GRAZIA DELEDDA
La prima donna italiana a vincere il premio Nobel per la Letteratura
Nuoro 27.09.1871-- Roma 15.08.1936
La sua presenza nella toponomastica è considerevole ovunque in Italia, soprattutto in Sardegna visto che, alla sua morte, il Fascismo ne fece una bandiera e una gloria nazionale. Le sono state intitolate anche biblioteche e scuole e la sua abitazione nuorese oggi è adibita a “Museo deleddiano”.
A Madrid esiste una calle Grazia Deledda e a Lione le è stato dedicato il Circolo sardo.
Grazia Cosima nasce in una famiglia borghese benestante, in cui il padre era imprenditore e possidente, ma anche poeta estemporaneo e appassionato di letteratura e di tradizioni sarde; la figlia frequenta solo le classi elementari, ma trova a Nuoro un ambiente culturalmente stimolante. Può anche usufruire liberamente della ricca biblioteca paterna avvicinandosi così ai classici (Omero, Boccaccio, Tasso, Goldoni, Manzoni, Shakespeare, Hugo, Balzac) e soprattutto a quei narratori russi ‒ Tolstoj e Dostoevskij fra tutti ‒ che formeranno la sua base culturale da autodidatta. Legge avidamente anche le riviste che arrivano da Cagliari e da Sassari, inizia le prime collaborazioni a riviste femminili come Ultima moda e intreccia vivaci rapporti epistolari con letterati, artisti, etnografi. Fin dalla fondazione è socia consigliera della Società Nazionale per le Tradizioni Popolari Italiane, nata nel 1883.
Nel 1899 a Cagliari conosce il funzionario statale Palmiro Madesani e, dopo il matrimonio, si trasferisce a Roma dove avrà due figli (Sardus e Franz) e dove vivrà fino alla morte. Viene introdotta nell’ambiente letterario della capitale grazie alle amicizie con De Gubernatis, Manca, Perino. Inizia la collaborazione con la rivista “La nuova Antologia” fra i cui redattori c’è Giovanni Cena, piemontese di famiglia contadina e di tendenze socialiste, attivo nella lotta contro l’analfabetismo, che trova con Grazia e le sue origini sarde una particolare sintonia. L’ambiente romano è vivace: in quel periodo vivono nella capitale Sibilla Aleramo, Moretti, Corazzini, Severini, Balla e la sorella Nicolina, che ha lasciato Nuoro, dipinge e contribuisce a tenere viva l’attenzione di Grazia verso gli sviluppi del linguaggio artistico.
Deledda vive piuttosto appartata e nel suo giardino, sotto un bel cedro e con grande semplicità, riceve insieme a Nicolina poche e selezionate amicizie: giornalisti, scrittori, letterati, artisti. Intanto continua a scrivere intensamente, mentre la sua fama si è allargata; dopo la prima produzione giovanile influenzata dal Verismo, nel XX secolo vengono pubblicati i suoi capolavori. Nel 1896 il romanzo La via del male aveva ricevuto l’apprezzamento di Capuana; una certa notorietà le era arrivata dai Racconti sardi, da novelle e altri romanzi (Don Zua, Anime oneste, La giustizia), ma con il nuovo secolo lo stile necessariamente cambia. Si sta diffondendo in tutta Europa il Decadentismo, pubblicano Svevo, Pirandello, D’Annunzio, Pascoli e l’attenzione ora si rivolge verso l’interiorità e la psicologia dei personaggi, con le loro passioni e i loro dubbi, guardando ai rapporti interpersonali e soprattutto ai conflitti dentro la famiglia, microcosmo intorno al quale ruota la società. Grazia continua ad ambientare in Sardegna le sue opere: Elias Portolu (1903), Cenere, L’edera, Colombi e sparvieri, Canne al vento (1913), Marianna Sirca, La madre (1920). La Sardegna non è altro che uno spaccato del mondo e dell’eterno conflitto fra male e bene: i drammi sono gli stessi ovunque; scrive Deledda: «L’uomo è, in fondo, uguale dappertutto».
I suoi romanzi della maturità sono spesso incentrati, come Delitto e castigo o I fratelli Karamazov, sul senso di colpa, sulla potenza del peccato, sulla forza implacabile del destino, sul caos morale, ma «i suoi colpevoli e i suoi delinquenti» ‒ ha scritto Momigliano ‒ incutono in noi lettori un “interesse intenso”, “rispetto”, “senso di pietà e di elevazione”: la colpa non viene rappresentata in modo superficiale o semplicistico, ma porta a meditare sul drammatico destino che a tutti è imposto di peccare per poter sapere veramente che cosa è il bene e che cosa è il male». Sempre Momigliano ebbe a dire: «Nessuno dopo il Manzoni ha arricchito e approfondito come lei, in una vera opera d’arte, il nostro senso della vita». E potremmo aggiungere che la sua presunta “incultura” in realtà fosse una precisa scelta antiaccademica, proprio come accade a Svevo, accusato da una parte della critica di “scrivere male”.
Nel 1926 arriva la consacrazione internazionale: dopo l’ormai lontano riconoscimento a Carducci (1906) e precedendo Pirandello, Quasimodo, Montale e Fo, Grazia Deledda diviene la prima e a oggi l’unica italiana premiata con il Nobel per la Letteratura. La sua vita rimane semplice e modesta, mentre la produzione continua fitta e ininterrotta fino alla morte, con novelle, con i romanzi Annalena Bilsini e La chiesa della solitudine e con l'autobiografia Cosima, quasi Grazia, pubblicata postuma nel ‘37.
Dal 1959 le sue spoglie riposano a Nuoro, nella piccola Chiesa della Solitudine, ai piedi del monte Ortobene.
«Uomini siamo, Elias, uomini fragili come canne, pensaci bene. Al di sopra di noi c’è una forza che non possiamo vincere». (Elias Portolu)
Laura Candiani
Fonti:
Le opere di Grazia Deledda sono pubblicate in edizione economica negli Oscar Mondadori; raccolte di opere scelte sono state curate da E. Cecchi, E. de Michelis, N. Sapegno. Diversi romanzi sono anche in edizione commentata per la scuola, molto ampia la produzione critica.
Grazia Deledda, Canne al vento, a cura di Nicola Tanda, Arnoldo Mondadori Scuola, Milano, 1997
Grazia Deledda, Elias Portolu, Arnoldo Mondadori, Milano, 1965
Grazia Deledda, La madre, Oscar Mondadori, Milano, 1970
Grazia Deledda, Leggende sarde, a cura di Dolores Turchi, Tascabili Economici Newton, Roma, 1999
Grazia Deledda, Un grido nella notte, La Spiga-Meravigli ed., Vimercate, 1994 (raccolta di 10 novelle)
Anna Dolfi, Grazia Deledda, Mursia, Milano, 1979
Attilio Momigliano, Storia della letteratura italiana, Principato, Milano-Messina, 1936