Di donne come lei nel Salento, oggi, non ce ne sono molte. È più facile scegliere la strada della lentezza e dell’apatia, la strada che quasi tutti percorrono, per comodità e perché “se ti piace è così, se no te ne vai”.
Lei, Renata, era invece una donna caparbia e determinata, che si distingueva per l’impegno politico e sociale: insegnante alle elementari e con due figlie piccole, era segretario cittadino del Partito Repubblicano Italiano (P.R.I) di Nardò (LE). È il 1982 e Renata Fonte, a 31 anni, si candida alle elezioni amministrative e diventa la prima consigliere e assessore del suo partito.
Renata ricopre prima il ruolo di assessore alle Finanze, poi si sposta all’assessorato della Pubblica Istruzione, Cultura, Sport e Spettacolo e al direttivo provinciale del P.R.I, diventando responsabile per la provincia del settore “Cultura”. Ma è dirigendo il Comitato per la Tutela di Porto Selvaggio che Renata Fonte fa sentire con più forza la sua voce, esponendosi sui mass media, a difesa della sua terra. Si schiera dichiaratamente contro le lottizzazioni cementizie, “infastidendo” alcuni politici locali che, evidentemente, avrebbero tratto vantaggio dalla devastazione di Porto Selvaggio. L’iniziativa condotta a capo del Comitato, crea da subito un gran polverone: il risultato è l’emanazione da parte della Regione Puglia di una legge di tutela del parco (ancora oggi vigente).
Il 31 marzo 1984, di ritorno da un consiglio comunale, due sicari uccidono con tre colpi di pistola Renata Fonte, sulla soglia di casa: aveva da poco compiuto trentatré anni e il suo è il primo omicidio di mafia nel Salento con vittima un politico donna. Le indagini partono subito e viene individuato un primo sospettato, un pescivendolo della zona. Dalla sua confessione seguita all’interrogatorio, il pescivendolo viene riconosciuto quale tramite tra i killer e i mandanti: emerge anche la possibilità che movente dell’omicidio fosse la ferrea opposizione della Fonte alla speculazione edilizia di Porto Selvaggio. Dai tre livelli di giudizio sono stati individuati e condannati gli esecutori materiali, gli intermediari e il mandante di primo livello, colpevoli di omicidio pluriaggravato per motivi futili e abietti. Il mandante di primo livello è risultato essere un collega di partito di Renata e primo dei non eletti alle elezioni amministrative, noto come “procuratore di pensioni per finti invalidi”: avrebbe dato ordine di uccidere Renata per risentimento nei suoi confronti. La sentenza di primo grado della Corte d’Assise di Lecce dichiara la presenza di ulteriori personaggi, ad oggi non identificati, che avrebbero avuto obiettivi non raggiungibili con l’elezione di Renata Fonte. I responsabili vengono condannati a scontare vari anni di carcere. La magistratura chiude il caso. Dalla triste data della sua morte, Renata non viene ricordata in molte occasioni pubbliche anche se, come afferma Claudia Raho, amica intima di Renata, nel suo recente intervento in occasione della presentazione di un libro sul caso Fonte, «parlare di Renata e della sua storia nel corso di eventi formali rischia di diventare elemento di strumentalizzazione politica e di pulizia delle coscienze. Molti sapevano e non hanno parlato. E ancora oggi, chi sa, non parla».
Nel 2009, in occasione del 25º anniversario della morte, è stata inaugurata al Parco di Porto Selvaggio una stele in memoria dell’impegno civile e politico di Renata. Ogni anno, inoltre, sotto insistenza e cura delle figlie di Renata Fonte, viene assegnato un premio, alla madre dedicato, a coloro che nel corso dell’anno si sono distinti per impegno istituzionale e opposizione ai comportamenti mafiosi.
1984 – 2013: Dal silenzio al graphic novel Subito dopo l’omicidio, l’interesse delle istituzioni per il caso Fonte, di fatto mai chiuso, è via via scemato. Perché il suo nome continuava ad essere scomodo e riapriva gli armadi che il mondo politico neretino aveva prontamente chiuso dopo il drammatico epilogo del marzo 1984. Solo negli ultimi anni, grazie al lavoro della famiglia e delle amicizie più vicine a Renata, la vicenda è tornata alla luce. Si celebra Renata (in quanto vittima di mafia) il 21 marzo, se ne parla nelle scuole e, con la collaborazione di Libera Puglia, si porta in giro la sua storia. Le commemorazioni di questo ventinovesimo anno dalla morte di Renata, poi, hanno un sapore particolare perché arricchite del contributo di Ilaria Ferramosca e Gian Marco De Francisco, rispettivamente sceneggiatrice e fumettista del graphic novel “Nostra madre Renata Fonte”. Questa nuova veste grafica data alla storia della sfortunata politica di Nardò, rappresenta una svolta nel percorso di ricordo delle vicende di quegli anni: nelle vignette troviamo una Renata più intima, raccontata dalle sue due figlie ormai donne, Viviana e Sabrina, che donano al pubblico stralci della loro vita privata, viaggiando tra un passato ancora troppo vicino e un futuro carico di speranza. Speranza per la politica locale che non deve mai, mai, dimenticare la determinazione di Renata Fonte nel portare avanti le sue battaglie; per i giovani, affinché possano trovare nella breve vita di Renata un modello a cui ispirarsi; per chi sa e non parla, perché possa capire che donna, madre, insegnante e politica ha strappato a questa terra, che tanto aveva e ha bisogno di brave persone.