È il 13 aprile del 1519 quando Caterina viene alla luce.
La sua nascita è attesa con speranza da tutta la famiglia Medici, perché alla grande casata fiorentina iniziano a mancare futuri eredi.
Il padre, Lorenzo, la accoglie tra le braccia provando «parimenti […] quel piacere che se fussi stato maschio». È questo l’ultimo piacere del Duca: solo pochi giorni prima la febbre puerperale aveva ucciso sua moglie Margherita de La Tour D’Auvergne, madre di Caterina, e a breve lui stesso si spegnerà a causa di una malattia. Alla sfortunata neonata dedica un’ode Ludovico Ariosto, «Verdeggia un ramo sol, con poca foglia, /e tra tema e speranza sto sospesa/se lo mi lasci il verno o lo mi toglia»: una metafora ben riuscita sulla famiglia Medici, la cui gloriosa pianta si sta ormai per essiccare e l’ultimo virgulto ancora vivo è solamente un fragile rametto.
Caterina si ritrova orfana. Nonostante sia ancora in fasce, tutti sono consapevoli che è un preziosissimo, più unico che raro strumento di potere: dare in sposa questa bambina, futura donna, nelle cui vene scorre sangue Medici, oltre che quello dei reali di Francia, significa poter stringere potenti alleanze e spostare da una parte o dall’altra l’ago della bilancia degli assetti geopolitici d’Europa. È per questo motivo che il prozio, papa Leone X, desidera averla vicino a sé a Roma. Anche il sovrano Francesco I ha interesse a sapere chi accoglierà e dove crescerà la “duchessina di Urbino”: il papa e il cardinale Giulio de’ Medici sembrano non gradire le interferenze e rispondono soltanto che se ne sarebbero occupati personalmente e che la ragazza sarebbe stata affidata a ottime cure.
La piccola è accolta in un primo momento dalla nonna Alfonsina Orsini ma quando il 7 febbraio 1520 questa muore, viene mandata in casa della zia Clarice de’ Medici, moglie di Filippo Strozzi, una donna ricca, potente e istruita. Caterina trascorre così la sua infanzia a contatto con i cugini, in particolare con Alessandro, figlio illegittimo forse di Lorenzo II o del cardinale Giulio, e con Ippolito, figlio naturale di Giuliano duca di Nemours, anche loro accolti in casa Strozzi a Roma. L’educazione ricevuta in questa casa è stata fondamentale per il futuro di Caterina: soprattutto la figura della zia Clarice, abile nel gestire il ménage familiare, intransigente, risoluta, insomma una vera Medici, è quella che influisce maggiormente sul suo carattere ancora da plasmare.
La situazione cambia rapidamente quando sale al soglio pontificio il cardinale Giulio de’ Medici con il nome di Clemente VII: assume la tutela di Caterina e decide di riportarla a Firenze nel 1525, facendola soggiornare nel palazzo di via Larga. L’Europa in questi anni è una polveriera pronta a esplodere, sono gli anni delle lotte tra Carlo V di Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero e re di Spagna, e la famiglia Valois per la supremazia sul continente.
Il nuovo papa Medici decide di schierarsi con la casata francese fondando la Lega di Cognac, ma la risposta della parte avversa non tarda ad arrivare: il 6 maggio del 1527 avviene il Sacco di Roma. Ma come possono riguardare questi scontri, le distruzioni e le alleanze una bambina di appena 8 anni? La città di Firenze, in seguito alla calata dei Lanzichenecchi, è in tumulto: la parte democratica e repubblicana della città, sostenuta da Filippo Strozzi e dalla moglie Clarice, è stanca delle ingerenze della famiglia Medici e gli ultimi eventi sono la spinta per cacciare i rampolli bastardi Alessandro e Ippolito.
Ma per Caterina è diverso. Lei è una figlia legittima, una vera Medici, discendente dalla casata dei Boulogne ed erede dei possedimenti inglesi degli Albany; contro di lei si rivolgono le ire del popolo per tutto ciò che la sua famiglia ha rappresentato. Così la bambina diventa un ostaggio, nonostante la protezione di Clarice che dirige questo gioco delle parti. Oggi il trattamento che le è stato riservato ci sorprende e ci fa inorridire, ma non se lo guardiamo con gli occhi dell’epoca: ciò che importava non era la sua età, la sua innocenza di bambina o i suoi giochi ancora infantili, ma il suo nome gentilizio. Insomma a essere rinchiusa tra le mura del convento non è stata il suo essere Caterina, ma il suo essere una Medici. Per la politica del tempo lei non è una persona fatta di carne e ossa, ma solamente una merce rara e preziosa da poter scambiare e usare al momento opportuno.
Caterina rimane ostaggio a Firenze fino all’età di undici anni. Prima viene mandata nel convento delle Domenicane di S. Lucia, poi nel monastero delle Benedettine della Santissima Annunziata delle Murate, poi di nuovo a S. Lucia. Questo periodo di terrore e di reclusione rimarrà per sempre impresso nella sua memoria, anche tanti anni dopo quando si troverà lontana dall’Italia in un nuovo e sanguinoso scenario.
La liberazione di Firenze, nel 1530, significa la liberazione anche per la giovane Medici. Clemente VII la vuole di nuovo vicino a sé nella potente città di Roma e la bambina, che è ormai una ragazza, viene fatta soggiornare in quello che oggi è palazzo Madama, allora dimora romana della famiglia fiorentina. Deve essere istruita, controllata e preparata per poterla dare in sposa al miglior candidato. Caterina così riceve un’educazione molto accurata insieme ai suoi cugini Ippolito e Alessandro, ma anche rinforza i legami parentali con diverse figure: Lorenzino de’ Medici, i membri della famiglia Strozzi, alcune persone dell’entourage papale, tutte figure che non dimenticherà neanche durante la sua vita in Francia. A soli 14 anni la giovane possiede già una certa esperienza politica e di vita, sa usare le maniere di corte, ha capacità di giudizio come forse nessuna altra ragazzina a quei tempi: forte e temprata dai momenti più difficili vissuti nella sua città natale, ha tutte le carte in regola per dimostrarsi una grande donna. E così sarà.
La scaltra politica papale sta tirando per lei le fila di complessi accordi per un matrimonio di prestigio. Infatti due secoli dopo che la capostipite Piccarda Bueri, sposata a un semplice banchiere di Firenze, ha dato vita alla potente casata medicea, una sua discendente è pronta a sedersi su un trono, quello della grande nazione francese, al fianco di uno dei sovrani più potenti d’Europa. Caterina si mostrerà degna dello scettro che le è stato consegnato, occupando un posto di assoluto rilievo nella Storia.
È il 1533. La giovane Caterina ha 14 anni, è stata ben istruita, è saggia, cura il proprio aspetto esteriore: è pronta per essere data in sposa al miglior alleato.
Clemente VII deve pensare bene a come giocare questa preziosa carta: accettare il candidato imperiale, Filiberto principe d’Orange? Oppure favorire Giacomo V di Scozia? Forse meglio ancora un italiano: Francesco Sforza, Federico Gonzaga o Guidobaldo Della Rovere? Ma le trattative per il matrimonio di Caterina interessano anche il re Francesco I di Francia. Sarebbe stato inopportuno se questa ragazza, di madre francese, e che possedeva territori nel suo Regno, non fosse andata in sposa a un nobile d’oltralpe. Perché non proporre il duca di Vaudemont? Questo candidato, però, non appare abbastanza forte per poter battere il nuovo pretendente proposto da Carlo V, Francesco Sforza, è necessario puntare ancora più in alto. Ecco che allora viene fatto il nome del secondogenito del re di Francia, Enrico duca d’Orleans.
È proprio un momento di grande imbarazzo per il pontefice! Favorire l’Impero o la Francia? Si deve giungere così a un accordo: Caterina sposerà Enrico, mentre Margherita d’Austria sarà la moglie di Alessandro de’ Medici, diventato duca di Firenze. Caterina si prepara ad andare a vivere di nuovo in un’altra città, ma questa volta si tratta della lontana e nordica Parigi e lei non tornerà mai più nella sua bella Firenze.
Si iniziano i preparativi per partire alla volta di Marsiglia, dove saranno celebrate le nozze: la famiglia Medici deve mostrare di essere degna di entrare a far parte di una dinastia reale. Si chiamano sarte, ricamatrici e famosi orafi per preparare il corredo della sposa. Viene chiesto anche il consiglio di Isabella D’Este, raffinata ed esperta nell’arte della moda e ospite gradita nei salotti di Roma. Caterina si dimostra, nonostante la giovane età, un’allieva eccezionale e prima della partenza invita amici e parenti per il commiato: un evento in cui riesce a dimostrare la sua abilità nell’organizzare i ricevimenti, occupandosi lei stessa dei piatti da servire e degli addobbi. Il 2 settembre un maestoso corteo di carri si incammina verso nord. Abiti, broccati, suppellettili, gioielli sono i viaggiatori. Il 9 settembre parte anche Clemente VII: è il pontefice in persona a celebrare queste nozze. Tutto si svolge con grande sfarzo, il concistoro, l’ingresso a Marsiglia, il corteo di damigelle e la celebrazione nella chiesa di Saint-Ferréol: nessuno può dire che i Medici sono semplicemente una famiglia di mercanti arricchiti. Nella Galleria degli Uffizi troviamo, dipinto da Iacopo di Chimenti, l’olio su tela intitolato Papa Clemente VII celebra le nozze fra Caterina de’ Medici e Enrico II di Francia, testimonianza concreta della solennità di questo momento. Caterina indossa un lussuoso abito di broccato d’oro, una stoffa degna di una vera regina, sebbene a quel tempo l’erede al trono di Francia sia ancora Francesco e il marito, secondogenito, abbia solo il titolo di Duca di Orléans.
Inizialmente la sua vita sembra trascorrere lenta nell’ombra della sfarzosa corte. Clemente VII è morto solamente un anno dopo queste nozze, rendendo così meno brillanti le aspettative politiche connesse con il matrimonio; il marito Enrico non sembra destinato a ereditare il titolo di sovrano e la giovane fiorentina sembra tornare a essere solo una rampolla di banchieri. Per dieci anni Caterina evita di attirare occhi indiscreti su di sé, anche quando Enrico diviene il delfino in seguito alla prematura scomparsa del fratello. Da queste nozze, infatti, ancora non sono nati figli, la famiglia reale e la Francia tutta attendono l’erede. La giovane Medici teme per la sua posizione al fianco di Enrico, nei corridoi della corte si parla addirittura di ripudio! Inoltre deve fare i conti con Diana di Poitiers, la favorita del re, moglie di Louis de Brézeé, Gran Siniscalco di Normandia, dal 1548 duchessa del Valentinois.
Il sovrano ha un carattere ombroso e controverso, Diana ha un forte influsso su di lui, sulla corte e sulla vita politica, sa mostrare le sue capacità e la sua determinazione: ha vent’anni più di Enrico e Caterina, la sua maturità le consente di primeggiare. La giovane Medici sopporta con pazienza e rassegnazione lo stato delle cose, si mostra imperturbabile alle voci, alle provocazioni e alle malizie di palazzo. Di quegli anni Caterina serba memoria in una lettera scritta quasi quarant’anni dopo: «Facevo buon viso a Madame de Valentinois. Era la volontà del re, benché non gli nascondessi che vi acconsentivo mio malgrado: perché mai nessuna donna che ha amato il proprio marito ha amato la sua puttana». Scrive Benedetta Craveri nel suo Amanti e regine che Caterina manifesta obbedienza verso la rivale non per debolezza o per gentilezza, «ma perché paradossalmente i suoi interessi coincidevano con quelli dell’amante del marito. Caterina non ignorava che Diane paventava quanto lei l’eventualità del suo ripudio e che faceva di tutto perché ciò non avvenisse. Diane, infatti, temeva che un’eventuale giovane e bella principessa in grado di toccare il cuore di Enrico non avrebbe subito pazientemente il suo giogo come accettava di fare la piccola Cenerentola fiorentina. La nascita del primo figlio di Caterina nel 1544, dopo dieci anni di matrimonio, rappresentò anche per la Grande Siniscalca la fine di un incubo».
Finalmente nasce un erede, maschio, il futuro Francesco II. Da questo momento in poi il ventre di Caterina offre alla casata Valois ben dieci discendenti. Il carattere apparentemente docile e remissivo, che fino ad allora ha dimostrato davanti alle avversità della vita, muta improvvisamente e Caterina rispolvera i vecchi ricordi della zia Clarice e della sua personalità dominante.
PARTE III: IL REGNO
Nel 1547 Caterina de’ Medici diventa regina, imponendosi al centro della vita del palazzo reale. È arrivato il suo momento e lei si sente pronta a dimostrarlo.
Per prima cosa prende l’ostile corte francese per la gola, è proprio il caso di dirlo! È arrivata dall’Italia con una esperta schiera di cuochi: la cucina francese, sfarzosa ma poco raffinata, viene rinnovata completamente, acquistando in questi anni le caratteristiche che poi la renderanno celebre in tutto il mondo nei secoli a venire. «I pasticcieri toscani sapevano molto bene accoppiare le leccornie alla lubricità e a quanto più la scienza medica conoscesse» ha detto Pierre de Bantrome, ammaliato dalle prelibatezze introdotte sulle tavole imbandite. Ma ancora di più devono essere rimasti estasiati le ospiti e gli ospiti di corte per lo strano nuovo oggetto posto accanto ai piatti: la forchetta!
Le innovazioni di questa italiana non si limitano però esclusivamente al mondo gastronomico: a lei si deve anche l’esotico e bizzarro uso delle mutande, importate direttamente dalla lontana Toscana, e anche un nuovo tipo di sella che rende sicuro il modo di Caterina di andare a cavallo, con le gambe di lato, stabile ed elegante nelle sue cavalcate con la corte.
Mentre la regina rinnova gli usi e i costumi, il marito si trova lontano in faticose imprese militari: rinforzato con la discendenza il ruolo della moglie, ora le affida sempre più spesso la reggenza dello Stato; è colta, intelligente, abile e preparata e per Enrico II non è un problema metterla a capo della politica. Con un occhio Caterina vigila anche sulle vicende italiane: la sua ascesa al potere la porta a creare attorno a sé una fazione di fuoriusciti fiorentini, avversari di Cosimo I de’ Medici, considerato dalla sovrana un usurpatore. La guida di questo partito è assunta dai fratelli Strozzi, suoi cugini, i quali si rifugiano nella corte francese ottenendo incarichi prestigiosi, forse anche in memoria di Clarice, loro madre, che aveva accolto sotto il proprio tetto Caterina ancora bambina. Sarà questa una delle colpe rinfacciata alla regina “straniera”, l’eccessivo protezionismo e familismo verso personaggi italiani, non tutti di limpida e specchiata moralità.
Sopraggiunge il 1559 con il suo vento di pace tra Francia e Spagna e il trattato siglato a Cateau-Cambresis, accordo suggellato dal matrimonio tra Elisabetta di Valois e il re Filippo II di Spagna. Un banchetto di nozze tristemente sfortunato: il re Enrico muore in seguito a una ferita riportata nel corso di una giostra combattuta durante i festeggiamenti, mentre indossa i colori della sua dama Diane di Poitiers. Muore dopo dieci giorni di agonia, Caterina è al suo fianco e lascia sbarrate le porte alla favorita del marito. Vedova prima del tempo, da quel momento veste per sempre il colore nero in segno di lutto, ricordando a tutta la nazione la sua nuova condizione, che in questo momento è il suo punto di forza. Ora che si appresta a reggere le sorti dello Stato per conto del figlio piccolo, sa che gran parte della sua autorità le deriva «dall’essere vedova e madre, condizioni che per incutere rispetto esigevano la rinuncia a ogni forma di vanità femminile, la devozione al marito scomparso, l’austerità, la castità, la totale dedizione all’educazione dei figli e agli interessi del piccolo re. Così Caterina volle sottolineare l’irreprensibilità della sua condotta con una sapiente messinscena […] scelse di ammantarsi di nero ‒ preferendolo al bianco, colore del lutto delle regine ‒ per invecchiarsi e imprimere ai suoi 40 anni un aspetto matronale, fuori del tempo» (Benedetta Craveri, p.47).
Sa di non essere amata dal popolo, come non sarà amata dalla storiografia ufficiale che l’ha trasformata, per molto tempo, nell’incarnazione del dispotismo, del machiavellismo e della spietatezza, fino ad accostare indelebilmente il suo nome a uno degli eventi più sanguinosi di quegli anni: la strage degli ugonotti avvenuta tra il 23 e il 24 agosto 1572, meglio nota come la notte di S. Bartolomeo. Le responsabilità di quel bagno di sangue non sono tutte sue, quanto del figlio Carlo IX, ma le colpe ricadono su di lei, considerata da molti, Dumas compreso, il male assoluto. Studi storici più recenti hanno cominciato a rileggere le vicende e le scelte politiche di Caterina sulla base di nuove considerazioni: al di là delle sue reali capacità, il suo ruolo va interpretato alla luce delle concrete possibilità di scelta a lei consentite, valutando tutte le limitazioni e gli ostacoli che il suo essere donna, per di più straniera, le permettevano.
Scrive ancora Benedetta Craveri: «Caterina perseguiva un unico obiettivo: perseverare l’eredità dei figli e mantenere intatta l’autorità reale». Non possedendo forza politica e militare, affida a strategie, patti, accordi e trattati la sua reggenza trentennale, cedendo anche a manovre più sospette; cerca sempre e comunque di perseguire una politica di pacificazione interna, anche attraverso alleanze matrimoniali, per mantenere solido il regno. Una vera Medici, degna erede delle scelte politiche di Lorenzo il Magnifico.
Che la politica di pacificazione fra le fazioni religiose in lotta sia fondamentale per la stabilità della Francia, Caterina lo ha così chiaro in mente che fa sposare la figlia Margherita, cattolica, con Enrico di Navarra, protestante; l’idea che, per la saldezza della corona francese, sia necessario costruire solidi legami con l’intera nazione, la porta a organizzare per il figlio Carlo IX, nel 1564, un lungo viaggio di 28 mesi per tutta la Francia, durante il quale, a ogni tappa, il giovane re si presenta al suo popolo con accanto la madre. Consapevole dell’importanza delle apparenze e dei simboli, Caterina organizza grandi feste e cerimonie pubbliche, anche queste strategie di controllo del potere; sempre per il figlio Carlo IX redige una lettera in cui dispensa consigli e ammonimenti su come un sovrano debba impiegare il proprio tempo e sulla maniera di svolgere il proprio ruolo a Corte.
Nel 1574, con l’ascesa al trono del suo terzo figlio, Enrico III, la regina Medici prosegue nella sua politica, affidando al nuovo sovrano maggiore autonomia di governo e ritagliando per sé il compito di redigere trattati, di stabilire di alleanze, di avviare negoziati.
Solo nell’ultimo periodo il figlio si allontana da lei, esautorandola tanto da non avvisarla del progetto di assassinare Enrico di Guisa il 23 dicembre 1588. Qualche giorno dopo questo avvenimento Caterina si ammala e muore, il 5 gennaio del 1589, forse schiacciata e delusa dalla piega degli eventi.
Ma chi è stata veramente questa donna? Una domanda che potrebbe rimanere senza alcuna risposta oppure averne tante. Perché Caterina è stata davvero una figura eccezionale e di grande rilievo, da reggere il confronto con altre figure di potere del tempo come Filippo II di Spagna ed Elisabetta I d’Inghilterra. Ha saputo dimostrare di essere la degna discendente della casata Medici, accettando i compiti per lei decisi della famiglia e portando quella pesante eredità oltre i confini dell’Italia.
Una donna che ha lasciato un segno nella storia, che ha vissuto combattendo tenacemente in un mondo che la voleva solo strumento politico in mani altrui.
Il testo è tratto dalla ricostruzione storica pubblicata in “Memorie” nel sitowww.toponomasticafemminile.com