Calendaria 2022 - Edith Elisabeth Farkas

Edith Elisabeth Farkas
Chiara Ryan



Anastasia Usinger

 

Edith Elisabeth Farkas, nata il 13 ottobre del 1921 a Gyyka, una cittadina nell'est dell’Ungheria, divenne una pioniera nel settore, prevalentemente maschile, della meteorologia. Frequentò le elementari e la scuola secondaria a Budapest, rispettivamente a Szentgotthárd e Győr. Nel 1939, mentre la guerra stava dirompendo in Europa, Farkas si iscrisse all’università Peter Pazmany, la più prestigiosa del Paese, e si laureò nel 1944 in Matematica e fisica. Non si sarebbe mai immaginata che il suo futuro avrebbe avuto luogo dall’altra parte del globo. Alla fine della Seconda guerra mondiale, Edith, assieme ai suoi genitori e a sua sorella, fuggì dall’Ungheria per rifugiarsi nella vicina Austria, dove la famiglia rimase in campi profughi fino al 1949, quando, a bordo della nave di rifugiati The Dundalk Bay si spostò verso la Nuova Zelanda, terra di nuove speranze. Per guadagnarsi da vivere in Nuova Zelanda, Edith, che non aveva avuto un'educazione formale in lingua inglese, lavorò prima come lavapiatti al Palmerston North Public Hospital e, successivamente, come assistente bibliotecaria in un istituto di ricerca scientifico e industriale nella capitale, Wellington. In questo primo periodo, per quanto il suo livello di inglese andasse raffinandosi, non riuscì ad accedere a professioni maggiormente qualificate, dal momento che i suoi titoli accademici ungheresi non venivano riconosciuti. Edith decise allora di intraprendere nuovamente gli studi, iscrivendosi alla Victoria University of Wellington (Te Herenga Waka, in lingua maori) dove, all’età di trentuno anni, portò a termine un master nel dipartimento di Scienze, laureandosi in Fisica nel 1952. Dopo la laurea ottenne un lavoro all’interno del Servizio Meteorologico Neozelandese come ricercatrice, presso cui rimase per i successivi trentacinque anni.

Nei primi periodi della sua carriera, Farkas iniziò ad occuparsi della circolazione stratosferica e dell'oscillazione Quasi-biennale del vento zonale equatoriale. Al Simposio internazionale di Meteorologia tropicale del 1963, tenutosi a Rotorua, al quale parteciparono settantasei scienziati, Edith fu una delle due sole donne presenti. Qui illustrò un documento sulle fluttuazioni di lungo periodo dei venti di livello superiore e delle temperature del Pacifico meridionale. Durante gli anni Sessanta, il suo lavoro si focalizzò sullo studio dell'ozono atmosferico (il gas altamente reattivo composto da tre atomi di ossigeno, che si forma naturalmente nell'alta atmosfera e le cui molecole assorbono la luce nociva UV, prima che essa raggiunga il suolo). Le sue ricerche in questo campo, attuate assieme ad un piccolo gruppo internazionale di scienziati, iniziarono nel momento in cui l’ozono veniva principalmente utilizzato come gas tracciante, inerente allo studio della circolazione atmosferica. Per poter determinare i livelli di ozono, Edith adoperò uno dei primi strumenti mai inventati per misurare l'ozono atmosferico: lo spettrofotometro d’ozono atmosferico Dobson, il quale misura le quantità totali di ozono in una colonna d'aria compresa tra lo strumento posto al suolo e la sommità dell'atmosfera. Dal 1953, Edith Farkas era la responsabile della calibrazione di questo particolare strumento, il Dobson n. 17, situato dapprima a Kelburn, vicino a Wellington, poi, dal 1970, a Invercargill, all'estremità meridionale della Nuova Zelanda.

Nel 1975 divenne la prima donna del Servizio Meteorologico Neozelandese a visitare l’Antartico, dove condusse misurazioni dell'ozono superficiale e della torbidità atmosferica in relazione all'inquinamento atmosferico. Edith Farkas faceva parte del piccolo gruppo di scienziati pionieri (tra cui Andrew Matthews e Reid Basher), il cui meticoloso lavoro generò la realizzazione di un ampio archivio di dati, base per lo studio delle tendenze a lungo termine, che determinarono la scoperta del buco nell'ozono. Poco dopo il suo pensionamento, nel 1986, lo spettrofotometro Dobson n. 17, dopo essere stato sostituito dal Dobson n. 72, fu trasferito nell’Antartico, dove registrò un calo dei valori di ozono nella stratosfera, testimoniando l’esistenza del buco d’ozono “primaverile”. Le sue conoscenze, relative alle misurazioni atmosferiche dell’ozono, portarono ad un considerevole impegno in successivi studi sull’inquinamento, i quali richiedevano il monitoraggio della superfice atmosferica dell’ozono. Tali studi contribuirono alla fondazione del Protocollo Montereale, un accordo globale atto per l’eliminazione graduale della produzione e dell’uso di sostanze che impoveriscono lo strato di ozono, che ha giocato un ruolo significativo negli sforzi mondiali per la riparazione del buco dell'ozono ed è tuttora riconosciuto come uno dei trattati internazionali di protezione ambientale di maggior successo.

Durante il suo periodo presso il Servizio Meteorologico Neozelandese, Edith è stata anche una scrittrice prolifica, artefice di circa quaranta articoli scientifici e relazioni. Al momento del pensionamento, Farkas divenne la prima donna a ricevere il premio Metservice Henry Hill, titolo che riconosceva il suo eccezionale contributo al mondo della meteorologia. Nel 1988 è stata una dei ventisei ricercatori di ozono, unica neozelandese e una delle due donne, di tutto il mondo ad aver ricevuto il riconoscimento speciale al Simposio Quadriennale Internazionale sull'Ozono a Gottingen, Germania Ovest, per aver contribuito alla ricerca sull'ozono nei trenta anni precedenti. Andò ufficialmente in pensione nel 1986, continuando però a nutrire il suo interesse per la meteorologia. In questo periodo, infatti, realizzò un saggio, intitolato Osservazione e ricerca dell'ozono in Nuova Zelanda - Una prospettiva storica, pubblicato nel 1992, in cui riassumeva il lavoro svolto nel settore dell'ozono in Nuova Zelanda nell’arco temporale dei sette decenni antecedenti. Tragicamente, l’anno seguente, il 3 febbraio 1993, Edith Farkas perse la sua lunga battaglia contro un tumore alle ossa. Prima di morire, però, aveva organizzato i suoi diari e i suoi archivi che vennero in seguito raccolti dal suo nipote maggiore, Andrew Kwmwny, nel libro The Farkas Files, pubblicato nel 2014. Il volume, incentrato sui diari della donna risalenti alla Seconda guerra mondiale, mette in rilevo il suo ruolo da scienziata pioniera, che ha influenzato le generazioni future.

 

Traduzione francese
Guenoah Mroue

 

Edith Elisabeth Farkas, née le 13 octobre 1921 à Gyyka, une petite ville de l’est de la Hongrie, est devenue une pionnière dans le domaine, principalement masculin, de la météorologie. Elle fréquente l’école primaire et l’école secondaire à Budapest, à Szentgotthárd et Győr. En 1939, alors que la guerre ravageait l’Europe, Farkas s’inscrivit à l’université Peter Pazmany, la plus prestigieuse du pays, et obtint son diplôme en 1944 en mathématiques et en physique. Elle n’aurait jamais imaginé que son avenir se passerait de l’autre côté du globe. À la fin de la Seconde Guerre mondiale, Edith, avec ses parents et sa sœur, s’enfuit de l’Hongrie pour se réfugier en Autriche voisine, où sa famille resta dans des camps de réfugiés jusqu’en 1949, quand, à bord du navire de réfugiés The Dundalk Bay se déplaça vers la Nouvelle-Zélande, la terre de nouveaux espoirs. Pour gagner sa vie en Nouvelle-Zélande, Edith, qui n’avait pas eu d’éducation formelle en anglais, elle a travaillé en tant que plongeur au Palmerston North Public Hospital et, par la suite, en tant qu’assistante bibliothécaire dans un institut de recherche scientifique et industrielle de la capitale, Wellington. Durant cette première période, bien que son niveau d’anglais se soit amélioré, elle n’a pas pu accéder à des professions plus qualifiées, ses titres universitaires hongrois n’étant pas reconnus. Edith décide alors de reprendre à nouveau ses études, en s’inscrivant à l’Université Victoria de Wellington (Te Herenga Waka, en langue maori) où, à l’âge de 31 ans, elle achève un master dans le département des sciences, et obtient son diplôme en physique en 1952. Après avoir obtenu son diplôme, elle a obtenu un travail au sein du Service météorologique néo-zélandais en tant que chercheuse, où elle est restée pendant trente-cinq ans.

Dans les premières périodes de sa carrière, Farkas commence à s’occuper de la circulation stratosphérique et de l’oscillation quasi-biennale du vent de zone équatorial. Lors du Symposium international de météorologie tropicale de 1963 à Rotorua, auquel participent soixante-seize scientifiques, Edith est l’une des deux seules femmes présentes. Ici, il a illustré un document sur les fluctuations à long terme des vents de niveau supérieur et des températures du Pacifique Sud. Durant les années 1960, son travail se focalise sur l’étude de l’ozone atmosphérique (le gaz hautement réactif composé de trois atomes d’oxygène, qui se forme naturellement dans la haute atmosphère et dont les molécules absorbent la lumière nocive UV, avant qu’elle n’atteigne le sol). Ses recherches dans ce domaine, menées avec un petit groupe international de scientifiques, commencèrent au moment où l’ozone était principalement utilisé comme gaz traceur, inhérent à l’étude de la circulation atmosphérique. Afin de déterminer les niveaux d’ozone, Edith a utilisé l’un des premiers instruments jamais inventés pour mesurer l’ozone atmosphérique : le spectrophotomètre d’ozone atmosphérique Dobson, qui mesure la quantité totale d’ozone dans une colonne d’air comprise entre l’instrument au sol et le sommet de l’atmosphère. Depuis 1953, Edith Farkas est responsable du calibrage et de cet instrument particulier, le Dobson n. 17, situé d’abord à Kelburn, près de Wellington, puis, depuis 1970, à Invercargill, à l’extrémité sud de la Nouvelle-Zélande.

En 1975, elle devient la première femme du service météorologique néo-zélandais à visiter l’Antarctique, où elle effectue des mesures de l’ozone superficiel et de la turbidité atmosphérique en relation avec la pollution atmosphérique. Edith Farkas faisait partie du petit groupe de scientifiques pionniers (dont Andrew Matthews et Reid Basher), dont le travail méticuleux engendra la réalisation d’un vaste fichier de données, la base pour l’étude des tendances à long terme, Ils ont découvert le trou dans la couche d’ozone. Peu après son départ en retraite, en 1986, le spectrophotomètre Dobson n. 17, après avoir été remplacé par le Dobson n. 72, a été transféré dans l’Antarctique, où il a enregistré une baisse des valeurs d’ozone dans la stratosphère, témoignant de l’existence du trou d’ozone "printanier". Ses connaissances sur les mesures atmosphériques de l’ozone ont entraîné des efforts considérables dans des études ultérieures sur la pollution, qui ont nécessité la surveillance de la surface atmosphérique de l’ozone. Ces études ont contribué à la fondation du protocole Montereale, un accord global visant à éliminer progressivement la production et l’utilisation de substances qui appauvrissent la couche d’ozone, qui a joué un rôle important dans les efforts mondiaux de réparation du trou de la couche d’ozone et qui est toujours reconnu comme l’un des traités internationaux de protection de l’environnement les plus réussis.

Pendant sa période au Service météorologique néo-zélandais, Edith a également été une écrivaine prolifique, auteur d’environ quarante articles scientifiques et de rapports. À sa retraite, Farkas devient la première femme à recevoir le prix Metservice Henry Hill, titre qui reconnaît sa contribution exceptionnelle au monde de la météorologie. En 1988, elle a été l’une des vingt-six chercheurs en ozone, unique néo-zélandaise et l’une des deux femmes du monde entier à avoir reçu un prix spécial lors du symposium international sur l’ozone qui s’est tenu à Gottingen, Allemagne de l’Ouest, pour avoir contribué à la recherche sur l’ozone au cours des trente années précédentes. Elle prend officiellement sa retraite en 1986, mais continue à s’intéresser à la météorologie. C’est à cette époque qu’elle a réalisé un essai intitulé Observation et recherche de l’ozone en Nouvelle-Zélande - Une perspective historique, publié en 1992, résumant le travail accompli dans le domaine de l’ozone en Nouvelle-Zélande au cours des sept décennies précédentes. Tragiquement, l’année suivante, le 3 février 1993, Edith Farkas perdit sa longue bataille contre un cancer des os. Avant de mourir, elle avait organisé ses carnets et ses archives qui furent ensuite rassemblés par son petit-fils aîné, Andrew Kwmwny, dans le livre The Farkas Files, publié en 2014. Le volume, centré sur les journaux de la femme datant de la Seconde Guerre mondiale, met en relief son rôle de scientifique pionnière, qui a influencé les générations futures.

 

Traduzione inglese
Chiara Ryan

 

Edith Elisabeth Farkas was born on the 13th of October 1921 in Gyula, a town in the far east of Hungary, was to become a female pioneer in the largely male field of meteorology. She attended elementary and secondary schools in Szentgotthárd and Győr, Budapest. In 1939, while the war was breaking out in Europe, Farkas enrolled at Peter Pazmany University, the most prestigious university of the country, and graduated in 1944 with a degree in mathematics and physics. Little did she know that her future would lie in a country on the other side of the world. At the end of the Second World War, Edith, with her parents and sister fled to the neighbouring country of Austria. They lived in refugee camps there until 1949, when they were relocated to New Zealand on a refugee ship, The Dundalk Bay. To earn a living in New Zealand Edith, who had had no formal education in English, worked first as a kitchen hand at Palmerston North Public Hospital, and then as a library assistant with a scientific and industrial research institution in the capital city, Wellington. While her level of English improved, her Hungarian academic qualifications were not recognized, so she decided to continue with her studies at university. She enrolled at Victoria University of Wellington (Te Herenga Waka in the Maori language), where, at the age of 31, she completed a Master of Science Degree in Physics in 1952. After graduating, she secured a position with the Research Section of the New Zealand Meteorological Service and continued to work there for the next 35 years.

In the early years of her career, Farkas began to work on stratospheric circulation and Quasi-biennial oscillation of the equatorial zonal wind. At the 1963 International Symposium on Tropical Meteorology held in Rotorua, Edith was one of only two female attendees in a group of 76. She presented a paper on long-period fluctuations of upper-level winds and temperatures over the South Pacific. During the 1960s her work focus shifted to the study of atmospheric ozone (the highly reactive gas made up of 3 oxygen atoms, which forms naturally in the upper atmosphere. Ozone molecules absorb harmful UV light before it reaches the ground). Her studies in this field, with a small group of international scientists, started at the time when ozone was mostly used as a tracer gas to aid in the study of atmospheric circulation. To ascertain ozone levels, she used one of the earliest instruments used to measure atmospheric ozone, the Dobson ozone spectrophotometer, which measures the total amount of ozone in a column of air between the instrument on the ground and the top of the atmosphere. Since 1953 Edith Farkas was responsible for the calibration of this particular instrument, Dobson no. 17, first in Kelburn, near Wellington, and from 1970, in Invercargill, at the very southern end of New Zealand.

In 1975 she was the first woman from the New Zealand Meteorological Service to visit Antarctica, where she undertook surface ozone and atmospheric turbidity measurements relative to air pollution. She was one of small group of pioneering scientists (including Andrew Matthews and Reid Basher) whose meticulous work and the extensive data archive was fundamental in the study of long-term trends in the discovery of the hole in the ozone layer. Soon after her retirement in 1986, the Dobson spectrophotometer no. 17, replaced by Dobson 72, was moved to Antarctica, where it registered dropping ozone values in the stratosphere, evidence that the springtime ozone hole was a reality. Her expertise in atmospheric ozone measurement led to her significant involvement in later monitoring of surface ozone as part of air pollution studies. Her work led directly to the creation of the Montreal Protocol, a global agreement to phase out the production and use of substances depleting the ozone layer, which has played a significant role in the global efforts to repair the ozone hole. It has been recognized as one of the most successful international environmental protection treaties.

In her time with the New Zealand Meteorological Service, Edith was a prolific writer, producing approximately forty scientific papers and reports. Upon her retirement, Farkas became the first woman to receive the Metservice Henry Hill Award, an award that recognized her outstanding contribution to meteorology. In 1988 she was one of 26 ozone researchers – the only New Zealander, and only one of two women – from around the world who received special recognition, at the international Quadrennial Ozone Symposium in Gottingen, West Germany, for their contribution to ozone research over the preceding 30 years. She retired in 1986, but she continued her interest in meteorology, completing a paper entitled ‘Ozone observation and research in New Zealand – A Historical perspective’ published 1992, in which she summarized the work that have been carried out in the field of ozone in New Zealand over a period of seven decades. Tragically one year later, on the 3rd of February 1993 Edith Farkas lost her long battle to bone cancer. Before she died, she organized her diaries and her archives, which were later assembled by her oldest nephew Andrew Kemeny, in “The Farkas Files” published in 2014. This book, based on her diaries starting back in the Second World War, acknowledges her role as an inspirational figure for future generations.

 

Traduzione spagnola
Federica Agosta

 

Edith Elisabeth Farkas, nacida el 13 de octubre de 1921 en Gyyka, una pequeña ciudad en el este de Hungría, llegó a ser una pionera en el sector, prevalentemente masculino, de la meteorología. Asistió a la escuela primaria y secundaria en Budapest, respectivamente en Szentgotthárd y Győr. En 1939, mientras la guerra estaba empezando en el continente europeo, Farkas se matriculó en la universidad Peter Pazmany, la más prestigiosa del país, y en 1944 se licenció en Matemáticas y Física. Nunca hubiera imaginado que su futuro habría tenido lugar al otro lado del globo. Al final de la Segunda Guerra Mundial, Edith, junto con sus padres y su hermana, huyó de Hungría para encontrar refugio en la cercana Austria, donde la familia se quedó en los campos de refugiados hasta 1949, cuando, a bordo de la nave de refugiados The Dunbalk Bay se desplazó hacia Nueva Zelanda, tierra de nuevas esperanzas. Para ganarse la vida en Nueva Zelanda, Edith, que no había tenido una educación formal en lengua inglesa, trabajó primero como lavaplatos en el Palmerston North Public Hospital y, luego, como asistente bibliotecaria en un instituto de investigiación científica e industrial de la capital, Wellington. En este primer período, por más que su inglés siguiera fortaleciéndose, no logró acceder a profesiones mayormente cualificadas, dado que sus títulos académicos húngaros no eran reconocidos. Por lo tanto Edith decidió emprender nuevos estudios, matriculándose en la Victoria University de Wellington (Te Herenga Waka, en lengua maori) donde, a los treinta y uno años, cursó un máster en el departamento de Ciencias, licenciándose en Física en 1952. Tras esta graduación consiguió un empleo dentro del Servicio Meteorológico Neozelandés como investigadora, donde se quedó durante los treinta y cinco años siguientes.

Durante los primeros tiempos de su carrera, Farkas empezó a ocuparse de la circulación estratosférica y de la oscilación cuasi-bienal del viento zonal ecuatorial. En el Simposio internacional de Meteorología tropical de 1963, celebrado en Rotorua, en el cual parteciparon setenta y seis científicos, Edith fue una de las dos únicas mujeres presentes. Ahí ilustró un documento acerca de las fluctuaciones a largo plazo de los vientos de nivel superior y de las temperaturas del Pacífico meridional. Durante los Sesenta, su trabajo se centró en el estudio del ozono atmosférico (el gas sumamente reactivo formado por tres átomos de oxígeno, que se genera naturalmente en la alta atmósfera y cuyas moléculas absorben la luz nociva UV, antes de que esta última llegue al suelo). Sus investigaciones en este campo, llevadas a cabo junto con un pequeño grupo internacional de científicos, iniciaron en el momento en que el ozono se utilizaba principalmente como gas trazador, inherente al estudio de la circulación atmosférica. Para poder determinar los niveles de ozono, Edith empleó uno de los primeros instrumentos ideados para medir el ozono atmosférico: el espectofotómetro de ozono atmosférico Dobson, que mide las cantidades totales de ozono en una columna de aire comprendida entre el instrumento colocado en el suelo y la cumbre de la atmósfera. Desde 1953, Edith Farkas fue la responsable de la calibración de este particular instrumento, el Dobson núm. 17, ubicado en un primer momento en Kelburn, cerca de Wellington, y luego, desde 1970, en Invercargill, en la extremidad meridional de Nueva Zelanda.

En 1975 se convirtió en la primera mujer del Servicio Meteorológico Neozelandés en visitar el Antártico, donde llevó a cabo mediciones del ozono superficial y de la turbidez atmosférica en relación con la polución atmosférica. Edith Farkas formaba parte del pequeño grupo de científicos pioneros (entre cuales estaban Andrew Matthews y Reid Basher), cuyo meticuloso trabajo llevó a la realización de un amplio archivo de datos, base para el estudio de las tendecias a largo plazo que determinaron el descubrimiento del agujero del ozono. Poco después de su jubilación, en 1986, el espectrofotómetro Dobson núm. 72, fue traslado al Antártico, donde registró una disminución de los valores de ozono en la estratosfera, testimoniando la existencia del agujero del ozono “primaveral”. Sus conocimientos, relativos a las mediciones atmosféricas del ozono, llevaron a un notable compromiso en los sucesivos estudios acerca de la polución, estudios que requerían la monitorización de la superficie atmosférica del ozono. Dichos estudios contribuyeron a la redacción del Protocolo de Montreal, un acuerdo global para eliminar gradualmente la producción y la utilización de sustancias que empobrecen el estrato de ozono, y que ha desempeñado un papel significativo en los esfuerzos mundiales para la reparación del agujero del ozono y que todavía es reconocido como uno de los tratados internacionales de protección ambiental de mayor éxito.

Durante su período en el Servicio Meteorológico Neozelandés, Edith fue también una escritora prolífica, artífice de aproximadamente cuarenta artículos científicos e informes. Cuando se jubiló, Farkas se convirtió en la primera mujer en recibir el premio Metservice Henry Hill, título que reconocía su excepcional contribución al mundo de la meteorología. En 1988 se hallaba entre los ventiséis investigadores del ozono de todo el mundo que recibieron la condecoración al Simposio Cuadrienal Internacional sobre el Ozono en Gottingen, Alemania occidental, por haber contribuido en la investigación acerca del ozono en los treinta años anteriores, siendo ella una de las dos únicas mujeres y la única neozelandesa. Se jubiló oficialmente en 1986, aunque seguía alimentando su interés por la meteorología. En efecto, durante ese período escribió un ensayo, titulado Observaciones e investigaciones del ozono en Nueva Zelanda. Una perspectiva histórica, publicado en 1992, en el cual resumía el trabajo llevado a cabo en el sector del ozono en Nueva Zelanda en el arco temporal de las siete décadas antecedentes. Trágicamente, el año siguiente, el 3 de febrero de 1993, Edith Farkas perdió su larga batalla contra un cáncer de huesos. Sin embargo, antes de morir, había organizado sus diarios y sus archivos que fueron luego recogidos por su nieto mayor, Andrew Kwmwny, en el libro The Farkas Files, publicado en 2014. El volumen, centrado en los diarios de la mujer que se remontan a la Segunda Guerra Mundial, pone de manifiesto su papel de científica pionera que influyó en las generaciones futuras.