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SECONDA PARTE
C’è in Trentino un piccolo paese che si trova nelle Valli Giudicarie, non lontano dalle Terme di Comano: è Campo Lomaso, che nel corso del 1800 diventa importante punto di riferimento culturale per gli intellettuali, i musicisti, i politici e i patrioti italiani, dopo essere stato luogo di produzione di sete pregiate.
A Campo sorge una bella villa, Villa Lutti, dove si incontrano il poeta Giovanni Prati, Andrea Maffei – già ideatore di un importante salotto a Milano – poeta anche lui, e Francesca Lutti, la prediletta discepola del Maffei, poetessa e scrittrice, nata nel 1827, sempre disponibile ad accogliere, soprattutto nel periodo estivo e autunnale, gli spiriti eletti che a Campo trovavano ospitalità garbata e possibilità di parlare di prosa e poesia e di ascoltare buona musica. Tra tanti, si ricordano Antonio Fogazzaro, il poeta e letterato Arturo Graf, il pittore Francesco Hayez, il patriota ed uomo politico Benedetto Cairoli, lo psichiatra Andrea Verga, lo scultore Andrea Malfatti, il ben noto Eugenio Checchi, autore delle Memorie di un Garibaldino.
Insieme alla politica e all’arte, trova grande spazio la musica, soprattutto quella di Verdi che dalla Sala della Musica di Villa Lutti si diffonde tutte le sere in paese.
La padrona di casa è Francesca Lutti, moglie per soli due anni di Giuseppe Alberti, raffinata e colta, sostenuta e guidata, nella sua crescita culturale, dall’anziano Andrea Maffei, che svolge un po’ il ruolo di mentore, o padre spirituale. Si viene quindi a creare un ambiente di grande spessore che nulla ha da invidiare al più famoso “salotto” milanese della Contessa Clara Carrara Spinelli moglie separata del Maffei stesso. La produzione letteraria della Lutti è molto varia e piuttosto discussa, ma ciò che conta, in realtà, è la sua capacità di creare relazioni con l’intellighenzia italiana: ne sono prova le numerose lettere che testimoniano rapporti di stima profonda e di amicizia sincera, anche quelle che a Francesca scrivono altre donne, come le poetesse Erminia Fuà Fusinato, Giuseppina Aganoor e Giannina Milli.
Francesca muore nel 1878, quando ancora molto avrebbe potuto dare alla cultura italiana.
Non è trentina di nascita, ma di adozione, Antonietta Giacomelli, nata a Treviso nel 1857 e presto dimenticata. La sua famiglia di origine è molto ricca, si divide tra Treviso e Maser, dove è proprietaria di una bella villa costruita dal Palladio e affrescata dal Veronese: è qui che Antonietta trascorre gli anni della giovinezza, mentre il padre, industriale mazziniano, in un primo tempo viene imprigionato, poi eletto deputato, quando il Veneto passa all’Italia; infine, fonda la Società operaia. Da parte materna, Antonietta ha uno zio molto importante, è infatti la nipote prediletta di Antonio Rosmini che proprio di lei parla persino con il Manzoni. Dunque, da un lato, Antonietta vive in pieno il clima risorgimentale, dall’altro è vicina a una profonda spiritualità cristiana.
Studia in casa, come si conviene a una giovane di buona famiglia; oltre all’italiano, alla filosofia e alla storia, Antonietta studia inglese e tedesco, tiene un diario e si dedica, fin da giovanissima, alla scrittura. Un suo scritto riguardante una gita sul monte Grappa viene pubblicato sulla “Gazzetta di Treviso” e diventa poi un opuscolo.
Successivamente, Antonietta si trasferisce a Roma dove si trattiene per circa venti anni: si occupa di politica nella Lega democratica e di Modernismo cattolico, impegnandosi anche nell’associazionismo cattolico. Fonda la Protezione della Giovane, scrive su “L’Ora presente”, periodico fondato da Giulio Salvadori, con il quale crea “L’Unione Italina per il Bene”, che diffonderà a Venezia e Treviso, dove darà vita anche ad una scuola popolare. Si dedica molto alla promozione dell’emancipazione femminile attraverso l’istruzione. E intanto scrive l’Adveniat regnum tuum. La morte del padre, che aveva subito anche un tracollo finanziario, avvenuta nel 1907, costringe madre e figlia a tornare a Rovereto, e qui l’intraprendente Antonietta crea la Protezione della Giovane, ma lo scoppio della grande guerra le spinge a trasferirsi a Treviso dove Antonietta costituisce, dietro indicazione di Padre Gemelli, un Comitato Assistenza Profughi; continua la sua opera di crocerossina e intanto collabora ad alcuni giornali. A guerra finita, rientra a Rovereto, fonda la sezione femminile degli Scouts, presieduta da Maria Filzi, madre di Fausto e Fabio. Antonietta è instancabile: scrive manuali per dirigenti e istruttrici scouts e organizza campi di soggiorno fin quando il movimento non è sciolto dal Fascismo nel 1927. Alla morte della madre, Antonietta, che non conosceva ozi né riposi, vive a Venezia e Treviso, pubblica un testo un po’ diario e un po’ romanzo, Ultime pagine, si ritira in una casa di riposo, prima di riprendere i suoi impegni di crocerossina durante la seconda guerra mondiale. Finisce i suoi giorni in povertà nel 1949, con la consapevolezza di aver dato molto, di aver avuto il privilegio di conoscere e frequentare persone di grande spessore umano e livello culturale come il poeta Clemente Rebora, i giornalisti Serao e Scarfoglio, gli scrittori Verga e Capuana, i vescovi di Cremona e Piacenza, padre Semeria e Antonio Fogazzaro, Scipio Sighele, la poetessa Luisa Anzoletti.
Come scrittrice, ricordiamo che ha pubblicato circa trenta testi, due dei quali messi all’Indice perché accusati di Modernismo: si tratta di Adveniat regnum tuum e Per la riscossa cristiana: in sostanza la Giacomelli puntava ad una riforma liturgica, ma il fatto che fosse una donna a occuparsene rendeva la cosa veramente complicata. E Antonietta lo sa e ne soffre, è guardata con sospetto dai cattolici tradizionalisti e con simpatia dai socialisti; pare che, secondo Cesare Battisti, Antonietta doveva essere considerata la donna più grande e più interessante di tutto il Trentino.
Nel 1949, poco tempo prima della morte, viene finalmente festeggiata dal Congresso Cattolico e, in occasione del suo funerale, la gioventù scoutista ne porta la bara sulle spalle fino al cimitero.
E finalmente, le si riconoscono i grandi meriti, l’impegno sociale, la cultura, la fede profonda e al passo coi tempi: di lei, come scrittrice e giornalista, parlano persino Benedetto Croce e Prezzolini, oltre ovviamente a Ernesta Bittanti Battisti .
Ed è proprio Ernesta la terza intellettuale di questo paragrafo: nata a Brescia nel 1871, figlia di un preside-insegnante, prima allieva del Ginnasio pubblico di Cagliari, studentessa di Filosofia e Filologia a Firenze, amica e collega di persone del calibro di Gaetano Salvemini, vissuta “dentro” la Storia, grazie al sodalizio umano e politico con Cesare Battisti, femminista e socialista, conoscitrice attenta del Positivismo, fondatrice a Firenze della “Lega di tutela degli Interessi femminili”, si trasferisce a Trento nel 1899, dopo aver sposato civilmente in Palazzo Vecchio Cesare Battisti.
Collabora al giornale “Il Popolo” e in pratica sostituisce il marito, freneticamente impegnato in mille attività, facendo la correttrice di bozze, la giornalista, l’amministratrice alle prese con continui problemi di bilancio. E intanto nascono tre figli: Luigi, Livia, Camillo e la salute di Ernesta ne risente, mentre si susseguono richieste di creditori, solleciti di pagamenti e pignoramenti. Nonostante tutto, Ernesta è una combattente, osa perfino partire da Trento per portare a Messina i fondi raccolti in occasione del terremoto a seguito del quale l’amico fraterno Salvemini aveva perduto moglie e figli. Ma a Messina Ernesta non arriverà mai, a causa del caos delle italiche ferrovie. Leggendo gli scritti della Bittanti, emerge l’italianità convinta di questa donna che pubblica interessanti ritratti di trentini italiani, che elogia gli studenti dell’Associazione Studenti Trentini, che elenca i monumenti già eretti o da erigere a grandi italiani, da Dante in poi…
Nel ’14 deve andar via da Trento e si rifugia prima a Cremona, poi a Treviglio dove ha un incarico di insegnamento. Sarà questa infine la sua professione stabile a Padova, dove rimase fino alla cattura e all’impiccagione del marito, accusato dagli austriaci di alto tradimento.
In seguito, aiutata dal vecchio amico Salvemini, Ernesta si trasferisce a Firenze, dove cura la biblioteca dello stesso Salvemini e l’edizione nazionale delle opere di Cesare Battisti.
A questo proposito, è il caso di ricordare quanto ha scritto Salvemini: ”Il lavoro delle edizioni nazionali è stato affrontato con assoluta dedizione, è diventato un esempio e punto di riferimento per quanti in Italia negli anni difficili del dopoguerra e della dittatura fascista e della follia hitleriana, non disperavano nel possibile ritorno della libertà, nel compito di valorizzare la figura del consorte, ma anche martire italiano, superò se stessa e svolse per più di 40 anni un’attività prodigiosa testimoniata dall’imponente mole di documenti conservati nel suo archivio e dalle numerosissime pubblicazioni”.
Si disse che appoggiasse il Fascismo, ma i rapporti che intrattenne con Mussolini furono limitati al periodo in cui Mussolini, da sindacalista, collaborava al giornale di suo marito. Poi, Ernesta dimostrò sempre di essere distante dal Duce e dal suo movimento.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, la Bittanti si trasferisce in Svizzera mentre il figlio Gigino fa il partigiano nell’Ossola. E dopo la guerra, dopo aver deciso di rimanere al di sopra delle parti, senza scendere in politica, afflitta da vari malanni, nel 1957 si spegne, confortata dai figli e dall’amica Bice Rizzi.
Né Antonietta, né Ernesta hanno ricevuto intitolazioni stradali in Trentino. Francesca Alberti Lutti è ricordata in una via di Riva del Garda.