Raccogliere gelsomini era una pratica difficile e faticosa: si svolgeva di notte poiché era il momento di massima fioritura del fiore.
Sono apparse in mezzo ai viburni le farfalle crepuscolari…
… È l’alba: si chiudono i petali un poco gualciti;
si cova, dentro l’urna molle e segreta, non so che felicità nuova.”
IL GELSOMINO NOTTURNO Giovanni Pascoli
“È mezzanotte, sento che la mamma si muove, allora mi sveglio anch’io e mi preparo. Mi chiamo Andrea, l’aria è calda e dolciastra di primavera: è tempo di gelsomini!
In questa stagione i miei genitori sono contenti, quindi sono contento anch’io: è il 1955, lavoro non ce n’è, quando si può fare qualcosa, aiuto anch’io in casa. Abitiamo a Grazia, sopra Milazzo, questa zona è ricca di gelsomini: noi usciamo di casa, andiamo verso Santa Lucia per 300 mt e siamo arrivati al campo del padrone. C’è un altro campo andando anche nella direzione opposta, lungo 1 km ma noi ce ne stiamo sempre più vicini.
Io e la mamma siamo fortunati perché abbiamo degli stivali e il solito grembiule doppio che invece hanno tutte: uno lungo sotto e uno che si piegava sopra, più sottile e leggero. Lì raccogliamo tutti i fiori e quando arriva ad essere pieno lo scarico nella cesta. La cesta di solito sta all’inizio del filare e in una notte capace che arrivavamo a fare anche 400 mt di arbusti, per un totale anche di 4 Kg.
Quando piove la mamma e le sue amiche sono contente: dicono che la cesta a fine turno pesa di più ma io mi stufo a raccogliere con la pioggia e mi viene anche freddo! Poi camminare nel fango è faticoso, anche se noi abbiamo i piedi riparati.
Il lavoro si faceva concentrati, rapidi e in silenzio, solo verso mattina quando eravamo tutti molto stanchi ci si rilassava un po’, si cantava ma sempre stando attenti a come ci si esprimeva: non c’era grande libertà di espressione. Poi c’era un po’ di rivalità paesana: ci si guardava e ci si studiava, sempre cortesi ma guardinghi.
La cosa che mi piaceva di più erano i treni e i colori. Le ceste andavano a riempire i vagoni di un treno che partiva per la Francia abbastanza presto: io e i miei amici andavamo a vederlo partire e fantasticavamo su questo lungo viaggio. Quando invece c’era la luna piena o abbastanza piena si vedevano benissimo questi filari di gelsomini tutti bianchi, carichi di fiori che verso l’alba diventavano tutti verdi.”
Maria Aragona è nata a Milazzo, Messina nel 1927 ed era mia nonna. Andrea Kotliarewsky è suo figlio, (nonché mio padre). Figlia minore di 4 fratelli, nella Sicilia del dopo guerra, svolgeva lavoro nelle campagne come molte donne di origini umili in quel periodo. Quando c’era lavoro, c’era speranza: erano anni di grande bisogno.
Raccogliere gelsomini era una pratica difficile e faticosa: si svolgeva di notte poiché era il momento di massima fioritura del fiore, con i piedi scalzi nel terreno umido, chine, con spesso i bambini addosso se non si sapeva a chi lasciarli, per una piccola paga, corrisposta a peso rispetto al quantitativo portato a fine nottate e comunque sempre la metà rispetto ai compensi maschili.
Che emozione nel leggere una via dedicata a questo umile lavoro! Una volta quasi ci si vergognava a dirlo anche se le mani tradivano sempre le tue origini, oggi vado fiera delle mie origini e radici che affondano, come in questo caso, veramente sul terreno profumato.
Faccio parte di una generazione che ha studiato, sono nata al nord e ho avuto il privilegio di iniziare a lavorare dopo i 20 anni: i racconti di mio padre mi sembrano fantascienza, il rispetto per preservare la fanciullezza e l’innocenza dei bambini lo do per scontato, invece mi confronto con un padre che ha iniziato a lavorare a 6 anni, che ha conosciuto il sacrificio e la mancanza ma per questo non mi ha mai fatto mancare nulla economicamente.
La metà degli anni ’50 sono anni di lotte sindacali: le donne si organizzano per chiedere condizioni di lavoro e retribuzioni più oneste. Vinceranno la loro battaglia nel tempo, fatto di piccole conquiste. Il siciliano ha un cuore d’oro ma è orgoglioso e diffidente, si difende con il sarcasmo e l’umorismo lo aiuta ad affrontare la vita anche con leggerezza.
Molte donne di Milazzo si sono sapute far valere e hanno lottato per un miglioramento che ha prodotto i suoi frutti collettivamente e non poteva esserci riconoscimento migliore che dedicare loro una via.
Ora è necessario far conoscere questa storia alle nuove generazioni di Milazzo, che crescono in una piana dove di gelsomini ne sono rimasti ben pochi. Io comunque ho tre bei vasi nel mio balcone di Bologna, che ora ha le gemme.