E’ difficile parlare di Rita Levi Montalcini, perché tutti la conosciamo e tanti ne hanno parlato in queste giornate, sui giornali, sui socialnetwork; in televisione e in rete centinaia di servizi, video, testimonianze continuano ancora a parlare di Lei: della Ragazza del ‘900, nata a Torino da una famiglia israelitica di artisti, ingegneri e intellettuali, che ha attraversato le guerre e la persecuzione nazi-fascista; della Signora della medicina italiana, che ha rotto convenzioni sociali e opposizioni politiche per poter studiare medicina, sposando la causa della ricerca e dello studio scientifico ; della Scienziata insignita del Nobel per la scoperta del NGF il Nerve Growth Factor; dell’aristocratica Pasionaria che ha legato il proprio nome a quello di numerose battaglie civili e sociali, dalla questioni delle mine anti-uomo, al problema della fame nel mondo, dalla condanna delle “baronie” accademiche al sostegno alle donne scienziate. Che, a pochi giorni dalla sua morte, l’umanità si senta più povera, senza di lei, è naturale e necessario.
Ma dalle parole di tutti e tutte viene fuori la gratitudine per i doni, tanti e belli, che lei ha lasciato all’umanità. Mi torna in mente un momento di un film di Akira Kurosawa, nel quale si rappresenta , tra canti, suoni e danze, il funerale di un contadino di un villaggio giapponese. Ad un osservatore stupito dell’allegria del corteo funebre, un saggio spiega che tutti sono felici perché pensano non alla sua morte ma alla sua bella e lunga vita: piena di doni per se stesso e per gli altri.
Così, anche noi, grati, ricorderemo Rita Levi Montalcini. E vorremmo che i nostri amministratori le intitolassero una strada o una piazza o un giardino, perché i suoi doni siano sempre presenti e vivi e continuino a ricordare che gli uomini e le donne possono fare cose grandissime.