Un’amica insegnante mi racconta uno stralcio di conversazione colto rapidamente al supermercato: un anziano signore ascolta i discorsi di due professoresse arrabbiate per la proposta delle 24 ore e commenta ridacchiando: <Non concluderanno niente come al solito: gliele suonano perché abbassano sempre la testa e perché sono tutte “femmine”>.
Nelle sue parole colpisce il micidiale miscuglio di luoghi comuni misogini e immaginario collettivo avvelenato da accanimento mediatico nei confronti degli insegnanti=re dei fannulloni, co-responsabili della deriva di un paese in coma quasi irreversibile.
Eppure la tirata ironica dell’anziano signore apre uno spazio nuovo di riflessione: la scuola è un luogo femminile e per questo fragile, “muto d’accento e di pensier”. Così dunque, da qualcuno, viene percepita la scuola!
Tentiamo una rapida analisi, in prospettiva di genere, dello stato della professione-docente.
Primo dato: le insegnanti sono diventate sempre più numerose fino a toccare l’attuale l’80% del corpo docente.
Secondo dato: la scuola è diventata il loro spazio professionale di elezione, sempre più numerose vi ricoprono incarichi dirigenziali e di coordinamento, nelle scuole di ogni ordine e grado, dalle elementari agli Istituti tecnici.
Terzo dato: gli uomini sono sempre meno numerosi, per molti di loro l’insegnamento è secondo lavoro, resta invece primo ed unico lavoro (a parte quello casalingo) per le donne. La scuola dunque è delle donne, è stata lasciata alle donne .
Perché questo sia accaduto è facile capire: la scuola è diventata innanzitutto poco interessante sul piano economico e gli uomini sono scappati, hanno cercato altrove spazi professionali appetibili e degni. Fermo restando che svalutazione economica e sociale sono compagne di viaggio, la scuola è diventata lo spazio di lavoro di malpagate insegnanti, luogo di basso riconoscimento sociale, di appiattimento professionale. Lasciando da parte ogni considerazione sulle responsabilità sindacali e di chi lavora a scuola, partiamo dall’accaduto e cerchiamo di vedere le cose da altro punto di vista. Nel disastro che la scuola vive perché non cogliere la grande opportunità che viene ora data alle donne: prendere in mano le sorti della battaglia per la scuola, cioè per lo sviluppo, per la democrazia, per il diritto, per le pari opportunità? Solo chi sta dentro la scuola può ripensarla e riprogettarla.
Le donne insegnanti possono suggerire a chi governa un nuovo modello di scuola per un paese che ha bisogno di un nuovo Rinascimento. Tutto ciò sarà possibile ad una condizione: che le donne di scuola prendano la parola, escano dall’invisibilità, dal silenzio. Ripensino la scuola da dentro, guidate dalla conoscenza e dall’esperienza, non lascino la parola agli economisti e ai tagliatori di spesa. Una scuola nuova, femminile, che alza la testa ed ha voce e idee.