Calendaria 2021 - Žemaitė

Žemaitė
Sara Balzerano



Rosalina Collu

 

Più di Prometeo poté la scrittura.
Più di qualunque fiamma, scintilla, tizzone, fu la parola a salvare l’umanità.
Con il fuoco si riuscì a cuocere la carne; con la lingua si poterono tramandare le ricette.

Esse – la scrittura, la parola, la lingua - sono rivoluzione e resistenza. Sono muro e breccia nella battaglia, identità e cambiamento, come una vecchia bandiera tutta da reinventare. Spesso, sono tutto ciò che le donne e gli uomini hanno a disposizione per conoscere e riconoscere sé stesse e sé stessi, nella lotta strenua e atavica che contrappone supremazia e diritto di esistere. Sulla scacchiera infame, dove il bianco e il nero sono luce e oblio, fare letteratura significa prendere una posizione netta, schierarsi, vestirsi da partigiane e partigiani. Questo, tutto questo, doveva esser chiaro anche a Julija Beniuševičiūtė Žýmantienė, Žemaitė come i Lituani e il mondo intero la conosce. Žemaitė racconta la sua terra già dal nome, che nel suono e nella grafia riecheggia di Samogizia, di verdi prati e di folti boschi di conifere, del profondo lago Plateliai e del placido fiume Nemunas. Il fazzoletto, che sempre veste e che le contorna il volto, parla anch’esso della patria alla quale ella costruisce un perimetro di carta e inchiostro che la narra e la fa rimanere, ferma e orgogliosa. Quando Žemaitė nasce, nel 1845, la Lituania non esiste più da ormai cinquant’anni. Unita alla Polonia nella Rzeczpospolita - dinasticamente a partire dal 1385 e politicamente dal 1569 - è assorbita insieme a quest’ultima dall’impero russo (e dalla Prussia e dall’Austria) dopo la cosiddetta “terza spartizione” del 1795. E, da questo momento in poi, sarà talmente fitta e martellante la campagna di russificazione che la parola scritta diventa merce di contrabbando preziosissima. In realtà, Žemaitė camminerà sul ciglio linguistico, culturale e identitario sempre, e lo farà vivendo quasi costantemente in un ambiente rurale, in una di quelle bolle contadine dove niente pare mai modificarsi. Ma se la terra divelta è uguale a sé stessa nei solchi, nelle zolle e nei germogli, le tracce lasciate dal nero aratro e dai neri semi sul bianco campo porteranno qualcosa di mai visto prima.

La sua famiglia appartiene alla nobiltà decaduta e, nonostante il proprio status alto-borghese non esista più ormai da tempo, impone comunque alla figlia l’utilizzo della sola lingua polacca a evidenziare e rimarcare una condizione sociale che – però – è ormai finita. Eppure Žemaitė, che cresce con i figli dei contadini nel maniero dei conti Pliateris Bukantė – dove suo padre lavora come amministratore e sua madre come governante - masticherà tra denti e lingua il dialetto della Samogizia più di qualsiasi altro idioma, e sarà da lì, proprio da lì, che aprirà e si aprirà il varco sul mondo della letteratura. Frequenta la servitù, ne comprende le difficoltà e la vita di stenti, si schiererà dalla loro parte e sarà di loro, soprattutto di loro, che parlerà nelle sue opere. Perché ella è più di una scrittrice, vuol essere più di questo, vuol essere la forbice che trancia e illumina e fa comprendere. Nel 1863, sostiene convintamente la grande rivolta che i territori della vecchia Rzeczpospolita intraprendono contro la Russia zarista, col fine di restaurare l’antico regno e di strapparsi dal gioco moscovita, e ne sposa un partecipante attivo, Laurynas Žymantas, conosciuto due anni dopo nella tenuta di Džiuginėnai. E qui entrambi lavorano, lei come domestica e lui come guardaboschi, finché non decidono - anche a seguito della mobilità sociale venutasi a creare dopo l’abolizione della servitù della gleba da parte di Alessandro II Romanov nel 1861 - di trasferirsi e di affittare un terreno nei pressi di Kolainiai, dove rimangono per quasi vent’anni, provando a crescere quattro figlie e due figli e a strappare un qualcosa che li allontanasse, almeno un poco, dalla miseria. Nel 1883, la famiglia decide di spostarsi a Ušnėnai, vicino al confine con la Prussia orientale, regione nella quale si è creata una vera e propria enclave di resistenza. Dopo la rivolta del 1863, infatti, e a partire dal 1865, la Russia ha messo al bando tutti i testi di carattere latino – alfabeto usato nelle lingue polacca e lituana – imponendo così una supremazia atta a soffocare l’anima più intima delle terre conquistate. Lo zar vuole uniformare le vecchie popolazioni della Rzeczpospolita all’interno dell’apparato culturale e identitario russo e, per far ciò, ha bisogno, tra le altre cose, di allontanare quanto più possibile l’influenza che la Chiesa Cattolica opera in questi territori, anche alla luce della secolare diatriba cultuale e autoritaria tra Roma e Mosca. Essi, però, non mollano, non cedono, non smettono di parlare, di scrivere, di fare letteratura. Si crea così una rete strettissima di partigianato che ha, nella carta stampata, la sua arma più temibile. E in questo angolo di confine, Žemaitė incontra Povilas Višinskis, attivista politico e intellettuale, un contrabbandiere di libri e cultura, che la introduce nella resistenza lituana.


Višinskis convince Žemaitė a scrivere, ed ella racconta e narra ciò che conosce, la terra e i contadini di Samogizia, quel mondo oscuro che è anche il suo, che le ha dato la vita, le parole, che l’ha formata in ogni ruga di volto, che con lei ha dialogato, in un costante scambio che ha permesso a entrambe di esistere. La sua prima opera, Rudens Vakaras, che ella ha composto quando era già a Ušnėnai, viene pubblicata nel 1895 sul Tikrasis Lietuvos ūkininkų kalendorius 1895 metams, il Calendario reale degli agricoltori lituani per il 1895. E su suggerimento di Jonas Jablonskis, il grande codificatore e stabilizzatore della lingua lituana, Julija Beniuševičiūtė Žýmantienė diventa Žemaitė: è a lui che Višinskis la presenta. Da questo momento in poi, la penna di Samogizia lavorerà incessantemente. Durante tutta la sua carriera, scriverà circa 354 racconti brevi, una dozzina di opere teatrali – tra cui Trys Mylimos , Piršlybos, Mūsų gerasis, Valsčiaus sūde - romanzi, saggi e articoli. Pare quasi che le parole non possano fermarsi, come non può fermarsi la lotta della Lituana per il diritto all’esistenza. Žemaitė racconta la realtà che conosce e che vive, quella povera dei contadini, quella crudele, ingiusta e sofferta delle donne, vittime ancor più vittime di un mondo schiacciato da soprusi e prepotenze. I dettagli che narra sono prosaici; la lingua che usa è ciancicata, inciampata, dialettale. Tutto è vero, nei suoi scritti. Tutto è reale. I nobili – che fino a quel momento erano stati i protagonisti della letteratura – vengono chiusi e inamidati nei loro salotti. Non serve immaginazione o fantasia. Serve la vita. La corrente realistica lituana nasce qui, con Žemaitė, e con il suo bisogno di dare riscatto, raccontando ciò che è: perché la parola fa esistere. E quello che esiste può essere cambiato, migliorato o abbattuto. Per esso si può combattere, vincere o soccombere. Ciò che non si nomina, invece, è destinato all’oblio ben prima che quest’ultimo arrivi con la fine. Tra le sue opere più celebri, ci sono sicuramente i racconti brevi e, tra essi, degni di nota sono Topilys, Petras Kurmelis, Sučiuptas velnias (Diavolo catturato), Sutkai, Gera galva (Buona testa) e, soprattutto, Marti (la Nuora). In quest’ultimo racconto, il punto di vista, il sentire, lo sguardo, tutto è femminile. La protagonista, Katre, è obbligata a sposare un uomo dedito all’alcool, pigro, aggressivo e rabbioso. La sola cosa che quest’individuo può portare di buono è una tenuta, ma tanto basta ai genitori di Katre per costringere la figlia al matrimonio. La giovane sposa proverà – dopo le nozze - a influenzare il marito, a cambiarlo, ma dovrà affrontare anche la violenza, il sadismo e i maltrattamenti della suocera. Si ammalerà gravemente, nessuno avrà la premura di curarla e morirà, nella solitudine di questa famiglia così piena di dolore e disperazione. Katre è una donna brillante, una donna che proverà a lottare per riscattare sé stessa dalla peggiore situazione possibile - la privazione del diritto di scegliere – ma che sarà costretta a soccombere alla miseria umana e a uno status quo che pare ineluttabile.




Così come il suo personaggio, anche Žemaitė si batterà per le donne, perché esse prendano coscienza dei propri diritti, perché abbiano la consapevolezza di potersi unire e opporsi a tutto ciò che le relega, le zittisce, le soffoca. Nel 1907 partecipa al primo Congresso delle donne lituane a Kaunas e, nel 1908, al Congresso delle donne russe a Pietroburgo. E’ ormai una personalità di rilievo del panorama culturale dell’epoca e il suo punto di vista viene ricercato e ascoltato. Scrive su diversi giornali e lavora, a partire dal 1912, nella redazione del Lietuvos Žinios, divenendone editrice. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, decide di traferirsi, prima in Russia e poi negli Stati Uniti, dove da anni viveva suo figlio Antanas e dove tiene discorsi, scrive per la stampa locale e raccoglie fondi per le vittime lituane del conflitto. Nel 1921 rientra a Marijampolėje e qui morirà, nello stesso anno, per una polmonite. Žemaitė, Julija Beniuševičiūtė Žýmantienė, è annoverata nei classici della letteratura lituana e, proprio, in questi ultimi anni, sta vivendo una vera e propria rinascita, grazie alle nuove generazioni che la stanno riscoprendo. Ella, che non ha mai parlato correttamente il lituano, ma che ha conosciuto il dialetto della Samogizia, è stata la madre della letteratura della sua terra, unica donna ad apparire sulla litas. Tutta la sua esistenza, che prima sembrava pencolare nella bruma claustrofobica del mondo contadino, pare cominciare insieme alle sue opere. Žemaitė è scrittrice perché inizia a vivere solo in quanto tale, come se tutto quello che le è capitato fosse servito ad arrivare a quella prima parola. È scrittrice perché che sa che per esistere, uomini, donne, nazioni, popoli, hanno bisogno di qualcuno che parli di loro. È scrittrice perché conosce l’impatto rivoluzionario di una penna e ne usa tutto il clangore per portare luce laddove prima vi era solo un pesante e soffocante buio imposto. È scrittrice, Žemaitė, e partigiana e fondatrice. Perché ha tessuto, in calce alla storia, l'essenza della terra che ella ha salvato dall'oblio.

 

Traduzione francese
Giuliana Gaudenzi

L’écriture a été plus efficace que Prométhée.
Mieux que toute flamme, étincelle, tison, c’est la parole qui a sauvé l’humanité.
Avec le feu on a réussi à cuire la viande ; avec la langue on a pu transmettre les recettes.

Elles – l’écriture, les mots, la langue – sont révolution et résistance. Elles sont mur et brèche dans la bataille, identité et changement, comme un vieux drapeau tout à réinventer. Souvent, elles sont tout ce que les hommes et les femmes ont disponibles pour connaitre (accento circonflesso sulla i) et reconnaitre(idem come sopra) soi même, dans la lutte farouche et atavique qui oppose suprématie et droit à exister. Sur l’infâme échiquier, où le blanc et le noir sont lumière et oubli, faire de la littérature signifie prendre une position nette, se rallier, s’habiller en partisan et en partisane. Cela, tout cela, devait être clair à Julija Beniuseviciute Zymantiene, Zemaite comme les Lituaniens et le monde entier la connaissent. Zemaite raconte sa terre déjà avec son nom qui, par le son et la graphie, fait écho à Samogizia, aux prés verts et aux épaisses forets (accento circonflesso sulla e) de conifères, du profond lac Plateliai et du paisible fleuve Nemunas. Le foulard, qu’elle porte toujours et qui encadre son visage, parle lui aussi de la patrie à laquelle elle construit un périmètre de papier et d’encre qui la raconte et la fait demeurer, ferme et orgueilleuse. Lors de la naissance de Zemaite, en 1845, la Lituanie n’existe plus depuis cinquante ans. Unie à la Pologne dans la Rzeczpospolita – comme dynastie à partir de 1385 et politiquement depuis 1569 – elle a été absorbée avec cette dernière par l’empire russe (et par la Prusse et par l’Autriche) après la dite « troisième division » en 1795. A partir de ce moment, la campagne de russification sera tellement dense et battante au point que la parole écrite devient marchandise de contrebande très précieuse. En réalité, Zemaite empruntera toujours le chemin linguistique, culturel et identitaire et le fera en vivant presque en permanence dans un milieu rural, dans une de ces boules fermières où rien ne semble jamais changer. Mais si la terre retournée est égale à elle-même dans les sillons, dans les mottes et dans les bourgeons, les traces laissées par la noire charrue et par les noires semences sur les blancs champs engendreront quelque chose jamais vue auparavant.

Sa famille appartient à la noblesse déchue et, malgré son statut haut-bourgeois n’existe plus depuis longtemps, impose de toute façon à sa fille d’utiliser seulement la langue polonaise, pour marquer un statut social qui, pourtant, est déjà terminé. Cependant Zemaite, qui grandit avec les enfants des fermiers dans le manoir des comtes Pliateris Bukante – où son père travaille en tant qu’administrateur et sa mère en tant que gouvernante, parlera le dialecte de la Samogizia plus que tout autre langue et ce sera à partir de là, justement de là, qu’elle ouvrira et se frayera le chemin vers le monde littéraire. Elle fréquente les domestiques, comprend leurs difficultés et leur vie de privations, se rangera de leur coté (accento circonflesso sulla o) et ce sera d’eux, surtout d’eux, qu’elle parlera dans ses œuvres. Parce qu’elle est plus qu’une écrivaine, elle veut être plus que cela, elle veut être les ciseaux qui tranchent, éclairent et font comprendre. En 1863, elle soutient résolument la grande révolte que les territoires de l’ancienne Rzeczpospolita entreprennent contre la Russie tsariste, afin de restaurer l’ancien royaume et de s’arracher du joug moscovite et elle épouse un actif participant, Laurynas Zymantas, connu deux ans après dans le domaine de Dziuginenai. Ici tous les deux travaillent, elle comme domestique et lui comme bucheron (accento circonflesso sulla u), jusqu’à ce qu’ils décident – à la suite aussi de la mobilité sociale qui s’était créée après l’abolition du servage de la part d’Alessandro II Romanov en 1861 – de déménager et de prendre en location un terrain près de Kolainiai, où ils restent pendant presque vingt ans, essayant d’élever quatre filles et deux fils et d’arracher quelque chose qui puisse les éloigner, un peu au moins, de la misère. En 1883 la famille décide de déménager à Usnenai, près de la frontière avec la Prusse orientale, région dans laquelle s’est créée une véritable enclave de résistance. Après la révolte de 1863, en effet, et à partir de 1865, la Russie a banni tous les textes de caractère latin – alphabet utilisé dans les langues polonaise et lituanienne – imposant ainsi une suprématie susceptible d’étouffer l’âme la plus intime des terres conquises. Le tsar veut uniformiser les anciennes populations de la Rzeczpospolita à l’intérieur de l’apparat culturel et identitaire russe et, pour faire cela, il a besoin, entre autre, d’éloigner autant que possible l’influence que l’Eglise Catholique opère dans ces territoires, aussi au vu de la séculaire diatribe culturelle et autoritaire entre Rome et Moscou. Mais eux ne cèdent pas, ne renoncent pas, n’arrêtent pas de parler, d’écrire, de faire littérature. Ainsi, se constitue un réseau très étroit d’esprit partisan qui a, dans la presse écrite, son arme la plus redoutable. Et dans ce coin de frontière, Zemaite rencontre Povilas Visinskis, activiste politique et intellectuel, un contrebandier de livres et de culture, qui l’introduit dans la résistance lituanienne.




Visinskis convainc Zemaite à écrire et elle raconte ce qu’elle connait (accento circonflesso sulla i), la terre et les paysans de Samogizia, ce monde sombre qui est aussi le sien, qui lui a donné la vie, les mots, qui l’a formée dans chaque ride dans son visage, qui a dialogué avec elle, dans un échange continu qui a permis à tous les deux d’exister. Sa première œuvre, « Rudens Vakaras », qu’elle a écrit quand elle était déjà à Usnenai, est publiée en 1895 dans le Tikrasis Lietuvos ukininku kalendorius 1895 metams, le Calendrier réel des agriculteurs lituaniens pour 1895. Et après suggestion de Jonas Jablonskis, le grand codeur et stabilisateur de la langue lituanienne, Julija Beniuseviciute Zymantiene devient Zemaite : c’est à lui que Visinkis la présente. Dorénavant, la plume de Samogizia travaillera sans cesse. Pendant toute sa carrière, elle écrira environ 354 nouvelles, une douzaine de pièces de théâtre, - entre autres, Trys Mylimos, Pirslybos, Musu gerasis, Valsciaus sude – des romans, des essais et des articles. Il semble presque que les paroles ne puissent pas s’arrêter, comme ne peut pas s’arrêter la lutte de la Lituanie pour son droit à exister. Zemaite raconte la réalité qu’elle connait (accento circonflesso sulla i) et qu’elle vit, celle pauvre des paysans, celle cruelle, injuste et soufferte des femmes, victimes, victimes davantage d’un monde écrasé par les abus et les intimidations. Les détails qu’elle relate sont prosaïques ; le langage qu’elle utilise est imparfait, dialectal. Tout est vrai, dans ses écrits. Tout est réel. Les nobles – qui jusqu’à ce moment-là avaient été protagonistes de la littérature – sont fermés et amidonnés dans leurs salons. Il n’y a pas besoin d’imagination ou de fantaisie. La vie suffit. Le courant réaliste lituanien nait ici, avec Zemaite, et avec son besoin de donner rédemption, en racontant ce qui est : parce-que la parole fait exister. Et ce qui existe peut être changé, amélioré ou abattu. Pour cela on peut combattre, gagner ou succomber. Ce qui n’est pas nommé, par contre, est destiné à l’oubli bien avant que ce dernier arrive avec la fin. Parmi ses œuvres les plus célèbres, il y a sans aucun doute les nouvelles et, parmi elles, sont notables Topilys, Petras Kurmelis, Suciuptas velnias (Diable capturé), Sutkai, Gera galva (Bonne tête) et, surtout, Marti (La belle-fille). Dans cette dernière nouvelle, le point de vue, le sentir, le regard, tout est féminin. La protagoniste, Katre, est obligée à épouser un homme alcolique, paresseux, agressif et enragé. La seule bonne chose que cet homme peut apporter est un domaine, mais cela suffit aux parents de Katre pour forcer leur fille au mariage. La jeune épouse essaiera – après les noces – à influer sur son mari, à le changer, mais elle devra aussi faire face à la violence, au sadisme et à la maltraitance de sa belle-mère. Elle tombera gravement malade, personne ne veillera à la soigner et elle mourra, dans la solitude de cette famille si pleine de douleur et de désespoir. Katre est une femme brillante, une femme qui cherchera à lutter pour se racheter de la pire situation possible – la privation du droit de choisir – mais qui sera forcée à succomber à la misère humaine et à un status quo qui parait (accento circonflesso sulla i) inéluctable.

Comme son personnage, Zemaite aussi se battra pour les femmes, pour qu’elles prennent conscience de leurs propres droits, pour qu’elles aient la conscience de pouvoir s’unir et s’opposer à tout ce qui les relègue, les fait taire, les étouffe. En 1907 elle participe au premier Congrès des femmes lituaniennes à Kaunas et, en 1908, au Congrès des femmes russes à Pétersbourg. Elle est désormais une importante personnalité dans le panorama culturel de l’époque et son point de vue est recherché et écouté. Elle écrit dans différents journaux et travaille, à partir de 1912, pour la rédaction du Lietuvos Zinios, et elle en dévient éditrice. Lors du déclenchement de la Première Guerre Mondiale, elle décide de déménager, en Russie d’abord, aux Etats Unis ensuite, où son fils Antanas vivait depuis des années et elle fait des discours, écrit pour la presse locale et recueille des fonds pour les victimes lituaniennes du conflit. En 1921 rentre à Marijampoleje et là elle mourra, la même année, d’une pneumonie. Zemaite, Julija Beniuseviciute Zymantiene, est comptée parmi les classiques de la littérature lituanienne et, justement, ces dernières années, elle est en train de vivre une véritable renaissance, grâce aux nouvelles générations qui à présent la redécouvrent. Elle, qui n’a jamais parlé couramment le lituanien, mais qui a connu le dialecte de la Samogizia, a été la mère de la littérature de sa terre, la seule femme à apparaitre (accento circonflesso sulla i) dans la litas. Toute son existence, qui avant semblait pencher vers la brume claustrophobe du milieu paysan, semble commencer avec ses œuvres. Zemaite est écrivaine parce qu’elle commence à vivre seulement en tant que telle, comme si tout ce qui lui est arrivé avait servi à arriver à ce premier mot. Elle est écrivaine parce qu’elle sait que pour exister, hommes, femmes, pays, peuples, ont besoin de quelqu’un qui parle d’eux. Elle est écrivaine parce qu’elle connait (accento circonflesso sulla i) l’impact révolutionnaire d’une plume et elle en utilise tout le tapage pour porter la lumière là où, avant, il y avait seulement une lourde et étouffante obscurité imposée. Elle est écrivaine, Zemaite, et partisane et fondatrice. Parce qu’elle a tissé, en bas de l’histoire, l’essence de la terre qu’elle a sauvé de l’oubli.

 

Traduzione inglese
Francesca Campanelli

Writing can do more than Prometheus.
More than any flame, spark, or ember, it was the word that saved humanity.
With fire, it was possible to cook, but with language, the recipes can be handed down.

Writing, speech, and language - are revolution and resistance. They are walls, and a breach in the battle, identity, and change, like an old flag completely reinvented. Often, they are all that women and men have available to know and recognize themselves, in the strenuous and atavistic struggle that decides supremacy and the right to exist. As on the infamous chessboard, where white and black are light and oblivion, making literature means taking a clear position, taking sides, dressing in the garb of partisans. This, all this, had to be clear also to Julija Beniuševičiūtė Žýmantienė - Žemaitė as Lithuanians, and the whole world, know her. Žemaitė already speaks about her land with her name, which in its sound and spelling reflect Samogizia, its green meadows and thick coniferous forests, its deep Plateliai lake and the placid Nemunas river. The headscarf, which she always wore and which surrounded her face, also spoke of the homeland around which she built a bulwark of paper and ink that tells its story and makes it strong and proud. When Žemaitė was born in 1845, Lithuania had no longer existed for fifty years. United with Poland in the Rzeczpospolita – a dynasty starting from 1385 and a political entity since 1569 - it was entirely absorbed by the Russian Empire (and later by Prussia and Austria) after the so-called "third partition" of 1795. And, from that moment on, the Russification campaign was so hammering and intense that the written word became a very precious contraband commodity. In reality, Žemaitė always walked on the cutting edge of language, culture and identity, doing so by living almost constantly in a rural environment, in one of those peasant bubbles where nothing ever seems to change. But if uprooted earth is equal to that in the furrows, the clods and the budding life, the traces left by the black plow and the black seeds on the white field, bring something never seen before.

Her family belonged to the fallen nobility and, although her high-bourgeois status had no longer existed for some time, it still required its daughter to use only the Polish language to highlight and emphasize a social condition which - however - was now over. Yet Žemaitė, who grew up with the children of peasants in the manor of the counts Pliateris Bukantė - where her father worked as an administrator and her mother as a housekeeper - chewed the Samogitian dialect between teeth and tongue more than any other language, and it was from there, right from there, that the way opened to the world of literature. She consorted with the servants, she understood their difficulties and their life of hardship, she grew to take their side and it was of them, especially of them, that she spoke in her later works. Because she was more than a writer, she wanted to be more than that, she wanted to be the scissors that cut and allow light in, and let us understand. In 1863, she strongly supported the great revolt that the territories of the old Rzeczpospolita waged against Tsarist Russia, with the aim of restoring the ancient kingdom and breaking away from Moscow She married an active participant, Laurynas Žymantas, whom she met two years before at the Džiuginėnai estate. There they both worked, she as a maid and he as a forester, until they decided - also as a result of the social mobility created after the abolition of serfdom by Alexander II Romanov in 1861 - to move and rent land - near Kolainiai, where they remained for almost twenty years, trying to raise four daughters and two sons, and to snatch something that would distance them, at least a little, from misery. In 1883, the family decided to move to Ušnėnai, near the border with East Prussia, a region in which a real enclave of resistance had been created. After the revolt of 1863, in fact, and starting from 1865, Russia banned all Latin texts - the alphabet used in the Polish and Lithuanian languages ​​- thus imposing a supremacy capable of suffocating the innermost soul of the conquered lands. The Tsar wanted to standardize the old populations of the Rzeczpospolita within the Russian cultural and identity apparatus and, to do this, he needed, among other things, to remove as much as possible the influence that the Catholic Church exerted in those territories, in the light of the centuries-old conflict of culture and authority between Rome and Moscow. However, they did not give up, they did not stop talking, writing, making literature. In this way, a very close network of arts was created which had its most feared weapon in the printed word. And in that corner of the border, Žemaitė met Povilas Višinskis, a political and intellectual activist, a smuggler of books and culture, who introduced her to the Lithuanian resistance.

Višinskis convinced Žemaitė to write, and she told the story of what she knew, the land and the peasants of Samogitia, that dark world which was also hers, which gave her life, and words, and which formed every wrinkle in her face, which conversed with her, in a constant exchange that allowed both of them to exist. Her first work, Rudens Vakaras, which she composed when she was already in Ušnėnai, was published in 1895 in the Tikrasis Lietuvos ūkininkų kalendorius 1895 metams, the Royal Calendar for Lithuanian Farmers for 1895. And at the suggestion of Jonas Jablonskis, the great recorder and stabilizer of the Lithuanian language, Julija Beniuševičiūtė Žýmantienė became Žemaitė: it is to him that Višinskis introduced her. From this moment on, her Samogitian pen worked incessantly. Throughout her career, she wrote some 354 short stories, a dozen plays - including Trys Mylimos, Piršlybos, Mūsų gerasis, Valsčiaus sūde, and novels, essays and articles. It almost seems that the words could not stop, just as the Lithuanian's struggle for the right to exist could not stop. Žemaitė told of the reality that she knew and that she lived, the poor one of the peasants, the cruel, unjust and suffering one of women, even more victimized in a world crushed by oppression and bullying. The details she recounts are prosaic; the language she uses is jabbered, jumbled, dialect. Everything is true in her writings. Everything is real. The nobles - who until then had been the protagonists of literature - were closed and starched in their living rooms. No imagination or fantasy needed. She serves life. The Lithuanian realistic current was born here, with Žemaitė, and with its need for liberation, telling its real story, because the words brought it to existence. And what exists can be changed, improved or demolished. For it one can fight, win or succumb. What is not named, however, is doomed to oblivion well before oblivion comes. Among her most famous works, there are certainly short stories and, among them, noteworthy are Topilys, Petras Kurmelis, Sučiuptas velnias (Captured Devil), Sutkai, Gera galva (Good head) and, above all, Marti (the Daughter-in-law). In this last story, the point of view, the feeling, the look, everything, is feminine. The protagonist, Katre, is forced to marry a man addicted to alcohol, lazy, aggressive and angry. The only thing that this individual brings is an estate, but that is enough for Katre's parents to force their daughter into marriage. The young bride will try - after the wedding - to influence her husband, to change him, but she will also have to face the violence, sadism and mistreatment of her mother-in-law. She will become seriously ill, no one will take the trouble to cure her and she will die, in the isolation of this family so full of pain and despair. Katre is a brilliant woman, a woman who will try to fight to redeem herself from the worst possible situation - the deprivation of the right to choose - but who will be forced to succumb to human misery and to a status quo that seems inescapable.

Like her character, Žemaitė also fought for women, so that they would become aware of their rights, so that they were aware of being able to unite and oppose everything that relegates them, silences them, suffocates them. In 1907 she participated in the first Lithuanian Women's Congress in Kaunas and, in 1908, in the Russian Women's Congress in Petersburg. By then she was already a prominent personality on the cultural scene of the time and her point of view was sought and listened to. She wrote for various newspapers and worked, after 1912, in the editorial office of Lietuvos Žinios, becoming its publisher. With the outbreak of the First World War, she decided to move, first to Russia and then to the United States, where her son Antanas lived for years, and where she gave speeches, wrote for the local press and raised funds for the Lithuanian victims of the conflict. In 1921 she returned to Marijampolėje and there she died, in the same year, of pneumonia. Žemaitė, Julija Beniuševičiūtė Žýmantienė, is counted among the classical figures of Lithuanian literature and, in recent years, she is experiencing a real rebirth, thanks to the new generations who are rediscovering her. She, who never spoke Lithuanian correctly but who knew the Samogitian dialect, was the mother of the literature of her land, the only woman to appear on the lists. Her whole existence, which at first seemed suspended in the claustrophobic mist of the peasant world, seemed to begin together with her works. Žemaitė was a writer because she began to live only as one, as if everything that had happened to her had served to get her to that first word. She was a writer because she knew that in order to exist, men, women, nations, peoples, need someone who speaks of them. She is a writer because she knew the revolutionary impact of the pen, and uses all of its power to bring light where there was before only a heavy, imposed and suffocating darkness. She was a writer, Žemaitė, and a partisan and founder. Because she wove, at the foundation of her stories, the essence of the earth that she saved from oblivion.