Breve biografia della pediatra Amalia Moretti Foggia
Studiosa, caparbia e intelligente, Amalia Moretti Foggia fin da piccola rivela un carattere riflessivo e tranquillo. Nata nel 1872 in una famiglia che da due secoli coltivava l’arte degli speziali a Mantova, passava ore a osservare il padre che trafficava con gli ingredienti nel retrobottega della farmacia. Dopo gli studi liceali, preferisce però iscriversi a Scienze a Padova.
Si avvicina agli studi di Medicina per amore di un giovane assistente che segue a Bologna, dove si laurea con lode nel 1898, anche se il rapporto fra i due si interrompe per il trasferimento di lui. La giovane dottoressa si dimostra subito una ragazza decisa: diventa assistente del professor Augusto Murri, luminare della medicina e celebrità internazionale, il cui appoggio le sarà indispensabile per vincere le diffidenze mascoline verso il medico donna. In quegli anni le professioniste della medicina in Italia erano solamente tre: grande è la soddisfazione dei familiari della neo dottoressa per la sua laurea annunciata sulla Gazzetta di Mantova. Addirittura la regina Margherita, accesa femminista, venuta a conoscenza della sua storia, vuole conoscerla personalmente, invitandola a Roma dove è sua ospite per alcuni giorni.
Dopo la tesi, Amalia parte per Firenze per diventare assistente all’ospedale, con il progetto di specializzarsi in Pediatria, un’idea assolutamente d‘avanguardia per i tempi. Ma a Firenze era anche complicato mantenersi: l’irrequieta dottoressa decide allora di partire per Milano senza indugio, dove sbarca nel 1899. Lì era ancora viva l’eco della grande tragedia che la città aveva vissuto, le repressioni sanguinose e la rivolta dell’anno precedente, il malumore operaio ancora palpabile, la piazza in tumulto, i militari che sparavano a vista, l’ingiustizia sociale, i problemi di emancipazione della donna.
La signorina Moretti Foggia aveva fatto però una chiara scelta di vita: va a stare in una camera ammobiliata che costa 12 lire al mese e mangia alla Cooperativa. Si presenta alle femministe dell’epoca, chiede di essere aiutata, trova posto alla Società operaia femminile come medico fiscale. Lo stipendio era poco e il lavoro tanto, ma già si delinea la sua forte personalità: la svolta arriva quando Amalia viene assunta alla Poliambulanza di Porta Venezia, l’ambulatorio all’interno della neoclassica costruzione del 1828. A questo punto ha la sicurezza del reddito fisso e una piccola clientela che si è creata nella cerchia privata di famiglie che avevano avuto fiducia in lei facendole curare i propri bambini: era l’unica a Milano ad avere il diploma di pediatra.
Finalmente mette su casa e fa venire a vivere con sé il fratello che voleva studiare a Brera. Amalia conosce il dottor Domenico Della Rovere, anche lui medico e la coppia si sposa il 10 settembre del 1902. Arriva la Grande guerra e la vita diventa difficile: come medico si butta nel lavoro che vive con partecipazione ed entusiasmo. Aiuta i malati più difficili, cura i bambini, diventando la beniamina delle mamme, soprattutto quelle più povere, e cerca di alleviare le pene delle famiglie.
Fra i personaggi eminenti che conosce in quel periodo c’è Eugenio Balzan direttore editoriale e amministratore del Corriere della Sera, fondatore della Domenica del Corriere. Ed ecco che nel 1926 dalla direzione avanzano una proposta: perché non scrive di medicina dando consigli spiccioli al popolo? Nella sua rubrica “Il parere del medico” firmata con lo pseudonimo di Dott. Amal dispensa pillole di saggezza medica con una rubrica salutistica che dà un contributo all’educazione sanitaria, rivolta alle massaie e alle madri di famiglia, orientata verso la sobrietà e la semplicità, la prevenzione e l’educazione alimentare. La sua popolarità è in continuo crescendo e nasce un’altra idea: dal momento che è perfetta padrona di casa e appassionata di cucina, Balzan le propone una collaborazione di consigli culinari intitolata “Tra i fornelli”. Nel 1927 Amalia accetta la nuova rubrica settimanale firmandola Petronilla, per la gioia delle signore borghesi e delle massaie proletarie. Nel 1935 ecco la raccolta delle ricette pubblicate in un volume. Esce “Ricette di Petronilla“, presso Olivini di Milano, cui seguirà la triade “Altre ricette di Petronilla” e “Ancora ricette di Petronilla” nel 1941: libri che si vendono molto e fruttano ovviamente qualche soldino anche all’autrice. Come lei vivesse gli anni del fascismo non è possibile sapere. Certamente le sue antiche amicizie con femministe e socialisti, le lezioni tenute all’Università popolare, la frequentazione dell’ambiente progressista meneghino, collegano Amalia all’associazionismo laico che gira intorno alla Società umanitaria: difficile supporre una conversione al nuovo regime per convenzione e per convenienza.
Arriva la guerra e Petronilla si dedica solo ai figli di quelli che una volta ha curato da bambini. La guerra diventa sempre più dura e più difficile. Esce nel 1941 “Ricette di Petronilla per i tempi eccezionali”, quando il peggio doveva ancora venire: erano le donne a lottare ogni giorno per la scarsità delle razioni, poco c’è e nulla si butta. La sua popolarità è straordinaria e riceve montagne di lettere, come scrive Miriam Mafai nel suo libro “Pane Nero”, dedicato alla vita quotidiana delle donne nella seconda guerra mondiale: “Petronilla suggerisce nuove tecniche e accorgimenti che consentano di mettere in tavola gli stessi piatti di prima, ma senza gli stessi ingredienti ormai introvabili: è un vero e proprio inganno al palato che permette con qualche virtuosismo di servire una crème caramel senza latte né uova, la maionese senza olio, la cioccolata in tazza senza cioccolata, la polenta senza polenta, la torta margherita senza farine e così via”.
Gravemente malata, la dottoressa morirà l’11 luglio 1947: il Corriere e la Domenica del Corriere le dedicano un’intera pagina di necrologio, attraverso il commosso rimpianto dei compagni di lavoro. Il 24 maggio 1997 l’Accademia italiana della cucina ha tenuto un convegno nazionale dedicato a Petronilla a 50 anni dalla sua scomparsa, ma l’odonomastica la ignora.
Ora, tenuto conto del suo contributo scientifico, sociale e culturale alla collettività, non sarebbe il caso di dedicarle una strada, un parco, un’aula pubblica per tenerne viva la memoria nelle città dove ha vissuto e operato (Mantova, Padova, Bologna, Firenze, Milano)?