligure che ne conservano il dialetto, le tradizioni, la gastronomia; dall’altra il comune di Sant’Antioco, sardo a tutti gli effetti.
La toponomastica di questa area si collega direttamente alla storia più antica dell’isola (e della Sardegna) e alle sue testimonianze : si hanno richiami alla civiltà nuragica e quindi ai Fenici, che qui fondarono Sulky, si passa poi alle catacombe che offrirono rifugio al santo africano (originario della Mauritania) che dette nome all’isola e ne è patrono. Si ebbero poi il dominio romano, quello pisano, quello spagnolo, quello sabaudo ( di cui restano l’imponente forte Su Pisu e la suggestiva torre in località Turri risalente al 1757), che ci aiutano a ripercorrere l’intera storia sarda. Ecco dunque via Tanit, piazza Cartagine, via Tharros, via Nora, via Karalis, via Necropoli, via Insula Plumbaria fino ad arrivare a via Martiri di Buggerru, che ricorda un episodio di protesta dei lavoratori delle miniere finito nel sangue (4 settembre 1904).
Una strada centrale, che dal lungomare sale verso piazza Umberto e prosegue verso il cuore del paese, è via Eleonora d’Arborea , poi nominata via Regina Margherita , da cui si dipartono tre vicoletti omonimi. Anche in questi casi il richiamo storico è evidente: la figura di Eleonora (1) è talmente immensa da meritare ben più di un cenno, ma è sempre opportuno ricordare colei che – in un mondo totalmente maschile - per quasi vent’anni portò avanti il sogno irredentista del padre Mariano IV, che avrebbe voluto unificare la Sardegna in un unico regno. E’ anche colei che in anni lontanissimi (intorno al 1392), con la Carta de Logu (rimasta in vigore in Sardegna fino al 1827) fa segnare una tappa fondamentale del diritto: secondo Carlo Cattaneo, Eleonora “è la figura più splendida di donna che abbiano le storie italiane, non escluse quelle di Roma antica”(2). In quegli anni in Sardegna si ha un’altra figura femminile rilevante: Violante dei Carroz (figlia di Berengario II), che nel 1383 viene inviata dai sovrani spagnoli a prendere possesso del feudo di Quirra. Secondo la leggenda, quanto Eleonora d’Arborea era brutta, sposa tardiva (a oltre trent’anni), sfregiata da una cicatrice sul volto, appassionata di falconeria e sempre bellicosa, Violante sarebbe stata bella, gentile nei modi e di animo sensibile, anche se molto provata dalle tante vicende drammatiche della sua vita. Una vera eroina romantica, che un giorno sarebbe scomparsa nel nulla, forse trasformandosi in “jana” , eppure di lei non si hanno tracce né nella toponomastica e neppure nei libri di storia (3).
La regina sabauda, Margherita di Savoia, è invece molto presente ovunque perché di fatto fu – dal 1878 – la prima regina dell’Italia unita (visto che Vittorio Emanuele II era vedovo al momento dell’unificazione); nata nel 1851 e morta nel 1926, la moglie di Umberto I fu un’appassionata alpinista, amante delle automobili che si stavano diffondendo, di idee nazionaliste e conservatrici, e tuttavia amata dal popolo e circondata di artisti e intellettuali; per il suo fascino e la sua bionda bellezza riuscì ad incantare anche il repubblicano Carducci. Non esiste donna italiana a cui sia stato dedicato tanto, e in ogni campo: dalla celebre pizza tricolore ad un particolare panforte senese, da un lago in Etiopia al rifugio alpino sul monte Rosa, da scuole a giardini, da poesie a nuove varietà di fiori e persino un comune pugliese porta il suo nome.
Le altre presenze femminili , che si trovano ravvicinate fra loro e non lontane da piazza della Repubblica, sono via Grazia Deledda, onnipresente in Sardegna (ma molto ben rappresentata anche nel continente) , via Santa Maria Goretti e via Nostra Signora di Bonaria. Se la santa ha ben poca attinenza con la realtà sarda, la Madonna citata ha invece un ruolo di primissimo piano: si tratta della patrona della Sardegna e della protettrice dei naviganti, ma è anche uno dei fili che legano l’Italia all’Argentina. La città di Buenos Aires ha questo nome, infatti, perché i marinai sardi arrivati nel suo porto – al momento della seconda fondazione della futura capitale argentina nel 1580 – desiderarono creare un legame con la madrepatria e con la loro venerata protettrice, la cui statua si conserva nel santuario di Cagliari: ecco dunque il passaggio linguistico (da Bonaria a Madonna del Buen Aire o de los Buenos Aires). Non a caso, di qua e di là dall’oceano, si festeggia lo stesso giorno: il 24 aprile.
A Sant’Antioco potrebbe meritare una strada, una piazza, un ricordo tangibile e perenne una donna – che però si rinnova di generazione in generazione ed è sempre viva e attiva; si tratta della MAESTRA DEL BISSO che accoglie i visitatori , come una moderna vestale, nel suo privato museo. La maestra attuale (Chiara Vigo) è l’UNICA rimasta del Mediterraneo a conoscere e tramandare un’arte sapiente e quasi magica: la raccolta, la filatura, la lavorazione a ricamo del bisso marino, ricavato (senza danno per il mollusco) dalla “pinna nobilis”, la conchiglia bivalve più grande nel Mediterraneo. Questa arte è antichissima: se ne parla nella Bibbia e, dopo Caldei, Ebrei, Egizi che ne furono maestri, i Fenici portarono questo filato prezioso in Sardegna; si racconta che la principessa Berenice abbia trasmesso la sua conoscenza alle donne di sant’Antioco, ma solo una può trasmettere i suoi segreti alla legittima erede, come farà la signora Chiara, che continua a tuffarsi in apnea per procurarsi la materia prima in luoghi che solo lei conosce. Se sarete suoi ospiti, assisterete in diretta alla filatura della arruffata minuscola matassa e avrete in dono un filo setato, di colore marrone lucido, con cui – quando sarà il momento – potrete sempre ritornare a sant’Antioco per farvi ricamare il piccolo cuscino su cui poggiare le fedi di due sposi a voi cari.
1) Sembra ormai accreditato dagli storici che l’unico ritratto di Eleonora de Bas Serra sia quello in tufo individuato dallo studioso Francesco Cesare Casula, nel 1984, nella chiesa di San Gavino Monreale. L’opera presenta una specie di taglio, o cicatrice sulla guancia, ma non è chiaro se per errore dello scultore, o per il trascorrere del tempo, o se atto voluto.
2) La Carta – di 198 articoli – presenta straordinarie novità, come la distinzione fra dolo e colpa, la centralità del bene comune, la mancanza totale di leggi contro ebrei ed eretici, il rifiuto della vendetta privata, i risarcimenti in denaro ad una donna violentata (il matrimonio è previsto solo se LEI è d’accordo), la collegialità della giustizia; emerge inoltre, fra le righe, l’assenza di rapporti feudali, comune a tutta la Sardegna ed eredità del modello bizantino.
3) Vedere romanzo “Si chiama Violante” di Rossana Copez, ed. Il Maestrale; da quanto risulterebbe un’altra Violante – ultima della stirpe e di tutt’altro carattere – è esistita successivamente (1456-1510). Fu detta “la sanguinaria” e morì forse suicida.