Elena Fabbrizi
“L’ingresso della Sora Lella nel mondo dello spettacolo avviene in età matura. Ha quarantatré anni quando esordisce al cinema: Monicelli la scrittura per la parte di una delle madri adottive del personaggio dell’orfano ne I soliti ignoti. È il 1958. […] È difficile, parlandone, discernere il confine fra la realtà della donna e la tipizzazione imposta al suo personaggio dal mondo delle arti, che l’ha utilizzato proprio per la spontanea capacità di rappresentazione della sua realtà”.
Sebbene il suo nome ancora non troneggi sul marmo bianco di un’intitolazione stradale, il ricordo della Sora Lella, all’anagrafe Elena Fabbrizi, rimane inciso nella memoria e nel cuore di un nutrito quanto eterogeneo gruppo di italiani: la generazione che ha eletto a film cult la pellicola del 1981 Bianco, Rosso e Verdone; i clienti della sua trattoria sull’Isola Tiberina, affezionati ai suoi fritti e alla sua cordialità; gli ascoltatori con i quali si è commossa, dispensando consigli di vita e cucina, su Radio Lazio; il personale dell’ospedale Fatebenefratelli, dal quale e entrava e usciva, insieme alla sua allegria.
A teatro, in radio, al cinema o in tv, alla Sora Lella non è mai stato chiesto altro che interpretare se stessa e ciò le ha permesso di creare un rapporto personale, intimo e profondo, con il pubblico, che ha fatto di lei un po’ la sorella, la zia, la suocera, la madre, ma soprattutto la nonna di tutti.
Insomma, un bene comune da salvaguardare.
Tratto da: Roma. Percorsi di genere femminile (vol. 1), Iacobelli, 2011.
di Simona Costa
Ave Ninchi
Ave Maria Ninchi venne alla luce ad Ancona il 14 dicembre del 1915, dopo un difficile parto che le valse il nome, per un fioretto della madre. Nata in una famiglia triestina benestante portata alla rovina da investimenti sbagliati, Ave crebbe in un ambiente artistico e debuttò in teatro a soli cinque anni.
La sua passione per la recitazione la portò a vincere la borsa di studio per l’Accademia di Arte Drammatica di Roma e nel 1935 si trasferì nella capitale.
Al termine del corso le vennero offerti un lavoro nella compagnia teatrale Betrone-Capodaglio-Carini e una tournée in Sud-America: le ristrettezze economiche fecero sì che Ave si rivolgesse al suo tappezziere, per avere le stoffe necessarie a cucire gli abiti da sera da portare con sé.
Durante il viaggio conobbe anche l'amore: dalla sua relazione con Antonio nacque la figlia Marina.
Legatissima ad Aldo Fabrizi, tanto da far pensare ad un’unione sentimentale oltre che commediografa, Ave fu un'icona del cinema italiano degli anni Cinquanta, riportando in scena le problematiche di vita quotidiana dell’Italia intera. Grazie alla sua versatilità, che le permise di mettere in risalto le doti di caratterista e alle capacità recitative, interpretò sia parti brillanti, sia ruoli del teatro classico e drammatico, fu conduttrice di varietà e ospite in trasmissioni sportive e culinarie, protagonista di telefilm gialli ma anche di noti spot pubblicitari.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Trieste, dove morì all’età di ottantadue anni.
di Giuseppina Mannillo
Jia Ruskaja
Jia Ruskaja, nome d'arte di Eugenija Borisenko (Kerč, Crimea, 1902 - Roma, 1970) si trasferì a Roma nel 1921, dove debuttò nella Casa d’arte Bragaglia con un recital di “azioni mimiche e danze”, imponendosi subito all’attenzione del pubblico italiano come bellezza esotico-erotica.
Dal 1932 al 1934 fu condirettrice alla Scuola di Ballo del Teatro alla Scala e nel 1940 fondò a Roma la Regia Scuola di Danza, che nel 1948 si trasformò in Accademia Nazionale di Danza da lei diretta fino alla morte. “Danzatrice della Crimea, che d’impeto asiatico anima le grazie proprie della cultura del sud”, come la definì Bragaglia nel 1926, elaborò un suo metodo cui attribuì il nome di orchestica.
«È necessario –scrisse Ruskaja– ridare al pubblico il senso della danza, insegnare nuovamente al popolo ad amarla, a comprenderla, a sentirla. […] La danza moderna si presta ottimamente a questa volgarizzazione, avendo come base la semplificazione dei passi, la sincerità e la ricerca espressiva dei sentimenti e delle passioni con l’abbandono della freddezza geometrica e della complicazione, proprie alla scuola classica».
La sua vita fu segnata da una lunga storia di battaglie per introdurre nella scuola pubblica la danza, intesa come educativa e formativa nello sviluppo del bambino. Un progetto che, forse, solo ora comincia a essere compreso, anche se per il momento resta ancora il sogno di Jia Ruskaja, affascinante menade dell’Est.
di Donatella Gavrilovich