A 30 km dalla capitale, distesa sul versante esterno di un antico cratere, Genzano, assorta, guarda il lago. Il nastro morbido della via Diana scende lungo il pendio, tra filari di viti, caseggiati e boschetti, e raggiunge silenzioso lo specchio d’acqua. La dea, meditabonda, osserva l’incresparsi delle onde e interroga le creature lacustri sul perché, tra tappeti di fiori e profumi di forni, la memoria cittadina abbia cancellato le sue donne.
Si chiede per quale ragione manchi Flora, che pure avrebbe titolo a calpestare le migliaia di petali settembrini che inebriano la via Livia… pardon, la via Italo Belardi, perché anche Livia è stata oscurata. Si domanda come mai Nilde Jotti, Rosa Luxembourg, Anna Kulischioff, Dolores Ibarruri, Hannah Arendt, Teresa Noce, Alexandra Kollontai, Nadia Gallico Spano, non abbiano trovato posto accanto a Palmiro Togliatti, Lenin, Giovanni Amendola, Pietro Nenni, Umberto Terracini, Enrico Berlinguer, Luigi Longo, Giuseppe Di Vittorio. Uomini troppo soli per conservare la loro umanità. Diana, su 311 strade, può contare su 118 colleghi e appena due supporti femminili: Annunziata e Madonnina. Per strapparla alla melanconia, lo stradario le assegna d’ufficio una terza compagna, Maria della Pace, ma è un dono generoso e non dovuto, che appartiene alla vicina Lanuvio. Neppure la piccola Nemi, dall’altra sponda, può offrirle conforto: su 108 aree di circolazione, soltanto santa Maria e Giulia le danno manforte. Diana, sconsolata, si rifugia allora nel suo grande tempio della via Nemorense, centro religioso della Lega latina, sanatorio miracoloso in età romana, cava di marmi e decorazioni in epoca cristiana e oggi in gran parte avvinto dalla selva, che nasconde succulenti fragoline. è lì, nel suo bosco sacro, che mossa a pietà dal dolore di Egeria, la trasformò in fonte: da allora la ninfa disseta il paese, ma il suo nome non ha avuto l’onore di una strada.
di Maria Pia Ercolini
I fiori di Genzano e le fragole di Nemi
“Fiori nella Polvere” (“Blossoms in the Dust”) era il titolo del noto film inglese diretto da Marvyn LeRoy, che con tale definizione chiamava i figli illegittimi, dalla difficile vita, vittime di ingiusti pregiudizi. Nella condizione di figlie illegittime, le donne spesso subiscono una violenza ancora più forte. Anche se poi in varie circostanze hanno potuto mostrare le loro capacità e i loro sentimenti positivi, questi non sono considerati perché non attirano, al contrario delle perversioni, dell’immoralità che solletica pruriginose fantasie soprattutto maschili. Lucrezia Borgia (1480-1519) dal padre Papa Alessandro VI intorno al 1498, fu probabilmente investita del possesso feudale del castello e del territorio di Genzano, che poi il Papa stesso passò al nipotino Rodrigo nel 1501. Ella fu “un fiore nella polvere”: pur travolta da avverse vicende, seppe amare i figli profondamente e, in un periodo più sereno della vita, come duchessa di Ferrara, seppe anche dimostrare le sue capacità organizzative e la sua solidarietà umana. In letteratura molti, in primis Victor Hugo nella sua opera poi musicata da Donizetti, ebbero successo nel definire questa persona come perfida ed immorale, assetata di sesso, sino a renderla avvelenatrice, cosa che molte ricerche mostrano invece essere falsa.
Figlia naturale illegittima di Papa Alessandro VI, fu coinvolta da intrighi e poteri maschili dal padre e dai fratelli per i loro interessi e promessa in sposa la prima volta già all’età di undici anni. Seppe amare e salvare dall’omicidio architettato dal fratello il primo marito, Giovanni Sforza, mettendolo al corrente del progetto e permettendogli di fuggire. Moglie in terze nozze di Alfonso D’Este, come duchessa si fece amare e stimare dalla popolazione e fu abile politica e diplomatica. Attiva mecenate, a Ferrara fondò il Monte di Pietà. Amò anche questo terzo marito con passione e lo aiutò a fuggire ed a proteggersi a Genzano presso i Colonna, per salvarlo dalla mira omicida del fratello Cesare Borgia. Genzano, la città in cui i fiori hanno un valore così particolare, può avere l’occasione di rivalutare questa donna legata alla sua storia, toglierla dalla polvere nella quale è stata gettata dedicandole un giardino o una strada, in un riconoscimento simbolico per tante donne che hanno saputo dare senza essere riconosciute, ma anzi sono state colpite da ingiuste ignominie per accontentare desideri perversi.
La Principessa Livia Cesarini Sforza, fuori da Genzano, è sicuramente meno conosciuta di Lucrezia Borgia ma la sua vita è ugualmente interessante e in modo simile è un'esistenza contrassegnata dal desiderio di ribellarsi ad imposizioni esterne. La vicenda di Livia e della strada a lei dedicata è singolare: ella nasce nel 1646 ed è educata nel monastero romano della Madonna dei Sette dolori, nel quale rientra nel 1664 per prepararsi alla cerimonia dell'Oblazione. Quando Livia viene a sapere che l'eredità dei Cesarini, arbitrariamente, per volere di un suo zio passerà nelle mani di sua sorella minore Clelia a svantaggio delle sorelle, rimane talmente colpita da questa ingiustizia che decide di manifestare il suo desiderio di sposarsi. Livia è “abbastanza brutta”, ci dicono le cronache, ma le viene destinato uno sposo della famiglia Sforza che risulta essere attraente: davanti alle immense ricchezze dei Cesarini si può anche passare oltre alle fattezze fisiche. Entrano in gara per questo matrimonio diversi personaggi importanti, ma quando la ribelle “cesarina” vede un ritratto di Francesco Sforza decide lei: quello deve essere suo marito. Si sposeranno il 27 febbraio 1673. Ancora più significativo è il fatto che Livia abbia perso la sua via che è ora via Italo Belardi, un antifascista attivo a Genzano, internato nel giugno del 1940 e morto nel 1943. Genzano è il paese dell'Infiorata ma anche delle lotte contadine, della ribellione diffusa e costante al Nazifascismo, dei sindaci comunisti che dal 1944 al 1997 hanno retto la cittadina. Le strade ricordano giustamente l'antifascismo, le vittime delle Fosse Ardeatine, i Padri della Repubblica. Il nome di Livia era il nome di una principessa e, nonostante il suo carisma, quindi, un nome perdente che però non ha lasciato il posto a nessuna altra donna. Nemmeno a quelle che hanno partecipato alla Resistenza. E la signora Livia in qualche modo si è ribellata a questa sorte di dimenticata perché a Genzano la maggior parte della popolazione chiama la via ancora col nome di via Livia. Le vie di Nemi pur facendo riferimento ad una storia diversa, mantengono la caratteristica della dimenticanza delle donne. Ci sono vie che richiamano il Risorgimento, altre recano toponimi locali, alcune strade sottolineano il legame con la storia arcaica, altre ancora il mistero del lago di Nemi e delle navi romane in esso affondate. Navi fatte costruire da Caligola in onore di due dee: Iside e Diana. Solo due vie sono dedicate a donne: la Vergine e Giulia, un nome che ritorna costantemente tra le donne delle famiglie imperiali romane. Speriamo che in futuro giunte comunali attente ad una visione più ampia della storia usino criteri diversi e di parità per l'intitolazione delle strade. Ma non guasterebbe la capacità di cogliere l'importanza di una storia quotidiana, che coinvolge tutte e tutti, oltre l'esigenza della celebrazione talvolta retorica. A quel punto a Nemi troverebbe posto, accanto a “via delle fragole”, anche una strada dedicata alle fragolare, a tutte quelle donne cioè che con un lavoro costante, fatto di fatica e precisione, di tempi lunghi e sforzi continui, hanno contribuito a rendere Nemi il delizioso paese rinomato per le sue fragole.
di Mary Nocentini e Marisa Russo