Calendaria 2024 - Rosa Balistreri

Rosa Balistreri
Ester Rizzo


Giada Ionà

 

La vita di Rosa Balistreri somiglia alla trama di un romanzo: sin da quando vide la luce, la sua esistenza fu un susseguirsi vertiginoso di eventi tragici, luttuosi che si alternarono a momenti di gioia e successi. Si stenta a credere che tutti questi avvenimenti possano essere stati vissuti da un’unica persona. Rosa è stata sicuramente una delle personalità femminili indipendenti più significative nella storia della musica popolare, di cui è stata interprete ma anche autrice, lasciandoci incise ben 120 canzoni. Alcune di queste ci raccontano la gioia delle festività natalizie o il dolore dei giorni della Settimana santa e della Crocifissione; altri sono testi politici, testi contro la mafia, per la maggior parte scritti da Ignazio Buttitta e Ciccio Busaccca e da lei interpretati.

Suo il grande merito di aver riportato alla ribalta il patrimonio musicale della canzone popolare siciliana, frugando in un archivio che non ha documenti ma voci di popolo che raccontano usi, costumi, avvenimenti. Cantautrice e cantastorie : così viene definita, ma anche l’“Amalia Rodriguez italiana” o “la Cantatrice del Sud”.Era nata a Licata il 21 Marzo del 1917 da Emanuele e Vincenza Gibaldi e visse la sua infanzia nel quartiere Marina: un dedalo di vicoli e viuzze dove abitavano poche famiglie abbienti e la maggior parte della popolazione viveva una vita di miseria e di rinunce. Il suo canto, sin da ragazzina, si intrufolava tra quelle pietre antiche. Erano gli anni del regime fascista e dell’emigrazione di massa.

A sedici anni è costretta a sposare Gioacchino Torregrossa (Iachinazzu), un uomo violento, un ubriacone che venderà il corredino della figlia per saldare i debiti di gioco. A quel punto Rosa, accecata dalla rabbia e dall’esasperazione, aggredì e ferì il marito e per quella sua reazione, rubricata come tentato omicidio, scontò sei mesi di carcere. Non era certo stato un matrimonio d’amore. Il suo cuore aveva sussultato, prima, per il cugino Angelino e poi per Frank, un soldato americano ma lei era troppo povera, non possedeva dote per potersi sposare con chi desiderava. Erano aspirazioni irrealizzabili in quel tempo e in quel contesto. Rosa, uscita dal carcere, svolse vari lavori: raccoglieva lumache, capperi, spighe, verdure varie e si impegnava nella salatura delle sarde per pochi spiccioli. Quando la assunsero in una vetreria, un giorno venne stuprata dal proprietario. Esasperata da quel destino avverso decise di recarsi a Palermo dove sistemò la figlioletta in un collegio e si” mise a servizio” di una famiglia benestante, il cui rampollo squattrinato e indebitato per il vizio del gioco, la convinse ad avere rapporti sessuali. Rosa restò incinta, lui le promise di non abbandonarla e la convinse al contempo a rubare dei gioielli alla madre per iniziare quella vita in comune. Ma era solo un vile stratagemma per pagare altri debiti di gioco.

Rosa, perseguitata dalla malasorte, trovò lavoro come custode della Chiesa Santa Maria degli Agonizzanti e dopo un periodo di relativa quiete, venne molestata dal nuovo prete che appena arrivato. A quel punto la misura è colma, Rosa ruba i soldi della cassetta delle elemosine e compra due biglietti di sola andata per Firenze: per sé e il fratello paralitico. In seguito la raggiungeranno gli altri familiari, anche loro decisi a recidere il legame con l’ingrata terra siciliana. In terra toscana la violenza del destino la colpirà duramente: sua sorella Maria verrà uccisa dal marito e il padre per la disperazione si impiccherà a un albero del Lungarno. Dopo il dolore e la disperazione riuscì a reagire: aprì un banchetto di frutta e verdura nel quartiere San Lorenzo, e lì, negli anni sessanta incontrò il pittore Manfredi Lombardi. Nacquero così due grandi amori: quello per l’artista e quello per la chitarra. Tramite Manfredi si inserì nel mondo artistico e iniziò a cantare ammaliando i critici dell’epoca e i suoi nuovi amici intellettuali. Iniziarono i concerti: cantava in dialetto siciliano, cantava nelle Feste dell’Unità, con la sua voce graffiante in cui si percepiva la disperazione della vita vissuta, ma anche la dolcezza delle nenie della sua terra. Dario Fo la scelse per rappresentare la Sicilia in una rassegna. Fu un successo travolgente e i suoi concerti venivano richiesti non solo in Europa ma anche in America e in Australia. Incontrò in questi nuovi mondi milioni di emigrati che la acclamavano, la riverivano apprezzando quel suo timbro di voce quasi arcaico e primordiale.

Rosa Balistreri, Sanremo 1973

Nel frattempo Manfredi l’aveva lasciata per un’altra donna e anche questa volta Rosa, dopo il grande dolore che l’aveva spinta al suicidio, reagì. Importanti anche le sue esperienze teatrali: non aveva alle spalle alcuno studio ma la sua autenticità era la chiave del suo successo. Debuttò a Firenze, nel 1968, con il Teatro stabile di Catania in La rosa di Zolfo e poi in altri spettacoli tra cui La ballata del sale, scritta appositamente per lei dal giornalista Salvo Licata. Reciterà e canterà anche ne La Lupa con Anna Proclemer e ne La lunga notte di Medea, con Piera degli Espositi. Nel 1970 ritornò in Sicilia con la madre e il nipote Luca. Andò a vivere a Palermo circondata dai suoi amici, tra cui Renato Guttuso e Giuseppe Ganduscio. Partecipò anche a un Festival di Sanremo, ma all’ultima selezione venne esclusa. Non era facile comprendere il senso della sua voce straziata e straziante, frutto del suo tormentato vissuto, della sua sofferenza e della sua insofferenza, del suo grande orgoglio, della sua forza e della sua dignità. Così dichiarò dopo l’esclusione:

«Ho deciso di gridare le mie proteste, le mie accuse, il dolore della mia terra, dei poveri che la abitano, di quelli che l’abbandonano, dei compagni operai, dei braccianti, dei disoccupati, delle donne siciliane che vivono come bestie… era questo il mio scopo»

«Ho deciso di gridare le mie proteste, le mie accuse, il dolore della mia terra, dei poveri che la abitano, di quelli che l’abbandonano, dei compagni operai, dei braccianti, dei disoccupati, delle donne siciliane che vivono come bestie… era questo il mio scopo». Rosa è stata la voce della gente povera, anzi miserabile, delle ultime e degli ultimi fra gli ultimi, dei braccianti senza terra, dei minatori, delle donne stuprate e vittime di violenze. La sua era la voce di un popolo che reclamava il diritto a una vita migliore e a un lavoro dignitoso.

In particolare nella canzone Mafia e parrini (Mafia e preti) denuncia la sopraffazione degli ordini religiosi sulla povera gente, li definisce come delle sanguisughe; persone che nulla hanno da spartire con il senso autentico della sua religiosità. In molti testi è presente l’opposizione netta al fenomeno mafioso con denunce chiare e coraggiose: «La mafia disonora questa terra povera e onesta che vuole solo pane e lavoro, libertà e giustizia». Il canto di Rosa inquietava le coscienze: una voce scomoda per chi preferiva chiudere gli occhi e girare indifferente le spalle alla miseria e alla violenza di quel mondo da lei quasi gridato.

Dopo i successi ritorna anche nella sua Licata, ma non viene accolta con il calore che solitamente il pubblico le riservava. Era rimasta per le sue e i suoi concittadini, semplicemente “la moglie di Iachinazzo”. È morta a Palermo il 20 Settembre del 1990. Così dichiarò in un’intervista: «Si può fare politica e protestare in mille modi. Io canto.ma non sono una cantante… diciamo che sono un’attivista che fa comizi con la chitarra».

Il suo grande impegno e il suo talento oggi sono ampiamente riconosciuti quasi a voler esaudire un suo desiderio espresso nella canzone Quannu moru:

«Quando morirò pensatemi ogni tanto, perché per questa terra in croce sarò morta senza voce»

Traduzione francese

Ibtisam Zaazoua

La vie de Rosa Balistreri ressemble à l'intrigue d'un roman : dès sa naissance, son existence est un enchaînement vertigineux d'événements tragiques, de deuils, qui se sont alternés à des moments de joie et de succès. Il est difficile de croire qu'une seule personne ait pu vivre tous ces événements. Rosa est sûrement l'une des personnalités féminines indépendantes les plus significatives de l'histoire de la musique populaire, dont elle a été non seulement interprète mais aussi auteure, en nous laissant pas moins de 120 chansons enregistrées. Certaines de ces chansons racontent la joie des fêtes de Noël ou la douleur des jours de la Semaine Sainte et de la Crucifixion; d'autres sont des textes politiques, des textes contre la mafia, pour la plupart écrits par Ignazio Buttitta et Ciccio Busacca et interprétés par elle.

Elle a eu le grand mérite de remettre en lumière le patrimoine musical de la chanson populaire sicilienne, en fouillant dans un archive qui n'a pas de documents mais des voix du peuple racontant des coutumes, des usages, des événements. Chanteuse et conteuse : c'est ainsi qu'elle est définie, mais aussi "l'Amalia Rodriguez italienne" ou "la Chanteuse du Sud". Elle est née à Licata le 21 mars 1917 de Emanuele et Vincenza Gibaldi et a vécu son enfance dans le quartier Marina : un dédale de ruelles où vivaient quelques familles aisées tandis que la majorité de la population menait une vie de misère et de privations. Dès son plus jeune âge, sa voix se faufilait parmi ces vieilles pierres. C'étaient les années du régime fasciste et de l'émigration de masse.

À seize ans, elle est contrainte d'épouser Gioacchino Torregrossa (Iachinazzu), un homme violent, un ivrogne qui vendra le trousseau de leur fille pour payer ses dettes de jeu. À ce moment-là, Rosa, aveuglée par la colère et l'exaspération, attaque et blesse son mari et, pour cette réaction, qualifiée de tentative de meurtre, elle purgera six mois de prison. Ce n'était certainement pas un mariage d'amour. Son cœur avait battu, auparavant, pour son cousin Angelino puis pour Frank, un soldat américain, mais elle était trop pauvre, elle n'avait pas de dot pour pouvoir se marier avec celui qu'elle désirait. C'étaient des aspirations irréalisables en ce temps-là et dans ce contexte. Après être sortie de prison, Rosa a exercé divers métiers : elle récoltait des escargots, des câpres, des épis, divers légumes et elle s'occupait de la salaison des sardines pour quelques sous. Lorsqu'elle fut embauchée dans une verrerie, un jour, elle fut violée par le propriétaire. Exaspérée par ce destin contraire, elle décide de se rendre à Palerme où elle place sa petite fille dans un internat et se "met au service" d'une famille aisée, dont le fils sans le sou et endetté à cause de son vice du jeu, la convainc d'avoir des relations sexuelles. Rosa tombe enceinte, il lui promet de ne pas l'abandonner et la convainc en même temps de voler des bijoux à sa mère pour commencer leur vie commune. Mais ce n'était qu'un stratagème vil pour payer d'autres dettes de jeu.

Rosa, poursuivie par la malchance, trouve un emploi de gardienne à l'église Santa Maria degli Agonizzanti et après une période de relative tranquillité, elle est harcelée par le nouveau prêtre à peine arrivé. À ce stade, elle en a assez, elle vole l'argent de la boîte des aumônes et achète deux billets aller simple pour Florence : pour elle et son frère paralytique. Par la suite, d'autres membres de sa famille la rejoindront, eux aussi décidés à couper les liens avec la terre ingrate de la Sicile. En terre toscane, la violence du destin la frappera durement : sa sœur Maria sera tuée par son mari et son père, dans le désespoir, se pendra à un arbre sur les bords de l'Arno. Après la douleur et le désespoir, elle réussit à réagir : elle ouvre un étal de fruits et légumes dans le quartier San Lorenzo, et c'est là, dans les années soixante, qu'elle rencontre le peintre Manfredi Lombardi. Deux grands amours naissent ainsi : celui pour l'artiste et celui pour la guitare. Par l'intermédiaire de Manfredi, elle s'intègre dans le monde artistique et commence à chanter, envoûtant les critiques de l'époque et ses nouveaux amis intellectuels. Les concerts commencent : elle chantait en dialecte sicilien, chantait aux Fêtes de l'Unité, avec sa voix rugueuse dans laquelle on percevait le désespoir de la vie vécue, mais aussi la douceur des berceuses de sa terre. Dario Fo la choisit pour représenter la Sicile dans un festival. Ce fut un succès retentissant et ses concerts étaient demandés non seulement en Europe mais aussi en Amérique et en Australie. Dans ces nouveaux mondes, elle a rencontré des millions d'émigrés qui l'acclamaient, la vénéraient en appréciant son timbre de voix presque archaïque et primitif.

Rosa Balistreri, Sanremo 1973

Entre-temps, Manfredi l'avait quittée pour une autre femme et cette fois encore Rosa, après la grande douleur qui l'avait poussée au suicide, réagit. Ses expériences théâtrales sont également importantes : elle n'avait aucune formation, mais son authenticité était la clé de son succès. Elle débute à Florence, en 1968, avec le Teatro Stabile de Catane dans "La rosa di Zolfo" puis dans d'autres spectacles, dont "La ballata del sale", écrite spécialement pour elle par le journaliste Salvo Licata. Elle jouera et chantera également dans "La Lupa" avec Anna Proclemer et dans "La lunga notte di Medea", avec Piera degli Espositi. En 1970, elle retourne en Sicile avec sa mère et son neveu Luca. Elle s'installe à Palerme entourée de ses amis, parmi lesquels Renato Guttuso et Giuseppe Ganduscio. Elle participe également à un Festival de Sanremo, mais à la dernière sélection, elle est exclue. Il n'était pas facile de comprendre le sens de sa voix déchirante et déchirée, fruit de sa vie tourmentée, de sa souffrance et de son impatience, de sa grande fierté, de sa force et de sa dignité. Voici ce qu'elle déclara après son exclusion:

«J'ai décidé de crier mes protestations, mes accusations, la douleur de ma terre, des pauvres qui l'habitent, de ceux qui l'abandonnent, des compagnons ouvriers, des paysans, des chômeurs, des femmes siciliennes qui vivent comme des bêtes… c'était là mon but».

Rosa a été la voix des gens pauvres, voire misérables, des derniers et des dernières parmi les derniers, des paysans sans terre, des mineurs, des femmes violées et victimes de violences. C'était la voix d'un peuple qui réclamait le droit à une vie meilleure et à un travail digne.

En particulier dans la chanson "Mafia e parrini" (Mafia et prêtres), elle dénonce la domination des ordres religieux sur les pauvres, les qualifiant de sangsues; des personnes qui n'ont rien à voir avec le sens authentique de sa religiosité. Dans de nombreux textes, on trouve une opposition nette au phénomène mafieux avec des dénonciations claires et courageuses : "La mafia déshonore cette terre pauvre et honnête qui ne veut que du pain et du travail, de la liberté et de la justice." Le chant de Rosa troublait les consciences : une voix gênante pour ceux qui préféraient fermer les yeux et tourner le dos indifférent à la misère et à la violence de ce monde qu'elle exprimait presque en criant.

Après ses succès, elle retourne également dans sa Licata, mais elle n'est pas accueillie avec la chaleur que le public lui réservait habituellement. Elle était restée pour ses concitoyens simplement "la femme de Iachinazzu". Elle est décédée à Palerme le 20 septembre 1990. Voici ce qu'elle déclara dans une interview : "On peut faire de la politique et protester de mille manières. Moi, je chante… mais je ne suis pas une chanteuse… disons que je suis une militante qui fait des discours avec la guitare."

Son grand engagement et son talent sont aujourd'hui largement reconnus, comme pour exaucer un de ses souhaits exprimés dans la chanson Quannu moru:

«Quand je mourrai, pensez à moi de temps en temps, car pour cette terre en croix je mourrai sans voix»

Traduzione inglese

Syd Stapleton

Rosa Balistreri's life resembles the plot of a novel. Ever since she first saw light, her existence was a dizzying succession of tragic, mournful events that alternated with moments of joy and success. One can hardly believe that all these things could have been experienced by a single person. Rosa was certainly one of the most significant independent female personalities in the history of popular music. She was not only a performer but also a songwriter, leaving us with as many as 120 recorded songs. Some of these tell us about the joy of the Christmas holidays or the pain of the days of Holy Week and the Crucifixion. Others are political lyrics, lyrics against the Mafia, mostly written by Ignazio Buttitta and Ciccio Busaccca and interpreted by her.

It is her great merit to have brought back to the forefront the musical heritage of Sicilian folk song, rummaging through an archive that has no documents but voices of the people telling of customs, traditions and events. Singer-songwriter and storyteller - so she is called, but also the "Italian Amalia Rodriguez" or "the Singer of the South." She was born in Licata on March 21, 1917, to Emanuele and Vincenza Gibaldi, and lived her childhood in Licata’s Marina district - a maze of alleys and lanes where few wealthy families lived and most of the population lived a life of misery and deprivation. Her singing, even as a young girl, intruded among those ancient stones. Those were the years of the fascist regime and mass emigration.

At sixteen she was forced to marry Gioacchino Torregrossa (Iachinazzu), a violent man, a drunkard who would sell his daughter's layette to pay off gambling debts. At that point Rosa, blinded by rage and exasperation, attacked and wounded her husband, and for that reaction, judged to be attempted murder, she served six months in prison. It had certainly not been a loving marriage. Her heart had yearned, first, for her cousin Angelino and then for Frank, an American soldier, but she was too poor and possessed no dowry to marry whomever she wished. These were unattainable aspirations in that time and context. Rosa came out of prison and worked at various jobs: picking snails, capers, ears of corn, various vegetables and engaged in salting sardines for pennies. When she was hired in a glassworks, one day she was raped by the owner. Exasperated by that outrage, she decided to go to Palermo, where she placed her little daughter in a boarding school and "put herself at the service" of a wealthy family, whose penniless scion, indebted to the vice of gambling, convinced her to have sexual relations. Rosa became pregnant, he promised not to abandon her and at the same time persuaded her to steal jewelry from his mother to begin that life together. But it was just a cowardly ploy to pay off more gambling debts.

Rosa, haunted by ill fortune, got a job as janitor of the Church of St. Mary of the Agonizing, and after a period of relative quiet, she was harassed by the newly arrived priest. At that point the measure was full - Rosa stole money from the alms box and bought two one-way tickets to Florence, for herself and her paralytic brother. She was later joined by other family members, who were also determined to sever ties with the ungrateful Sicilian land. In Tuscany the violence of fate hit her hard: her sister Maria was killed by her husband, and her father, in deep depression, hung himself from a tree on the Lungarno. After all the pain and despair she managed to react. She opened a fruit and vegetable stall in the San Lorenzo district, and there, in the 1960s, she met the painter Manfredi Lombardi. Thus two great loves were born - that for the artist and that for the guitar. Through Manfredi she entered the artistic world and began to sing, bewitching the critics of the time and her new intellectual friends. The concerts began - she sang in the Sicilian language, she sang in the Feste dell'Unità, with her scratchy voice in which the desperation of life lived could be perceived, but also the sweetness of the anthems of her land. Dario Fo chose her to represent Sicily in a review. It was an overwhelming success and her concerts were in demand not only in Europe but also in America and Australia. In these new worlds she was heard by millions of emigrants who acclaimed her, revered her, appreciating that almost archaic and primordial timbre of her voice.

Rosa Balistreri, Sanremo 1973

In the meantime Manfredi had left her for another woman, and again Rosa, after the great pain that nearly drove her to suicide, continued. Also important were her theatrical experiences. She had no formal education behind her, but her authenticity was the key to her success. She debuted in Florence, in 1968, with the Teatro stabile di Catania in La rosa di Zolfo and then in other plays including La ballata del sale, written especially for her by journalist Salvo Licata. She also acted and sang in La Lupa with Anna Proclemer and in La lunga notte di Medea, with Piera degli Espositi. In 1970 she returned to Sicily with her mother and grandson Luca. She went to live in Palermo surrounded by her friends, including Renato Guttuso and Giuseppe Ganduscio. She also participated in a San Remo Festival, but at the final selection she was excluded. It was not easy to understand the meaning of her ragged and heartbreaking voice, the result of her tormented life, her suffering and impatience, her great pride, strength and dignity. This is what she declared after her exclusion:

«I decided to shout out my protests, my accusations, the pain of my land, of the poor who inhabit it, of those who abandon it, of fellow workers, laborers, the unemployed, Sicilian women who live like beasts... that was my purpose».

Rosa was the voice of the poor, indeed miserable people, of the last and the last among the last, the landless laborers, the miners, the raped and abused women. Hers was the voice of a people claiming the right to a better life and decent work.

Particularly in the song Mafia e parrini (Mafia and Priests) she denounces the domination of religious orders over the poor people, she defines them as leeches - people who have nothing to do with an authentic sense of religiosity. Clear opposition to the Mafia is present in many texts with clear and courageous denunciations, "The Mafia dishonors this poor and honest land that only wants bread and work, freedom and justice." Rosa's song troubled consciences – hers was an uncomfortable voice for those who preferred to close their eyes and indifferently turn their backs on the misery and violence of that world that she almost shouted out.

After her successes she also returned to her Licata, but was not greeted with the warmth that the public usually reserved for her. She had remained for fellow citizens, simply "Iachinazzo's wife." She died in Palermo on September 20, 1990. She declared in an interview, "You can do politics and protest in a thousand ways. I sing, but I'm not a singer...let's say I'm an activist who creates protests with a guitar."

Her great commitment and talent today are widely recognized almost as if to fulfill a wish she expressed in the song Quannu moru:

«When I die, think of me now and then, because in this crucified land, I died without a voice»

Traduzione spagnola

Maria Carreras

La vida de Rosa Balistreri se parece a la trama de una novela: desde su nacimiento, su existencia fue una vertigionsa serie de eventos trágicos, lutos que se alternaron a momentos de felicidad y de éxito. Parece imposible que todos estos acontecimientos los haya vivido una sola persona. Sin duda Rosa fue una de las personalidades femeninas independientes más significativas de la historia de la música popular, de la que fue intérprete y autora, dejándonos 120 canciones. Algunas de ellas nos cuentan la felicidad de las fiestas navideñas o el dolor de los días de Semana santa y de la Crucificación; otras son textos políticos, textos en contra de la mafia, la mayoría de estos últimos escritos por Ignazio Buttita y Ciccio Busacca e interpretados por ella.

Es suyo el gran mérito de haber recuperado el patrimonio musical de la canción popular siciliana, rastreando en un archivo que no contiene documentos sino voces del pueblo que cuentan usos, costumbres, eventos. Cantautora y cantastorie, ha sido definida “la Amalia Rodríguez italiana” y “la Cantante del Sur”. Nació en Licata el 21 de marzo de 1917 hija de Emanuele y Vincenza Gibaldi y pasó su infancia en el barrio Marina: una maraña de callejuelas y callejones donde vivían unas pocas familias bienestantes mientras la mayoría de la población llevaba una vida de miseria y de renuncias. Su canto, desde chica, se metía por todas partes entre aquellas piedras antiguas. Eran los años del régimen fascista y de la emigración masiva.

A los dieciséis años la obligaron a casarse con Gioacchino Torregrossa (apodado Iachinazzu), un hombre violento, un borracho que vendería la ropita de su hija para pagar deudas de juego. Rosa, cegada por la rabia y la exasperación, agredió a su esposo hiriéndolo, y por aquella reacción suya, clasificada como delito por intento de asesinato, pasó seis meses en la cárcel. Sin duda no se habían casado por amor. Su corazón había latido primero por su primo Angelo y más tarde por Frank, un soldado estadounidense, pero ella era demasiado pobre, no tenía dote para poderse casar con quien deseaba. Eran aspiraciones irrealizables en aquella época y en aquel contexto. Al salir de la cárcel, Rosa realizó distintos trabajos: recogía caracoles, alcaparras, espigas, varios tipos de verdura y se dedicaba a salar sardinas por unas pocas monedas. Tras encontrar trabajo en una vidriería, el propietario un día la violó. Exasperada por aquel destino cruel, decidió irse a Palermo donde dejó a su hija en un internado y se “puso a servir” en casa de una familia bienestante, cuyo vástago sin dinero y lleno de deudas de juego la convenció a mantener relaciones sexuales. Rosa se quedó embarazada, él le prometió que no la abandonaría y la convenció a robarle algunas joyas a su madre para empezar una vida juntos, pero no era más que una vil artimaña para pagar otras deudas de juego.

Rosa, perseguida por la mala suerte, encontró trabajo como sacristana de la Iglesia de Santa María de los Agonizantes pero, tras un periodo de relativa tranquilidad, un nuevo cura recién llegado la acosó sexualmente. De modo que, harta de todo, robó el dinero de la caja de las limosnas y compró dos billetes de ida para Florencia: uno para ella y otro para su hermano paralítico. Más tarde la siguieron otros familiares, decididos como ella a cortar toda relación con la ingrata tierra siciliana. En la Toscana la violencia del destino la golpea duramente: su hermana Maria es asesinada por su esposo y el padre de Rosa, desesperado, se ahorca de un árbol en la orilla del Arno. Tras el dolor y la desesperación, logró reaccionar: abrió una paradita de fruta y verdura en el barrio de San Lorenzo donde, en los años sesenta, conoció al pintor Manfredi Lombardi. Así nacieron dos grandes amores: uno por el artista y otro por la guitarra. Gracias a Manfredi se introdujo en el mundo artístico y empezó a cantar fascinando a los críticos de su época y a sus nuevos amigos intelectuales. Empezaron los conciertos: cantaba en siciliano, cantaba en las Feste dell’Unità (los festivales organizados en verano por el partido comunista italiano), con su voz rasgada en la que se percibía la desesperación de la vida vivida, junto a la dulzura de las tonadas de su tierra. Dario Fo la escogió para representar a Sicilia en un espectáculo suyo. Fue un éxito brutal y solicitaban sus conciertos no solo en toda Europa sino también en estados Unidos y en Australia. En estos nuevos mundos conoció a millones de emigrados que la aclamaban, la veneraban apreciando aquel timbre de voz casi arcaico y primordial.

Rosa Balistreri, Sanremo 1973

Mientras tanto Manfredi la había dejado por otra mujer y de nuevo, tras un terrible dolor que la había llevado a intentar suicidarse, Rosa reaccionó. También fueron importantes sus experiencias teatrales; no había realizado ningún tipo de estudio pero la autenticidad era la clave de su éxito. Debutó en Florencia, en 1968, con el Teatro Stabile di Catania en La rosa di Zolfo del autor catanés Antonio Aniante, luego participó en otros espectáculos como La ballata del sale, escrito expresamente para ella por el periodista Salvo Licata. Actuó y cantó en La Lupa de Verga con Anna Proclemer y en La lunga notte di Medea con Piera degli Espositi. En 1970 volvió a Sicilia con su madre y su nieto Luca. Se fue a vivir a Palermo rodeada de sus amistades, entre quienes se encontraban Renato Guttuso y Giuseppe Ganduscio. Participó a un Festival de San Remo pero la excluyeron en la última fase de selección. No era fácil comprender el sentido de su voz lacerada y lacerante, fruto de una vida atormentada, de su sufrimiento y de su repugnancia, de su enorme orgullo, de su fuerza y de su dignidad. Tras la exclusión de San Remo dijo:

«He decidido gritar mis protestas, mis acusaciones, el dolor de mi tierra, de los pobres que viven en ella, de quienes la abandonan, de los compañeros obreros, de los campesinos, de los parados, de las mujeres sicilianas que viven como animales… este era mi objetivo».

Rosa fue la voz de la gente pobre, es más miserable, de las últimas y de los últimos entre los últimos, de los campesinos sin tierra, de los mineros, de las mujeres violadas y víctimas de violencia. La suya era la voz de un pueblo que reclamaba el derecho a una vida mejor y a un trabajo digno.

En particular, en la canción Mafia e parrini (Mafia y curas) denuncia el abuso de las órdenes religiosas respecto a la pobre gente, las define unas sanguijuelas; personas que no tienen nada que ver con el sentido auténtico de su religiosidad. En muchos textos se aprecia una oposición clara al fenómeno mafioso con denuncias precisas y valientes: «La mafia deshonra esta tierra pobre y honesta que solo quiere pan y trabajo, libertad y justicia». El canto de Rosa inquietaba las conciencias: una voz incómoda para quienes preferían cerrar los ojos y dar la espalda indiferentes a la miseria y a la violencia de aquel mundo que ella denunciaba casi gritando.

Tras el éxito vuelve a su Licata pero no la acogen con el calor que el público solía reservarle. Para sus conciudadanos y conciudadanas seguía siendo simplemente ‘la mujer de Iachinazzo’. Murió en Palermo el 20 de septiembre de 1990. En una entrevista había declarado: «Se puede hacer política y protestar de mil maneras. Yo canto. Sin embargo no soy una cantante… digamos que soy una activista que hace mítines con la guitarra.»

Su gran compromiso y su talento hoy resultan ampliamente reconocidos, haciendo real su deseo expresado en la canción (Cuando me muera) Quannu moru:

«Cuando me muera de vez en cuando pensad en mí, porque me habré muerto sin voz para esta tierra crucificada»..