Sarebbe stata felice Mercede Mundula della piazzetta che le ha intitolato la sua città natale, Cagliari, col suggestivo panorama sul viale del Poetto, sul Parco di Monte Urpinu e il mare in lontananza.
Affascinante la storia familiare di Mercede: delle cinque figlie di Nepomucena Zuddas e di Notaro Carlo, uomo intelligente e arguto, tre si accostarono alla poesia. Mercede, la maggiore, nata nel 1890, morirà nel 1947. Francesca, nata nel 1892, morirà nel 1961, e Teresa, che vide la luce nel 1894, si spegnerà nel 1980.
Nella Cagliari dei primi del Novecento le sorelle Mundula ricoprirono un ruolo di spicco nell'ambiente intellettuale della città.
Francesca si trasferì a Roma per studiare al Magistero, assente a Cagliari. Dopo la laurea insegnò Belle Lettere e Pedagogia e nel 1917 pubblicò il suo primo libro “Prigionieri politici del nostro Risorgimento”, che ebbe immediato successo. La sua vita intellettuale fu lunga e intensa: poetessa e anche pittrice, ebbe molti amici artisti e studiosi.
Teresa, invece, dopo aver seguito gli studi universitari di Chimica e poi di Scienze Naturali, fu per parecchi anni assistente presso l'Istituto di Fisica dell'Università di Cagliari. Nel 1922 sposò il giovane avvocato Luigi Crespellani, che sarà poi Sindaco di Cagliari, primo Presidente della Regione e Senatore della Repubblica. Dal matrimonio nacquero quattro figlie e, per i crescenti impegni familiari, Teresa lasciò il lavoro universitario. Aveva già cominciato a scrivere poesie in italiano e continuò poi a scriverne in lingua sarda.
Con la sua copiosa produzione poetica, ha svolto un importante lavoro di studio e salvaguardia della variante linguistica di Cagliari, più di altre città esposta a influenze e contaminazioni esterne, ospitale e mutante come ogni porto di mare.
Mercede, dopo il matrimonio, nel 1912, si trasferì a Roma dove frequentò i salotti letterari, collaborò con giornali e riviste e iniziò a pubblicare poesie e saggi ottenendo immediato successo. Il quotidiano romano "Il Tempo" editò a puntate il suo studio sui personaggi femminili nell’opera di Grazia Deledda. È questo l’inizio dell’amicizia tra le due scrittrici, che la stessa Mercede descrisse così: «Grazia Deledda fu non solo scrittrice originalissima, ma donna singolare, e della specie più insolita, che è poi quella di non aver l’aria di esserlo; il che, per una donna che scrive, è fenomeno assolutamente raro. La ventenne, fedele amicizia che mi legò a lei è stata anch’essa cosa originale. C’era fra noi come una tacita intesa: parlare poco di letteratura e molto dei fatti veri della vita, tanto che a voler dare un titolo alle nostre lunghe conversazioni sceglierei senz’altro questo: Meditazioni sulle cose».
Anche Grazia Deledda, nativa di Nuoro, ha una via a lei intitolata nella città di Cagliari, anzi via Grazia Deledda è addirittura la terza strada in ordine di frequenza nell'isola, compare in 352 Comuni su 377. A livello nazionale è la 114°, la ritroviamo in 727 Comuni ed è quinta tra vie dedicate a donne (Elaborazioni RIOn su dati SEAT/Pagine Gialle). Roma è stata riconoscente a Grazia Deledda, che vi ha trascorso gran parte della vita, dedicandole una strada periferica, parallela alla via Nomentana e un busto nei viali del Pincio. Ha dimenticato invece Mercede Mundula, che pure le ha dato trentacinque anni di attività letteraria e un fondo bibliotecario in dono.
Nel 1923 Mercede pubblicò la sua prima raccolta di poesie, “La piccola lampada”, opera per la quale, l’anno successivo, ricevette il premio Merello, riservato ai sardi meritevoli per opere artistiche, letterarie, storiche e scientifiche. Leggiamo nella recensione che Matilde Serao scrisse in “Donna”: «S’intravede, in Mercede Mundula, la razza austera e valorosa di Sardegna, ma ammorbidita, addolcita da una femminilità, dirò così, continentale; e, forse, il buon sangue di questa Mercede, non è solo di Sardegna... Sì, la sua lampada è piccola: e non ci dispiace; e non chiediamo che diventi una sfolgorante lampada che acceca e contro cui vanno a morire le farfalle notturne; e invece amiamo saperla fra le penombre, così spesso più opprimenti delle tenebre».
Ettore Janni nel Corriere della Sera commentò: «Una poetessa sarda, Mercede Mundula, che tratta il verso con un notevole senso musicale... con una grazia malinconica che non manca di forza».
E le poesie di Mercede sono tenui, come fiori, ricami; lei parla di giardini, di primavere, della sua bambina, di una chitarra spagnola e ci accompagna con leggerezza nella magia del suo mondo.
La sua seconda raccolta di poesie, “La collana di vetro”, vide la luce dieci anni dopo. Intanto scriveva e pubblicava saggi, articoli, recensioni, poesie e racconti per ragazzi e teneva conferenze in tutta Italia su figure femminili di rilievo.
Dunque una vita di successi letterari in lingua italiana. Ma quando la guerra interromperà i viaggi per la Sardegna, Mercede comincerà a scrivere in lingua sarda versi dedicati alla sua città, Cagliari, distrutta dall’apocalisse dei bombardamenti, versi che raccontano la speranza di rinascere, quando le uniche due certezze della città sono «in cielu is turris», le torri dell’Elefante e di San Pancrazio, e la mesta processione di Sant’Efisio («Sant’Efis a Pula è ancora andau») che si svolge miracolosamente anche il primo maggio del 1943, seguita da una ventina di cagliaritani superstiti.
Mercede morirà a Roma, il giorno della festa della sua città (il primo maggio del 1947), ormai in frenetica ricostruzione morale e materiale, come aveva previsto fiduciosa lei stessa, la poetessa cagliaritana più grande che aveva votato per la Repubblica, memore dei giorni bui della dittatura e della guerra.
Nel 1997 le figlie, Adriana e Marcella Caboni, raccoglieranno alcune liriche già uscite e una scelta delle inedite, tra le quali “Sa partenzia ‘e Sant'Efis”, in cagliaritano, con il testo a fronte in italiano, scritta subito dopo i bombardamenti del 1943, un atto d'amore per la città, che con tanto coraggio aveva sopportato gli orrori della guerra, ma anche una voce di speranza e di fiducia nella ripresa.
Tottu s'isula innoi parìa calara
cun bistimentas de toccai cun manu:
broccau, vigliuru e sera arricamara,
cos'e santus, no arroba de cristianu.
[...]
Custa fia sa Partenzia de su Santu
in is tempus antigus senz'e gherra,
chi de su celu is bombas non calanta
e una zittari non ghettanta a terra.
E proprio nel quartiere di Castello, dove sono ancora ben visibili i segni di quella guerra, Mercede Mundula ha guadagnato una piazzetta alla memoria: affacciata alla terrazza sorta in luogo del palazzo di San Placido dei Baroni di Sorso, vigila sulla rinascita di Cagliari e ne traguarda il golfo, la laguna di Molentargius e i paesi dell'hinterland.