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Elisabetta (detta Bettina) Rampielli Fuso
Figura di rilievo nella vita artistica e culturale perugina del Novecento, la città le ha reso omaggio intitolandole una via in aperta campagna, sopra, ma non vicinissima, al Fuseum, il parco museale voluto e realizzato dal marito Brajo Fuso. Sulla targa c’è scritto solamente via bettina (tutto minuscolo), poco più avanti un’altra targa con scritto via brajo. Ci auguriamo che quanto prima le due targhe vengano corrette.
Si sa che Giuseppe Verdi e Giuseppina Strepponi venivano chiamati da tutti gli amici Peppino e Peppina, ma non esiste nessuna via peppino o via giuseppe riferita al maestro (per la Strepponi in quanto donna il problema, si sa, non si pone).
Elisabetta Rampielli nasce nel 1898 a Bologna, ma a quattro anni è già a Perugia. Giovanissima, senza aver fatto alcuna scuola, ma molto attratta da tutto quanto è arte, si diverte a fare il ritratto agli amici. Nel 1929 sposa Brajo Fuso, che la convince a iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Perugia. Dopo due anni però lascia l’Accademia, vuole continuare da sola, senza essere imbrigliata da regole che non rispondono ai suoi bisogni, libera di fare come vuole e ciò che vuole, soprattutto ritratti e paesaggi, particolarmente poetica è la serie Tetti. Espone in varie città d’Italia e a Parigi, dove entra in contatto con l’ambiente culturale e artistico e riceve consensi e attenzione da parte della critica francese. Ottiene anche in Italia numerosi premi e riconoscimenti.
Durante il fascismo e fino agli anni Cinquanta, il salotto di Bettina e Brajo Fuso all’ultimo piano di palazzo Cesaroni, sopra i tetti di Perugia, è un centro culturale dei più vivi, dove si respira un’aria internazionale e non solo… Racconta Nini Menichetti: “In casa Fuso circolava l’odore di acqua ragia e dei colori che fino al 1943 avevano servito solo a Bettina e poi anche Brajo iniziò a usare, per una scommessa con se stesso, per una sfida a Bettina, per un bisogno autenticamente sentito che si concreterà nella esplosiva ricchissima produzione del suo iter artistico”.
In quella casa è ospite il ventenne Renato Guttuso, che fa il ritratto a Bettina, e il giovanissimo Alberto Moravia che a Perugia scrive diverse pagine de Gli indifferenti. Qui passano Curzio Malaparte, Felice Casorati, Enrico Falqui, Cesare Zavattini, Giulio Carlo Argan, Mario Mafai, Aurelio De Felice, Alberto Burri, Gerardo Dottori, Giuseppe Ungaretti, Gianna Manzini con l’amatissimo gatto Felicino.
Verso la fine degli anni ’60 Bettina smette di dipingere, da allora in poi dedica le sue energie alla realizzazione del sogno di Brajo, il Fuseum, il cui nome deriva dalla fusione del suo cognome con il sostantivo museum. Un fitto bosco di lecci fa da collocazione ideale alle opere di Brajo. Per riposare e ripararsi quando piove c’è una casetta di pochi metri quadri la Brajta, dalla fusione di Brajo e baita. Scrive Brajo: “Desidero ardentemente che il Fuseum resti aperto al pubblico come Centro di aggregazione artistica e culturale, come luogo d’incontro, di confronto, di discussione, di studio; come struttura pubblica, insomma, al servizio di tutti, dove organizzare convegni, dibattiti, mostre, premi di pittura, spettacoli, dove ospitare giovani artisti meritevoli, dove proiettare filmati e diapositive, dove consultare libri... Questa mia creatura, ora che l’ho messa al mondo, non deve morire...”
E gli ultimi anni della sua vita Bettina li consacra a questa “creatura”.
Nini Menichetti, Dai Fuso a palazzo Cesaroni. Ricordi e suggestioni, in Bettina Fuso, brochure pubblicata in occasione nella mostra omonima tenuta a Perugia, palazzo Cesaroni, dal 16 al 23 dicembre 1981
Antonio Carlo Ponti, Vita culturale del Novecento in Storia illustrata delle città dell’Umbria, a cura di Raffaele Rossi, ed. Elio Sellino, Milano, 1993
http://www.fuseum.eu/index.php?page=bettina#
Madre Imelde Ranucci
La piazza intitolata a Suor Imelde Ranucci, nel Comune di Palagano, è un ampio piazzale asfaltato circondato di alberi ancora piccoli, che non bastano a schermare gli edifici intorno né a proteggere dal sole le macchine che qui parcheggiano. La memoria e la storia di Palagano si incontrano in questa piazza per ricordare una figura che appartiene interamente alla vita e ai ricordi di questa comunità.
Imelde Ranucci, a nove anni, come tante ragazze del primo Novecento, per poter studiare entrò nel convento delle suore Francescane dell’Immacolata di Palagano, diplomandosi maestra a 18 anni.
Per alcuni anni insegnò a Campogalliano, in provincia di Modena, poi ottenne la cattedra nella scuola elementare di Palagano, dove prestò servizio per moltissimi anni.
Nel 1928 entrò come novizia nel convento delle suore Francescane dell’Immacolata e nel 1932 pronunciò i voti perpetui; nel 1949 venne eletta Superiora Generale dell'ordine. Donna forte, intelligente e dinamica, fu sempre al fianco della comunità palaganese, come dimostrano anche i passi del suo diario scritto durante il periodo dell’occupazione nazifascista. I brani trascritti sono la testimonianza del suo senso di appartenenza alla comunità e della sua affettuosa compartecipazione alle vicende dei più deboli.
Il 16 settembre 1943, a soli otto giorni dall’armistizio, Suor Imelde scrive: “Verso sera la sorella portinaia mi prega di scendere in parlatorio, ove è qualcuno che ha bisogno di me. Vado e, non senza sorpresa, vi trovo un Rev. Sacerdote e una Signorina. Con poche parole il primo si presenta e chiede se possiamo ospitare temporaneamente la signorina della quale dà buone informazioni. E’ una dottoressa polacca, la quale, come tutti gli israeliti, ha bisogno di ricoverarsi in un rifugio per aver salva la vita dall’ingiusta legge nazista che vuole sterminare la razza ebraica. Apro di cuore la porta a questa pellegrina tanto bisognosa di protezione e di conforto. Mi racconta brevemente le sue dolorose vicende di questi ultimi tempi di tirannia in campi di concentramento”. La giovane dottoressa Federica (Frida) Hubschman aveva 37 anni. Restò nascosta nel convento di Palagano dal 16 settembre 1943 al 28 maggio 1945; precedentemente era stata internata a Finale Emilia. Era giunta a Modena da Prato il 19 aprile 1942, come risulta dal Censimento ebrei della Prefettura. Il gesto di Suor Imelde non solo è generoso, ma anche coraggioso: durante l’occupazione nazifascista, la pena per chi nascondeva ebrei era l’arresto, ma si poteva arrivare anche alla fucilazione.
L’8 marzo 1944, in occasione di un rastrellamento ordinato su tutto l’arco dell’Appennino modenese occidentale, così descrive l’arrivo dei militi fascisti: “Si precipitano correndo per le strade, facendo alzare le braccia e puntando l’arma a quanti incontrano [… ]. La popolazione è terrorizzata, giacché i nuovi arrivati si dimostrano violenti e perquisiscono ogni angolo delle case per trovarvi, dicono, qualche ribelle[…]. Hanno una lunga lista di persone accusate di essere o favorire i ribelli, ed in prima linea figura il nome di don Sante Bartolai, segnalato per essere fucilato sul posto. Infatti è subito arrestato e minacciato”. Don Sante Bartolai fu arrestato e poi trasferito a Fossoli di Carpi e, in seguito, al campo di sterminio di Mauthausen.
L’11 marzo madre Imelde racconta come fece fuggire un uomo nascosto nel convento: “Mandiamo S.L. a rendergli nota la situazione, ormai insostenibile. Egli è intelligente, comprende, approva e decide di andarsene. Lo camuffiamo alla meglio; gli diamo in tasca 2 uova ed una boccetta di grappa. Io faccio un giro di esplorazione. Il momento è opportuno, forse l’unico. Egli se ne va, cauto, per la via più nascosta. Io lo seguo dalla finestra con ansiosa preoccupazione… Finalmente lo vedo in salvo, lontano, ormai al sicuro… Appena liberato l’uccello, una numerosa squadra di soldati entra in convento e vi piglia alloggio”.
Sempre nel marzo 1944, il 18, scrive: “Il comandante del presidio repubblicano di Montefiorino, visto che, nelle precedenti esplorazioni a Costrignano e a Monchio, i militi non sono riusciti a catturare nessun ribelle, pensa di far venire l’artiglieria tedesca da Bologna”. I tedeschi e i fascisti modenesi giunsero effettivamente nella zona di Palagano e, dal 18 al 20 marzo 1944, compirono una durissima rappresaglia contro i paesi di Monchio, Costrignano e Susano (frazioni del comune di Palagano), provocando 136 morti fra la popolazione civile (i partigiani infatti avevano già abbandonato la zona), distruggendo quasi 200 abitazioni, incendiando oltre 170 stalle e fienili e causando danni per un ammontare di alcuni milioni di lire.
3 aprile 1944: “Non sono ancora passati tre giorni che i soldati [nazifascisti] sono partiti da Palagano ed ecco che oggi vengono nuovamente i ribelli. Alle 13 un giovane su di un veloce cavallino bianco entra, non senza una certa cautela, in paese. Con sommessa voce, chiede se tutti i militi sono andati ed alla risposta affermativa, con un forte fischio ordina al resto della compagnia, ancora lontana e nascosta, di avanzare francamente. In un momento gruppi di 8 o 10 uomini armati si avanzano. Fanno pena al solo vederli: sparuti nei loro abiti a brandelli, con barbe che li rendono irriconoscibili, sguardo piuttosto torvo ed una fame senza l’eguale. Portano visibili i segni della loro vita randagia, disagiata, piena di sacrificio”.
Nel giugno 1944 i partigiani riuscirono a liberare una vasta zona dell’Appennino intorno al paese di Montefiorino, corrispondente al territorio dei comuni di Montefiorino, Frassinoro, Prignano sulla Secchia, Palagano, Polinago, in provincia di Modena, e Toano, Villa Minozzo, Ligonchio, della provincia di Reggio Emilia, dove costituirono la prima repubblica libera dall’occupazione nazi-fascista. Madre Imelde, sempre attenta a quanto avviene ai “suoi” montanari, il 21 giugno 1944 scrive: “Grande comizio a Montefiorino, ove il commissario Davide [commissario politico della formazione partigiana “Modena Armando”] nomina il sindaco del Comune nella persona di un segnalato antifascista. Anche i partigiani di Palagano vi sono andati quasi al completo. Montefiorino è il 1° Comune libero di tutta Italia”1.
I nazifascisti non potevano accettare la presenza di un territorio libero controllato dai partigiani proprio a ridosso della Linea Gotica; attaccarono quindi in massa la zona libera, che cadde dopo 45 giorni di furiosi combattimenti. La rocca di Montefiorino venne incendiata, le case depredate e distrutte, gli uomini deportati in Germania. Madre Imelde il 6 agosto1944 scrive: “Non sono ancora le 5 quando scendendo dal letto ed affacciandomi alla finestra, sono colpita da una scena indescrivibile che mi resterà impressa per tutta la vita. Montefiorino è in fiamme! Sembra un roveto ardente… Immagino, anzi, sento vivamente in me, lo strazio delle poche, povere donne rimaste sole in mezzo a tanto disastro. Quanta rovina! In breve ora, si trasforma in cenere il frutto di centinaia di anni di lavoro e di sudore!”.
Il 31 luglio 1944 descrive così il ritorno dei nazifascisti a Palagano: “Voci concitate raccomandano di fuggire subito tutti, perché un’intera divisione di SS punta su Palagano da quattro direzioni. Vengono a compiere un rastrellamento tremendo, porteranno via gli uomini e distruggeranno tutto il paese, perché zona partigiana e sede di Comando… Ormai il paese è quasi completamente disabitato… E’ una desolazione: ovunque è il deserto”.
E fra il 9 e il 14 settembre 1944: “Continuo passaggio e via vai di tedeschi da Palagano. Chiedono pane e altri viveri, ma non fanno alcun male qui. Sono stati attaccati sui monti di Susano e Costrignano, ove erano i partigiani ad attenderli. Per rappresaglia hanno colà bruciato qualche casa e portati via indumenti e biancheria da altre. Timore e paura in tutti”.
Il 12 gennaio 1945 scrive: “Alle 8 tutti i soldati sono in partenza verso Lama… Ancora una volta la Protezione divina è stata favorevole al nostro paese. Nessuna vittima, nessun incendio, mentre altrove questo rastrellamento è stato terrorizzante. Da Gazzano sono stati deportati trenta uomini dai 16 ai 66 anni. Da Roteglia, per un tedesco mancato, sono stati presi donne e bambini, poiché gli uomini erano fuggiti tutti”.
Quando finalmente l’occupazione tedesca e la guerra finirono, Madre Imelde riprese la sua attività di suora, di insegnante, di superiora del convento, raggiungendo in tutte queste attività insperati successi.
Nel 1950 ottenne l'apertura in paese della scuola media, che evitò ai ragazzi di Palagano di doversi spostare per disagevoli strade di montagna fino a Montefiorino e, negli stessi anni, portò a compimento la costruzione del nuovo grande convento a fianco del vecchio edificio.
Nel 1959 fondò a Palagano l'Istituto Magistrale, tuttora esistente come Liceo paritario delle Scienze Umane e Liceo Linguistico, l’unica scuola superiore funzionante, ora come allora, nella valle del Dragone.
Aprì poi a Modena una scuola dell’infanzia (tuttora funzionante, anche se dal 2005 appartiene ad un’altra congregazione religiosa), che negli anni ’60-’70 del secolo corso funzionò anche come Collegio Universitario. Una seconda scuola dell’infanzia fondata da Madre Imelde e gestita dalle suore Francescane di Palagano è ancor oggi attiva nel quartiere Madonnina di Modena.
E’ del 1970 l'apertura da lei fortemente voluta della missione delle suore Francescane di Palagano in Madagascar.
L'8 dicembre 1979, pochi mesi prima della sua scomparsa, il Consiglio Comunale di Palagano l’ha decorata con la medaglia d'oro per: "l'altissimo determinante contributo recato allo sviluppo della comunità palaganese con una vita interamente spesa al consolidamento dei valori morali, sociali e religiosi fra la nostra gente".
Oltre alla piazza principale, sono intitolate a Madre Imelde Ranucci la scuola elementare di Palagano e il Cinema-Teatro del paese.
1) Si trattava di Teofilo Fontana, agricoltore di Gusciola di Montefiorino, che sarà poi eletto sindaco di Montefiorino alle prime elezioni dopo la Liberazione.
Imelde Ranucci, Lacrime e sangue. 8 settembre 1943-30 maggio 1945, TEIC, Modena, 1970
Sante Bartolai, Da Fossoli a Mauthausen. Memorie di un sacerdote nei campi di concentramento nazisti, Modena, Quaderni dell’Istituto Storico della Resistenza di Modena e provincia, 1966
Walter Bellisi, Braccati. La persecuzione antiebraica nel Modenese e nell’Alta Valle del Reno (Bologna) 1943-1945, Ed. Il Fiorino, Modena, 2008
E. Gorrieri, La Repubblica di Montefiorino. Per una storia della Resistenza in Emilia, Il Mulino, Bologna 1966
K. Voigt, Deportazione e salvataggio degli ebrei nel modenese, in G. Procacci - L. Bertuccelli, Deportazione e internamento militare in Germania, La provincia di Modena, Unicopli, Milano 2001
Le suore e la Resistenza, Atti del Convegno del 22 aprile 2009 promosso dalla Fondazione culturale Ambrosianeum di Milano e dall’Azione Cattolica di Milano
Elisabetta Salvini, Ada e le altre. Donne cattoliche tra fascismo e democrazia, Franco Angeli, Milano, 2013
Giulia Rinieri de' Rocchi
G. GIAMPIERI, Giulia Rinieri de' Rocchi, la musa toscana di Stendhal, in “Donne di penna”, 2003, Istituto Storico Lucchese- sezione Storia e Storie al femminile-Buggiano Castello (nelle note viene più volte citata la tesi di laurea di F. BECHINI).
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