Raramente si trovano tanti giudizi positivi rivolti a una donna Medici.
Nel caso di Margherita, figlia di Cosimo II e di Maria Maddalena d’Austria, gli elogi sono unanimi, ma di lei si parla poco.
I contemporanei celebrarono la sua vita, “la soave armonia” delle sue virtù, il suo ruolo nel ducato di Parma e Piacenza giocato con destrezza politica, prudenza e equilibrio; gli studi storici successivi ne hanno ricordato le “non comuni qualità di corpo e di animo”, la cultura, il buon gusto, il carattere piacevole, l’intelligenza brillante che la portarono a essere protagonista della corte Farnese del XVII secolo. E allora perché tanto silenzio sulla sua persona? Perché la storiografia ufficiale si è poco interessata alla sua vita, ai compiti svolti, alle azioni politiche intraprese? Perché una donna di così alto valore, guidata da un tale senso di identità familiare da permetterle di sentirsi sempre una Medici ma anche di legarsi saldamente alla famiglia Farnese, continua a essere nascosta da un cono d’ombra da poco tempo rischiarato da indagini storiche?
Nata a Firenze nel 1612, Margherita ricevette un’educazione degna del suo rango di principessa, accurata, attenta alla religione ma anche protesa verso la cultura umanistica (sapeva comporre odi ed epigrammi indifferentemente in italiano e in latino), aperta all’arte, alla musica, alle scienze.
Cominciarono presto i negoziati per le sue nozze, soprattutto perché la corte medicea doveva trovare una soluzione al rifiuto del duca di Parma e Piacenza di accettare Maria Cristiana de Medici, affetta da problemi fisici di una certa importanza, come moglie del giovane Odoardo Farnese. La famiglia fiorentina aveva altre due bambine da inserire nelle politiche matrimoniali e per rimediare fu scelta proprio Margherita.
La situazione si ingarbugliò di nuovo per le ingerenze di Maria de’ Medici, che avrebbe desiderato vedere suo figlio Gastone d’Orléans sposo della bella, e anche sana, Margherita; la regina di Francia, che individuava nella sua discendenza medicea un punto di forza per le sue richieste alimentate dall’influente Richelieu e sostenute dal potente papa Urbano VIII, perse la partita e uscì sconfitta dalle trattative.
Odoardo e Margherita si unirono in matrimonio nell’ottobre del 1628 nel duomo di Santa Maria del Fiore; seguirono sontuose celebrazioni prima a Firenze e poi a Parma, dove per l’occasione venne inaugurato il Gran Teatro dei Farnese e rappresentata per la prima volta l’opera Mercurio e Marte con musiche di Claudio Monteverdi e testi di Claudio Achillini. Sarà stata per la giovane sposa una vera gioia, lei che era grande appassionata di musica e nel corso della vita parmense favorì in ogni modo lo sviluppo del melodramma.
Come accadeva talvolta, Margherita e Odoardo Farnese trovarono il giusto equilibrio fra loro e la loro unione nel complesso riuscì. Margherita in circa dodici anni mise al mondo nove tra figlie e figli, due dei quali (un maschio e una femmina) morti subito dopo la nascita. Odoardo dimostrò di fidarsi delle capacità di sua moglie e, spesso assente dal ducato, le consentì di seguire le vicende politiche — e non solo — dello Stato. Margherita aveva un carattere docile ma non debole, che l’aiutò molto nell’inserimento a Parma.
Il suo ingresso nella famiglia del marito non fu semplice: piano piano furono allontanate da lei le dame e i cavalieri fiorentini che avevano costituito il suo seguito nel trasferimento in Emilia, sostituite/i con figure non estranee all’entourage Farnese, alcune/i scelte/i dalla suocera Margherita Aldobrandini, che presto pose delle condizioni precise. Il suo posto nelle cerimonie pubbliche non sarebbe variato nonostante la presenza a corte della giovane nuora fiorentina, era lei la duchessa in carica, visto che il giovane Odoardo non aveva ancora raggiunto la maggiore età e di fatto doveva sottostare alla volontà materna. Si trattava di una prova di forza all’interno della corte Farnese che poteva trasformarsi in uno sgarbo nei confronti della famiglia Medici. E infatti i commenti non tardarono, come quelli del marchese Corsi riportato da Lucia Mascalchi nel suo studio su Margherita: “questa duchessa [Margherita Aldobrandini] e in pubblico e in privato [..] ha sempre preso la precedenza dalla serenissima sposa, cosa che mi ha dato tanto fastidio che anco senza averne ordine […] non ho potuto contenermi a farne una viva passata iersera […], rimostrando loro che questa è cosa che per ragione non può tollerarsi”. La corte fiorentina si fece sentire per chiarire la questione mentre Margherita, senza reagire d’impulso alla situazione incresciosa — di fatto un’offesa al titolo nobiliare mediceo ben più importante di quello farnesiano — diede prova di equilibrio, di senso della disciplina e di intelligenza tattica riuscendo a trovare un’intesa serena alla “sfida” della suocera.
Lasciata la realtà fiorentina, la famiglia d’origine e gli ambienti dei palazzi e delle ville medicee, Margherita andò alla scoperta del nuovo mondo in cui era entrata. Amava, oltre alla cultura, la vita all’aria aperta, il giardinaggio, la caccia con il fucile e con il falcone, la pesca, l’armonia della natura e negli ambienti farnesiani trovò quanto desiderava: “ci godiamo allegramente le comodità del paese spassandoci per questi giardini, dove non mancano e passeggi bellissimi e selvatici ombrosi, e peschiere abbondanti da ricrear l’animo secondo la varietà degli umori, e de’ tempi”.
Lei stessa ha raccontato la sua vita nelle numerosissime lettere ai fratelli, scritte di suo pugno e non affidandosi ad altri come accadeva di frequente per donne e uomini altolocati. Aveva una bella grafia, come le riconobbe anche Pieraccini che nei suoi testi ha fustigato molte delle donne Medici, una scrittura elegante, raffinata nella forma, interessante nei pensieri espressi. Con questa frequente corrispondenza la duchessa riuscì a mantenere saldi i legami con la famiglia d’origine e con gli ambienti fiorentini, dando modo alle recenti ricerche storiche di ricostruire in modo piuttosto completo la sua fisionomia.
Il suo rango le consentì di frequentare ambienti importanti e conoscere figure di spicco come Cristina di Svezia, di cui tracciò un profilo ben definito scrivendo al fratello Leopoldo: “[…] questa signora tratta con i suoi cavalieri che la servono, con gran familiarità ma, in una maniera che si conosce che è allevata fin da piccola, così, senza artifizi e con quelle maniere, che a me pare potrebbero far ciarlare […] questa signora ha dei tratti in molte cose per non dire in tutto più da uomo che da donna, così tratti con gl’uomini come un omo, e non come una donna […] l’ho veduta stare sempre in gran divozione a messa, e questo in lei è tanto più ammirabile quanto che per il restante non sta mai ferma. Patisce certe astrazioni di mente, così nominate da lei, con farne anche le sue scuse, poiché alle volte si fermerà a mezzo discorso e sta senza moto per qualche poco, e ancora a tavola l’ho vista fermarsi di mangiare, e ridere da per se o fare qualche altro gesto”.
Nel 1646 Margherita rimase vedova e diventò per circa due anni, fino al 1648, reggente per conto del figlio Ranuccio, in un primo tempo affiancata dal cognato, il cardinale Francesco Maria Farnese, e poi da sola. La docilità lasciò spazio a determinazione e forza d’animo che le servirono a superare molte difficoltà politiche e familiari. Fu soprattutto il rapporto fra Margherita e il figlio Ranuccio II a essere animato da frequenti incomprensioni e preoccupazioni. Il primo scoglio fu quello di avere a corte il consigliere del marito Odoardo, Jacopo Gaufrido, personaggio guardato con diffidenza e che creò non poche tensioni col figlio, in parte soggiogato dalla sua personalità. Poi fu l’arrivo a corte della nuora Margherita di Savoia con la quale ebbe contrasti simili a quelli con la suocera, ma a ruoli invertiti: la principessa Savoia mal sopportava la presenza della duchessa e delle figlie che spesso preferirono allontanarsi e soggiornare in altre località del ducato per smorzare gli attriti. Anche le vicende delle tre figlie, Margherita, Maria Maddalena e Maria Caterina, la preoccuparono non poco. Quest’ultima volle farsi monaca carmelitana con il nome di Suor Teresa Margherita di San Giuseppe dell’Incarnazione: la madre seguì con molta attenzione questa scelta e cercò di rinviare l’ingresso in convento quanto più possibile per sondare la reale vocazione della figlia e la saldezza della sua fede. Per le altre due avrebbe sperato in matrimoni degni del loro rango, ma le cose non andarono così anche per l’ingerenza del figlio Ranuccio che, da nuovo duca, cercava alleanze matrimoniali di alto rango mai arrivate. Margherita guardava le due figlie superare la pericolosa soglia dei vent’anni senza un possibile matrimonio (“vorrei vedere questa figlia in sicuro”) ben consapevole che per loro si apriva una realtà di attesa in cui sarebbero sbiadite lentamente “in una prospettiva di vita sterile, sia sotto il profilo biologico che umano” come scrive Lucia Mascalchi, mal sopportate dal fratello perché senza rendita, anzi un costo in più per la famiglia. Perché le donne potevano essere mogli o spose di Dio, il nubilato perdurante o lo stato vedovile le costringeva, anche se ricche e aristocratiche, in una sorta di limbo in cui piano piano scomparire. Per questo Margherita de’ Medici si dedicò nell’ultima parte della sua vita alla costruzione di Palazzo Madama a Piacenza, “un luogo che nel suo intento doveva essere destinato a ospitare dignitosamente innanzitutto lei medesima, ma anche le future generazioni di donne Farnese rimaste vedove o destinate al celibato domestico”. Era presente in lei il sentimento della solidarietà fra donne che la portò, all’interno di norme comportamentali molto precise, “a dar ricovero sotto la propria protezione a «dame» maltrattate dal marito, nonostante le pressioni esterne e le pubbliche rimostranze del nobile ed influente coniuge” (L. Mascalchi).
Il testo è tratto dalla ricostruzione storica pubblicata su “Memorie” nel sito www.toponomasticafemminile.com
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