Slava Raskai

Martina Colombi


Grafica di Katarzyna Oliwia Serkowska

Nascere sordomuta, in una società in cui il confine tra disabilità fisica e ritardo mentale era labile. Scegliere di diventare pittrice, in un’epoca in cui la critica considerava l’arte una professione per gli uomini, un passatempo per le donne. Morire a soli ventinove anni, proprio nel momento in cui sembravano arrivare i primi riconoscimenti. Slava Raškaj è, drammaticamente, tutto questo. Ma la sua opera, eterna e stupefacente, è qualcosa di più potente. È il lieto fine di una storia brevissima, la vittoria di una creatività inarrestabile e di una continua e testarda ricerca della bellezza, nonostante tutto.

Considerata oggi una protagonista della scena artistica croata del XIX secolo, Slavomira Friderika Olga Raškaj – detta Slava – era nata il 2 gennaio 1877 a Ozalj, nel nord della Croazia, al confine con la Slovenia. La sua famiglia era benestante: il padre Alojzije era un notaio, mentre la madre Olga era figlia di ufficiali e gestiva l’ufficio postale della città. La coppia aveva due figlie e un figlio: oltre a Slava, Juraj, che seguì le orme paterne facendo il notaio, e Paula, destinata invece a diventare insegnante.

Slava era una bambina bellissima: aveva lunghi capelli biondi, lineamenti regolari e sguardo sognante; incapace di comunicare con i coetanei e le coetanee, spesso rimaneva da sola nella natura, oppure in un angolo della sua stanza, a disegnare. Il disegno era per lei non solo un divertimento, ma una vera e propria esigenza, un modo per esprimersi, tanto che spesso i genitori trovavano sue immagini scolpite sui mobili di casa con un coltellino da cucina. La passione per l’arte era condivisa in famiglia: praticata dalla madre nel tempo libero, fu trasmessa alle figlie. Se Slava fece della pittura la sua ragione di vita, Paula invece scelse di coltivarla nel tempo libero, fino all’età adulta.

All’età di soli otto anni, Slava fu costretta ad allontanarsi da casa: fu iscritta all’Istituto per l’infanzia sordomuta di Vienna, dove rimase fino ai quindici anni. Imparò il tedesco e il francese, ma soprattutto ricevette le prime lezioni di disegno: dopo essersi esercitata con la matita e l’inchiostro copiando calchi di sculture classiche, si dedicò all’acquerello e al guazzo, che divennero ben presto le sue tecniche pittoriche predilette.In estate era solita tornare a Ozalj per le vacanze; fu proprio durante uno di questi soggiorni che l’insegnante Ivan Muha-Otoić, amico di famiglia, si accorse che la piccola aveva una vocazione per la pittura fuori dal comune. Convinse così i suoi genitori a mandarla a Zagabria, dove frequentò la Royal Vocational School femminile. Qui ricevette gratuitamente lezioni di pittura dal pittore Bela Čikoš Sesija, una figura importantissima per la sua formazione e, secondo alcune fonti (non confermate perché la corrispondenza tra Slava e la famiglia è stata distrutta), anche per la sua educazione sentimentale.

A Zagabria Slava iniziò a dipingere en plein air: si recava spesso al Giardino Botanico della città o al Parco Maksimir, dove la sua arte riusciva a essere autentica e lirica. Amava così tanto il contatto con la natura che in inverno le accadeva di dipingere fino a quando non le si congelavano le mani, costringendola a tornare a casa. Presto il suo linguaggio si allontanò da quello del docente Bela Čikoš Sesija, raggiungendo una straordinaria unità organica e avviandosi verso i primi riconoscimenti: nel 1898 sei suoi acquerelli furono esposti al Padiglione d’arte di Zagabria; altri lavori vennero esibiti l’anno successivo a San Pietroburgo e a Mosca. Slava riuscì, giovanissima, a presentare cinque dipinti persino all’Esposizione Universale di Parigi nel 1900. Ma proprio nel momento in cui la sua arte stava per spiccare il volo, si trovò imprigionata nelle sue insicurezze.

Nello stesso anno in cui le sue opere approdavano in una delle capitali dell’arte europea, nella giovane, sensibilissima pittrice iniziarono ad apparire i primi segni di una sofferenza profonda, che sfociò nel disordine mentale. Ricoverata in ospedale, fu subito rilasciata per cure domiciliari, che si rivelarono inefficaci: divenne sempre più solitaria, sfuggente, persino aggressiva. Fu così portata nell’ospedale psichiatrico di Stenjevec, dove rimase per più di tre anni. Il ricovero fu fatale per lei: pur avendo tutto il materiale per dipingere, abbandonò la pittura; le rare volte in cui ebbe il coraggio di riprendere il pennello e i colori, non riuscì mai a terminare il proprio lavoro. Alla depressione si unì la tubercolosi polmonare, che le tolse la vita il 29 marzo 1906, a soli ventinove anni.

Rimangono, di questa breve e intensa esistenza, centinaia di acquerelli e pastelli: sono opere fluide, leggere, svolazzanti, in cui il ricordo dell’arte giapponese si fonde alle atmosfere impressioniste, che forse la giovanissima artista aveva conosciuto a Vienna. La loro importanza è emersa soltanto nel 1957, in occasione della prima mostra retrospettiva avvenuta a Belgrado. A questa iniziativa è seguita nel 2008 una seconda esposizione, ospitata alla Galleria di arte moderna di Ozalj, dove sono stati mostrati al pubblico per la prima volta non solo dipinti inediti, provenienti da collezioni private, ma anche gli strumenti di lavoro e la carrozzina dell’artista. Fraintesa ed emarginata per tutta la sua vita, accusata da molta critica di lavorare con tecniche infantili, Slava Raškaj è stata in realtà una creatrice instancabile, spesso in anticipo sui tempi.

La disabilità, che da una parte le impediva di trovare un suo posto nel mondo, dall’altra favoriva lo sviluppo di un’emotività e di una sensibilità fuori dal comune, che emergono in modo inconfondibile nella sua opera e che fanno di lei una delle figure più significative della storia artistica croata. Il più grande elemento di forza della pittura di Slava è legato al fatto che essa non è, contrariamente a quanto accadeva all’epoca, imitazione dell’arte praticata dagli uomini, ma è un’opera tutta al femminile. È pura bellezza, delicata e commovente.

 

Traduzione francese
Martina Colombi

Naître sourde et muette dans une société où la frontière entre handicap physique et retard mental était floue. Choisir de devenir peintre, à une époque où les critiques considéraient l'art comme un métier d'hommes, un passe-temps pour les femmes. Mourir à seulement vingt-neuf ans, juste au moment où semblaient arriver les premières reconnaissances. Slava Raškaj est, dramatiquement, tout cela. Mais son travail, éternel et étonnant, est quelque chose de plus puissant. C'est la fin heureuse d'une très courte histoire, la victoire d'une créativité imparable et d'une poursuite continue et obstinée de la beauté, malgré tout.

Considérée aujourd'hui comme une protagoniste de la scène artistique croate du XIXe siècle, Slavomira Friderika Olga Raškaj - connue sous le nom de Slava - est née le 2 janvier 1877 à Ozalj, dans le nord de la Croatie, à la frontière avec la Slovénie. Sa famille était riche: son père Alojzije était notaire, tandis que sa mère Olga était la fille d'officiers et dirigeait le bureau de poste de la ville. Le couple a eu deux filles et un fils: outre Slava, Juraj, qui a suivi les traces de son père en tant que notaire, et Paula, destinée à devenir enseignante.

Slava était une jolie petite fille: elle avait de longs cheveux blonds, des traits réguliers et un regard rêveur; incapable de communiquer avec ses semblables, elle restait souvent seule dans la nature, ou dans un coin de sa chambre, dessinant. Pour elle, dessiner n'était pas seulement un plaisir, mais un réel besoin, une façon de s'exprimer, à tel point que ses parents trouvaient souvent des images gravées par elle sur les meubles de la maison avec un couteau de cuisine. La passion de l'art était partagée dans la famille: pratiquée par la mère à ses heures perdues, elle l’a transmise à ses filles. Si Slava a fait de la peinture sa raison de vivre, Paula a plutôt choisi de la cultiver pendant son temps libre, jusqu'à l'âge adulte.

À l'âge de huit ans seulement, Slava a été forcée de quitter la maison: elle a été inscrite à l'Institut pour enfants sourds et muets de Vienne, où elle est restée jusqu'à l'âge de quinze ans. Elle apprend l'allemand et le français, mais surtout elle y reçoit ses premiers cours de dessin: après avoir pratiqué au crayon et à l'encre la copie de moulages de sculptures classiques, elle se consacre à l'aquarelle et à la gouache, qui deviennent rapidement ses techniques de peinture préférées. L'été, elle retournait à Ozalj pour les vacances; C'est lors d'un de ces séjours que le professeur Ivan Muha-Otoić, un ami de la famille, s'est rendu compte que la petite fille avait une vocation pour la peinture hors du commun. Ainsi elle convainc ses parents de l'envoyer à Zagreb, où elle fréquente l'école professionnelle royale pour filles. Elle y reçoit des cours de peinture gratuits du peintre Bela Čikoš Sesija, une figure très importante pour son éducation et, selon certaines sources (non confirmée car la correspondance entre Slava et sa famille a été détruite), également pour son éducation sentimentale.

À Zagreb, Slava a commencé à peindre en plein air: elle allait souvent au jardin botanique de la ville ou au parc Maksimir, où son art réussissait à être authentique et lyrique. Elle aimait tellement être en contact avec la nature qu'elle peignait souvent en hiver jusqu'à ce que ses mains se congelaient, la forçant à rentrer chez elle. Son style s'est rapidement éloigné de celle du professeur Bela Čikoš Sesija, atteignant une extraordinaire unité organique et se dirigeant vers les premières reconnaissances: en 1898, six de ses aquarelles ont été exposées au Pavillon d'Art de Zagreb; d'autres œuvres sont exposées l'année suivante à Saint-Pétersbourg et à Moscou. Slava a pu, très jeune, présenter cinq tableaux même à l'Exposition Universelle de Paris en 1900. Mais juste au moment où son art était sur le point de décoller, elle se retrouva emprisonnée dans ses propres insécurités.

L'année même où ses œuvres débarquent dans l'une des capitales de l'art européen, les premiers signes de souffrance profonde commencent à apparaître chez la jeune artiste peintre très sensible, ce qui lui provoque des troubles mentaux. Admise à l'hôpital, elle est vite renvoyée pour des soins à domicile, qui se sont avérés inefficaces: elle est devenue de plus en plus solitaire, insaisissable, voire agressive. Elle a donc été conduite à l'hôpital psychiatrique de Stenjevec, où elle est restée plus de trois ans. L'hospitalisation lui fut fatale: malgré tout le matériel pour peindre, elle abandonne la peinture; les rares fois où elle a eu le courage de reprendre le pinceau et les couleurs, elle n'a jamais réussi à terminer son travail. A la dépression s’ajoute la tuberculose pulmonaire, qui lui a coûté la vie le 29 mars 1906, alors qu'elle n'avait que vingt-neuf ans.

Des centaines d'aquarelles et de pastels subsistent de cette existence brève et intense: ce sont des œuvres fluides, légères, flottantes, dans lesquelles la mémoire de l'art japonais se mêle aux atmosphères impressionnistes, que peut-être la tout jeune artiste avait rencontrées à Vienne. Leur importance n'est apparue qu'en 1957, à l'occasion de la première exposition rétrospective à Belgrade. Cette initiative a été suivie en 2008 d'une deuxième exposition, organisée à la Ozalj Modern Art Gallery, où non seulement des peintures inédites issues de collections privées ont été montrées au public pour la première fois, mais aussi les outils de travail et le fauteuil roulant du 'artiste. Incomprise et marginalisée tout au long de sa vie, accusée par de nombreuses critiques de travailler avec des techniques enfantines, Slava Raškaj était en fait une créatrice infatigable, souvent en avance sur son temps. Le handicap, qui d'une part l'empêchait de trouver sa place dans le monde, de l’autre a favorisé le développement d'une émotivité et d'une sensibilité hors du commun, qui ressortent indéniablement dans son travail et qui en font l'une des figures les plus importantes de l’histoire artistique croate. La plus grande force de la peinture de Slava est liée au fait qu'elle n'est pas, contrairement à ce qui s'est passé à l'époque, une imitation de l'art pratiqué par les hommes, mais une œuvre entièrement féminine. C'est une pure beauté, délicate et émouvante.

 

Traduzione inglese
Martina Colombi

She was born deaf and mute, in a society in which the border between physical disability and mental retardation was blurred. She chose to become a painter at a time when critics considered art a profession for men, but just a pastime for women. She died at the age of only twenty-nine, at the moment when her first recognition seemed to be arriving. Slava Raškaj was, dramatically, all these things. But her work, eternal and amazing, is something even more powerful. It is the happy ending of a very short story, the victory of an unstoppable creativity, and of a continuous and stubborn pursuit of beauty, despite everything.

Considered today a central figure in the 19th century Croatian art scene, Slavomira Friderika Olga Raškaj – known as Slava - was born on January 2, 1877 in Ozalj, in northern Croatia, on the border with Slovenia. Her family was wealthy. Her father, Alojzije, was a notary (solicitor), while her mother, Olga, was the daughter of officials and ran the city post office. The couple had two daughters and a son - Slava, Paula, who became a teacher, and Juraj, who followed in his father's footsteps as a notary.

Slava was a beautiful little girl with long blond hair, regular features and a dreamy look. Unable to communicate with other children, she often remained alone in nature, or in a corner of her room, drawing. For her, drawing was not just fun, but reflected a real need. It was a way to express herself, so much so that her parents often found her images carved on the furniture of the house with a kitchen knife. The passion for art was shared in the family - practiced by her mother in her spare time, and passed on to the daughters. Slava made painting her reason for living. Paula, instead, chose to cultivate it in her spare time, until adulthood.

Enrolled in Vienna’s Institute for deaf and dumb children, Slava was forced to leave home at the age of eight. She remained there until she was fifteen. She learned German and French, and, most important, received her first drawing lessons. After practicing with pencil and ink, copying casts of classical sculptures, she devoted herself to watercolor and gouache, which soon became her favorite painting techniques. During the summer holidays she normally returned to her parents’ home in Ozalj. It was during one of these stays that Ivan Muha-Otoić, a teacher and friend of the family, realized that the little girl had an extraordinary gift for painting. She was able to convince her parents to send her to Zagreb, where she attended the Royal Vocational School for girls. Here she received free painting lessons from the painter Bela Čikoš Sesija, a very important figure in her education, and also romantically, according to some sources (not confirmed because the correspondence between Slava and her family has been destroyed).

In Zagreb, Slava began to paint en plein air. She often went to the city's Botanical Garden or to the Maksimir Park, where her art was able to be authentic and lyrical. She loved being in contact with nature so much that in the winter she often painted until her hands froze, forcing her to return home. Soon her painting style moved away from that of the teacher Bela Čikoš Sesija, reaching an extraordinary organic unity and moving towards her first recognition. In 1898 six of her watercolors were exhibited at the Zagreb Art Pavilion; other works were exhibited the following year in St. Petersburg and Moscow. Slava was able, at a very young age, to even present five paintings at the Universal Exposition in Paris in 1900. But just as her art was about to take off, she found herself trapped in her insecurities.

During same year in which her works began to appear in the capitals of European art, the first signs of profound suffering began to appear in the young, very sensitive painter, resulting in mental disorder. First admitted to a hospital, she was quickly released for home care, which proved to be ineffective. She became more and more lonely, elusive, even aggressive. She was thus taken to the Stenjevec psychiatric hospital, where she remained for more than three years. The hospitalization proved fatal for her: despite having all the materials to paint, she abandoned painting. The rare times she had the courage to pick up the brush and colours, she never managed to finish a work. Deep depression was joined by pulmonary tuberculosis, which took her life on March 29, 1906, when she was only twenty-nine.

Hundreds of watercolours and pastels remain from her brief and intense life. They are fluid, light, soaring works, in which reflections of Japanese art blend with impressionism, which perhaps the very young artist had encountered in Vienna. Their importance only fully emerged in 1957, on the occasion of her first retrospective exhibition in Belgrade. This initiative was followed in 2008 by a second exhibition, hosted at the Ozalj Modern Art Gallery. In that exhibition, previously unseen paintings from private collections were shown to the public for the first time, and also the tools and wheelchair of the artist. Misunderstood and marginalized throughout her life, accused by many critics of working with childish techniques, Slava Raškaj was actually a tireless creator, often ahead of her time.

Her disability, on one hand prevented her from finding her place in the world, but on the other hand favoured the development of an emotionality and sensitivity far out of the ordinary, which emerged in an unmistakable way in her work, and which make her one of the most significant figures in Croatian artistic history. The greatest strength of Slava's painting is tied to the fact that it is not, despite the atmosphere of the time, an imitation of the art practiced by men, but is an utterly feminine work. It is pure beauty, delicate and moving.