Elfriede Jelinek
Angela Scozzafava





Laura Zernik

 

Premio Nobel per la letteratura 2004 Per «[…] il flusso melodico di voci e controvoci in romanzi e testi teatrali, che con estremo gusto linguistico rivelano l’assurdità dei cliché sociali e il loro potere […]. «Viennese, ebrea, slava»: così si descrive Elfriede Jelinek in un’intervista attribuendosi un’identità composita, ai margini.

Nata in Stiria nel 1946, si trasferisce presto a Vienna. Il padre, Friedrich, è un chimico ebreo che si era salvato dalle persecuzioni perché impiegato in un’industria bellica; dagli anni Cinquanta soffre di crisi depressive. La madre, Olga Ilone Buchner, di origine rumena, provvede al mantenimento della famiglia. Elfriede, come dichiara nel 2020, vive in un ambiente in cui i ruoli erano capovolti: la madre «era la figura eccezionalmente forte, mentre il padre era il debole». A entrambi genitori rimprovera di averle rubato l’infanzia: il padre non l’ha difesa dalle ambizioni materne, la madre le ha imposto un programma educativo inflessibile. Fin da piccola viene orientata verso una carriera musicale: studia pianoforte, violino, organo, composizione, frequenta il conservatorio di Vienna dove si diploma come organista nel 1971. Non completa gli studi universitari a causa di crisi di agorafobia, disturbo che l’accompagna per tutta la vita. Vive un periodo d’isolamento durante il quale s’immerge nella lettura dei classici, scopre Roland Barthes e coltiva la passione per la scrittura. Comincia a pubblicare poesie e romanzi e si avvicina ai movimenti contestatari del Sessantotto. Nel 1974 aderisce al Partito comunista austriaco dal quale uscirà nel 1991. La sua produzione è molto varia e ricca: spazia da raccolte di poesie (L’ombra di Lisa, 1967) a romanzi, sceneggiature cinematografiche, testi teatrali.

Jelinek è anche traduttrice, autrice di libretti d’opera e di tre Lieder dodecafonici. Numerosi sono i premi che ha ricevuto: tra di essi il premio Heinrich Böll nel 1986, il Georg Büchner nel 1998 e nel 2004 il premio Franz Kafka e il Nobel. Elfriede Jelinek è un’autrice corrosiva, controcorrente. I temi che tratta sono scomodi, lo stile sperimenta forme innovative ed è tagliente come frammenti di vetro. Quando le viene conferito il Nobel molti reagiscono con sconcerto: per citare un solo caso, ma significativo, va ricordato che Knut Ahnlund, membro della Commissione del Nobel, si dimette dall’Accademia in dissenso con questa decisione. Per la stessa Jelinek il premio è inaspettato, è “confusa e imbarazzata”. A causa della sua persistente agorafobia non ritira il premio di persona, ma invia un video in cui legge il suo discorso In disparte. In esso è possibile rintracciare alcuni elementi significativi della sua poetica. La realtà «non si lascia mettere in ordine», è «spettinata», spinge in disparte il poeta, il cui «posto è sempre al di fuori»; l’intellettuale cammina accanto agli altri, ma non sa vivere come loro, il suo sguardo è obliquo: per questo ha la possibilità di superare il «dire» della chiacchiera, del discorso superficiale per approdare al «parlare», che parte dalla superficie delle cose, dalla descrizione della realtà, ma la destruttura, «penetrando fino al nocciolo. Come un verme nella mela». Alle parole Jelinek attribuisce un compito gravoso e un grande potere; la sua scrittura, che lei stessa definisce una «partitura di linguaggio», lavora sulla dimensione acustica, ritmica, è una lunga onda sonora, debitrice alla sua formazione musicale. Amplificazioni, estensioni, aumenti si riconoscono nei suoi testi, i temi si intrecciano secondo una tecnica contrappuntistica, si ha una processione ripetuta e ossessiva di frasi, ricca di graffianti virtuosismi, di citazioni letterarie, di scarti nel registro linguistico, di giochi di parole delle quali distorce il senso. Attraverso questa tecnica, raffinata e dissacratoria, vuole «costringere lo stesso linguaggio […], anche contro la sua volontà, a restituire la verità che sta dietro le cose». Jelinek disseziona la società capitalistica neoliberista per mostrarne la ferocia ed è particolarmente critica verso il suo Paese, amato e odiato. L’Austria vive nell’ipocrisia di una menzogna storica: non ha fatto i conti con la sua storia antisemita, col disprezzo per le minoranze che sono state «cultura batterica» per il nazismo.

Il tema della memoria negata, presente in molte opere, è evidente nel romanzo Gli esclusi in cui segnala l’impunità di tanti nazisti (il padre del protagonista) e la violenza che si perpetua nella società avvelenando anche i giovani che, infatti, la riproducono rabbiosamente. In Burgtheater, un’opera teatrale del 1985, denuncia le complicità col nazismo di alcuni attori attivi e noti anche nel dopoguerra. L’Austria continua a essere un paese chiuso, paternalista, che esclude le donne dagli apici delle produzioni culturali e musicali. Il suo essere femminista («cos’altro dovrebbe essere una donna?») la porta a sviscerare senza pietà il rapporto tra i sessi – e la sessualità – come rapporto di predominio, che si aggiunge alle disuguaglianze sociali. Nel romanzo Le Amanti le due giovani protagoniste, vittime e complici, vedono l’unica possibilità di futuro nel matrimonio e nei figli, e non riescono a liberarsi, a liberare le loro voci, le loro potenzialità. «Se qualcuno ha un destino è un uomo, se qualcuno riceve un destino è una donna». Erika, l’insegnante di pianoforte protagonista del romanzo La Pianista, vive un rapporto morboso e autolesionista con la madre, ambiziosa e inquisitrice. Vive una sessualità voyeuristica, ma quando si illude di poter stabilire un rapporto (amoroso?) con un suo studente, tutto precipita nella violenza: Klemmer, libero dalla disciplina musicale e posto su un piano di parità con la maestra, ora che ha imparato «a conoscere la libertà», rivela la vera natura fallocratica del rapporto tra i sessi esercitando una violenza bruta e primordiale contro la donna. Nel romanzo La voglia, uno dei più discussi, definito pornografico per la sua crudezza, descrive con audaci strategie narrative (tra l’altro, collage di liriche d’amore di grandi autori ottocenteschi) il tema della donna ridotta a oggetto sessuale in qualunque forma di relazione, dalle produzioni pornografiche fino al matrimonio, anche se qui in maniera più nascosta.

Il romanzo è del 1989 ma ancora oggi – come scrive nel 2020 – nella sostanza «si perpetuano i medesimi rapporti di potere». «Danno ai nervi, i testi! Sono faticosi e penetranti», scrive di lei Nicolas Stemann. È vero, è una lettura impegnativa, provocatoria, perturbante, ma necessaria: i suoi personaggi non sollecitano l’identificazione empatica ma la riflessione razionale. Jelinek apre domande inquietanti e urgenti sulla contemporaneità.

«Il narrare è una necessità, a volte urgenza, ma sempre un atto politico»: un martello nelle mani di Elfriede Jelinek.


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Prix Nobel de littérature 2004 Pour «[... ] le flot mélodique de voix et de contre-voix dans les romans et les textes théâtraux, qui révèlent avec un goût linguistique extrême l’absurdité des clichés sociaux et leur pouvoir [...]. «Viennoise, juive, slave» : c’est ce que décrit Elfriede Jelinek dans une interview en s’attribuant une identité composite, en marge.

Née en Styrie en 1946, elle s’installe bientôt à Vienne. Son père, Friedrich, est un chimiste juif qui s’était sauvé des persécutions parce qu’il était employé dans une industrie de guerre; depuis les années 1950, il souffre de crises dépressives. Sa mère, Olga Ilone Buchner, d’origine roumaine, subvient aux besoins de la famille. Elfriede, comme elle le déclare en 2020, vit dans un environnement où les rôles étaient inversés : la mère «était la figure exceptionnellement forte, tandis que le père était le faible». Les deux parents lui reprochent de lui avoir volé son enfance : le père ne l’a pas défendue des ambitions maternelles, la mère lui a imposé un programme éducatif inflexible. Dès son plus jeune âge, elle est orientée vers une carrière musicale : elle étudie le piano, le violon, l’orgue,et la composition et fréquente le conservatoire de Vienne où elle obtient son diplôme d’organiste en 1971. Elle ne termine pas ses études universitaires à cause d’une crise d’agoraphobie qui l’accompagne toute sa vie. Elle vit une période d’isolement au cours de laquelle elle s’immerge dans la lecture des classiques, elle découvre Roland Barthes et cultive la passion pour l’écriture. Elle commence à publier des poèmes et des romans et se rapproche des mouvements contestataires de Soixante-huit. En 1974, elle adhère au Parti communiste autrichien duquel elle sortira en 1991. Sa production est très variée et riche : elle va des recueils de poésie (L’Ombre de Lisa, 1967) aux romans, scénarios cinématographiques, textes théâtraux.

Jelinek est également traductrice, auteur de livrets d’opéra et de trois Lieder dodecafonici. Elle a reçu de nombreux prix, dont le prix Heinrich Böll en 1986, le prix Georg Büchner en 1998 et le prix Franz Kafka et le prix Nobel en 2004. Elfriede Jelinek est une auteur corrosive à contre-courant. Les thèmes qu’elle aborde sont inconfortables, le style expérimente des formes innovantes et il est tranchant comme des éclats de verre. Lorsqu’on lui décerne le prix Nobel, beaucoup réagissent de manière déconcertante : pour ne citer qu’un cas, mais significatif, il faut rappeler que Knut Ahnlund, membre de la Commission du prix Nobel, démissionne de l’Académie en désaccord avec cette décision. Pour Jelinek elle-même, le prix est inattendu, elle est "confuse et embarrassée". En raison de son agoraphobie persistante, elle ne retire pas le prix en personne, mais envoie une vidéo dans laquelle elle lit son discours à l’écart. On peut y retrouver quelques éléments significatifs de sa poétique. La réalité «ne se laisse pas mettre en ordre», c’est « échevelée », pousse à l’écart le poète, dont «la place est toujours à l’extérieur»; l’intellectuel marche à côté des autres, mais ne sait pas vivre comme eux, son regard est oblique : c’est pour cela qu’il a la possibilité de dépasser le «dire» du bavardage, du discours superficiel pour arriver au « parler », qui part de la surface des choses, de la description de la réalité, mais la déstructuration, «en pénétrant jusqu’au noyau. Comme un ver dans une pomme». Jelinek attribue aux mots une lourde tâche et un grand pouvoir; son écriture, qu’elle définit elle-même comme une « partition de langage », travaille sur la dimension acoustique, rythmique, est une longue onde sonore, débiteur de sa formation musicale. Amplifications, extensions, et augmentations sont reconnues dans ses textes, les thèmes sont entrelacés selon une technique de contrepoint, il y a une procession répétée et obsessionnelle de phrases, riche de virtuoses rugissantes, de citations littéraires, de rebuts dans le registre linguistique, de jeux de mots dont elle déforme le sens. A travers cette technique, raffinée et désacralisante, elle veut «contraindre le même langage [...], même contre sa volonté, à restituer la vérité qui est derrière les choses». Jelinek dissèque la société capitaliste néolibérale pour montrer sa férocité et elle est particulièrement critique envers son pays, aimé et haï. L’Autriche vit dans l’hypocrisie d’un mensonge historique : elle n’a pas tenu compte de son histoire antisémite, du mépris pour les minorités qui ont été «culture bactérienne» pour le nazisme.

Le thème de la mémoire niée, présent dans de nombreuses œuvres, il est évident dans le roman Les exclus où elle signale l’impunité de nombreux nazis (le père du protagoniste) et la violence qui se perpétue dans la société en empoisonnant même les jeunes qui, en effet, la reproduisent avec colère. Dans Burgtheater, une pièce de théâtre de 1985, elle dénonce les complicités avec le nazisme de certains acteurs actifs et connus même après la guerre. L’Autriche reste un pays fermé, paternaliste, qui exclut les femmes des sommets des productions culturelles et musicales. Son être féministe (« quoi d’autre devrait-elle être une femme ») l’amène à explorer sans pitié le rapport entre les sexes - et la sexualité - comme rapport de domination, qui s’ajoute aux inégalités sociales. Dans le roman Le Amanti, les deux jeunes protagonistes, victimes et complices, voient l’unique possibilité d’avenir dans le mariage et dans les enfants, et ne parviennent pas à se libérer, à libérer leurs voix, leurs potentialités. «Si quelqu’un a un destin, c’est un homme, si quelqu’un reçoit un destin, c’est une femme». Erika, le professeur de piano protagoniste du roman La Pianista, vit une relation morbide et autodestructrice avec sa mère, ambitieuse et inquisitrice. Elle vit une sexualité voyeuriste, mais quand elle croit pouvoir établir une relation (amoureuse ?) avec un de ses étudiants, tout s’enfonce dans la violence : Klemmer, libéré de la discipline musicale et placé sur un pied d’égalité avec la maîtresse, maintenant qu’il a appris «à connaître la liberté» révèle la véritable nature fallocratique de la relation entre les sexes en exerçant une violence brute et primordiale contre la femme. Dans le roman La Voglia, l’un des plus discutés, défini pornographique pour sa cruauté, elle décrit avec des stratégies narratives audacieuses (entre autres, des collages de lyriques d’amour de grands auteurs du XIXe siècle) le thème de la femme réduite à un objet sexuel dans toute forme de relation, des productions pornographiques jusqu’au mariage, même si c’est ici de manière plus cachée.

Le roman date de 1989 mais encore aujourd’hui - comme elle l’écrit en 2020 - en substance «se perpétuent les mêmes rapports de pouvoir». « Ils donnent aux nerfs, les textes ! Ils sont fatigants et pénétrants», écrit d’elle Nicolas Stemann. C’est vrai, c’est une lecture exigeante, provocante, et perturbante, mais nécessaire : ses personnages ne sollicitent pas l’identification empathique mais la réflexion rationnelle. Jelinek ouvre des questions inquiétantes et urgentes sur la contemporanéité.

«Le récit est une nécessité, parfois urgente, mais toujours un acte politique» : un marteau dans les mains d’Elfriede Jelinek.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

For her "…musical flow of voices and counter-voices in novels and plays that, with extraordinary linguistic zeal, reveal the absurdity of society's clichés and their subjugating power." "Viennese, Jewish, Slavic" - this is how Elfriede Jelinek describes herself in an interview, attributing to herself a composite identity, on the margins.

Born in Styria, Austria in 1946, she soon moved to Vienna. Her father, Friedrich, was a Jewish chemist who had saved himself from persecution because, during the Nazi era, he was employed in a war industry. Beginning in the 1950s, he suffered from bouts of depression. Her mother, Olga Ilone Buchner, of Romanian descent, provided for the family. Elfriede, as she stated in 2020, lived in an environment where roles were reversed. Her mother "was the exceptionally strong figure, while her father was the weak one." She blamed both parents for stealing her childhood - her father did not defend her from her mother's ambitions, and her mother imposed an inflexible educational program on her. From an early age she was oriented toward a musical career. She studied piano, violin, organ, composition, and attended the Vienna Conservatory of Music where she graduated as organist in 1971. She did not complete her university studies because of bouts of agoraphobia, a disorder that has accompanied her throughout her life. She lived through a period of isolation during which she immersed herself in reading the classics, discovering Roland Barthes and cultivating a passion for writing. She began publishing poetry and novels and became involved in the protest movements of 1968. In 1974 she joined the Austrian Communist Party, which she left in 1991. Her output is varied and rich - it ranges from collections of poems (Lisa's Shadow, 1967) to novels, film scripts, and plays.

Jelinek is also a translator, author of opera librettos and three twelve-tone Lieder. She has received numerous awards, including the Heinrich Böll Prize in 1986, the Georg Büchner Prize in 1998, and the Franz Kafka Prize and Nobel Prize in 2004. Elfriede Jelinek is a corrosive, countercultural author. Her themes are uncomfortable, her style experiments with innovative forms and is as sharp as shards of glass. When she was awarded the Nobel Prize many reacted with dismay. To cite just one but significant example, it should be mentioned that Knut Ahnlund, a member of the Nobel Committee, resigned from the Academy in disagreement with this decision. For Jelinek herself, the award was unexpected; she was "confused and embarrassed." Because of her persistent agoraphobia, she did not accept the award in person, but sent a video in which she read her speech Sidelined. It is possible, in the speech, to trace some significant elements of her poetics. Reality "does not let itself be put in order," it is "disheveled," it pushes aside the poet, whose "place is always on the outside." The intellectual walks beside others, but does not know how to live like them, his or her gaze is oblique. That is why he or she has the possibility of overcoming the "restating" of chatter, of superficial discourse, to rather arrive at "speaking," which starts from the surface of things, from the description of reality, but deconstructs it, "penetrating to the core. Like a worm in an apple." Jelinek attributes an onerous task and great power to words. Her writing, which she calls a "language score," works on the acoustic, rhythmic dimension. It is one long sound wave, indebted to her musical training. Amplifications, extensions, augmentations can be recognized in her texts, themes are interwoven according to a contrapuntal technique, there is a repeated and obsessive procession of phrases, full of biting virtuosity, literary quotations, deviations in linguistic register, wordplay in which she distorts the meaning of the words. Through this refined and desecrating technique, she wants to "force language itself [...], even against its will, to restore the truth behind things." Jelinek dissects neoliberal capitalist society to show its ferocity and is particularly critical of her beloved and hated country. Austria lives in the hypocrisy of a historical lie. It has not come to terms with its anti-Semitic history, with its contempt for the minorities who were a "bacterial culture" for Nazism.

The theme of denied memory, present in many of her works, is evident in the novel Die Ausgesperrten [translated into English as Wonderful, Wonderful Times], in which she points out the impunity of so many Nazis (the protagonist's father) and the violence that is perpetuated in society by poisoning even the young, who, rabidly reproduce it. In Burgtheater. Farce with Songs, a 1985 play, she denounces the complicity with Nazism of some active and well-known actors even after the war. Austria continues to be a closed, paternalistic country that excludes women from the pinnacles of cultural and musical productions. Her being a feminist ("what else should a woman be?") leads her to mercilessly eviscerate the relationship between the sexes - and sexuality - as a relationship of dominance, adding to social inequalities. In the novel Die Liebhaberinnen [Women as Lovers], the two young female protagonists, victims and accomplices, see their only chance for a future in marriage and children, and are unable to free themselves, to release their voices or their potential. "If someone has a destiny it is a man, if someone receives a destiny it is a woman." Erika, the protagonist of the novel Die Klavierspielerin [The Piano Teacher], lives a morbid and self-defeating relationship with her ambitious and inquisitive mother. She lives a voyeuristic sexuality, but when she deludes herself into the illusion that she can establish a (loving?) relationship with one of her students, everything plunges into violence. The student, Klemmer, free from musical discipline and placed on an equal footing with the teacher, now that he has learned "to know freedom," reveals the true phallocratic nature of the relationship between the sexes by exerting brute and primal violence against the woman. In the novel Lust, one of her most talked-about novels, labeled pornographic for its rawness, she describes with daring narrative strategies (among other things, collage of love lyrics by great nineteenth-century authors) the theme of woman reduced to a sexual object in any form of relationship, from pornographic productions to marriage, though there in a more covert manner.

The novel is from 1989 but in essence even today - as she writes in 2020 - "the same power relations are perpetuated." "They get on one's nerves, these writings! They are exhausting and penetrating," Nicolas Stemann wrote about her work. True, it is challenging, provocative, disturbing, but necessary reading. Her characters do not solicit empathic identification but rational reflection. Jelinek raises disturbing and urgent questions about the contemporary world.

«Storytelling is a necessity, sometimes urgently, but always a political act». A hammer in Elfriede Jelinek's hands.


Traduzione spagnola

Syd Stapleton

Premio Nobel de Literatura 2004 Por «[...] el flujo melódico de voces y contravoces en novelas y en obras de teatro que, con extremo gusto lingüístico, revelan lo absurdo de los clichés sociales y su poder [...]». «Vienesa, judía, eslava»: así Elfriede Jelinek se describe a sí misma en una entrevista, atribuyéndose una identidad compuesta y al margen.

Nacida en Estiria en 1946, pronto se traslada a Viena. Su padre, Friedrich, era un químico judío que se había salvado de la persecución porque estaba empleado en una industria bélica; desde los años cincuenta sufría de crisis de depresión. Su madre, Olga Ilone Buchner, de origen rumano, era quien mantenía a la familia. Elfriede, como afirma en 2020, vivió en un entorno en el que los papeles estaban invertidos: su madre «era la figura excepcionalmente fuerte, en cambio su padre era el débil». A ambos padres les reprocha haberle robado su infancia: su padre no la protegió de las ambiciones de su madre y esta última le impuso un programa educativo inflexible. Desde muy joven la orientaron hacia una carrera musical: estudió piano, violín, órgano, composición y asistió al Conservatorio de Viena donde se graduó como organista en 1971. No completó sus estudios universitarios a causa de su agorafobia, un trastorno que la acompañó durante toda su vida. Vivió un periodo de aislamiento durante el cual se sumergió en la lectura de los clásicos, descubrió a Roland Barthes y cultivó la pasión por la escritura. Comenzó a publicar poemas y novelas y se implicó en los movimientos de protesta de 1968. En 1974 se afilió al Partido Comunista Austriaco que sin embargo abandona en 1991. Su producción es variada y amplia: abarca desde poemarios (como Lisas Schatten, conocido como Las sombras de Lisa de 1967) hasta novelas, guiones cinematográficos y obras de teatro.

Jelinek es también traductora, autora de libretos de ópera y de tres Lieder dodecafónicos. Ha recibido numerosos galardones: entre ellos en 1986 el Premio Heinrich Böll, en 1998 el Premio Georg Büchner y en 2004 el Premio Franz Kafka y el Premio Nobel. Elfriede Jelinek es una autora corrosiva y contracorriente. Los temas que trata son incómodos, el estilo experimenta con formas innovadoras y es afilado como fragmentos de cristal. Muchos reaccionaron con consternación cuando se le concedió el Premio Nobel: por mencionar sólo un caso, pero significativo, Knut Ahnlund, miembro del Comité Nobel, dimitió de la Academia en desacuerdo con esta decisión. Para la misma Jelinek el premio es inesperado y se siente "confusa y avergonzada". Debido a su persistente agorafobia no recoge el premio en persona, sino que envía un vídeo en el que lee su discurso Im Abseits (En mi ausencia) en el cual podemos rastrear algunos elementos significativos de su poética. La realidad «no se deja poner en orden», está «despeinada», aparta al poeta, cuyo «lugar está siempre fuera»; el intelectual camina junto a los demás, pero no sabe vivir como ellos, su mirada es oblicua: pues esto tiene la posibilidad de superar el «decir» de la cháchara, del discurso superficial, para llegar al «hablar» que parte de la superficie de las cosas, de la descripción de la realidad, pero la deconstruye, «penetrando hasta el fondo. Como un gusano en la manzana». Jelinek atribuye una pesada tarea y un gran poder a las palabras; su escritura, que ella denomina una «partitura del lenguaje», trabaja en la dimensión acústica, rítmica, es una larga onda sonora, deudora de su formación musical. En sus textos se reconocen amplificaciones, extensiones, aumentos y los temas se entrecruzan según una técnica contrapuntística; se verifica una procesión repetida y obsesiva de las frases, llenas de virtuosismos mordaces, citas literarias, desviaciones en el registro lingüístico y juegos de palabras que distorsionan el sentido. Mediante esta técnica depurada y profanadora quiere «obligar al propio lenguaje [...], incluso contra su voluntad, a restablecer la verdad que hay detrás de las cosas». Jelinek disecciona la sociedad capitalista neoliberal para mostrar su ferocidad y se muestra muy crítica con su país, tanto amado como odiado. Austria vive en la hipocresía de una mentira histórica: no ha respondido de su historia antisemita y su desprecio por las minorías que fueron una «cultura bacteriana» para el nazismo.

El tema de la memoria negada, presente en muchas de sus obras, es evidente en la novela Die Ausgesperrten (Los excluidos), en la que señala la impunidad de muchos nazis (su padre es el protagonista) y la violencia que se perpetúa en la sociedad envenenando incluso a los jóvenes, que, de hecho, la reproducen rabiosamente. En Burgtheater, una obra teatral de 1985, denunció la complicidad con el nazismo de algunos actores activos y conocidos incluso después de la guerra. Austria sigue siendo un país cerrado y paternalista que excluye a las mujeres de la cumbre de la producción cultural y musical. Su ser feminista («¿qué otra cosa puede ser una mujer?») la lleva a destripar sin piedad la relación entre los sexos –y la sexualidad– como una relación de dominación que se suma a las desigualdades sociales. En la novela Die liebhaberinnen (Las amantes), las dos jóvenes protagonistas, víctimas y cómplices, ven en el matrimonio y en los hijos la única posibilidad de futuro y son incapaces de liberarse, de dar rienda suelta a su voz y a su potencial. «Si alguien tiene un destino es un hombre, si alguien recibe un destino es una mujer». Erika, la profesora de piano protagonista de la novela Die Klavierspielerin (La pianista) vive una relación morbosa y autodestructiva con su ambiciosa e inquisitiva madre. Vive una sexualidad voyeurista, pero cuando se ilusiona pensando que puede establecer una relación (¿amorosa?) con uno de sus alumnos, todo desciende a la violencia: Klemmer, libre de la disciplina musical y situado en un plano de igualdad con su maestra, ahora que ha aprendido «a conocer la libertad», revela la verdadera naturaleza falocrática de la relación entre los sexos ejerciendo una violencia bruta y primaria contra la mujer. En la novela Lust (Deseo), una de las más polémicas, definida como pornográfica por su crudeza, describe con atrevidas estrategias narrativas (entre otras cosas, collages de líricas de amor de grandes autores del siglo XIX) el tema de la mujer reducida a objeto sexual en cualquier tipo de relación, desde las producciones pornográficas hasta el matrimonio, aunque aquí de forma más disimulada.

Esta novela es de 1989, pero aún hoy –como escribe en 2020– en sustancia «se perpetúan las mismas relaciones de poder». «Los textos te ponen de los nervios. Son agotadores y penetrantes», escribe Nicolas Stemann. Es cierto: se trata de una lectura desafiante, provocadora, inquietante, pero necesaria: sus personajes no provocan una identificación empática, sino una reflexión racional. Jelinek abre inquietantes y urgentes interrogantes sobre la contemporaneidad.

«Contar historias es una necesidad, a veces es una urgencia, pero siempre es un acto político»: un martillo en las manos de Elfriede Jelinek.


Traduzione ucraina

Alina Petelko

Нобелівська премія з літератури 2004 року Для «[...] мелодійний потік голосів і контрголосів у романах і театральних текстах, які з надзвичайним мовним смаком розкривають абсурдність соціальних кліше та їх силу [...]. «Віденка, єврейка, слов’янка»: так описує себе в інтерв’ю Ельфріда Єлінек, приписуючи собі складну ідентичність. 

Народившись у Штирії в 1946 році, вона незабаром переїхала до Відня. Її батько, Фрідріх, був єврейським хіміком, який врятувався від переслідувань, оскільки працював у військовій промисловості; з 1950-х років страждав від депресивних кризів. Утримання сім'ї забезпечує мати Ольга Ілоне Бюхнер румунського походження. Ельфріда, як вона заявила в 2020 році, живе в середовищі, де ролі помінялися: мати «була виключно сильною фігурою, а батько — слабкою». Вона звинувачує обох батьків у тому, що вони вкрали її дитинство: батько не захистив її від материнських амбіцій, мати нав'язала їй безкомпромісну програму виховання. З ранніх років вона була орієнтована на музичну кар’єру: вивчала фортепіано, скрипку, орган, композицію, відвідувала Віденську консерваторію, де закінчила органістку в 1971 році. Вона не завершила навчання в університеті через кризу агорафобії, розлад, який супроводжує її все життя. Вона переживає період ізоляції, під час якого вона занурюється в читання класики, відкриває для себе Ролана Барта та плекає пристрасть до письма. Починає публікувати вірші та романи та наближається до протестних рухів 68-го. У 1974 році вона вступила в Комуністичну партію Австрії, з якої вийшла в 1991 році. Її творчість дуже різноманітна і багата: від збірок віршів (Lisas Schatten, 1967) до романів, кіносценаріїв, п’єс.

Єлінек також є перекладачем, автором оперних лібрето та трьох дванадцятитонових Lieder пісень. Вона отримала численні премії: серед них премія Генріха Бьолля в 1986 році, премія Георга Бюхнера в 1998 році, а в 2004 році премія Франца Кафки та Нобелівська премія. Ельфріда Єлінек — їдкий, ексцентричний автор. Теми, які вона опрацьовує, незручні, стиль експериментує з інноваційними формами і є різким, як осколки скла. Коли їй присуджують Нобелівську премію, багато хто реагує з подивом: якщо згадати лише один випадок, але знаменний, то варто згадати, що Кнут Анлунд, член Нобелівської комісії, який залишає членство в Академії на знак незгоди з цим рішенням. Для самої Єлінек приз несподіваний, вона «збентежена і зніяковіла». Через стійку агорафобію вона не забирає приз особисто, а надсилає відео, на якому читає свою промову в кулуарах. У ньому можна простежити деякі суттєві елементи її поетики. Реальність «не дає себе привести в порядок», вона «розпатлана», відсуває поета, чиє "місце завжди поза межами"; інтелектуал крокує поруч з іншими, але не вміє жити, як вони, його погляд косий: з цієї причини він має можливість подолати «говоріння» балаканини, щоб дійти до «говоріння», яке починається з поверхні речей, з опису реальності, але деконструює її, «проникаючи до серцевини. Як хробак у яблуці». Словам Єлінек приписує важке завдання і велику силу; її письмо, яке вона сама визначає як «мовну партитуру», працює на акустичному, ритмічному вимірі, це довга звукова хвиля, завдячена її музичній підготовці. У її текстах впізнаються підсилення, розширення, посилення, теми переплітаються за технікою контрапункту, є повторювана і нав’язлива хода фраз, сповнених уїдливої ​​віртуозності, літературних цитат, прогалин у мовному регістрі, каламбурів, зміст яких вона спотворює. За допомогою цієї вишуканої та профанаційної техніки вона хоче «змусити саму мову […], навіть проти її волі, відновити правду, яка лежить за речами». Єлінек аналізує неоліберальне капіталістичне суспільство, щоб показати його жорстокість, і особливо критично ставиться до своєї улюбленої та ненависної країни. Австрія живе в лицемірстві історичної брехні: вона не змирилася зі своєю антисемітською історією, з презирством до меншин, які для нацизму були «бактеріальною культурою».

Тема позбавленої пам'яті, присутня в багатьох творах, є очевидною в романі Die Ausgesperrten (За дверима), в якому вона вказує на безкарність багатьох нацистів (батько головного героя) і насильство, яке продовжується в суспільстві, отруюючи навіть молодих людей, які, по суті, гнівно відтворюють його. У Burgtheater (Міський театр), п'єса 1985 року, вона засуджує співучасть із нацизмом деяких акторів, відомих навіть після війни. Австрія продовжує залишатися закритою патерналістською країною, яка виключає жінок з висот культурного та музичного виробництва. Її феміністична позиція («якою ще повинна бути жінка?») спонукає її до безжального аналізу стосунків між статями — і сексуальності — як стосунків домінування, які посилюють соціальну нерівність. У романі Die Liebhaberinnen (Коханки) дві молоді героїні, жертви та спільники, вони бачать єдине можливе майбутнє в шлюбі та дітях, і не можуть відчути себе вільними, вивільнити свій голос, свій потенціал. «Якщо в когось є доля, то це у чоловіка, якщо хтось отримує долю, то це жінка». Еріка, вчителька фортепіано, яка є головною героїнею роману Die Klavierspielerin (Піаністка), живе в хворобливих і принизливих стосунках зі своєю амбітною та допитливою мамою. Вона живе вуаєристською сексуальністю, але коли вона вводить себе в оману, що може встановити стосунки (любовні?) з одним із своїх учнів, усе перетворюється на насильство: Клеммер, вільний від музичної дисципліни та поставлений нарівні з вчителькою, тепер, коли він навчився «пізнати свободу», розкриває справжню фалократичну природу стосунків між статями, застосовуючи жорстоке та первісне насильство проти жінки. У романі Lust (Хіть), одному з найбільш обговорюваних, визначеному як порнографічний через його грубість, письменниця описує за допомогою сміливих наративних стратегій (між іншим, колаж із любовної лірики великих авторів дев’ятнадцятого століття) тему жінки, зведеної до сексуального об’єкта в будь-якій формі стосунків, від порнографічної продукції до шлюбу (хоча тут і в більш прихованій формі).

Роман написаний у 1989 році, але й сьогодні, як він писав у 2020 році, по суті «зберігаються ті самі відносини влади між статями». «Вони діють тобі на нерви, тексти!» Вони виснажливі та пронизливі», – пише про неї Ніколас Стеманн. Це справді складне, провокаційне, тривожне, але необхідне читання: її герої вимагають не емпатичного ототожнення, а раціонального осмислення. Єлінек відкриває хвилюючі й нагальні питання про сучасність.

«Розповідь — це необхідність, інколи термінова потреба, але завжди політичний акт»: як молоток у руках Ельфріде Єлінек.

 

Wangari Maatha
Rosanna De Longis





Laura Zernik

 

Il Comitato norvegese per il Nobel ha deciso di assegnare il Premio Nobel per la Pace 2004 a Wangari Maathai per il suo contributo allo sviluppo sostenibile, alla democrazia e alla pace.

Wangari Maathai Muta nasce il 1° aprile del 1940 a Nyeri, nella regione montuosa centrale del Kenya britannico, in una famiglia poligamica contadina di etnia kikuyu dedita all’allevamento del bestiame. Per volere della madre e di uno dei fratelli maggiori, riceve un’istruzione primaria nelle scuole locali e prosegue gli studi nelle scuole cattoliche di lingua inglese. Gli ottimi risultati scolastici le valgono l’ammissione all’unico liceo femminile del Kenya, la Loreto High School di Limuru, dove manifesta i suoi interessi per le discipline scientifiche. Al tempo, poche erano le giovani che completavano le scuole superiori e, nella maggioranza dei casi, concludevano il loro percorso di formazione accedendo a un impiego come insegnanti o infermiere. Ma Wangari punta ad essere ammessa nella “Oxford dell’Africa orientale”, l’Università di Makerere. È la fine degli anni Cinquanta: in quel periodo prossimo alla decolonizzazione gli Stati Uniti attuano programmi di promozione degli studi e di formazione per la gioventù africana, la futura classe dirigente del continente. Wangari verrà selezionata tra le/i 300 studenti kenyoti che usufruiranno di una borsa di studio della Fondazione Joseph P. Kennedy per frequentare l’università negli Stati Uniti e viene indirizzata al Mount St. Scholastica College in Atchison (Kansas), gestito da suore benedettine, dove conseguirà il Bachelor of Science nel 1964; successivamente, nel 1966, otterrà la laurea di secondo livello in Biologia all’Università di Pittsburgh.

Gli anni statunitensi sono stati per lei «un periodo liberatorio, ma anche inquietante… Fino a quel momento ero vissuta fra le suore, come una suora». Il ritorno in patria, ormai divenuta indipendente, è carico di aspettative: Wangari è impaziente di mettere a frutto il suo ricco bagaglio di istruzione e di impegnarsi nella ricerca e nell’insegnamento universitario ponendosi al servizio delle persone deboli e indifese. Il suo entusiasmo entra in collisione con le logiche di spartizione “tribale” che affliggono l’amministrazione e l’accademia: dopo le prime delusioni per un lavoro promesso e poi negato, accetta di andare ancora una volta all’estero. Nel 1967 è in Germania, a Giessen e a Monaco, per proseguire le sue ricerche sui tessuti animali, già iniziate negli Stati Uniti, che la porteranno nel 1971 a conseguire un dottorato di ricerca in Anatomia veterinaria all’Università di Nairobi. Nel 1969 il matrimonio con Mwangi Maathai, un uomo d’affari che intende dedicarsi alla politica, dal quale avrà due figlie e un figlio. Ma inizia allora anche per Wangari un’intensa attività pubblica. Collabora con il marito, che nel 1974 è stato eletto nel parlamento keniota, nell’intento di creare nuovi posti di lavoro e fonda Envirocare, una società che crea vivai e intende finanziarsi con la vendita di alberi. Envirocare fallisce poco dopo, anche per la gestione clientelare dei finanziamenti da parte del governo, che porta avanti ampi programmi di disboscamento per far posto alle grandi e redditizie piantagioni di tè e caffè. Ma la strada di Wangari è ormai segnata. Sulla scorta dei suoi studi di veterinaria e delle conoscenze scaturite dall’appartenenza a una famiglia di allevatori, ha modo di notare i mutamenti che stanno intervenendo nell’ambiente, specie la desertificazione dei territori e il deterioramento delle condizioni della zootecnia, un àmbito nel quale il Kenya aveva ricoperto fino ad allora un ruolo di eccellenza nel continente africano.

In quegli anni, oltre a divenire militante della Croce Rossa, Wangari è invitata a far parte dell’Environment Liaison Centre, una Ong fondata da alcune organizzazioni ambientaliste per cooperare al Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep), e del National Council of Women of Kenya, fondato nel 1964, dove ricoprirà ben presto cariche di rappresentanza anche a livello internazionale. Durante la Giornata mondiale per l’ambiente del 1977, con altre donne del Consiglio nazionale, Wangari pianta sette alberi in un parco di Nairobi: è l’inizio del Green Belt Movement, che si batterà non solo contro il degrado ambientale, ma anche contro la corruzione del governo e del partito unico di Daniel Arap Moi, succeduto nel 1978 a Jomo Kenyatta alla presidenza del Kenya.

Il movimento cresce e con esso la popolarità della sua fondatrice. Il Green Belt riesce a coinvolgere una larga parte della popolazione femminile dal momento che sostiene anche la lotta per la democrazia, per l’uguaglianza e i diritti umani e civili, per la libertà di espressione e, successivamente, per la cancellazione del debito estero dei Paesi più poveri. A quel punto il governo keniota scatena contro il movimento campagne di diffamazione e una forte repressione. Per le attiviste si spalancano le porte del carcere: anche per Wangari, che già nel 1977 ha subito un arresto nel corso della causa di divorzio per colpa che il marito le ha intentato. La repressione contro le manifestazioni ambientaliste è così violenta e brutale da suscitare le proteste di governi stranieri. Tra le battaglie condotte da Wangari e dal Green Belt Movement, quella mirata a impedire la costruzione nel parco Uhruri di Nairobi di un grattacielo di 60 piani ha assunto un particolare significato anche simbolico per aver costretto gli investitori stranieri a recedere dal progetto, che avrebbe sottratto alla fruizione pubblica ulteriori spazi. Tutti gli anni Novanta vedono il Kenya scosso da lotte intestine violente e da feroci repressioni del dissenso politico e sociale da parte del governo: repressioni che colpirono a più riprese il Green Belt Movement e Wangari stessa, nuovamente imprigionata. Gli anni Duemila si aprono all’insegna di parziali aperture del Paese a una via democratica, ma Wangari non si sente ancora pienamente sicura che le persecuzioni verso di lei siano terminate. Tuttavia, dopo un breve periodo trascorso a Yale a insegnare presso la School of Forestry and Environmental Studies, nel 2002 decide di cogliere le opportunità che si offrono grazie al nuovo corso intrapreso dal Kenya e di presentarsi alle elezioni nelle liste della National Rainbow Coalition (Narc): con sua sorpresa, viene eletta con una maggioranza schiacciante di voti, tanto da diventare, nel nuovo governo, vice-ministra dell’Ambiente e delle risorse naturali.

Nell’ottobre 2004 riceve il Premio Nobel per la Pace a riconoscimento del valore del suo approccio olistico all’ambientalismo e allo sviluppo sostenibile che, intrecciando ricerca scientifica, impegno sociale e militanza politica, mette al centro i diritti umani e i diritti delle donne e con essi la democrazia nel suo complesso e nel suo significato più profondo. Da tempo malata di tumore, Wangari Maathai muore a Nairobi il 25 settembre 2011.

In chiusura dell'autobiografia Solo il vento mi piegherà, Wangari scrive:

«Il lavoro della mia vita è andato ben oltre il piantare semplicemente alberi.[…] Piantando alberi, le mie colleghe e io abbiamo piantato idee. Le idee, come gli alberi, sono cresciute. Fornendo istruzione, accesso all’acqua e uguaglianza, il nostro movimento dà potere alle persone – che per la maggior parte sono povere e donne – che possono così agire e migliorare direttamente la vita dei singoli e delle famiglie. La nostra esperienza di circa trent’anni ha anche dimostrato che azioni ritenute semplici possono portare a grandi cambiamenti, al rispetto dell’ambiente, al buongoverno e a una cultura di pace. Un tale mutamento non è limitato al Kenya o all’Africa. Le sfide che aspettano l’Africa, in particolare il degrado ambientale, riguardano il mondo intero».


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Le Comité Nobel norvégien a décidé de décerner le prix Nobel de la paix 2004 à Wangari Maathai pour sa contribution au développement durable, à la démocratie et à la paix.

Wangari Maathai Muta naît le 1er avril 1940 à Nyeri, dans la région montagneuse du centre du Kenya britannique, dans une famille polygame paysanne d’ethnie Kikuyu dédiée à l’élevage du bétail. Par la volonté de sa mère et d’un des frères aînés, elle reçoit une instruction primaire dans les écoles locales et poursuit ses études dans les écoles catholiques anglophones. Ses excellents résultats scolaires lui valent l’admission au seul lycée féminin du Kenya, le Loreto High School de Limuru, où elle manifeste son intérêt pour les disciplines scientifiques. À l’époque, peu de jeunes terminaient leurs études secondaires et, dans la plupart des cas, terminaient leur formation en accédant à un emploi d’enseignant ou d’infirmier. Mais Wangari vise à être admise dans "Oxford de l’Afrique de l’Est", l’Université de Makerere. C’est la fin des années Cinquante : dans cette période proche de la décolonisation, les États-Unis mettent en œuvre des programmes de promotion des études et de formation pour la jeunesse africaine, la future classe dirigeante du continent. Wangari sera sélectionnée parmi/les 300 étudiants kenyans qui bénéficieront d’une bourse de la Fondation Joseph P. Kennedy pour fréquenter l’université aux États-Unis et sera adressée au Mount St. Scholastica College à Atchison (Kansas), géré par des religieuses bénédictines, en 1964, elle obtient un Bachelor of Science, puis en 1966 un Bachelor of Biologie à l’Université de Pittsburgh.

Les années américaines ont été pour elle « une période libératrice, mais aussi inquiétante... Jusqu’à ce moment j’avais vécu parmi les sœurs, comme une soeur ». Wangari est impatient de mettre à profit son riche bagage éducatif et de s’engager dans la recherche et l’enseignement universitaires en se mettant au service des personnes faibles et sans défense. Son enthousiasme entre en collision avec les logiques de partage "tribales" qui affligent l’administration et l’académie : après les premières déceptions pour un travail promis puis refusé, elle accepte d’aller une fois de plus à l’étranger. En 1967, elle est en Allemagne, à Giessen et à Munich pour poursuivre ses recherches sur les tissus animaux, déjà commencées aux États-Unis, qui l’amèneront en 1971 à obtenir un doctorat en anatomie vétérinaire à l’Université de Nairobi. En 1969, elle épouse Mwangi Maathai, un homme d’affaires qui veut se consacrer à la politique, avec qui elle aura deux filles et un fils. Mais une intense activité publique commence alors pour Wangari. Elle collabore avec son mari, qui a été élu au parlement kenyan en 1974, dans le but de créer de nouveaux emplois et fonde Envirocare, une société qui crée des pépinières et entend se financer par la vente d’arbres. Envirocare échoue peu de temps après, y compris pour la gestion clientéliste des financements par le gouvernement, qui mène de vastes programmes de déforestation pour faire place aux grandes plantations rentables de thé et de café. Mais la route de Wangari est désormais tracée. Sur la base de ses études vétérinaires et des connaissances issues de l’appartenance à une famille d’éleveurs, elle a pu noter les changements qui interviennent dans l’environnement, notamment la désertification des territoires et la détérioration des conditions de l’élevage, le Kenya avait jusqu’alors joué un rôle d’excellence sur le continent africain.

Pendant ces années, en plus de devenir militante de la Croix-Rouge, Wangari est invitée à faire partie de l’Environment Liaison Centre, une ONG fondée par des organisations environnementales pour coopérer au Programme des Nations Unies pour l’environnement (UNEP)Le Conseil national des femmes du Kenya, fondé en 1964, y occupera bientôt des postes de représentation au niveau international. Lors de la Journée mondiale de l’environnement de 1977, Wangari plante sept arbres dans un parc de Nairobi avec d’autres femmes du Conseil national: c’est le début du Green Belt Movement, qui se battra non seulement contre la dégradation de l’environnement, mais aussi contre la corruption du gouvernement et du parti unique de Daniel Arap Moi, qui a succédé en 1978 à Jomo Kenyatta à la présidence du Kenya.

Le mouvement augmente et avec lui la popularité de sa fondatrice. La ceinture verte parvient à impliquer une grande partie de la population féminine puisqu’elle soutient également la lutte pour la démocratie, pour l’égalité et les droits humains et civils, pour la liberté d’expression et, au final, pour l’annulation de la dette extérieure des pays les plus pauvres. Le gouvernement kényan déclenche alors des campagnes de diffamation et une forte répression. Pour les activistes, les portes de la prison s’ouvrent grand, y compris pour Wangari, qui a déjà été arrêté en 1977 dans le cadre de la procédure de divorce pour faute que son mari lui a intentée. La répression contre les manifestations environnementales est si violente et brutale qu’elle suscite des protestations de gouvernements étrangers. Entre les batailles menées par Wangari et le Green Belt Movement, celle visant à empêcher la construction dans le parc Uhruri de Nairobi d’un gratte-ciel de 60 étages a pris une signification particulièrement symbolique en obligeant les investisseurs étrangers à se retirer du projet, qui aurait soustrait à la jouissance publique des espaces supplémentaires. Dans les années 1990, le Kenya est secoué par des luttes intestines violentes et par de féroces répressions de la dissidence politique et sociale du gouvernement : des répressions qui ont frappé à plusieurs reprises le Green Belt Movement et Wangari elle-même, à nouveau emprisonnée. Les années 2000 s’ouvrent à des ouvertures partielles du pays vers une voie démocratique, mais Wangari ne se sent pas encore pleinement sûre que les persécutions contre elle soient terminées. Cependant, après une brève période passée à Yale pour enseigner à la School of Forestry and Environmental Studies, en 2002, elle décide de saisir les opportunités qui s’offrent grâce au nouveau parcours entrepris par le Kenya et de se présenter aux élections dans les listes de la National Rainbow Coalition (NARC) : à sa surprise, elle est élue avec une majorité de voix écrasante, elle est devenue vice-ministre de l’environnement et des ressources naturelles dans le nouveau gouvernement.

En octobre 2004, elle reçoit le prix Nobel de la paix pour la reconnaissance de la valeur de son approche holistique de l’environnementalisme et du développement durable qui, mêlant recherche scientifique, engagement social et militantisme politique, met au centre des droits de l’homme et des droits de la femme, et avec eux la démocratie dans son ensemble et son sens le plus profond. Wangari Maathai meurt d’un cancer à Nairobi le 25 septembre 2011.

En conclusion de l’autobiographie Seul le vent me pliera, Wangari écrit:

«Le travail de ma vie est allé bien au-delà de la simple plantation d’arbres. [... ] En plantant des arbres, mes collègues et moi avons planté des idées. Les idées, comme les arbres, ont grandi. En fournissant l’éducation, l’accès à l’eau et l’égalité, notre mouvement donne du pouvoir aux personnes - qui sont pour la plupart des pauvres et des femmes - qui peuvent ainsi agir et améliorer directement la vie des individus et des familles. Notre expérience d’environ trente ans a également montré que des actions considérées comme simples peuvent conduire à de grands changements, au respect de l’environnement, à la bonne gouvernance et à une culture de paix. Un tel changement ne se limite pas au Kenya ou à l’Afrique. Les défis qui attendent l’Afrique, en particulier la dégradation ambiante, concernent le monde entier».


Traduzione inglese

Syd Stapleton

The Norwegian Nobel Committee awarded the 2004 Nobel Peace Prize to Wangari Maathai for her contributions to sustainable development, democracy and peace.

Wangari Maathai Muta was born on April 1, 1940, in Nyeri, in the central mountainous region of British Kenya, into a polygamous ethnic Kikuyu peasant family dedicated to cattle ranching. At the behest of her mother and one of her older brothers, she received a primary education in local schools and continued her studies in English-speaking Catholic schools. Her excellent academic performance earned her admission to Kenya's only girls' high school, Loreto High School in Limuru, where she manifested her interests in science subjects. At the time, few young women completed high school and, in most cases, finished their education by accessing employment as teachers or nurses. But Wangari aimed to be admitted into the "Oxford of East Africa," Makerere University. It was the late 1950s. In that period close to decolonization, the United States was implementing programs to promote studies and train African youth, the continent's future ruling class. Wangari was selected to be among the 300 Kenyan students who would take advantage of a Joseph P. Kennedy Foundation scholarship to attend university in the United States, and was directed to Mount St. Scholastica College in Atchison, Kansas, run by Benedictine nuns, where she earned a Bachelor of Science degree in 1964. Later, in 1966, she earned a Bachelor of Science degree in Biology from the University of Pittsburgh.

The U.S. years were for her "a liberating period, but also a disturbing one... Until then I had lived among nuns, like a nun." Her return to her homeland, now independent, was full of expectations. Wangari was eager to put her rich educational background to good use and to engage in research and university teaching, placing herself at the service of the weak and helpless. Her enthusiasm collided with the logic of "tribal" partition that plagued the administration and the schools. After initial disappointments over a job promised and then denied, she agreed to go abroad once again. In 1967 she was in Germany, in Giessen and Munich, to continue her research on animal tissues, already begun in the United States, which led, in 1971, to a Ph.D. in Veterinary Anatomy from the University of Nairobi. In 1969 she married Mwangi Maathai, a businessman who intended to go into politics, by whom she would have two daughters and a son. But then an intense period of public activity also began for Wangari. She collaborated with her husband, who was elected to the Kenyan parliament in 1974, in an effort to create new jobs and founded Envirocare, a company that created nurseries and intended to finance itself by selling trees. Envirocare failed shortly thereafter, in part because of the government's crony management of funding, which pursued extensive logging programs to make way for large and profitable tea and coffee plantations. But Wangari's path was now chosen. On the basis of her veterinary studies and the knowledge derived from belonging to a family of livestock farmers, she had a way of noticing the changes that are taking place in the environment, especially the desertification of the territories and the deteriorating conditions of animal husbandry, an area in which Kenya had until then played a role of excellence on the African continent.

In those years, in addition to becoming a Red Cross militant, Wangari was invited to join the Environment Liaison Centre, an NGO founded by a number of environmental organizations to cooperate with the United Nations Environment Program (UNEP), and the National Council of Women of Kenya, founded in 1964, where she soon held representative positions also at the international level. On World Environment Day 1977, with other women from the National Council, Wangari planted seven trees in a Nairobi park. It was the beginning of the Green Belt Movement, which came to fight not only against environmental degradation, but also against the corruption of the government and single party of Daniel Arap Moi, who succeeded Jomo Kenyatta as president of Kenya in 1978.

The movement grew and with it the popularity of its founder. The Green Belt succeeded in engaging a large section of the female population since it also supported the struggle for democracy, equality and human and civil rights, freedom of expression, and, later, the cancellation of the foreign debt of the poorest countries. At that point, the Kenyan government unleashed smear campaigns and severe repression against the movement. For the activists, the gates of prison opened wide, including for Wangari, who as early as 1977 suffered an arrest in the course of her husband's wrongful divorce suit against her. Repression against environmentalist demonstrations was so violent and brutal that it provoked protests from foreign governments. Among the battles waged by Wangari and the Green Belt Movement, the one aimed at preventing the construction in Nairobi's Uhruri Park of a 60-story skyscraper took on particular symbolic significance for forcing foreign investors to withdraw from the project, which would have taken additional space away from public enjoyment. The entire 1990s saw Kenya shaken by violent infighting and fierce government crackdowns on political and social dissent: crackdowns that repeatedly affected the Green Belt Movement and Wangari herself, who was again imprisoned. The 2000s began under the banner of the country's partial openings to a democratic path, but Wangari still did not feel fully confident that her persecution had ended. However, after a brief stint at Yale teaching at the School of Forestry and Environmental Studies, in 2002 she decided to seize the opportunities afforded by Kenya's new course and stand for election on the National Rainbow Coalition (NARC) lists. To her surprise, she was elected with an overwhelming majority of votes, so much so that she became, in the new government, deputy minister of Environment and Natural Resources.

In October 2004, she received the Nobel Peace Prize in recognition of the value of her holistic approach to environmentalism and sustainable development, which, by interweaving scientific research, social engagement and political activism, focused on human rights and women's rights and with them democracy as a whole and in its deepest meaning. Long ill with cancer, Wangari Maathai died in Nairobi on September 25, 2011.

In closing her autobiography Only the Wind Will Bend Me, Wangari writes:

«My life's work has gone far beyond simply planting trees... By planting trees, my colleagues and I have planted ideas. Ideas, like trees, have grown. By providing education, access to water, and equality, our movement empowers people - most of whom are poor and women - who can then take action and directly improve the lives of individuals and families. Our experience of nearly three decades has also shown that actions that are considered simple can lead to great change, respect for the environment, good governance and a culture of peace. Such change is not limited to Kenya or Africa. The challenges facing Africa, particularly environmental degradation, affect the whole world».


Traduzione spagnola

Vanessa Dumassi

El Comité Noruego del Nobel decidió conceder el Premio Nobel de la Paz de 2004 a Wangari Maathai por su contribución al desarrollo sostenible, a la democracia y a la paz.

Wangari Maathai Muta nació el 1 de abril de 1940 en Nyeri, región montañosa central de la Kenia británica, en el seno de una familia polígama de agricultores de etnia kikuyu que se dedicaba a la cría de ganado. Por la voluntad de su madre y de uno de sus hermanos mayores, fue educada en una escuela primaria local y luego continuó sus estudios en la escuela católica de habla inglesa. Sus brillantes resultados escolares le proporcionaron la posibilidad de ser admitida en el único instituto femenino de Kenia, la Loreto High School de Limuru, donde manifestó su interés por las asignaturas científicas. En aquella época las mujeres jóvenes que terminaban el bachillerato eran muy pocas y, en la mayoría de los casos, completaban su formación obteniendo un empleo como maestras o enfermeras. A pesar de esta tendencia, Wangari aspira a ingresar en la "Oxford de África Oriental", la Universidad de Makerere. Estamos a finales de los años 50: en ese periodo, próximo a la descolonización, los Estados Unidos activan programas para promover los estudios y la formación de la juventud africana, futura clase dirigente del continente. Wangari será seleccionada entre las/los 300 estudiantes keniatas que reciben una beca de la Fundación Joseph P. Kennedy para cursar los estudios universitarios en Estados Unidos y destinada al Mount St. Scholastica College de Atchison (Kansas), dirigido por monjas benedictinas, donde se licenciará en 1964; posteriormente, en 1966, se especializará en Biología en la Universidad de Pittsburgh.

Los años que pasó en Estados Unidos fueron para ella «un periodo liberador, pero también inquietante... Hasta entonces había vivido entre monjas, como una monja». El regreso a su patria, ahora país independiente, está lleno de expectativas: Wangari desea emplear su rico bagaje educativo y dedicarse a la investigación y a la enseñanza universitaria en beneficio de los débiles y desamparados. Pero su entusiasmo choca con la lógica de la partición "tribal" que aflige la administración y la academia: tras las decepciones iniciales por un trabajo prometido y luego denegado, acepta irse al extranjero una vez más. En 1967 se encuentra en Alemania, en Giessen y en Múnich, para continuar sus investigaciones sobre los tejidos animales, que ya había iniciado en Estados Unidos y que la llevaron a doctorarse en Anatomía Veterinaria en la Universidad de Nairobi en 1971. En 1969 se casa con Mwangi Maathai, un hombre de negocios que se dedica a la política, con quien tendrá dos hijas y un hijo. Entonces también para Wangari comienza una intensa actividad pública. Colabora con su marido, elegido diputado en el Parlamento keniano en 1974, para crear nuevos puestos de trabajo y funda Envirocare, una empresa que fabrica viveros y pretende financiarse vendiendo árboles. Envirocare fracasó poco después, en parte a causa de la gestión clientelar de la financiación por parte del gobierno, que llevó a cabo amplios programas de deforestación para dejar paso a grandes y rentables plantaciones de té y café. Sin embargo, el camino de Wangari ya está marcado. Gracias a sus estudios de veterinaria y a los conocimientos adquiridos por pertenecer a una familia de ganaderos, se da cuenta de los cambios que se producen en el medio ambiente y, especialmente, de la desertización de los territorios y del deterioro de las condiciones de la zootecnia, un ámbito en el que hasta entonces Kenia había desempeñado un papel de excelencia en el continente africano.

En aquellos años, además de convertirse en militante de la Cruz Roja, Wangari fue invitada a formar parte del Environment Liaison Centre –una ONG fundada por un conjunto de organizaciones ecologistas para cooperar con el Programa de las Naciones Unidas para el Medio Ambiente (PNUMA)– y del National Council of Women of Kenya, fundado en 1964, donde pronto ocupó cargos de representación a escala internacional. Durante la Jornada mundial del medio ambiente de 1977, junto a otras mujeres del Consejo Nacional, Wangari planta siete árboles en un parque de Nairobi: este es el inicio del Green Belt Movement que no luchará solo contra la degradación del medio ambiente, sino también contra la corrupción del gobierno y del partido único de Daniel Arap Moi que sucedió a Jomo Kenyatta como presidente de Kenia en 1978.

El movimiento crece junto a la popularidad de su fundadora. El Green Belt involucra a gran parte de la población femenina ya que también apoya la lucha por la democracia, por la igualdad y por los derechos humanos y civiles, por la libertad de expresión y, posteriormente, por la condonación de la deuda externa de los países más pobres. Debido a ello, el gobierno de Kenia emprende campañas de difamación y una fuerte represión contra el movimiento. Las puertas de la cárcel se abren para las activistas: también para Wangari que ya había sido detenida en 1977 por la causa legal de divorcio presentada por su marido. La represión contra las manifestaciones ecologistas es tan violenta y brutal que provoca las protestas de los gobiernos extranjeros. Entre las batallas emprendidas por Wangari y por el Green Belt una –más concretamente la destinada a impedir la construcción de un rascacielos de 60 pisos en el parque Uhruri de Nairobi– adquirió un significado simbólico especial, ya que obligó a los inversores extranjeros a retirarse del proyecto que hubiera privado a la población de otro espacio público. En la década de 1990 Kenia se vio sacudida por violentas luchas internas y por una feroz represión relacionada al disentimiento político y social del gobierno: represiones que afectaron reiteradamente al Green Belt Movement y a la misma Wangari que fue encarcelada otra vez. La década de 2000 empieza con la apertura parcial de su país a una vía democrática, pero Wangari aún no está segura de que la persecución contra ella haya terminado. A pesar de esto, tras una breve temporada en Yale enseñando en la Escuela de Silvicultura y Estudios Medioambientales, en 2002 decide aprovechar las oportunidades que ofrece el nuevo rumbo de Kenia y se presenta a las elecciones en las listas de la Coalición Nacional Arco Iris (NARC): sorprendentemente para ella, es elegida con una aplastante mayoría de votos y se convierte en Viceministra de Medio Ambiente y Recursos Naturales del nuevo gobierno.

En octubre de 2004 recibió el Premio Nobel de la Paz en reconocimiento al valor de su enfoque holístico al ambientalismo y al desarrollo sostenible que, entrelazando investigación científica, compromiso social y militancia política, se centra en los derechos humanos y los derechos de las mujeres y, con ellos, en la democracia en su totalidad y en su significado más profundo. Wangari Maathai, enferma de cáncer desde hacía mucho tiempo, fallece en Nairobi el 25 de septiembre de 2011.

Al final de su autobiografía Unbowed. A memoir, Wangari escribe:

«La labor de mi vida ha ido mucho más allá de la simple plantación de árboles [...]. Plantando árboles, mis colegas y yo, hemos plantado ideas. Las ideas, como los árboles, han crecido. Al proporcionar educación, acceso al agua e igualdad, nuestro movimiento empodera a las personas –en su mayoría pobres y mujeres– que pueden así actuar y mejorar su propia vida y la de sus familias. Nuestra experiencia, de unos treinta años de duración, también ha demostrado que acciones consideradas sencillas pueden conducir a grandes cambios, al respeto del medio ambiente, a la buena gobernanza y a una cultura de paz. Este cambio no se limita a Kenia o a África. Los retos a los que se enfrenta África, en particular la degradación del medio ambiente, afectan a todo el mundo».


Traduzione ucraina

Alina Petelko

Норвезький Нобелівський комітет прийняв рішення присудити Нобелівську премію миру 2004 року Вангарі Маатаї за її внесок у сталий розвиток, демократію та мир.

Вангарі Маатаї Мута народився 1 квітня 1940 року в місті Ньєрі, в центральному гірському районі Британської Кенії, в полігамній фермерській родині племені кікуйю. За бажанням матері та одного зі старших братів отримала початкову освіту в місцевих школах, а продовжила навчання в англомовних католицьких школах. Відмінні результати у навчанні дозволили їй вступити до єдиної в Кенії середньої школи для дівчат "Лорето" в Лімуру, де вона виявила інтерес до природничих дисциплін. У той час мало хто з дівчат закінчував середню школу і, в більшості випадків, завершував свою освіту, влаштовуючись на роботу вчителями або медсестрами. Але Вангарі прагне вступити до "Оксфорду Східної Африки" - Університету Макерере. Це кінець 1950-х років: у той час, близький до деколонізації, Сполучені Штати впроваджують програми сприяння навчанню та підготовці африканської молоді - майбутнього правлячого класу континенту. Вангарі була відібрана як одна з 300 кенійських студентів для отримання стипендії Фонду Джозефа П. Кеннеді для навчання в університетах США і була направлена до коледжу Маунт Сент-Схоластика в Атчісоні (штат Канзас), яким керують монахині-бенедиктинки, де у 1964 році отримала ступінь бакалавра природничих наук. Пізніше, у 1966 році, вона отримала ступінь бакалавра біології в Піттсбурзькому університеті.

Американські роки були для неї "періодом визволення, але й тривожним періодом... До того часу я жила серед монахинь, як черниця". Її повернення додому, тепер уже незалежної, сповнене надій: Вангарі прагне застосувати свій багатий освітній досвід і зайнятися науковими дослідженнями та викладанням в університеті, присвятивши себе служінню слабким і беззахисним. Його ентузіазм наштовхується на логіку "родового" поділу, що панує в адміністрації та академії: після перших розчарувань у обіцяній, а потім відмовленій роботі, він знову погоджується виїхати за кордон. У 1967 році вона перебувала в Німеччині, в Гіссені та Мюнхені, щоб продовжити свої дослідження тканин тварин, розпочаті ще в Сполучених Штатах, які приведуть її до здобуття наукового ступеня доктора ветеринарної анатомії в Університеті Найробі в 1971 році. У 1969 році вийшла заміж за Мвангі Маатаї, бізнесмена, який мав намір присвятити себе політиці, від якого народила двох дочок і сина. Але потім для Вангарі почалася й інтенсивна громадська діяльність. Разом з чоловіком, який був обраний до кенійського парламенту в 1974 році, вона працює над створенням нових робочих місць і засновує компанію Envirocare, яка створює розсадники і має намір фінансувати себе за рахунок продажу дерев. Невдовзі після цього компанія "Енвірокеар" зазнала невдачі, частково через те, що урядовці, які керували фінансуванням, здійснили масштабні програми вирубки лісів, щоб звільнити місце для великих і прибуткових чайних та кавових плантацій. Але шлях Вангарі тепер позначений. На основі своєї ветеринарної освіти та знань, отриманих у родині тваринників, він помітив зміни, що відбуваються в навколишньому середовищі, особливо опустелювання земель та погіршення умов ведення тваринництва - галузі, в якій Кенія до цього часу відігравала провідну роль на африканському континенті

У ті роки, окрім того, що Вангарі стала бойовиком Червоного Хреста, її запросили приєднатися до Центру зв'язку з навколишнім середовищем - неурядової організації, заснованої низкою екологічних організацій для співпраці з Програмою ООН з навколишнього середовища (ЮНЕП), а також до Національної ради жінок Кенії, заснованої у 1964 році, де вона незабаром обійматиме представницькі посади також і на міжнародному рівні. У Всесвітній день охорони навколишнього середовища 1977 року разом з іншими жінками з Національної ради Вангарі посадила сім дерев у парку в Найробі: це стало початком Руху зелених поясів, який боротиметься не лише проти деградації довкілля, а й проти корупції уряду та єдиної партії Даніеля Арапа Мой, який змінив Джомо Кеніатту на посаді президента Кенії у 1978 році.

Рух зростає, а з ним і популярність його засновника. Зеленому поясу вдається залучити значну частину жіночого населення, оскільки він також підтримує боротьбу за демократію, за рівність і права людини і громадянина, за свободу вираження поглядів і, згодом, за списання зовнішнього боргу найбідніших країн. Тоді кенійський уряд розгорнув проти руху наклепницькі кампанії та потужні репресії. Для активістів широко відчинилися ворота в'язниці, в тому числі і для Вангарі, яка вже була заарештована в 1977 році в ході неправомірного шлюборозлучного процесу її чоловіка проти неї. Репресії проти демонстрацій екологів є настільки жорстокими і брутальними, що викликають протести з боку іноземних урядів. Серед битв, які вели Вангарі та Рух зелених поясів, особливого символічного значення набула боротьба за недопущення будівництва 60-поверхового хмарочоса в парку Урурі в Найробі, що змусило іноземних інвесторів вийти з проекту, який мав би вилучити з громадського користування ще більшу площу. Всі 1990-ті роки Кенію стрясали жорстокі міжусобиці і жорстокі репресії проти політичного і соціального інакомислення з боку уряду: репресії, які неодноразово зачіпали Рух Зеленого поясу і саму Вангарі, яка в черговий раз була ув'язнена. 2000-ні роки розпочалися з часткового відкриття країни на демократичний шлях, але Вангарі все ще не відчуває повної впевненості в тому, що переслідування її закінчилися. Однак, після короткого періоду, проведеного в Єльському університеті, де вона викладала в Школі лісового господарства та екологічних досліджень, в 2002 році вона вирішила скористатися можливостями, запропонованими новим напрямком розвитку Кенії, і висунула свою кандидатуру на виборах від Національної коаліції "Райдуга" (Narc). На її подив, вона була обрана переважною більшістю голосів, настільки, що стала заступником міністра навколишнього середовища і природних ресурсів в новому уряді.

У жовтні 2004 року він отримав Нобелівську премію миру на знак визнання цінності його цілісного підходу до екології та сталого розвитку, який, переплітаючи наукові дослідження, соціальні зобов'язання та політичну активність, зосереджується на правах людини та правах жінок, а разом з ними і на демократії в цілому та в її найглибшому значенні. Багатостраждальний від раку Вангарі Маатаї помер у Найробі 25 вересня 2011 року.

Завершуючи свою автобіографію "Тільки вітер зігне мене", Вангарі пише:

«Робота мого життя вийшла далеко за межі простого садіння дерев. [...] Саджаючи дерева, я і мої колеги саджали ідеї. Ідеї, як дерева, розрослися. Забезпечуючи освіту, доступ до води та рівність, наш рух розширює можливості людей - більшість з яких є бідними та жінками - які таким чином можуть діяти та безпосередньо покращувати життя окремих людей та сімей. Наш 30-річний досвід також показав, що дії, які вважаються простими, можуть призвести до великих змін, поваги до навколишнього середовища, належного врядування та культури миру. Такі зміни не обмежуються Кенією чи Африкою. Виклики, з якими стикається Африка, зокрема, погіршення стану довкілля, впливають на весь світ».

 

Doris Lessing
Donatella Caione





Laura Zernik

 

Premio Nobel per la letteratura 2007. «Cantrice dell’esperienza femminile che con scetticismo, passione e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa».

Doris May Taylor in Lessing nasce nel 1919 in Persia da genitori inglesi (il padre era un reduce di guerra vittima di alcune amputazioni) e si sposta con la famiglia in Rhodesia (attuale Zimbabwe). Qui frequenta una scuola cattolica e un liceo per ragazze, ma a tredici anni abbandona la scuola e poi anche la famiglia a causa di un difficile rapporto con la madre, che avrà una forte influenza nella sua carriera di scrittrice. Studia da autodidatta nella famiglia dove a quindici anni va a fare la bambinaia. Diventa centralinista, si sposa due volte e due volte divorzia; il secondo marito è Gottfried Lessing, di cui prende il cognome e ha tre figli. Il suo attivismo politico e sociale inizia dopo il primo divorzio. Nel 1943 si iscrive al Partito Comunista ma soprattutto sposa la causa africana, contro il colonialismo e la supremazia dei bianchi, anche se ciò le costerà nel 1956 l’essere bandita dallo Zimbabwe (dove potrà tornare solo nel 1995). Il suo primo romanzo, L’erba canta, viene pubblicato a Londra nel 1950 (anno del secondo divorzio), dopo il suo trasferimento in Europa.

Nel 2001 fu premiata con il Premio Principe delle Asturie nella categoria Letteratura per le sue opere in difesa della libertà e del Terzo mondo e il Premio Grinzane Cavour. Ha ricevuto inoltre il David Cohen British Literature Prize. Nel 2007 è la volta del premio Nobel per la letteratura. Ai giornalisti che si recarono davanti casa sua per intervistarla, rispose: «Erano trent’anni che lo aspettavo. La gente che non ha sentito parlare di me, adesso, andrà a comprare i miei libri. È una bella cosa, guadagnerò un po’ di soldi». Doris Lessing era così, ironica, tagliente, spietatamente sincera. In realtà il suo romanzo Il taccuino d’oro (che la fece entrare nella rosa dei candidati al Nobel nel 1996) è considerato un classico della letteratura femminista, ma Lessing non ha mai amato essere considerata un’autrice femminista.

Al riguardo ha espresso chiaramente il suo pensiero:

«Quello che le femministe vogliono da me è qualcosa che loro non hanno preso in considerazione perché proviene dalla religione. Vogliono che sia loro testimone. Quello che veramente vorrebbero dirmi è “Sorella, starò al tuo fianco nella lotta per il giorno in cui quegli uomini bestiali non ci saranno più”. Veramente vogliono che si facciano affermazioni tanto semplificate sugli uomini e sulle donne? In effetti, lo vogliono davvero. Sono arrivata con grande rammarico a questa conclusione».

La produzione letteraria di Doris Lessing è vastissima, ha scritto più di cinquanta romanzi, e comprende i più diversi generi letterari: romanzi realistici, romanzi di fantascienza, racconti, opere teatrali, saggi, memorie autobiografiche ed anche una serie di romanzi e brevi racconti sui gatti. Oltre ad avere sperimentato i vari generi letterari ha affrontato anche le tematiche più diverse, precorrendo temi e modalità espressive, ma anche problematiche. Le sue prime opere furono soprattutto dedicate alle tematiche sociali e alla segregazione razziale nello Zimbabwe. Successivamente ha affrontato temi intimamente umani e in particolare il ruolo delle donne nella società.

Il taccuino d’oro, del 1962, racconta di Anna Wulf, madre single e lavoratrice, senza tabù nel narrare di mestruazioni, orgasmi, sesso, relazioni, svelando tutto ciò che in qualche modo allora faceva parte della vita segreta delle donne, quasi come se fossero cose inesistenti.

Il quinto figlio, del 1988, invece sconfessa l’immagine della mamma amorevole, rompe lo stereotipo della maternità come momento sempre felice oltre che come momento unico per la realizzazione delle donne ed anche questo è un forte atto di rottura.

Il racconto Le nonne, uno dei suoi ultimi scritti, trasposto per il cinema nel film Two mothers, affronta un altro tema vietato: racconta di due amiche che si innamorano l’una del figlio dell’altra diventando entrambe delle figure di riferimento nelle vite dei due uomini anche quando sono adulti.

Nella serie I figli della violenza, scritta durante gli anni Cinquanta, spiccano i primi due: Martha Quest e Un matrimonio per bene in cui l’autrice racconta la storia di Martha, nel primo durante la fase della giovinezza e nel secondo di un matrimonio e una vita coniugale difficile.

Il diario di Jane Somers, del 1983, è un romanzo intenso e commovente in cui la protagonista, cinquantenne di successo, riguarda alla sua vita dopo l’amicizia con Maude, una vicina novantenne. «D’altra parte alcune settimane fa io non mi rendevo nemmeno conto dell’esistenza degli anziani. I miei occhi venivano attratti dalle persone giovani, belle, eleganti, piacevoli, e vedevo solo quelle. Ora è come se un velo fosse stato steso su quelle immagini, e sopra il velo, tutt’a un tratto, ci sono i vecchi, i malati».

È del 1985 La brava terrorista. Sembra incredibile come con il titolo l’autrice sia riuscita a rendere la complessità della protagonista e la particolarità della sua situazione: vive in una casa con dei terroristi, con loro non condivide manifestazioni, picchetti e discussioni ma si occupa di tenere in ordine la casa, trovare i soldi per apportare migliorie, lavare, cucinare, insomma prendersi cura del gruppo. E mentre gli altri e le altre pensano alla rivoluzione lei ricorda la sua vita passata, quando la sua famiglia era unita e la sua casa accogliente. E non riesce a condividere la violenza programmata dal gruppo.

E poi c’è la serie di fantascienza, Canopus in Argos, scritta all’inizio degli anni Ottanta, che comprende cinque romanzi. Non sono fra i suoi romanzi più noti, ma sono stati da lei molto amati anche perché le hanno permesso di essere conosciuta tra il pubblico più giovane. Si tratta di romanzi comunque intrisi di temi spirituali e mistici del Sufismo, una corrente di pensiero islamica a cui Doris Lessing si era interessata durante la metà degli anni Sessanta.

Muore a Londra, nel sonno, il 17 novembre 2013 all’età di 94 anni. Vienna, Vitoria-Gasteiz, Gundelsheim e Copenaghen (in foto) sono state le prime città a intitolarle strade.


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Prix Nobel de littérature 2007. «Chanteuse de l’expérience féminine qui, avec scepticisme, passion et pouvoir visionnaire, a mis en examen une civilisation divisée».

Doris May Taylor in Lessing naît en 1919 en Perse de parents anglais (son père était un vétéran de la guerre et victime de plusieurs amputations) et déménage avec sa famille en Rhodésie (actuel Zimbabwe). Ici, elle fréquente une école catholique et un lycée pour filles, mais à treize ans, elle abandonne l’école puis la famille à cause d’une relation difficile avec sa mère, qui aura une forte influence dans sa carrière d’écrivain. Elle étudie en autodidacte dans la famille où, à 15 ans, elle devient nounou. Elle devient réceptionniste, se marie deux fois et divorce deux fois; le second mari est Gottfried Lessing, dont elle prend le nom et a trois enfants. Son activisme politique et social commence après le premier divorce. En 1943, elle s’inscrit au Parti communiste mais surtout elle soutient la cause africaine, contre le colonialisme et la suprématie des blancs, même si cela lui coûtera en 1956 l’interdiction du Zimbabwe (où elle ne pourra revenir qu’en 1995). Son premier roman, L’erba canta, est publié à Londres en 1950 (année du second divorce), après son transfert en Europe.

En 2001, elle a reçu le Prix Prince des Asturies dans la catégorie Littérature pour ses œuvres en défense de la liberté et du tiers monde et le Prix Grinzane Cavour. Elle a également reçu le David Cohen British Literature Prize. En 2007, elle obtient le prix Nobel de littérature. Aux journalistes qui se rendirent devant sa maison pour l’interviewer, elle répondit : «Cela faisait trente ans que je l’attendais. Les gens qui n’ont pas entendu parler de moi vont maintenant aller acheter mes livres. C’est une bonne chose, je vais gagner un peu d’argent ». Doris Lessing était aussi ironique, pointue, impitoyablement et sincère. En réalité, son roman Le carnet d’or (qui l’a fait entrer dans la liste des candidats au prix Nobel en 1996) est considéré comme un classique de la littérature féministe, mais Lessing n’a jamais aimé être considérée comme une auteure féministe.

A cet égard, elle a clairement exprimé sa pensée:

«Ce que les féministes veulent de moi, c’est quelque chose qu’elles n’ont pas pris en considération parce qu’il vient de la religion. Ils veulent que je sois leur témoin. Ce qu’ils veulent vraiment me dire, c’est "Ma sœur, je serai à tes côtés dans la lutte pour le jour où ces hommes bestiaux ne seront plus là". Veulent-ils vraiment que l’on fasse des affirmations aussi simplifiées sur les hommes et les femmes? En fait, ils le veulent vraiment. Je suis arrivée avec grand regret à cette conclusion ».

La production littéraire de Doris Lessing est très vaste, elle a écrit plus de cinquante romans, et comprend les genres littéraires les plus divers : romans réalistes, romans de science-fiction, nouvelles, pièces de théâtre, essais, mémoires autobiographiques et aussi une série de romans et de nouvelles sur les chats. En plus d’avoir expérimenté les différents genres littéraires, elle a également abordé les thématiques les plus diverses, en anticipant les thèmes et les modalités expressives, mais aussi les problématiques. Ses premières œuvres sont principalement consacrées aux questions sociales et à la ségrégation raciale au Zimbabwe. Elle a ensuite abordé des thèmes intimement humains et en particulier le rôle des femmes dans la société.

Le carnet d’or, de 1962, raconte d’Anna Wulf, mère célibataire et travailleuse, sans tabou en racontant les règles, les orgasmes, le sexe, les relations, révélant tout ce qui faisait alors partie de la vie secrète des femmes, presque comme si elles n’existaient pas.

Le cinquième fils, de 1988, au contraire, désavoue l’image de la mère aimante, rompt le stéréotype de la maternité comme moment toujours heureux et comme moment unique pour la réalisation des femmes et cela aussi est un fort acte de rupture.

Le récit Les grands-mères, l’un de ses derniers écrits, transposé pour le cinéma dans le film Two mothers, aborde un autre thème interdit : Elle raconte l’histoire de deux amies qui tombent amoureuses l’une de l’autre, devenant toutes deux des figures de référence dans la vie des deux hommes, même lorsqu’elles sont adultes.

Dans la série Les Enfants de la violence, écrite dans les années Cinquante, les deux premiers se distinguent : Martha Quest et Un vrai mariage dans lequel l’auteur raconte l’histoire de Martha, dans le premier pendant la phase de la jeunesse et dans le second d’un mariage et d’une vie conjugale difficile.

Le Journal de Jane Somers, de 1983, est un roman intense et émouvant dans lequel la protagoniste, cinquantenaire à succès, concerne sa vie après son amitié avec Maude, une voisine de 90 ans. «D’autre part, il y a quelques semaines, je ne me rendais même pas compte de l’existence des personnes âgées. Mes yeux étaient attirés par les personnes jeunes, belles, élégantes, agréables, et je ne voyais que celles-là. Maintenant c’est comme si un voile avait été étendu sur ces images, et au-dessus du voile, tout à coup, il y a les vieux, les malades ».

Elle date de 1985. Il semble incroyable qu’avec le titre l’auteur ait réussi à rendre la complexité de la protagoniste et la particularité de sa situation : elle vit dans une maison avec des terroristes, avec eux elle ne partage pas de manifestations, des piquets et des discussions, mais elle s’occupe de garder la maison en ordre, trouver de l’argent pour apporter des améliorations, laver, cuisiner, en bref prendre soin du groupe. Et tandis que les autres pensent à la révolution, elle se souvient de sa vie passée, quand sa famille était unie et sa maison accueillante. Et elle ne peut pas partager la violence programmée par le groupe.

Et puis il y a la série de science-fiction, Canopus in Argos, écrite au début des années 80, qui comprend cinq romans. Ils ne sont pas parmi ses romans les plus connus, mais ils ont été très aimés par elle aussi parce qu’ils lui ont permis d’être connue parmi le plus jeune public. Il s’agit de romans empreints de thèmes spirituels et mystiques du soufisme, un courant de pensée islamique auquel Doris Lessing s’était intéressée au milieu des années 1960.

Elle meurt à Londres, dans son sommeil, le 17 novembre 2013 à l’âge de 94 ans. Vienne, Vitoria-Gasteiz, Gundelsheim et Copenhague (en photo) ont été les premières villes à lui donner le nom de rues.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

2007 Nobel Prize in Literature. The award describes her as, "that epicist of the female experience, who with skepticism, fire and visionary power has subjected a divided civilization to scrutiny."

Doris May Taylor in Lessing was born in 1919 in Persia to English parents (her father was a war veteran who had undergone amputation of a leg) and moved with her family to Rhodesia (present-day Zimbabwe). There she attended a Catholic school and a high school for girls, but at the age of thirteen she dropped out of school and then out of the family because of a difficult relationship with her mother, who would have a strong influence on her writing career. She self-studied in a family where at fifteen she went to be a nanny. She became a switchboard operator, married twice and twice divorced. Her second husband was Gottfried Lessing, whose last name she took, and with whom she had three children. Her political and social activism began after her first divorce. In 1943 she joined the Communist Party but above all espoused the African cause, against colonialism and white supremacy, although this cost her - in 1956 she was banned from Rhodesia (where she could only return in 1995). Her first novel, The Grass is Singing, was published in London in 1950 (the year of her second divorce), after she moved to Europe.

In 2001 she was awarded the Prince of Asturias Prize in the Literature category for her work in defense of freedom and the Third World as well as the Grinzane Cavour Prize. She also received the David Cohen British Literature Prize. In 2007 it was the turn of the Nobel Prize in Literature. To reporters who went in front of her house to interview her, she replied, "I had been waiting 30 years for it. People who haven't heard of me will now go and buy my books. It's a good thing, I'll make some money." Doris Lessing was like that, ironic, cutting, ruthlessly honest. In fact, her novel The Golden Notebook (which made her shortlisted for the Nobel Prize in 1996) is considered a classic of feminist literature, but Lessing never liked to be considered a feminist author.

In this regard, she made her thoughts clear:

«What feminists want from me, they have not taken into account, because it comes from religion. They want me to be a witness to them. In fact, they want to tell me: "Sister, I will be with you in battle until these monstrous people disappear." Do they really want such simplistic statements to be made about men and women? In fact, they really want it. I came to this conclusion with great regret.»

Doris Lessing's literary output is vast, she has written more than fifty novels, and has worked in the most diverse literary genres - realistic novels, science fiction novels, short stories, plays, essays, autobiographical memoirs, and even a series of novels and short stories about cats. In addition to experimenting with various literary genres, she also tackled the most diverse subjects, anticipating themes and modes of expression as well as problems. Her early works were mainly devoted to social issues and racial segregation in Zimbabwe. Later she tackled intimately human themes and in particular the role of women in society.

The Golden Notebook (1962), tells of Anna Wulf, a single and working mother, without taboos in her narration of menstruation, orgasms, sex, relationships, revealing everything that was somehow then part of women's secret lives, almost as if these things were nonexistent.

The Fifth Child (1988), on the other hand disavows the image of the loving mother, breaks the stereotype of motherhood as an always happy moment as well as a unique moment for women's fulfillment, and this too is a strong act of rupture.

The short story The Grandmothers, one of her last writings, which was adapted for the cinema in the film Two Mothers, deals with another forbidden theme. It tells of two friends who fall in love with each other's sons and both become significant figures in the lives of the two men even when they are adults.

In the series The Children of Violence, written during the 1950s, the first two stand out - Martha Quest and A Proper Marriage, in which the author tells the story of Martha, in the former during the phase of youth and in the latter during a difficult marriage and marital life.

The Diary of a Good Neighbor (1983), is an intense and moving novel in which the protagonist, a successful 50-year-old woman, concerns herself with the life of a 90-year-old neighbor, Maude, after befriending her. "On the other hand, a few weeks ago I was not even aware of the existence of the elderly. My eyes were attracted to young, beautiful, elegant, pleasant people, and I only saw those. Now it is as if a veil has been drawn over those images, and above the veil, all of a sudden, there are the old, the sick."

In 1985 her novel The Good Terrorist appeared. It seems incredible, how with the title, Lessing managed to render the complexity of the protagonist and the particularity of her situation. The central character lives in a house with terrorists. She does not participate in their activities and discussions; rather, she is in charge of keeping the house in order, finding money to make improvements, washing, cooking, in short taking care of the group. And while the others think about the revolution she remembers her past life, when her family was united and her home cozy. And she cannot join in the violence planned by the group.

And then there is the science fiction series, Canopus in Argos, written in the early 1980s, which includes five novels. They are not among her best-known novels, but they were treasured by her partly because they allowed her to be known among younger audiences. They are novels, however, steeped in the spiritual and mystical themes of Sufism, an Islamic current of thought in which Doris Lessing had become interested during the mid-1960s.

She died in London, in her sleep, on Nov. 17, 2013 at the age of 94. Vienna, Vitoria-Gasteiz, Gundelsheim and Copenhagen (pictured) were the first cities to name streets after her.


Traduzione spagnola

Daniela Leonardi

Premio Nobel de Literatura 2007. «Cantora de la experiencia femenina que con escepticismo, pasión y poder visionario ha puesto bajo examen una civilización dividida».

Doris May Taylor en Lessing nació en 1919 en Persia de padres ingleses (su padre era un veterano de guerra víctima de algunas amputaciones) y se trasladó con su familia a Rhodesia (actual Zimbabue). Aquí asiste a una escuela católica y una escuela secundaria para niñas, pero a los trece años abandona la escuela y luego también la familia debido a una difícil relación con su madre, que tendrá una fuerte influencia en su carrera de escritora. Estudia de forma autodidacta en la familia donde a los quince años es niñera. Se convierte en recepcionista, se casa dos veces y se divorcia dos veces; el segundo marido es Gottfried Lessing, cuyo apellido toma, con el que tiene tres hijos. Su activismo político y social comienza después del primer divorcio. En 1943 se une al Partido Comunista pero sobre todo se casa con la causa africana, contra el colonialismo y la supremacía de los blancos, aunque esto le costará en 1956 ser desterrada de Zimbabue (a donde podrá volver solo en 1995). Su primera novela, Canta la hierba, se publicó en Londres en 1950 (año del segundo divorcio), después de su traslado a Europa.

En 2001 fue premiada con el Premio Príncipe de Asturias en la categoría Literatura por sus obras en defensa de la libertad y del Tercer Mundo y con el Premio Grinzane Cavour. También recibió el David Cohen British Literature Prize. En 2007, recibió el Premio Nobel de Literatura. A los periodistas que se acercaron a su casa para entrevistarla, les respondió: «Hace treinta años que lo esperaba. La gente que no ha oído hablar de mí, ahora irá a comprar mis libros. Es una buena cosa, ganaré un poco de dinero». Doris Lessing era así, irónica, aguda, despiadadamente sincera. En realidad, su novela El cuaderno de oro, que la llevó a la lista de candidatos al Nobel en 1996, es considerada un clásico de la literatura feminista, pero a Lessing nunca le gustó ser considerada una autora feminista.

A este respecto, ha expresado claramente su opinión:

«Lo que las feministas quieren de mí es algo que ellas no han tenido en cuenta porque proviene de la religión. Quieren que sea su testigo. Lo que realmente quisieran decirme es: "Hermana, estaré a tu lado en la lucha para el día en que esos hombres bestiales se hayan ido". ¿Realmente quieren que se hagan afirmaciones tan simplificadas sobre hombres y mujeres? De hecho, realmente lo quieren. He llegado con gran pesar a esta conclusión».

La producción literaria de Doris Lessing es enorme, ha escrito más de cincuenta novelas, e incluye los más diversos géneros literarios: novelas realistas, novelas de ciencia ficción, cuentos, obras de teatro, ensayos, memorias autobiográficas y también una serie de novelas y breves cuentos sobre los gatos. Además de haber experimentado con varios géneros literarios, también abordó los temas más diversos, anticipándose a temas y modalidades expresivas, pero también problemáticas. Sus primeras obras se centraron en temas sociales y la segregación racial en Zimbabue. A continuación abordó temas íntimamente humanos y en particular el papel de las mujeres en la sociedad.

El cuaderno de oro, de 1962, habla de Anna Wulf, madre soltera y trabajadora, sin tabúes en la narración de menstruaciones, orgasmos, sexo, relaciones, revelando todo lo que entonces era parte de la vida secreta de las mujeres, casi como si fueran cosas inexistentes.

El quinto hijo, de 1988, en cambio, rechaza la imagen de la madre amorosa, rompe el estereotipo de la maternidad como momento siempre feliz, además de como momento único para la realización de las mujeres y también este es un fuerte acto de ruptura.

El cuento Las abuelas, uno de sus últimos escritos, trasladado al cine en la película Two mothers, aborda otro tema prohibido: habla de dos amigas que se enamoran cada una del hijo de la otra, convirtiéndose ambas en figuras de referencia en la vida de los dos hombres, incluso cuando son adultos.

En la serie Los hijos de la violencia, escrita durante los años cincuenta, destacan los dos primeros relatos: Martha Quest y Un matrimonio para bien en el que la autora cuenta la historia de Martha, en el primero durante la etapa de la juventud y en el segundo de un matrimonio y una vida matrimonial difícil.

El diario de una buena vecina, de 1983, es una novela intensa y conmovedora cuya protagonista, una cincuentona de éxito, revisa su vida después de su amistad con Maude, una vecina de noventa años. «Por otra parte, hace algunas semanas ni siquiera me daba cuenta de la existencia de los ancianos. Mis ojos eran atraídos por gente joven, hermosa, elegante, agradable, y eso es todo lo que veía. Ahora es como si un velo hubiera sido extendido sobre aquellas imágenes, y sobre el velo, de repente, están los viejos, los enfermos».

La buena terrorista es de 1985. Parece increíble que con el título la autora haya logrado reunir la complejidad de la protagonista y la particularidad de su situación: vive en una casa con terroristas, con ellos no comparte manifestaciones, los piquetes y las discusiones, pero se ocupa de mantener la casa en orden, encontrar el dinero para hacer mejoras, lavar, cocinar, en resumen, de cuidar del grupo. Y mientras los/las demás solo piensan en la revolución ella recuerda su vida pasada, cuando su familia estaba unida y su hogar era acogedor. Y no puede compartir la violencia programada por el grupo.

Y luego está la serie de ciencia ficción, Canopus in Argos, escrita a principios de los años ochenta, que incluye cinco novelas. No son entre sus novelas más conocidas, pero han sido muy queridas por ella también porque le han permitido ser conocida entre el público más joven. Se trata de novelas llenas de temas espirituales y místicos del sufismo, una corriente de pensamiento islámico por la que Doris Lessing se interesó durante la mitad de los años sesenta.

Murió durmiendo en Londres el 17 de noviembre de 2013 a la edad de 94 años. Viena, Vitoria-Gasteiz, Gundelsheim y Copenhague fueron las primeras ciudades en bautizar sus calles con el nombre de Doris Lessing.


Traduzione ucraina

Alina Petelko

Нобелівська премія з літератури 2007 року. «Вона розповідає нам про жіночий досвід, та зі скептицизмом, пристрастю та далекоглядною силою вона досліджувала розділену цивілізацію».

Доріс Мей Лессінг народилася в 1919 році в Персії в англійській родині (її батько був ветераном війни, постраждалим від кількох ампутацій) і переїхала з родиною до Родезії (тепер Зімбабве). Тут вона відвідує католицьку школу та середню школу для дівчат, але у віці тринадцяти років залишає школу, а потім і сім'ю через складні стосунки з матір'ю, яка матиме великий вплив на її кар'єру письменниці. Навчався самоучкою в сім'ї, де в п'ятнадцять років йде працювати нянею. Стає телефоністкою, двічі виходить заміж і двічі розлучається; другий чоловік - Готфрід Лессінг, прізвище якого вона бере і з яким у неї троє дітей. Її політична та громадська активність починається після першого розлучення. У 1943 році вона приєдналася до Комуністичної партії, але, перш за все, виступала за африканську справу, проти колоніалізму та верховенство білої раси, навіть якщо це коштувало їй у 1956 році заборони на в’їзд у Зімбабве (куди вона змогла повернутися лише в 1995 році). Її перший роман The Grass Is Singing був опублікований у Лондоні в 1950 році (рік її другого розлучення), після її переїзду до Європи.

У 2001 році вона отримала премію принца Астурійського в категорії «Література» за її твори на захист свободи та країни третього світу, та премію Ґрінцане Кавура. Вона також отримала британську літературну премію Девіда Коена. У 2007 році настала черга Нобелівської премії з літератури. Журналістам, які прийшли до неї додому, щоб взяти у неї інтерв'ю, вона відповіла: «Я чекала цього тридцять років. Люди, які зараз про мене не чули, купуватимуть мої книги. Це добре, я трохи зароблю». Доріс Лессінг була такою, іронічною, гострою, безжально щирою. Фактично, її роман The Golden Notebook (за яким вона увійшла до шорт-листа Нобелівської премії 1996 року) вважається класикою феміністської літератури, але Лессінг ніколи не любила, коли її вважали феміністкою.

З цього приводу вона чітко висловила свої думки:

«Феміністки хочуть від мене те, чого вони не врахували, тому що це походить від релігії. Вони хочуть, щоб я була їх свідком. Вони насправді хочуть сказати мені: «Сестро, я буду поруч із тобою у боротьбі за той день, коли ці звірячі чоловіки зникнуть». Невже вони дійсно хочуть, щоб такі спрощені твердження звучали про чоловіків і жінок? Насправді вони цього дуже хочуть. Я з великим жалем прийшла до такого висновку».

Літературна продукція Доріс Лессінг величезна, більше п'ятдесяти романів, і включає в себе найрізноманітніші літературні жанри: реалістичні романи, наукова фантастика, оповідання, п'єси, есе, автобіографічні спогади і навіть серія романів і оповідань про котів. Крім того, що вона експериментувала з різними літературними жанрами, вона також розглядала найрізноманітніші теми, досліджуючи теми та способи вираження, а також проблеми. Її ранні роботи були в основному присвячені соціальним питанням і расовій сегрегації в Зімбабве. Згодом вона займалася внутрішньолюдськими проблемами і, зокрема, роллю жінки в суспільстві.

The Golden Notebook 1962 року розповідає про Анну Вульф, самотня мати та працівниця; оповідання без табу: розповідається про менструацію, оргазми, секс, стосунки, розкриваючи все, що так чи інакше було частиною таємного життя жінок того часу.

З іншого боку, роман The Fifth Child 1988 року, заперечує образ люблячої матері, ламає стереотип материнства як щасливого моменту, а також унікального моменту самореалізації жінки, і це теж сильний акт зламу.

Оповідання The Grandmothers: Four Short Novels, одне з її останніх творів, транспонований у фільмі Таємний потяг, стосується ще однієї забороненої теми: воно розповідає про двох подруг, які закохуються в сина одна одної, стаючи опорними фігурами в житті двоє чоловіків, навіть коли вони дорослі.

У серії Children of Violence, написаній у 1950-х роках, виділяються перші дві: Martha Quest у якій авторка розповідає історію Марти на першому етапі її юності і A Proper Marriage, про шлюб і важке подружнє життя.

The Diary of a Good Neighbour 1983 року, це напружений і зворушливий роман, у якому успішна 50-річна героїня розповідає про своє життя після дружби з Мод, 90-річною сусідкою. «З іншого боку, кілька тижнів тому я навіть не усвідомлював існування людей похилого віку. Мій погляд притягували молоді, красиві, елегантні, приємні люди, і я тільки їх бачила. Тепер ніби вуаль накрило ті образи, а над вуаллю раптом стають старі, хворі».

The Good Terrorist 1985 року. Здається неймовірним, як за допомогою назви авторці вдалося передати складність героїні та особливість її становища: вона живе в будинку з терористами, але не бере з ними участі в демонстраціях та пікетах, просто піклується про те, щоб підтримувати порядок у домі, знаходити гроші на ремонт, прання, приготування їжі, словом, доглядає за групою. І поки інші думають про революцію, вона згадує своє минуле життя, коли її родина була єдиною, а рідний дім гостинним. І вона не може розділити насильство, запрограмоване групою.

А ще є науково-фантастична серія Canopus in Argos,написана на початку 1980-х років, яка включає п’ять романів. Вони не входять до числа її найвідоміших романів, але вони є її улюбленими, оскільки вони дозволили їй стати відомою серед молодшої аудиторії. Проте це романи, пройняті духовно-містичною тематикою суфізму, течії ісламської думки, якою Доріс Лессінг цікавилася в середині 1960-х років.

Вона померла в Лондоні, уві сні, 17 листопада 2013 року у віці 94 років. Відень, Віторія-Гастейс, Гундельсхайм і Копенгаген (на фото) були першими містами, які назвали вулиці на її честь.

 

Françoise Barré – Sinouss
Irene Cannata e Cinzia Belmonte





Katarzyna Oliwa

 

Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina nel 2008 congiuntamente a Luc Montagnier per la scoperta del virus dell’immunodeficienza umana (Hiv)

Françoise Barré-Sinoussi nasce a Parigi nel 1947. Da bambina, durante le vacanze in campagna, trascorre intere giornate all’aria aperta osservando la natura: «il più piccolo insetto poteva catturare la mia attenzione per ore», racconta. A scuola, i suoi voti nelle materie scientifiche sono alti e all’università sceglie la facoltà di Scienze. Con l’avvicinarsi della laurea, inizia a prendere in considerazione la carriera di ricercatrice. Per capire se questa potesse essere la sua strada, scrive a laboratori pubblici e privati, proponendosi come volontaria part-time; per molti mesi non riceve risposta finché non viene accettata all'Istituto Pasteur, nel gruppo guidato da Jean-Claude Chermann, che studiava le relazioni tra il cancro nei topi e i cosiddetti “retrovirus”. Si appassiona così tanto alla ricerca che spende tutto il suo tempo in laboratorio, facendo solo brevi apparizioni all’università per dare gli esami. E Chermann, dopo la laurea, le propone di svolgere presso l’Istituto Pasteur il Dottorato di ricerca, che completa rapidamente nel 1974. Dopo una breve esperienza di un anno negli Stati Uniti, torna all’Istituto Pasteur: sarà qui che svolgerà la ricerca che la porterà al Nobel e sarà qui che continuerà a lavorare fino alla pensione, assumendo, dal 1992, la direzione dell’Unità di Biologia dei Retrovirus.

Una scoperta da Nobel - Nel 1982, Françoise Brun-Vézinet, virologo dell’ospedale Bichat di Parigi, si rivolse all’Istituto Pasteur per chiedere aiuto: una nuova malattia si stava diffondendo in tutto il mondo, diventando una vera e propria pandemia. Era stata denominata “Acquired Immune Deficiency Syndrome”: Aids. Già dalla fine degli anni Settanta, si stava registrando un numero crescente di morti tra giovani uomini omosessuali o tossicodipendenti da eroina a causa di diverse patologie: un tumore, il sarcoma di Kaposi, un’improvvisa e inspiegabile polmonite o infezioni che raramente portavano alla morte soggetti non immunodepressi. Nell’82 si erano registrati casi anche tra pazienti affetti da emofilia, una malattia ereditaria del sangue il cui trattamento richiede trasfusioni. Sempre nell’82 si ha anche la prima trasmissione da madre a feto. Le cartelle cliniche dei pazienti indicavano la drastica diminuzione di un particolare tipo di cellula del sangue, il linfocita CD4 (o T4), il “regista” del sistema immunitario: l’organismo non era più in grado di riconoscere e contrastare gli agenti patogeni esterni e il più banale raffreddore poteva essere letale. La causa della perdita dei linfociti non era chiara ma si ipotizzava fosse un retrovirus.

Il direttore dell’Istituto Pasteur, Luc Montagnier, chiese a Françoise Barré-Sinoussi di occuparsi del caso. Così Barré-Sinoussi e il suo team coltivarono i linfociti CD4 estratti dai linfonodi dei pazienti nella fase iniziale della malattia e rilevarono l'attività di un enzima, detto “trascrittasi inversa”, segno diretto della replicazione del retrovirus. Nel giro di pochi mesi isolarono, amplificarono e sequenziarono quello che in seguito sarà chiamato il virus dell'immunodeficienza umana, Hiv, e lo identificarono come causa dell’Aids. Si compresero dunque il funzionamento del virus e l’interazione con i linfociti. Nella prima fase della malattia il virus Hiv era presente nei linfociti senza “esprimersi” e la/il paziente, sebbene positivo e in grado di infettare altri individui, risultava asintomatico. Nella seconda fase il virus iniziava a esprimersi, cioè a replicarsi, distruggendo i linfociti del/la paziente, che manifestava la sindrome da immunodeficienza acquisita, Aids, non riuscendo a contrastare le infezioni e arrivando alla morte. Si comprese che il virus veniva contratto quando il sangue in circolo entrava in contatto con sangue infetto, ad esempio per trasfusione o tramite lo scambio di siringhe o per via sessuale o trasmissione materno-fetale. Questa scoperta portò rapidamente a sviluppare test diagnostici per rilevare la presenza del virus e alla produzione di farmaci antiretrovirali. La combinazione di prevenzione e trattamento ha poi sostanzialmente ridotto la diffusione della malattia e ha trasformato l'Aids da condanna a morte a malattia cronica gestibile.












Francoise e Montagneir che ricevono il premio Nobel












Attivismo - Dalla scoperta alla cura, però, il passaggio non poteva essere immediato. Nel maggio del 1983, non appena i risultati furono pubblicati sulla rivista Science, le persone malate terminali iniziarono a cercare l’aiuto di Françoise Barré-Sinoussi all'Istituto Pasteur o durante i suoi viaggi, chiedendo una cura. Ha dichiarato: «È stato davvero traumatico. Sapevo, come scienziata, che non avremmo avuto un trattamento a breve, perché sappiamo che la scienza ha bisogno di tempo per sviluppare farmaci. Vedere i pazienti morire e aspettarsi così tanto da noi è stato terribile». Françoise Barré-Sinoussi ha dedicato allora la sua carriera a fermare la diffusione dell'Aids. La piena cognizione che sangue ed emoderivati trasmettessero l'Aids avvenne tra molti ritardi: l’opinione pubblica e le politiche sanitarie inizialmente sottovalutarono la malattia, associandola a comportamenti socialmente stigmatizzati, tanto che su alcuni quotidiani nazionali di diversi Paesi si leggevano espressioni come “cancro dei gay”. Françoise Barré-Sinoussi si è impegnata in prima persona per una corretta comunicazione dei rischi connessi alla malattia e per ottenere le adeguate misure di salute pubblica. Mentre le procedure di prevenzione e cura si stavano rendendo disponibili negli Stati Uniti e in Europa, i costi rendevano le terapie inaccessibili per i Paesi poveri e in particolare in Africa era in atto una vera e propria catastrofe sanitaria. La scienziata ha dichiarato: «La mia prima visita in un Paese africano risale al 1985, in occasione di un seminario dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) a Bangui (Repubblica Centrafricana). Questa visita è stata un'esperienza impressionante. Lo shock culturale e le condizioni terribili mi hanno turbato molto e hanno fatto nascere in me il desiderio e l’urgenza di collaborare con Paesi con risorse limitate».

Nel 1986 Françoise Barré-Sinoussi contribuì a organizzare la Conferenza internazionale sull'Aids a Parigi e due anni dopo, insieme ai suoi colleghi, ha formato la Società internazionale per l'Aids, che ha lanciato il progetto "Share" per una chiamata a una mobilitazione collettiva mondiale. L'attivismo non ha interrotto il suo lavoro scientifico e l'Unità di Regolazione delle Infezioni Retrovirali presso l'Istituto Pasteur, che ha diretto, è ancora oggi impegnata nella ricerca di un vaccino o di una cura funzionale. La Francia l'ha fregiata della Legion d'Onore, a più riprese, nel 2006, nel 2009, fino alla nomina a Grand'ufficiale nel 2013. «Come tutti, ho dei momenti nella mia vita in cui sono pessimista. Mi chiedo se continuare... Poi vado a fare un viaggio in Africa o nel Sud-est asiatico e ho un piccolo incontro con persone affette da Hiv, e dimentico il mio umore. Dico: "Va bene, andiamo avanti. Continuiamo. Questa è la vita reale. Non pensare a te stessa”».


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Prix Nobel de Physiologie et de Médecine en 2008 aux côtés de Luc Montagnier pour la découverte du virus de l’immunodéficience humaine (VIH)

Françoise Barré-Sinoussi est née à Paris en 1947. Enfant, pendant ses vacances à la campagne, elle passe des journées entières en plein air à observer la nature : « le plus petit insecte pouvait attirer mon attention pendant des heures », raconte-t-elle. À l’école, ses notes dans les matières scientifiques sont élevées et à l’université, elle choisit la faculté des sciences. À l’approche de l’obtention du diplôme, elle commence à envisager une carrière de chercheuse. Pour comprendre si cela pouvait être sa voie, elle écrit à des laboratoires publics et privés, se proposant comme volontaire à temps partiel; pendant plusieurs mois elle ne reçoit pas de réponse jusqu’à ce qu’elle soit acceptée à l’Institut Pasteur, dans le groupe dirigé par Jean-Pierre Claude Chermann, qui étudiait les relations entre le cancer chez la souris et les "rétrovirus". Elle se passionne tellement pour la recherche qu’elle passe tout son temps au laboratoire, ne faisant que de brèves apparitions à l’université pour passer les examens. Et Chermann, après l’obtention de son diplôme, lui propose d’effectuer à l’Institut Pasteur le Doctorat de recherche, qu’elle achève rapidement en 1974. Après une brève expérience d’un an aux États-Unis, elle revient à l’Institut Pasteur : c’est ici qu’elle effectuera la recherche qui la mènera au prix Nobel et c’est là qu’elle continuera à travailler jusqu’à sa retraite, en assumant, depuis 1992, la direction de l’Unité de Biologie des Rétrovirus.

Une découverte par Nobel - En 1982, Françoise Brun-Vézinet, virologue de l’hôpital Bichat de Paris, s’adresse à l’Institut Pasteur pour demander de l’aide : une nouvelle maladie se propage dans le monde entier, devenant une véritable pandémie. Elle avait été appelée "Acquired Immune Deficiency Syndrome" : Sida. Depuis la fin des années 70, on enregistre un nombre croissant de décès parmi les jeunes hommes homosexuels ou dépendants à l’héroïne en raison de diverses pathologies : un cancer, le sarcome de Kaposi, une pneumonie soudaine et inexpliquée ou des infections qui entraînent rarement la mort de personnes non immunodéprimées. En 1982, des cas ont également été enregistrés chez des patients atteints d’hémophilie, une maladie héréditaire du sang dont le traitement nécessite des transfusions. En 1982, on a aussi la première transmission de la mère au fœtus. Les dossiers médicaux des patients indiquaient la diminution drastique d’un type particulier de cellule sanguine, le lymphocyte CD4 (ou T4), le "directeur" du système immunitaire : l’organisme n’était plus en mesure de reconnaître et de combattre les agents pathogènes externes et le rhume le plus banal pouvait être mortel. La cause de la perte de lymphocytes n’était pas claire, mais on supposait qu’il s’agissait d’un rétrovirus.

Le directeur de l’Institut Pasteur, Luc Montagnier, demanda à Françoise Barré-Sinoussi de s’occuper de l’affaire. Ainsi, Barré-Sinoussi et son équipe ont cultivé les lymphocytes CD4 extraits des ganglions lymphatiques des patients au stade précoce de la maladie et ont détecté l’activité d’une enzyme appelée "transcriptase inverse", signe direct de la réplication du rétrovirus. En quelques mois, ils ont isolé, amplifié et séquencé ce qu’on appellera plus tard le virus de l’immunodéficience humaine, le VIH, et l’ont identifié comme la cause du sida. On comprit donc le fonctionnement du virus et l’interaction avec les lymphocytes. Au premier stade de la maladie, le virus VIH était présent dans les lymphocytes sans "s’exprimer" et le patient, bien que positif et capable d’infecter d’autres individus, était asymptomatique. Dans la seconde phase, le virus commençait à s’exprimer, c’est-à-dire à se répliquer, détruisant les lymphocytes du patient, qui manifestait le syndrome d’immunodéficience acquise, SIDA, ne parvenant pas à contrer les infections et conduisant à la mort. On a compris que le virus était contracté lorsque le sang circulant entrait en contact avec du sang infecté, par exemple par transfusion ou par échange de seringues ou par voie sexuelle ou transmission maternelle-fœtale. Cette découverte a rapidement conduit au développement de tests diagnostiques pour détecter la présence du virus et à la production de médicaments antirétroviraux. La combinaison de la prévention et du traitement a considérablement réduit la propagation de la maladie et a transformé le sida de la condamnation à mort en une maladie chronique gérable.












Françoise et Montagneir reçoivent le prix Nobel












Activisme - De la découverte au traitement, cependant, le passage ne pouvait pas être immédiat. En mai 1983, dès que les résultats ont été publiés dans la revue Science, les malades en phase terminale ont commencé à demander l’aide de Françoise Barré-Sinoussi à l’Institut Pasteur ou pendant ses voyages, en demandant un traitement. Elle a déclaré : «C’était vraiment traumatisant. Je savais, en tant que scientifique, que nous n’aurions pas de traitement à court terme, car nous savons que la science a besoin de temps pour développer des médicaments. Voir les patients mourir et attendre autant de nous a été terrible ». Françoise Barré-Sinoussi a alors consacré sa carrière à arrêter la propagation du sida. La pleine connaissance que le sang et les produits sanguins véhiculent le sida a eu lieu dans de nombreux délais : l’opinion publique et les politiques de santé ont d’abord sous-estimé la maladie, l’associant à des comportements socialement stigmatisés, dans certains journaux nationaux de différents pays, on lisait des expressions comme "cancer des gays". Françoise Barré-Sinoussi s’est engagée personnellement à communiquer correctement les risques liés à la maladie et à obtenir les mesures de santé publique appropriées. Alors que les procédures de prévention et de traitement devenaient disponibles aux États-Unis et en Europe, les coûts rendaient les thérapies inaccessibles aux pays pauvres et en particulier en Afrique, une véritable catastrophe sanitaire était en cours. La scientifique a déclaré : «Ma première visite dans un pays africain remonte à 1985, lors d’un séminaire de l’Organisation mondiale de la santé (OMS) à Bangui (République centrafricaine). Cette visite a été une expérience impressionnante. Le choc culturel et les conditions terribles m’ont beaucoup troublé et ont fait naître en moi le désir et l’urgence de collaborer avec des pays aux ressources limitées».

En 1986, Françoise Barré-Sinoussi a aidé à organiser la Conférence internationale sur le sida à Paris et deux ans plus tard, avec ses collègues, elle a formé la Société internationale pour le sida, qui a lancé le projet "Share" pour un appel à une mobilisation collective mondiale. L’activisme n’a pas interrompu son travail scientifique et l’Unité de Régulation des Infections Rétrovirales de l’Institut Pasteur, qu’elle a dirigé, est toujours engagée dans la recherche d’un vaccin ou d’un traitement fonctionnel. La France l’a couronnée de la Légion d’honneur, à plusieurs reprises, en 2006, en 2009, jusqu’à sa nomination comme Grand Officier en 2013. «Comme tout le monde, j’ai des moments dans ma vie où je suis pessimiste. Je me demande si je vais continuer... Ensuite, je vais faire un voyage en Afrique ou en Asie du Sud-Est et j’ai une petite rencontre avec des personnes atteintes du VIH, et j’oublie mon humeur. Je dis : "D’accord, allons de l’avant. Continuons. C’est la vraie vie. Ne pense pas à toi-même"».


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Françoise Barré-Sinoussi was awarded the Nobel Prize in Physiology and Medicine in 2008, jointly with Luc Montagnier, for their discovery of the human immunodeficiency virus (HIV).

Françoise Barré-Sinoussi was born in Paris in 1947. As a child, during vacations in the countryside, she spent entire days outdoors observing nature - "the smallest insect could capture my attention for hours," she said. In school, her grades in science subjects were high, and in college she chose the Faculty of Science. As graduation approached, she began to consider a career in research. To see if this could be her path, she wrote to public and private laboratories, offering herself as a part-time volunteer. For many months she received no responses, until she was accepted at the Pasteur Institute, in the group led by Jean-Claude Chermann, which was studying the relationships between cancer in mice and so-called "retroviruses." She became so passionate about research that she spent all her time in the laboratory, making only brief appearances at the university to take exams. And Chermann, after graduation, offered her a PhD at the Pasteur Institute, which she quickly completed in 1974. After a brief one-year stint in the United States, she returned to the Pasteur Institute. It was there that she carried out the research that led to her Nobel Prize, and it was there that she would continue to work until her retirement in 2017, assuming, from 1992, the direction of the Retrovirus Biology Unit.

In 1982, Françoise Brun-Vézinet, a virologist at the Bichat Hospital in Paris, turned to the Pasteur Institute for help. A new disease was spreading around the world, becoming a true pandemic. It had been named Acquired Immune Deficiency Syndrome: AIDS. As early as the late 1970s, an increasing number of deaths were being reported among young homosexual men or heroin addicts due to a variety of diseases, including a tumor, Kaposi's sarcoma, sudden unexplained pneumonia, or infections that rarely led to death in non-immunocompromised individuals. In 1982, cases had also been reported among patients with hemophilia, an inherited blood disease whose treatment requires transfusions. Also in 1982, the first mother-to-fetus transmission also occurred. Patients' medical records indicated a drastic decrease in a particular type of blood cell, the CD4 (or T4) lymphocyte, the "director" of the immune system. As a result, the body was no longer able to recognize and fight off external pathogens, and the most trivial cold could be deadly. The cause of the loss of lymphocytes was unclear but was speculated to be a retrovirus.

The director of the Pasteur Institute, Luc Montagnier, asked Françoise Barré-Sinoussi to take up the case. So Barré-Sinoussi and her team cultured CD4 lymphocytes extracted from the lymph nodes of patients in the early stage of the disease and detected the activity of an enzyme, called "reverse transcriptase," a direct sign of retrovirus replication. Within months they isolated, amplified and sequenced what would later be called the human immunodeficiency virus, HIV, and identified it as the cause of AIDS. They then understood how the virus functions and interacts with lymphocytes. In the first phase of the disease, the HIV virus was present in the lymphocytes without "expressing itself," and the patient, although positive and able to infect other individuals, was asymptomatic. In the second phase, the virus began to express, i.e., to replicate, destroying the patient's lymphocytes, which manifested then as acquired immune deficiency syndrome, AIDS, failing to fight off infection and leading to death. It was understood that the virus was contracted when circulating blood came into contact with infected blood, such as through transfusion or syringe exchange or through sexual or maternal-fetal transmission. This discovery quickly led to the development of diagnostic tests to detect the presence of the virus and the production of antiretroviral drugs. The combination of prevention and treatment then substantially reduced the spread of the disease and transformed AIDS from a death sentence to a manageable chronic disease.












Francoise and Montagneir receiving the Nobel Prize












But the transition from discovery to cure would not be immediate. In May 1983, as soon as the findings were published in the journal Science, terminally ill people began seeking Françoise Barré-Sinoussi's help at the Pasteur Institute or during her travels, asking for a cure. She stated, "It was really traumatic. I knew, as a scientist, that we would not have a treatment anytime soon, because we know that science needs time to develop drugs. To see patients die and expect so much from us was terrible." Françoise Barré-Sinoussi then dedicated her career to stopping the spread of AIDS. The full understanding that blood and blood products transmitted AIDS came after many delays. Public opinion and health policies initially underestimated the disease, associating it with socially stigmatized behavior, so much so that expressions such as "gay cancer" could be read in some national newspapers in several countries. Françoise Barré-Sinoussi was personally committed to proper communication of the risks associated with the disease and to obtaining the appropriate public health measures. While prevention and treatment procedures were becoming available in the United States and Europe, costs were making treatment unaffordable for poor countries, and in Africa in particular, a health catastrophe was unfolding. The scientist said, "My first visit to an African country was in 1985, at a World Health Organization (WHO) seminar in Bangui (Central African Republic). This visit was an impressive experience. The culture shock and the terrible conditions were very disturbing to me and gave rise to a desire and urgency to collaborate with countries with limited resources."

In 1986 Françoise Barré-Sinoussi helped organize the International AIDS Conference in Paris, and two years later, together with her colleagues, she formed the International AIDS Society, which launched the "Share" project for a call for worldwide collective mobilization. Activism did not interrupt her scientific work, and the Retroviral Infection Regulation Unit at the Pasteur Institute, which she directed, is still engaged in the search for a vaccine or functional cure. France has decorated her with the Legion of Honor, on several occasions, in 2006, in 2009, until her appointment as Grand Officer in 2013. «Like everyone, I have moments in my life when I am pessimistic. I wonder whether to continue... Then I go on a trip to Africa or Southeast Asia and have a small encounter with people with HIV, and I forget my mood. I say, "All right, let's keep going. Let's keep going. This is real life. Don't think about yourself"».


Traduzione spagnola

Vanessa Dumassi

Premio Nobel de Fisiología y Medicina en 2008 junto con Luc Montagnier por el descubrimiento del virus de la inmunodeficiencia humana (VIH)

Françoise Barré-Sinoussi nació en París en 1947. Cuando era niña, durante las vacaciones en el campo, pasaba días enteros al aire libre observando la naturaleza: «Hasta el más pequeño insecto podía captar mi atención por horas», nos cuenta. En el colegio sus notas en las asignaturas científicas son altas y en la universidad elige la Facultad de Ciencias. A medida que se acercaba su licenciatura, empezó a pensar en la carrera de investigadora. Para ver si ese podía ser su camino, escribió a oficinas públicas y privadas ofreciéndose como voluntaria a tiempo parcial; durante muchos meses no recibió ninguna respuesta, hasta cuando la aceptaron en el Istituto Pasteur, en el grupo dirigido por Jean-Claude Chermann, que estudiaba la relación entre el cáncer en ratones y los llamados "retrovirus". Se apasiona tanto por la investigación que pasa todo el tiempo en el laboratorio, haciendo sólo breves apariciones en la universidad para presentarse a los exámenes. Y Chermann, tras su licenciatura, le ofreció un doctorado en el Instituto Pasteur, que completó rápidamente en 1974. Después de una breve experiencia de un año en Estados Unidos, regresó al Instituto Pasteur: es aquí donde llevará a cabo las investigaciones que le valdrán el Premio Nobel y donde seguirá trabajando hasta su jubilación, asumiendo, desde 1992, la dirección de la Unidad de Biología de Retrovirus.

Un descubrimiento digno del Premio Nobel – En 1982, Françoise Brun-Vézinet, viróloga del Hospital Bichat de París, pidió ayuda al Instituto Pasteur: una nueva enfermedad se extendía por el mundo, convirtiéndose en una verdadera pandemia. Esta enfermedad se denominó "Síndrome de Inmunodeficiencia Adquirida" (SIDA). Ya a finales de los años setenta se registraba un número creciente de jóvenes homosexuales o heroinómanos muertos a causa de diversas enfermedades: un tumor, un sarcoma de Kaposi, una neumonía imprevista e inexplicable o infecciones que en raras ocasiones provocaban la muerte en sujetos no inmunodeprimidos. En 1982, también se notificaron casos entre pacientes con hemofilia, una enfermedad hereditaria de la sangre cuyo tratamiento requiere transfusiones. En 1982 se verificó también la primera transmisión de madre a feto. Los historiales médicos de los pacientes indicaban la drástica disminución de un específico tipo de células sanguíneas, el linfocito CD4 (o T4), el "director" del sistema inmunitario: el organismo ya no era capaz de reconocer y combatir los agentes patógenos externos e incluso el resfriado más banal podía ser mortal. La causa de la pérdida de linfocitos no estaba clara, pero se sospechaba un retrovirus. El director del Instituto Pasteur, Luc Montagnier, le pidió a Françoise Barré-Sinoussi que se ocupase del caso. Barré-Sinoussi y su equipo cultivaron linfocitos CD4 extraídos de los linfonodos de pacientes en la fase inicial de la enfermedad y observaron la actividad de una enzima, llamada "transcriptasa inversa", que era una clara señal de la replicación del retrovirus.

En pocos meses aislaron, amplificaron y secuenciaron lo que más tarde se llamó el virus de la inmunodeficiencia humana, VIH, es decir el responsable del SIDA. Así se comprendió el funcionamiento del virus y su interacción con los linfocitos. En la primera fase de la enfermedad, el virus VIH estaba presente en los linfocitos sin "expresarse" y los/las enfermos/as, a pesar de la positividad y de la capacidad de infectar a otras personas, eran asintomáticos/as. En la segunda fase el virus comenzaba a expresarse, es decir, a replicarse, destruyendo los linfocitos del/de la paciente, que iba manifestando el síndrome de inmunodeficiencia adquirida (SIDA); sin poder combatir las infecciones, se llegaba a la muerte. Se descubrió que el virus se contraía cuando la sangre en circulación entraba en contacto con sangre infectada, por ejemplo, por transfusión o a través del intercambio de jeringuillas o por transmisión sexual o materno-fetal. Este descubrimiento condujo rápidamente al desarrollo de test de diagnóstico para detectar la presencia del virus y condujo también a la producción de medicamentos antirretrovirales. Desde entonces, la combinación de prevención y tratamiento ha reducido sustancialmente la propagación de la enfermedad y transformando el SIDA de una sentencia de muerte en una enfermedad crónica controlable.












Françoise y Montagneir recibiendo el Premio Nobel












Activismo – A pesar de este descubrimiento, sin embargo, la llegada del tratamiento no pudo ser inmediata. En mayo de 1983, a partir del momento en el que se publicaron los resultados en la revista Science, enfermos/as terminales empezaron a buscar la ayuda de Françoise Barré-Sinoussi en el Instituto Pasteur o durante sus viajes, pidiendo un tratamiento. La mujer declaró: «Fue realmente traumático. Como científica, sabía que no teníamos un tratamiento pronto, porque sabemos que la ciencia necesita tiempo para desarrollar fármacos. Ver morir a pacientes que esperaban tanto en nosotros fue terrible». Françoise Barré-Sinoussi dedicó su carrera a detener la propagación del SIDA. La plena conciencia de que la sangre y los hemoderivados transmitiesen el SIDA se produjo en medio de muchos retrasos: la opinión pública y las políticas sanitarias inicialmente subestimaron la enfermedad, asociándola a comportamientos socialmente estigmatizados, hasta el punto que en algunos periódicos nacionales de varios países se podían leer expresiones como "cáncer de los gays". Françoise Barré-Sinoussi se comprometió personalmente a comunicar adecuadamente los riesgos asociados a la enfermedad y a obtener las medidas de salud pública adecuadas. Mientras en Estados Unidos y Europa se empezaba a disponer de procedimientos preventivos y curativos, los costes hacían que las terapias fueran inasequibles para los países pobres y en África, en particular, se estaba produciendo una catástrofe sanitaria. La científica declaró: «Mi primera visita a un país africano fue en 1985 en ocasión de un seminario de la Organización Mundial de la Salud (OMS) en Bangui (República Centroafricana). Esta visita fue una experiencia impresionante. El choque cultural y las terribles condiciones me inquietaron mucho y despertaron en mí el deseo y la urgencia de trabajar con países con recursos limitados».

En 1986, Françoise Barré-Sinoussi contribuyó a organizar la Conferencia Internacional sobre el SIDA en París y dos años más tarde, junto con sus colegas, formó la Sociedad Internacional del SIDA, que lanzó el proyecto "Share" para llamar a la movilización colectiva mundial. Su activismo no interrumpió su labor científica y la Unidad de Regulación de Infecciones Retrovirales del Instituto Pasteur que dirigía sigue inmersa en la búsqueda de una vacuna o un tratamiento funcional. Francia la ha condecorado con la Legión de Honor en varias ocasiones: en 2006, en 2009 hasta su nombramiento como Gran Oficial en 2013.


Traduzione ucraina

Alina Petelko

Нобелівська премія з фізіології і медицини 2008 року спільно з Люком Монтаньє за відкриття вірусу імунодефіциту людини (ВІЛ)

Франсуаза Барре-Сінусі народилася в Парижі в 1947 році. У дитинстві, під час канікул у селі, вона проводила цілі дні на свіжому повітрі, спостерігаючи за природою: "Найменша комашка могла годинами привертати мою увагу", - розповідає вона. У школі мала високі оцінки з природничих предметів, а в університеті обрала природничий факультет. З наближенням закінчення навчання почала замислюватися над кар'єрою наукового співробітника. Щоб перевірити, чи може це бути її шлях, вона писала в державні та приватні лабораторії, пропонуючи себе в якості волонтера на неповний робочий день; протягом багатьох місяців вона не отримувала відповіді, поки її не прийняли в Інститут Пастера, в групу під керівництвом Жана-Клода Черманна, що вивчає зв'язок між раком у мишей і так званими "ретровірусами". Вона настільки захопилася дослідженнями, що весь свій час проводила в лабораторії, лише ненадовго з'являючись в університеті для здачі іспитів. Після закінчення університету Черманн запропонував їй захистити докторську дисертацію в Інституті Пастера, яку вона швидко закінчила в 1974 році. Після короткого річного перебування в США вона повернулася до Інституту Пастера: саме тут вона провела дослідження, які привели її до Нобелівської премії, і саме тут вона продовжувала працювати до виходу на пенсію, очоливши в 1992 році відділ біології ретровірусів.

Відкриття, гідне Нобелівської премії - У 1982 році Франсуаза Брюн-Везіне, вірусолог паризького госпіталю Бішат, звернулася до Інституту Пастера за допомогою: світом ширилася нова хвороба, набуваючи характеру справжньої пандемії. Він називався "Синдром набутого імунодефіциту": СНІД. Вже наприкінці 1970-х років серед молодих чоловіків-гомосексуалістів або героїнових наркоманів фіксували все більше смертей від різних хвороб: пухлини, саркоми Капоші, раптової незрозумілої пневмонії або інфекцій, які рідко призводили до смерті серед неімунодепресивних осіб. У 1982 році також були зареєстровані випадки серед хворих на гемофілію, спадкове захворювання крові, лікування якого потребує переливання крові. 82 також відбулася перша передача вірусу від матері до плоду. Медичні карти пацієнтів свідчили про різке зниження особливого типу клітин крові - лімфоцитів CD4 (або Т4), "режисера" імунної системи: організм вже не здатен розпізнавати та боротися із зовнішніми патогенами, і найбанальніша застуда може призвести до летального результату. Причина втрати лімфоцитів була незрозумілою, але припускалося, що це був ретровірус.

Директор Інституту Пастера Люк Монтаньє попросив Франсуазу Барре-Сінусс взятися за цю справу. Так, Барре-Сінуссі та її команда культивували лімфоцити CD4, витягнуті з лімфатичних вузлів пацієнтів на ранній стадії захворювання, і виявили активність ферменту під назвою "зворотна транскриптаза", що є прямою ознакою реплікації ретровірусу. За кілька місяців вони виділили, ампліфікували та секвенували те, що пізніше буде названо вірусом імунодефіциту людини, ВІЛ, і визначили його як причину СНІДу. Вони зрозуміли, як працює вірус і як він взаємодіє з лімфоцитами. На першій фазі захворювання вірус ВІЛ був присутній в лімфоцитах, не "проявляючи себе", і пацієнт, хоча і був позитивним і міг інфікувати інших, проте мав безсимптомний перебіг хвороби. У другій фазі вірус починав експресуватися, тобто розмножуватися, руйнуючи лімфоцити хворого, що проявлялося синдромом набутого імунодефіциту, СНІДом, нездатністю побороти інфекцію і призводило до смерті. Було зрозуміло, що вірус передається при контакті циркулюючої крові з інфікованою кров'ю, наприклад, при переливанні або обміні шприцами, а також статевим шляхом або передачею від матері до плоду. Це відкриття швидко призвело до розробки діагностичних тестів для виявлення наявності вірусу та виробництва антиретровірусних препаратів. Поєднання профілактики та лікування дозволило суттєво зменшити поширення хвороби та перетворити СНІД зі смертельного вироку на керовану хронічну хворобу.












Франсуаза-і-Монтаньєр отримує Нобелівську премію












Активізм - від відкриття до лікування, однак, перехід не може бути миттєвим. У травні 1983 року, як тільки результати були опубліковані в журналі Science, невиліковно хворі люди почали звертатися за допомогою до Франсуази Барре-Сінусс в Інституті Пастера або під час її подорожей з проханням вилікувати їх. Вона сказала: "Це було дуже травматично. Я знав, як науковець, що найближчим часом ми не матимемо лікування, бо ми знаємо, що науці потрібен час, щоб розробити ліки. Бачити, як помирають пацієнти, і очікувати від нас так багато - це було жахливо. Франсуаза Барре-Сінуссі присвятила свою кар'єру боротьбі з поширенням СНІДу Повне усвідомлення того, що СНІД передається через кров і продукти крові, прийшло з багатьма затримками: громадська думка і політика в галузі охорони здоров'я спочатку недооцінювали цю хворобу, асоціюючи її з соціально стигматизованою поведінкою, аж до того, що в деяких національних газетах кількох країн можна було прочитати такі вирази, як "рак геїв". Франсуаза Барре-Сінусі особисто взяла на себе зобов'язання щодо належного інформування про ризики, пов'язані з цим захворюванням, та вжиття відповідних заходів у сфері охорони здоров'я. У той час як профілактичні та лікувальні процедури стають доступними у Сполучених Штатах та Європі, вартість лікування робить його недоступним для бідних країн, а в Африці, зокрема, відбувається справжня катастрофа у сфері охорони здоров'я. Вчений розповів: "Мій перший візит до африканської країни відбувся у 1985 році з нагоди семінару Всесвітньої організації охорони здоров'я (ВООЗ) у Бангі (Центральноафриканська Республіка). Цей візит справив на мене велике враження. Культурний шок та жахливі умови, в яких я опинилася, дуже схвилювали мене і породили в мені бажання та потребу співпрацювати з країнами з обмеженими ресурсами".

У 1986 році Франсуаза Барре-Сінусі допомогла організувати Міжнародну конференцію зі СНІДу в Парижі, а через два роки разом зі своїми колегами створила Міжнародне товариство зі СНІДу, яке запустило проект "Share", що став всесвітнім закликом до колективної мобілізації. Її активна діяльність не перервала наукової роботи, і відділ регуляції ретровірусних інфекцій Інституту Пастера, який вона очолювала, досі займається пошуком вакцини або функціонального лікування. Франція неодноразово нагороджувала її орденом Почесного легіону - у 2006, 2009 роках, до її призначення Великим офіцером у 2013 році. «Come tutti, ho dei momenti nella mia vita in cui sono pessimista. Mi chiedo se continuare... Poi vado a fare un viaggio in Africa o nel Sud-est asiatico e ho un piccolo incontro con persone affette da Hiv, e dimentico il mio umore. Dico: "Va bene, andiamo avanti. Continuiamo. Questa è la vita reale. Non pensare a te stessa”».

 

Ada Yonath
Laura Candiani





Katarzyna Oliwa

 

Ha vinto il Premio Nobel per la chimica nel 2009, insieme a Thomas Arthur Steitz e a Venkatraman Ramakrishnan per gli studi sulla struttura e la funzione dei ribosomi, che sono complessi macromolecolari responsabili della sintesi proteica; questo riconoscimento comprende tre primati: è la prima cittadina israeliana a vincere un Nobel, ma anche la prima premiata mediorientale e la prima donna dopo Dorothy Crowfoot Hodgkin nel lontano 1964 ad ottenere il Premio per la chimica. 

Ada Lifshitz Yonath è nata a Gerusalemme il 22 giugno 1939 da genitori sionisti, arrivati dalla Polonia ancora prima che fosse fondato lo Stato di Israele. Il padre era rabbino, proveniente da una famiglia di rabbini, ma nella nuova patria per sopravvivere aprì un modesto negozio di generi alimentari. La bambina crebbe in un quartiere popolare, fra difficoltà economiche, che tuttavia cercava di superare grazie allo studio e alla lettura. Potè comunque frequentare buone scuole e, con il trasferimento a Tel Aviv dopo la morte del padre, avvenuta quando aveva solo dieci anni, entrò in un istituto superiore che riusciva a pagare dando lezioni di matematica; essendo una studente brillante e rigorosa, attirò la stima della docente Zvi Vinitzky che la incoraggiò e l'aiutò economicamente. Ha raccontato in varie occasioni di aver avuto presto la passione per la ricerca, rischiando anche di farsi del male: nei suoi esperimenti casalinghi si ruppe un braccio misurando l'altezza di un balcone e appiccò un fuoco con il cherosene. Ma ha pure ricordato la condizione di indigenza in cui si trovava con la madre e la sorella: «Sopravvivere è molto più faticoso che fare scienza. Nella scienza puoi sempre cambiare approccio se una strategia fallisce. Ma quando hai fame, hai fame!».

Nel 1962, dopo aver frequentato la facoltà di Chimica a Gerusalemme, ottenne la laurea e due anni dopo si specializzò in Biochimica. Nel 1968, nel prestigioso istituto Weizmann che poi avrebbe diretto, prese un'altra specializzazione in Cristallografia. Nel 1969 entrò con incarichi post-laurea alla Carnegie Mellon University di Pittsburgh e l'anno dopo al Mit (Cambridge, Massachusetts) dove lavorava con il prof. William Lipscomb, futuro Nobel per la chimica (1976), con la cristallografia delle proteine che utilizza i raggi X per determinare la struttura tridimensionale delle molecole. Aveva la figlia piccola eppure lavorava giorno e notte, grazie all'asilo nido dell'Università. Rientrata in patria, vi si stabilì per una diecina di anni e creò dal nulla il primo laboratorio di cristallografia di Israele; il suo obiettivo era quello di studiare i ribosomi, impresa nella quale famosi scienziati avevano fallito a causa della loro natura estremamente instabile. Come a tanti e tante visionarie, che si prefiggono una meta apparentemente impossibile, anche a lei veniva dato della pazza; è stato come scalare l'Everest, ha detto una volta, soltanto che, quando sei in cima, ti accorgi che ci sono tante altre montagne da superare. In quel periodo una brutta caduta le procurò una frattura, così, durante l'immobilità, lesse molto e scoprì qualcosa di interessante a proposito degli orsi polari che, durante il letargo, "conservano" i ribosomi integri, per riutilizzarli al risveglio. Nel 1980 Ada produce un cristallo di ribosoma, il primo al mondo; sembra però un successo effimero perchè i raggi X danneggiano i cristalli e li rendono inutilizzabili; ancora anni di ricerche finché nel 1987 utilizza la crio-cristallografia, consistente in un processo di raffreddamento dei biocristalli, che li rende stabili e riduce i possibili danni causati dai raggi X.

Ada nel suo laboratorio

 Intanto non cessava di fare nuove esperienze e di proseguire gli studi in altri ambienti: nel 1979 si trasferì a Berlino, presso il Max Planck Institute; si trattenne per quattro anni e poi volò all'Università di Chicago, come visiting professor; dal 1986 al 2004 rientrò in Europa per lavorare al Max Planck Institute di Amburgo, pur continuando le ricerche al Weizmann. Ancora oggi dirige a Rehovot, in Israele, l'Helen and Milton A. Kimmelman Center for Biomolecular Structure and Assembly del Weizmann Institute of Science, uno dei centri di ricerca scientifica più importanti al mondo. Oltre agli studi sui ribosomi che l'hanno portata al massimo traguardo, va segnalata un'altra attività molto importante, ovvero quella relativa agli antibiotici e al loro rapporto con i ribosomi, insieme a specifiche analisi sugli effetti delle droghe e all'utilizzo di tecniche innovative.

Lunghissimo l'elenco di premi ricevuti, sia prima che dopo il Nobel: nel 2002 Harvey Prize e Israel Prize, nel 2004 Massry Prize e la medaglia d'oro Paul Karrer, nel 2005 Louisa Gross Horwitz Prize; nel 2006 il Premio Wolf per la chimica, il Rothschild Prize e The Emet Prize per l'arte, la scienza e la cultura, nel 2007 il premio intitolato a Paul Ehrlich e Ludwig Darmstaedter; nel 2008 L'Oréal-Unesco Award for Women in Science, nello stesso anno l'Albert Einstein World Award of Science per i contributi pionieristici alla biosintesi delle proteine nel campo della cristallografia dei ribosomi e per l'introduzione di nuove tecnologie nella crio-bio-cristallografia. Nel periodo successivo al Nobel, riconoscimento salutato con entusiasmo dalla stampa e dalla popolazione israeliana, è stata accolta in prestigiose istituzioni europee e ha ricevuto la medaglia di Marie Curie (2011) dalla Società chimica polacca; papa Francesco l'ha nominata membro della Pontificia accademia delle scienze il 18 ottobre 2014.

Ada all'inaugurazione dell'assemblea nazionale dell'Ecuador

 Nel rilasciare una intervista dal titolo "La resistenza delle idee" al giornalista italiano Luca Tancredi Barone per il manifesto (15 agosto 2015) ha affermato: «La società non incoraggia certo a diventare scienziate. Perché è troppo "difficile", è "da maschi"... Guarda, guarda quel balcone dove quel bambino piange sempre. È che sua madre fa la scienziata. Oppure: la vedi? è così brutta che può fare solo la professoressa. Oggi non si usa più dire alle figlie: non fare la scienziata, ma la società ha modi più sottili per scoraggiarti. In linea di massima, la scienza non è più dura della politica, del ballo o dello sport. Ma la scienza si può fare anche senza competizione... a livello di mole di lavoro, non so. La scienza è molto esigente, con donne e uomini, è travolgente. Ma non più della politica». A proposito di vita privata e di conciliazione fra carriera e famiglia, lei stessa, mentre era giovane e al culmine dell'attività, ebbe una figlia, Hagit, oggi medica di professione, che l'ha resa nonna di una ragazza, Noa. Un nucleo familiare segnato dunque dalle donne che hanno avuto un grande ruolo sia nel sostenersi reciprocamente sia nel progettare in autonomia la propria vita, ma anche favorito da incontri fortunati con altre donne, come l'insegnante di Ada e la generosa filantropa Caroline Davis Kimmel (con il marito Sidney).


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Elle a remporté le prix Nobel de chimie en 2009, aux côtés de Thomas Arthur Steitz et de Venkatraman Ramakrishnan pour ses études sur la structure et la fonction des ribosomes, qui sont des complexes macromoléculaires responsables de la synthèse des protéines; cette reconnaissance comprend trois primats: elle est la première citoyenne israélienne à remporter un prix Nobel, mais aussi la première lauréate du Moyen-Orient et la première femme après Dorothy Crowfoot Hodgkin en 1964 à obtenir le prix de la chimie.

Ada Lifshitz Yonath est née à Jérusalem le 22 juin 1939 de parents sionistes venus de Pologne avant même la fondation de l’État d’Israël. Son père était rabbin, issu d’une famille de rabbins, mais dans sa nouvelle patrie, elle ouvrit une modeste épicerie pour survivre. La fillette grandit dans un quartier populaire, au milieu de difficultés économiques, qu’elle cherche à surmonter grâce à l’étude et à la lecture. Elle put néanmoins fréquenter de bonnes écoles et, avec le déménagement à Tel-Aviv après la mort de son père, alors qu’elle n’avait que dix ans, elle entra dans un établissement supérieur qu’elle pouvait se permettre de payer en donnant des cours de mathématiques; étudiante brillante et rigoureuse, elle attire l’estime du professeur Zvi Vinitzky qui l’encourage et l’aide financièrement. Il a raconté à plusieurs reprises qu’elle avait eu tôt la passion pour la recherche, risquant même de se faire du mal : dans ses expériences à la maison, elle s’est cassée un bras en mesurant la hauteur d’un balcon et elle a allumé un feu avec du kérosène. Mais elle a aussi rappelé la condition d’indigence dans laquelle elle se trouvait avec sa mère et sa sœur : «Survivre est beaucoup plus difficile que de faire de la science. Dans la science, vous pouvez toujours changer d’approche si une stratégie échoue. Mais quand vous avez faim, vous avez faim».

En 1962, après avoir fréquenté la faculté de chimie à Jérusalem, elle obtient son diplôme et deux ans plus tard, elle se spécialise en biochimie. En 1968, dans le prestigieux institut Weizmann qu’elle dirigerait ensuite, elle prit une autre spécialisation en cristallographie. En 1969, elle a obtenu un poste de troisième cycle à l’Université Carnegie Mellon de Pittsburgh et l’année suivante au MIT (Cambridge, Massachusetts) où elle travaillait avec le prof. William Lipscomb, futur Nobel de chimie (1976)avec la cristallographie des protéines qui utilise les rayons X pour déterminer la structure tridimensionnelle des molécules. Elle avait une petite fille et elle travaillait jour et nuit, grâce à la crèche de l’université. De retour au pays, elle s’y installe pendant une dizaine d’années et crée à partir de rien le premier laboratoire de cristallographie d’Israël ; son objectif est d’étudier les ribosomes, une entreprise dans laquelle de célèbres scientifiques ont échoué en raison de leur nature extrêmement instable. Comme tant de visionnaires, qui se fixent un but apparemment impossible, on lui a dit qu’elle aussi était folle; c’était comme escalader l’Everest, elle a dit une fois, seulement quand vous êtes au sommet, vous vous rendez compte qu’il y a beaucoup d’autres montagnes à surmonter. Pendant cette période, une mauvaise chute lui a donné une fracture, alors, pendant l’immobilité, elle a beaucoup lu et elle a découvert quelque chose d’intéressant à propos des ours polaires qui, pendant l’hibernation, "gardent" les ribosomes intacts, pour les réutiliser au réveil. En 1980, Ada produit un cristal de ribosome, le premier au monde; cependant, il semble un succès éphémère parce que les rayons X endommagent les cristaux et les rendent inutilisables; encore des années de recherches jusqu’en 1987 jusqu’à ce qu’elle utilise la cryo-cristallographie, qui consiste en un processus de refroidissement des biocristaux, qui les rend stables et réduit les dommages possibles causés par les rayons X.

Ada dans son laboratoire

Entre temps, elle n’a pas cessé de faire de nouvelles recherches et de poursuivre des études dans d’autres domaines: En 1979, elle s’installe à Berlin, au Max Planck Institute ; elle y reste quatre ans puis s’envole pour l’Université de Chicago comme professeur invitée ; De 1986 à 2004, elle retourne en Europe pour travailler au Max Planck Institute à Hambourg, tout en poursuivant ses recherches à Weizmann. Elle dirige toujours à Rehovot, en Israël, le Helen and Milton A. Kimmelman Center for Biomolecular Structure and Assembly du Weizmann Institute of Science, l’un des centres de recherche scientifique les plus importants au monde. Outre les études sur les ribosomes qui l’ont menée à son terme, elle convient de signaler une autre activité très importante, à savoir celle relative aux antibiotiques et à leur relation avec les ribosomes, ainsi que des analyses spécifiques sur les effets des drogues et l’utilisation de techniques innovantes.

Très longue est la liste de prix reçus, avant comme après le Prix Nobel : en 2002 Harvey Prize et Israel Prize, en 2004 Massry Prize et la médaille d’or Paul Karrer, en 2005 Louisa Gross Horwitz Prize; en 2006 le Prix Wolf pour la chimie, le prix Rothschild Prize et le prix Emet pour l’art, la science et la culture, en 2007 le prix intitulé à Paul Ehrlich et Ludwig Darmstaedter; en 2008 L’Oréal-Unesco Award for Women in Science, la même année, l’Albert Einstein World Award of Science pour les contributions pionnières à la biosynthèse des protéines dans le domaine de la cristallographie des ribosomes et pour l’introduction de nouvelles technologies dans la cryo-bio-cristallographie. Après le prix Nobel, qui a été salué avec enthousiasme par la presse et le peuple israélien, elle a été accueillie dans de prestigieuses institutions européennes et a reçu la médaille Marie Curie (2011) de la Société chimique polonaise; Le pape François l’a nommée membre de l’Académie pontificale des sciences le 18 octobre 2014.

Ada lors de l'inauguration de l'Assemblée nationale de l'Équateur

Durant une interview intitulée "La résistance des idées" au journaliste italien Luca Tancredi Barone pour le manifeste (15 août 2015), elle a déclaré : «La société n’encourage pas à devenir scientifique. Parce que c’est trop "dur", c’est "masculin"... Regarde, regarde ce balcon où ce bébé pleure tout le temps. C’est que sa mère est scientifique. Ou : tu la vois ? C’est si moche que seule la prof peut le faire. Aujourd’hui, on ne dit plus aux filles : ne sois pas une scientifique, mais la société a des moyens plus subtils de te décourager. En principe, la science n’est pas plus dure que la politique, la danse ou le sport. Mais la science peut se faire sans compétition... au niveau de la charge de travail, je ne sais pas. La science est très exigeante, avec les femmes et les hommes, elle est écrasante. Mais pas plus que la politique ». En parlant de vie privée et de conciliation entre carrière et famille, elle-même, alors qu’elle était jeune et au sommet de son activité, eut une fille, Hagit, aujourd’hui médecin de profession, qui en fit la grand-mère d’une jeune fille, Noa. Un noyau familial marqué donc par les femmes qui ont eu un grand rôle à la fois dans le soutien mutuel et dans la conception autonome de leur propre vie, mais aussi favorisé par des rencontres heureuses avec d’autres femmes, comme la professeur d’Ada et la généreuse philanthrope Caroline Davis Kimmel (avec son mari Sidney).


Traduzione inglese

Syd Stapleton

She won the Nobel Prize in Chemistry in 2009, along with Thomas Arthur Steitz and Venkatraman Ramakrishnan for their studies on the structure and function of ribosomes, which are macromolecular complexes responsible for protein synthesis. This award encompasses three firsts: she is the first female Israeli citizen to win a Nobel Prize, but also the first female Middle Eastern laureate and the first woman since Dorothy Crowfoot Hodgkin back in 1964 to win the Chemistry Prize.

Ada Lifshitz Yonath was born in Jerusalem on June 22, 1939, to Zionist parents who arrived from Poland even before the State of Israel was founded. Her father was a rabbi, and came from a family of rabbis, but to survive in his new homeland he opened a modest grocery store. She grew up in a working-class neighborhood amid economic hardships, which she nevertheless tried to overcome through study and reading. She was able to attend good schools and, with the move to Tel Aviv after her father's death when she was only ten years old, she entered a high school that she was able to pay for by giving math classes. Being a bright and rigorous student, she attracted the esteem of teacher Zvi Vinitzky, who encouraged her and helped her financially. She recounted on several occasions that she had an early passion for research, even risking injury - in her home experiments she broke her arm measuring the height of a balcony and started a fire with kerosene. But she also recalled the destitute condition she was in with her mother and sister. "Survival is much more tiring than doing science. In science you can always change your approach if a strategy fails. But when you're hungry, you're hungry!"

In 1962, after attending chemistry school in Jerusalem, she received her bachelor's degree and two years later majored in biochemistry. In 1968, at the prestigious Weizmann Institute she would later direct, she took another specialization in crystallography. In 1969 she entered with postgraduate appointments at Carnegie Mellon University in Pittsburgh and the following year at MIT (Cambridge, Massachusetts) where she worked with Prof. William Lipscomb, a future Nobel laureate in chemistry (1976), performing protein crystallography, which uses X-rays to determine the three-dimensional structure of molecules. She had her young daughter and yet worked day and night, thanks to the university's daycare center. Returning home, she settled there for a decade and created Israel's first crystallography laboratory from scratch. Her goal was to study ribosomes, a feat in which famous scientists had failed because of the extremely unstable nature of ribosomes. Like so many visionaries who set out on a seemingly impossible goal, she was also called crazy - it was like climbing Everest, she once said, only, when you are at the top, you realize there are so many other mountains to overcome. Around that time, she suffered a fracture from a bad fall, so during her recovery she read a lot and discovered something interesting about polar bears who, during hibernation, "store" intact ribosomes, to reuse them when they wake up. In 1980 Ada produced a ribosome crystal, the first synthesized the world. However, it seemed to be an ephemeral success because X-rays damage the crystals and make them unusable. It took more years of research until, in 1987, she used cryo-crystallography - a process of cooling the biocrystals, which makes them stable and reduces the possible damage caused by X-rays.

Ada in her laboratory

Meanwhile, she did not cease to gain new experiences and continued her studies in other environments. In 1979 she moved to Berlin, to the Max Planck Institute. She stayed there for four years and then transferred to the University of Chicago, as a visiting professor. From 1986 to 2004 she returned to Europe to work at the Max Planck Institute in Hamburg, while continuing her research at Weizmann. Even today she still directs, in Rehovot, Israel, the Helen and Milton A. Kimmelman Center for Biomolecular Structure and Assembly of the Weizmann Institute of Science, one of the world's leading scientific research centers. In addition to her studies on ribosomes that brought her to the top of the list, another very important activity should be noted, namely that related to antibiotics and their relationship to ribosomes, along with specific analyses of drug effects and the use of innovative techniques.

The list of prizes received, both before and after the Nobel Prize, is very long, including in 2002 the Harvey Prize and the Israel Prize, in 2004 the Massry Prize and the Paul Karrer Gold Medal, in 2005 the Louisa Gross Horwitz Prize, in 2006 the Wolf Prize for Chemistry, the Rothschild Prize and the Emet Prize for Art, Science and Culture, in 2007 the Paul Ehrlich and Ludwig Darmstaedter prizes, in 2008 the Oréal-Unesco Award for Women in Science, in the same year the Albert Einstein World Award of Science, for pioneering contributions to protein biosynthesis in the field of ribosome crystallography, and for introducing new technologies in cryo-bio-crystallography. In the aftermath of the Nobel Prize, an accolade greeted with enthusiasm by the press and the Israeli population, she has been welcomed to prestigious European institutions and received the Marie Curie Medal (2011) from the Polish Chemical Society. Pope Francis named her a member of the Pontifical Academy of Sciences on Oct. 18, 2014.

Ada at the inauguration of the national assembly of Ecuador


Traduzione spagnola

Erika Incatasciato

Ganadora del Premio Nobel de Química en 2009, junto con Thomas Arthur Steitz y Venkatraman Ramakrishnan, por sus estudios sobre la estructura y la función de los ribosomas, orgánulos macromoleculares responsables de la síntesis de las proteínas; este Premio encierra tres novedades: lo recibe la primera ciudadana israelí, es la primera mujer del Medio Oriente y es la primera mujer que lo gana después del Nobel de Química que Dorothy Crowfoot Hodgkin obtuvo en el lejano 1964.

Ada Lifshitz Yonath nació en Jerusalén el 22 de junio de 1939 de padres sionistas llegados de Polonia incluso antes la fundación del Estado de Israel. El padre era rabino, procedente de una familia de rabinos, pero en su nueva patria abrió un modesto supermercado para sobrevivir. La niña se crió en un barrio popular, entre dificultades económicas que intentaba superar gracias al estudio y a la lectura. No obstante, pudo asistir a buenos colegios y, tras el traslado a Tel Aviv sucesivo a la muerte de su padre, cuando ella tenía solo 10 años, ingresó en un instituto superior que podía pagar dando clases de matemáticas; al ser una estudiante brillante y rigurosa, atrajo la estimación de la profesora Zvi Vinitzky que la animó y la ayudó económicamente. En varias ocasiones contó su pasión temprana por la investigación y cómo se hizo daño: en sus experimentos caseros se fracturó un brazo midiendo la altura de un balcón y provocó un incendio con queroseno. También recordó las condiciones de miseria en que vivía con su madre y su hermana: “Sobrevivir es más agotador que hacer ciencia. En la ciencia siempre puedes cambiar de método si fracasa uno. ¡Cuando tienes hambre, tienes hambre!”.

En 1962, tras haber estudiado en la Facultad de Química de Jerusalén, se graduó y dos años después se especializó en Bioquímica. En 1968, en el prestigioso instituto Weizmann que luego dirigiría, se especializó en Cristalografía. En 1969 ingresó con un posgrado en la Universidad de Carnegie Mellon de Pittsburg y el año siguiente ingresó en el MIT (Cambridge, Massachusetts) donde trabajó con el Profesor William Lipscomb, futuro Nobel de Química (1976), con la Cristalografía de las proteínas que utiliza los rayos X para determinar la estructura tridimensional de las moléculas. Tenía una hija pequeña y aun así trabajaba día y noche, todo gracias a la guardería de la Universidad. Tras regresar a su patria, se estableció allí por una década y creó el primer laboratorio de cristalografía de Israel; su objetivo era estudiar los ribosomas, un estudio en que famosos científicos habían fracasado por la naturaleza extremadamente inestable de los ribosomas. Al igual que otros y otras visionarios/as, que se fijan una meta aparentemente imposible, a ella también la consideraban una loca; fue como escalar el monte Everest, dijo una vez, solo que, cuando estás arriba, te das cuentas de que hay otras tantas montañas que escalar. En esa época una mala caída le causó una fractura, así que, durante la inmovilidad, leyó mucho y descubrió algo interesante sobre los osos polares que, durante la hibernación, “conservan” los ribosomas intactos para reutilizarlos al despertar. En 1980 Ada produce el primer cristal de ribosoma en el mundo; pero solo parece un éxito efímero ya que los rayos X dañan los cristales haciendo que sean inutilizables; después de muchos años de investigaciones, en 1987 utiliza la criocristalografia, un proceso de enfriamiento de los biocristales que los hacen estables y reduce los daños posibles causados por las radiografías.

Ada en su laboratorio

Mientras tanto, no dejaba de hacer nuevas experiencias y de seguir con sus estudios en otros sectores: en 1979 se trasladó a Berlin, al Instituto Max Planck; permaneció allí cuatro años y luego fue a la Universidad de Chicago, como Profesora visitante; desde 1986 hasta 2004 regresó a Europa para trabajar en el Instituto Max Planck de Hamburgo, sin dejar las investigaciones del Weizmann. Hasta el día de hoy dirige en Rehovot, en Israel, el Helen and Milton A., Kimmelman Center for Biomolecular Structure and Assembly en el Instituto Weizmann de Ciencias, uno de los centros de investigación científica más importantes del mundo. Además de los estudios de ribosomas que la llevaron a la meta máxima, señalamos otra actividad muy importante, es decir, los estudios sobre los antibióticos y su relación con los ribosomas, junto a los estudios analíticos específicos sobre los efectos de las drogas y la utilización de técnica innovadoras.

Es muy larga la lista de los premios otorgados a Ada, tanto antes como después del Nobel: en 2002 recibe el Harvey Prize y el Israel Prize; en 2004 el Massry Prize y la medalla de oro de Paul Karrer; en 2005 el Luisa Gross Horwitz Prize; en 2006 el Premio Wolf de Química, el Rothschild Prize y The Emet Prize de arte, ciencia y cultura; en 2007 el premio Paul Ehrlich y Ludwig Darmstaedter; en 2008 el Award L’Oréal-Unesco for Women in Science, ese mismo año el Albert Einstein World Award of Science por su contribuciones pioneras sobre la biosíntesis de las proteínas en el sector de Cristalografía de los ribosomas y por la introducción de nuevas técnicas de la crio-bio-cristalografía. En los años posteriores al Nobel, premio reconocido con entusiasmo por la prensa y la población israelí, Ada fue acogida en prestigiosas academias europeas y ganó la medalla de Marie Curie (2011) de la Sociedad Química de Polonia; el papa Francisco la nombró miembra de la Pontificia Academia de ciencias el 19 de octubre de 2014.

Ada en la inauguración de la asamblea nacional de Ecuador

En una entrevista titulada La Resistenza delle Idee al periodista italiano Luca Tancredi Barone para «Il manifesto» (15 de agosto de 2015) afirma: «La sociedad no fomenta convertirse en científicas. Porque es demasiado “difícil”, es cosa “de hombres” … Mira, mira ese balcón donde aquel niño siempre llora. es que su madre es una científica. O bien: ¿La ves? Es tan fea que solo puede ser profesora. Hoy en día ya no se dice a las hijas: No seas científicas, pero la sociedad tienes formas más sutiles para desanimarlas. En general, la ciencia no es más difícil que la política, el baile o el deporte. Al contrario, se puede hacer ciencias incluso sin competir… a nivel de volumen de trabajo, no sé. La ciencia es muy exigente y abrumadora tanto con las mujeres como con los hombres. Pero no es más que la política». Con respecto a su vida privada y la conciliación entre la carrera y la familia, ella misma, mientras era joven y se hallaba en el apogeo de su actividad, tuvo una hija, Hagit, hoy médica de profesión, que le ha dado una nieta, otra chica, Noa. Una familia marcada por las mujeres que han tenido un papel importante tanto al apoyarse mutuamente como al diseñar sus proprias vidas, incluso un núcleo favorecido por encuentros afortunados con otras mujeres, como la profesora de Ada y la generosa filántropa Caroline Davis Kimmel (con su marido Sidney).


Traduzione ucraina

Alina Petelko

Вона отримала Нобелівську премію з хімії в 2009 році разом з Томасом Артуром Штайцем і Венкатраманом Рамакрішнаном за дослідження структури і функції рибосом, які є макромолекулярними комплексами, що відповідають за синтез білка. Ця нагорода включає в себе три першості: вона є першим громадянином Ізраїлю, який отримав Нобелівську премію, а також першим близькосхідним лауреатом і першою жінкою з часів Дороті Кроуфут Ходжкін в 1964 році, яка була удостоєна премії з хімії.

Ада Ліфшиц Йонат народилася в Єрусалимі 22 червня 1939 року в сім'ї сіоністів, які приїхали з Польщі ще до заснування Держави Ізраїль. Її батько був рабином, походив з родини рабинів, але на новій батьківщині, щоб вижити, відкрив скромну продуктову крамницю. Вона виросла в робітничому районі, серед економічних труднощів, які, тим не менш, намагалася подолати завдяки навчанню та читанню. Однак вона мала змогу відвідувати хороші школи і, переїхавши до Тель-Авіва після смерті батька, коли їй було лише десять років, вступила до середньої школи, яку їй вдавалося оплачувати, даючи уроки математики; будучи здібною і старанною ученицею, вона здобула повагу вчителя Цві Віницького, який заохочував її і допомагав їй матеріально. Вона неодноразово згадувала, що рано захопилася дослідженнями, навіть ризикуючи отримати травму: у своїх домашніх експериментах вона зламала руку, вимірюючи висоту балкона, і розпалила вогонь з парафіном. Але він також згадував злиденне становище, в якому опинився з матір'ю та сестрою: "Виживати набагато втомливіше, ніж займатися наукою. У науці завжди можна змінити підхід, якщо стратегія не спрацювала. Але коли ти голодний, то ти голодний! ".

У 1962 році після навчання на хімічному факультеті в Єрусалимі закінчив його і через два роки спеціалізувався на біохімії. У 1968 році в престижному Інституті Вейцмана, який він згодом очолить, він отримав ще одну спеціалізацію з кристалографії. У 1969 році вступив до аспірантури Університету Карнегі-Меллона в Пітсбурзі, а наступного року - до Массачусетського технологічного інституту (Кембридж, штат Массачусетс), де разом з професором Вільямом Ліпскомбом, майбутнім лауреатом Нобелівської премії з хімії (1976), працював над кристалографією білків, яка використовує рентгенівське випромінювання для визначення тривимірної будови молекул. Маючи маленьку доньку, вона працювала вдень і вночі, завдяки університетським яслам. Повернувшись додому, вона оселилася там на десять років і з нуля створила першу в Ізраїлі лабораторію кристалографії; її метою було вивчення рибосом - подвиг, в якому відомі вчені зазнали невдачі через їх вкрай нестабільну природу. Як і багатьох візіонерів, які ставлять перед собою, здавалося б, нездійсненну мету, її також називали божевільною; це було схоже на сходження на Еверест, сказала вона якось, за винятком того, що, опинившись на вершині, ти розумієш, що є ще так багато інших гір, які потрібно здолати. Тоді невдале падіння призвело до перелому, тож під час знерухомлення вона багато читала і відкрила для себе дещо цікаве про білих ведмедів, які під час сплячки "консервують" свої неушкоджені рибосоми для повторного використання, коли прокидаються. У 1980 році Ада виготовив кристал рибосоми, перший у світі; однак, здавалося, що це був нетривалий успіх, оскільки рентгенівські промені пошкоджують кристали і роблять їх непридатними для використання. Роки подальших досліджень тривали до 1987 року, коли він використав кріокристалографію, яка полягає в процесі охолодження біокристалів, що робить їх стабільними і зменшує можливі пошкодження, спричинені рентгенівськими променями.

Ада у своїй лабораторії

Тим часом він не переставав здобувати новий досвід і продовжувати навчання в інших середовищах: у 1979 році переїхав до Берліна, в Інститут Макса Планка; пробув там чотири роки, а потім полетів до Чиказького університету в якості запрошеного професора; з 1986 по 2004 рік повернувся до Європи і працював в Інституті Макса Планка в Гамбурзі, продовжуючи при цьому свої дослідження у Вейцманському інституті. Сьогодні він як і раніше очолює Центр біомолекулярної структури і збірки ім. Хелен і Мілтона А. Кіммельманів Наукового інституту Вейцмана в Реховоті, Ізраїль, один з найважливіших науково-дослідних центрів у світі. На додаток до досліджень рибосом, які вивели її на вершину, слід згадати ще одну дуже важливу діяльність, а саме дослідження антибіотиків та їх взаємозв'язку з рибосомами, разом з конкретними аналізами впливу ліків та застосуванням інноваційних методів.

Перелік отриманих премій, як до, так і після Нобелівської премії, дуже довгий: у 2002 році - премія Харві та премія Ізраїлю, у 2004 році - премія Массі та золота медаль Пауля Каррера, у 2005 році - премія Луїзи Гросс Горвіц, у 2006 році - премія Вольфа з хімії, премія Ротшильда та премія Емета в галузі мистецтва, науки та культури, у 2007 році - премія Пауля Ерліха та Людвіга Дармштедтера; у 2008 р. Премія ОРЕАЛ-ЮНЕСКО "Жінки в науці", у тому ж році - Всесвітня премія Альберта Ейнштейна за піонерський внесок у біосинтез білка в галузі кристалографії рибосом та за впровадження нових технологій у кріо-біокристалографію. Після присудження Нобелівської премії, яка була з ентузіазмом зустрінута пресою та населенням Ізраїлю, вона була прийнята в престижних європейських установах і нагороджена медаллю Марії Кюрі (2011) Польським хімічним товариством; 18 жовтня 2014 року Папа Франциск призначив її членом Папської академії наук.

Ада на інавгурації національних зборів Еквадору

В інтерв'ю під назвою "Опір ідей" італійському журналісту Луці Танкреді Бароне для il manifesto (15 серпня 2015 року) вона сказала: "Суспільство, безумовно, не заохочує людей ставати вченими. Тому що це занадто "складно", це "по-чоловічому".... Подивіться, подивіться на той балкон, де постійно плаче дитина. Це те, що його мама - науковець. Або: бачите її? Вона така потворна, що може бути тільки вчителькою. Сьогодні вже не прийнято говорити дочкам: не будь науковцем, але суспільство має більш витончені способи відмовити тебе від цього. В принципі, наука не складніша за політику, танці чи спорт. Але науку можна робити і без конкурсу... з точки зору навантаження, я не знаю. Наука дуже вимоглива, і до жінок, і до чоловіків, вона перевантажує. Але не більше, ніж політика". Що стосується особистого життя та поєднання кар'єри і сім'ї, то вона сама, будучи молодою і на піку своєї кар'єри, мала доньку Хагіт, яка зараз є лікарем за фахом, що зробило її бабусею дівчинки Ноа. Таким чином, сімейне ядро, позначене жінками, які відігравали велику роль як у підтримці один одного, так і в самостійному плануванні власного життя, але також сприяли щасливим зустрічам з іншими жінками, такими як вчителька Ади і щедра філантропка Керолайн Девіс Кіммел (разом з чоловіком Сідні).

 

Elizabeth H. Blackburn
Maria Chiara Pulcini






Katarzyna Oliwa

 

Le viene assegnato il Nobel per la medicina nel 2009, condiviso con il collega Jack W. Szostak e la sua allieva Carol W Greider, per la scoperta dei telomeri, una sequenza di Dna posta all’estremità del cromosoma che evita la disintegrazione del materiale genetico durante la divisione cellulare, e dell’enzima telomerasi, che produce il Dna contenuto nei telomeri.

Elizabeth Blackburn nasce a Hobart, in Tasmania, Australia, seconda di sette fratelli. La scienza e la ricerca hanno un’impronta profonda nella sua famiglia: figlia di due dottori, nipote di geologi e di collezionisti di insetti, Blackburn è fin da piccola a stretto contatto con il mondo scientifico. Poco prima di iniziare l’asilo, si trasferisce con la famiglia a Lauceston, nella parte nord della Tasmania. Approfittando del grande giardino della nuova casa i genitori ne assecondano la passione per gli animali e la natura: la bambina è costantemente circondata da girini, pappagalli e canarini, pesci rossi, galline e galli, coniglie e cavie, fino ai più classici cani e gatti. L’amore per la fauna e la lettura di testi scientifici semplificati per la gioventù la convincono a dedicarsi alla biologia e alla scienza. Frequenta scuole esclusivamente femminili, dove le materie scientifiche non fanno parte del curriculum; una mancanza che da studente provvede a recuperare seguendo lezioni serali di fisica in una vicina scuola pubblica. Poco prima della fine del liceo, la famiglia Blackburn si trasferisce a Melbourne, una delle più grandi città dell’Australia. Terminati gli studi, Elizabeth si immatricola nella locale università, iscrivendosi al corso di biologia, dove si appassiona soprattutto al lavoro di laboratorio. Ottiene la laurea in Biochimica nel 1970 e finisce la specialistica nel 1972. Incoraggiata dai suoi docenti, decide di proseguire il dottorato al Darwin College di Cambridge, in Inghilterra, studiando i metodi di sequenziamento del Dna.

Si sposa nel 1975 col collega John Sedat e nello stesso anno si trasferisce a Yale, dove prosegue gli studi post-dottorato fino al 1977. Nel 1978 viene chiamata a Berkeley, in California, come professoressa associata. Collabora con Jack W. Szostak e la sua allieva Carol W. Greider per studiare il ciclo biologico delle cellule e la duplicazione del Dna nel momento della mitosi, la divisione cellulare. Quando una cellula ha ottenuto abbastanza sostanze nutritive ed è pronta a replicare il proprio Dna, i cromosomi si separano e si spostano alla sua estremità. Una volta avvenuta la scissione, le due cellule figlie appena create conterranno lo stesso patrimonio genetico della cellula madre. Questo processo è fondamentale per la nostra sopravvivenza: è ciò che permette ad un ovulo fecondato di diventare un essere umano, o di guarire gravi lesioni. Un qualunque errore può portare alla dispersione del materiale genetico o danneggiarlo, con conseguenze gravi per la salute. Gli studi precedenti sul Dna avevano notato che l’enzima Dna polimerasi, responsabile della duplicazione del Dna nella cellula, non era in grado di compiere lo stesso processo agli estremi dei cromosomi. In teoria, ci sarebbe dovuta essere una fuoriuscita di materiale genetico da questi estremi nel momento della duplicazione. Blackburn scopre il perché questo non avviene: alle estremità dei cromosomi esistono delle sequenze di Dna il cui compito è proprio prevenire qualunque dispersione, agendo come una sorta di tappo. Vennero rinominati telomeri: senza di essi ci sarebbe il rischio costante di perdita di informazioni al momento della replica, o di fusione dei cromosomi alle estremità. Si accorciano ad ogni ciclo e sono visti come una sorta di orologio biologico per le cellule: per evitare danni causati dalla dispersione del Dna, quando i telomeri diventano troppo corti la cellula entra in uno stato di senescenza e smette di riprodursi. Ciò pare legare i telomeri alla senilità, alla morte e allo sviluppo di tumori o malattie croniche. Successivamente Blackburn scopre la telomerasi, l’enzima che ha il compito di sintetizzare le sequenze dei telomeri. Ciò permette di mantenere la loro lunghezza, e quindi di allungare il periodo vitale della cellula e ritardare l’invecchiamento cellulare.

 Le implicazioni cliniche di queste scoperte sono state enormi. Hanno permesso di comprendere meglio lo sviluppo dei tumori, rilevando che l’eccessiva attività della telomerasi nelle cellule cancerogene impedisce l’accorciamento dei telomeri, favorendo la loro riproduzione incontrollata. Ciò ha portato a teorizzare che una eventuale cura risieda nella possibilità di fermare il lavoro della telomerasi, e numerosi sono gli studi in atto in questo senso. La correlazione tra lunghezza dei telomeri e invecchiamento suggerisce che se si trovasse il modo di allungare i telomeri si potrebbe ritardare o addirittura fermare la senescenza delle cellule, e quindi la vecchiaia. In successivi studi, Blackburn dimostra la correlazione tra i livelli di attività della telomerasi e forti condizioni di stress: un lavoro molto duro, o una condizione di forte stress diminuiscono l’attività di questo enzima, provocando poi l’accorciamento dei telomeri, con conseguenti danni alla salute. La portata delle ricerche di Blackburn era già stata compresa negli anni Ottanta, rendendola una delle biologhe più rinomate e rispettate del mondo. Nel 1990 è chiamata all’Università della California, a San Francisco, dove è tuttora docente in Biologia e fisiologia. Nel 2001 è nominata presidente del Consiglio sulla bioetica, ma le sue posizioni a favore dell’uso di cellule embrionali per la ricerca causano la revoca del mandato nel 2004, provocando oltraggio nella comunità scientifica del tempo. Blackburn non ha mai nascosto di pensare che la causa della revoca sia stata la posizione religiosa dell’amministrazione Bush; da allora è sempre stata attiva nel denunciare i tentativi della politica di manipolare la ricerca scientifica. È per tale motivo che l’assegnazione del Premio Nobel nel 2009 per queste scoperte, condivise con Szostaks e Greider, viene percepita dai suoi sostenitori come una rivalsa sull’ultra-conservatorismo e i tentativi di controllare il mondo della scienza.

I riconoscimenti ottenuti da Blackburn nel corso della carriera sono innumerevoli: nel 1998 è presidente dell’American Society for cell biology ed è membro di numerose e prestigiose accademie e società scientifiche. Nel 2007 il Time Magazine la nomina una delle 100 persone più influenti del mondo e dal 2008 collabora con l’Unesco per un maggior coinvolgimento delle donne in campo scientifico. Numerose scienziate, come la genetista Elena Cattaneo e la biologa Anna Meldonesi, la identificano come il loro principale modello di riferimento. Blackburn, inoltre, è impegnata nella questione bioetica, assidua sostenitrice del benessere dell’umanità come vero e ultimo fine della ricerca, ignorando il mero guadagno economico o politico.


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Elle reçoit le prix Nobel de médecine en 2009, partagé avec son collègue Jack W. Szostak et son élève Carol W Greider, pour la découverte des télomères, une séquence d’ADN placée à l’extrémité du chromosome qui évite la désintégration du matériel génétique pendant la division cellulaire, et de l’enzyme télomérase, qui produit l’ADN contenu dans les télomères.

Elizabeth Blackburn est née à Hobart, en Tasmanie, en Australie, deuxième de sept frères. La science et la recherche ont une empreinte profonde dans sa famille : fille de deux médecins, nièce de géologues et de collectionneurs d’insectes, Blackburn est depuis son enfance en contact étroit avec le monde scientifique. Peu avant de commencer la maternelle, elle déménage avec sa famille à Lauceston, dans le nord de la Tasmanie. Profitant du grand jardin de la nouvelle maison, les parents apprécient la passion pour les animaux et la nature : la petite fille est constamment entourée de têtards, de perroquets, de canaris, de poissons rouges, de poules et coqs, de lapins et cobayes, jusqu’aux chiens et chats les plus classiques. L’amour de la faune et la lecture de textes scientifiques simplifiés pour la jeunesse la convainquent de se consacrer à la biologie et à la science. Elle fréquente des écoles exclusivement féminines, où les matières scientifiques ne font pas partie du programme; une carence qu’elle comble en tant qu’étudiant en suivant des cours du soir de physique dans une école publique voisine. Peu avant la fin du lycée, la famille Blackburn déménage à Melbourne, l’une des plus grandes villes d’Australie. Après ses études, Elizabeth s’inscrit à l’université locale, et au cours de biologie, où elle se passionne surtout pour le travail de laboratoire. Elle obtient son diplôme en biochimie en 1970 et termine sa maîtrise en 1972. Encouragée par ses professeurs, elle décide de poursuivre son doctorat au Darwin College de Cambridge, en Angleterre, en étudiant les méthodes de séquençage de l’ADN.

Elle se marie en 1975 avec son collègue John Sedat et s’installe la même année à Yale, où elle poursuit ses études post-doctorales jusqu’en 1977. En 1978, elle est appelée à Berkeley, en Californie, en tant que professeur associée. Elle collabore avec Jack W. Szostak et son élève Carol W. Greider pour étudier le cycle biologique des cellules et la duplication de l’ADN au moment de la mitose, la division cellulaire. Lorsqu’une cellule a obtenu suffisamment de nutriments et elle est prête à répliquer son Adn, les chromosomes se séparent et se déplacent à son extrémité. Une fois la division effectuée, les deux cellules filles nouvellement créées contiendront le même patrimoine génétique que la cellule mère. Ce processus est fondamental pour notre survie : c’est ce qui permet à un ovule fécondé de devenir un être humain, ou de guérir de graves blessures. Toute erreur peut entraîner la dispersion du matériel génétique ou l’endommager, avec des conséquences graves pour la santé. Des études antérieures sur l’Adn avaient noté que l’enzyme Adn polymérase, responsable de la duplication de l’Adn dans la cellule, n’était pas capable d’accomplir le même processus aux extrémités des chromosomes. En théorie, il aurait dû y avoir une fuite de matériel génétique de ces extrêmes au moment de la duplication. Blackburn découvre pourquoi cela ne se produit pas : aux extrémités des chromosomes, il existe des séquences d’ADN dont la tâche est précisément d’empêcher toute dispersion, agissant comme une sorte de bouchon. Ils ont été renommés télomères : sans eux, il y aurait un risque constant de perte d’information au moment de la réplication, ou de fusion des chromosomes aux extrémités. Ils raccourcissent à chaque cycle et sont considérés comme une sorte d’horloge biologique pour les cellules : pour éviter les dommages causés par la dispersion de l’ADN, lorsque les télomères deviennent trop courts, la cellule entre dans un état de sénescence et cesse de se reproduire. Cela semble lier les télomères à la sénilité, à la mort et au développement de tumeurs ou de maladies chroniques. Plus tard, Blackburn découvre la télomérase, l’enzyme qui synthétise les séquences des télomères. Cela permet de maintenir leur longueur, et donc d’allonger la période de vie de la cellule et de retarder le vieillissement cellulaire.

 Les implications cliniques de ces découvertes ont été énormes. Ils ont permis de mieux comprendre le développement des tumeurs, en notant que l’activité excessive de la télomérase dans les cellules cancéreuses empêche le raccourcissement des télomères, favorisant leur reproduction incontrôlée. Cela a conduit à la théorisation qu’un éventuel remède réside dans la possibilité d’arrêter le travail de la télomérase, et de nombreuses études sont en cours en ce sens. La relation entre la longueur des télomères et le vieillissement suggère que si vous trouviez un moyen d’étirer les télomères, vous pourriez retarder ou même arrêter la sénescence des cellules, et donc la vieillesse. Dans des études ultérieures, Blackburn démontre la relation entre les niveaux d’activité de la télomérase et de fortes conditions de stress : un travail très dur, ou une condition de stress fort diminue l’activité de cette enzyme, provoquant ensuite le raccourcissement des télomères, ce qui entraîne des dommages pour la santé. L’ampleur des recherches de Blackburn était déjà comprise dans les années 1980, ce qui en fait l’une des biologistes les plus renommées et les plus respectées au monde. En 1990, elle est appelée à l’Université de Californie, à San Francisco, où elle enseigne encore la biologie et la physiologie. En 2001, elle est nommée présidente du Conseil sur la bioéthique, mais ses positions en faveur de l’utilisation de cellules embryonnaires pour la recherche entraînent la révocation du mandat en 2004, provoquant un outrage dans la communauté scientifique de l’époque. Blackburn n’a jamais caché qu’elle pensait que la cause de la révocation était la position religieuse de l’administration Bush; depuis lors, elle a toujours été active pour dénoncer les tentatives de la politique de manipuler la recherche scientifique. C’est pourquoi un prix Nobel lui a été attribué en 2009 pour ces découvertes, partagées avec Szostaks et Greider, elle est perçue par ses partisans comme une revanche sur l’ultra-conservatisme et les tentatives de contrôler le monde de la science.

En 1998, elle est président de l’American Society for cell biology et membre de plusieurs académies et sociétés scientifiques prestigieuses. En 2007 le Time Magazine la nomme l’une des 100 personnes les plus influentes du monde et depuis 2008 elle collabore avec l’Unesco pour une plus grande implication des femmes dans le domaine scientifique. De nombreuses scientifiques, comme la généticienne Elena Cattaneo et la biologiste Anna Meldonesi, l’identifient comme leur principal modèle de référence. Blackburn est également engagée dans la question de la bioéthique, défenseur assidu du bien-être de l’humanité en tant que but véritable et ultime de la recherche, ignorant le simple gain économique ou politique.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Elizabeth Blackburn was awarded the 2009 Nobel Prize in Medicine, shared with colleague Jack W. Szostak and her student Carol W. Greider, for the discovery of telomeres, a sequence of DNA located at the end of the chromosome that prevents disintegration of genetic material during cell division, and the enzyme telomerase, which produces the DNA contained in telomeres.

Elizabeth Blackburn was born in Hobart, Tasmania, Australia, the second of seven siblings. Science and research ran deep in her family. The daughter of two doctors, the granddaughter of geologists and insect collectors, Blackburn was in close contact with the scientific world from an early age. Shortly before starting kindergarten, she moved with her family to Launceston, in the northern part of Tasmania. Taking advantage of the new home's large garden, her parents indulged her passion for animals and nature. She was constantly surrounded by tadpoles, parrots and canaries, goldfish, chickens and roosters, rabbits and guinea pigs, and the more classic cats and dogs. Her love of wildlife and reading simplified science texts for youth convinced her to pursue biology and science. She attended exclusively girls' schools, where science subjects were not part of the curriculum. This was a deficiency that she made up for by taking night classes in physics at a nearby public school. Shortly before the end of high school, the Blackburn family moved to Melbourne, one of Australia's largest cities. After finishing her studies, Elizabeth matriculated at the local university, enrolling in the biology program, where she became especially passionate about laboratory work. She received her bachelor's degree in biochemistry in 1970 and finished her master's degree in 1972. Encouraged by her professors, she decided to pursue a doctorate at Darwin College in Cambridge, England, studying DNA sequencing methods.

She married fellow professor John Sedat in 1975 and that same year moved to Yale, where she continued her postdoctoral studies until 1977. In 1978 she was called to the University of California, Berkeley, as an associate professor. She collaborated with Jack W. Szostak and his student Carol W. Greider to study the biological cycle of cells and DNA duplication at the time of mitosis - cell division. When a cell has obtained enough nutrients and is ready to replicate its DNA, the chromosomes split and move to its end. Once the splitting has occurred, the two newly created daughter cells will contain the same genetic makeup as the mother cell. This process is critical to our survival - it is what allows a fertilized egg to become a human being, or the healing of serious injuries. Any mistake in the process can lead to the dispersal of, or damage to, genetic material, with serious health consequences. Previous studies on DNA had noted that the enzyme DNA polymerase, which is responsible for duplicating DNA in the cell, was unable to accomplish the same process at the ends of chromosomes. In theory, there should have been a leakage of genetic material from these ends at the time of duplication. Blackburn discovered why this does not happen - at the ends of the chromosomes there are DNA sequences whose job is precisely to prevent any leakage, acting as a kind of cap. They were renamed telomeres. Without them there would be a constant risk of loss of information at the time of replication, or of chromosome fusion at the ends. They shorten with each cycle and are seen as a kind of biological clock for cells. To prevent damage caused by DNA leakage, when telomeres become too short the cell enters a state of senescence and stops reproducing. This appears to link telomeres to senility, death and the development of cancer or chronic diseases. Later Blackburn discovered telomerase, the enzyme responsible for synthesizing telomere sequences. This allows their length to be maintained, and thus lengthens the life span of the cell and delays cellular aging.

 The clinical implications of these findings have been enormous. They have provided a better understanding of cancer development, noting that excessive telomerase activity in cancer cells prevents telomere shortening, promoting their uncontrolled reproduction. This has led to theorizing that an eventual cure lies in the possibility of stopping telomerase work, and numerous studies are underway to this effect. The correlation between telomere length and aging suggests that if ways could be found to lengthen telomeres, one could delay or even stop the senescence of cells, and thus old age. In subsequent studies, Blackburn demonstrated the correlation between telomerase activity levels and strong stress conditions. Very hard work, or a condition of high stress decreases the activity of this enzyme, then causing telomere shortening, resulting in health damage. The scope of Blackburn's research was already understood by the 1980s, making her one of the world's most renowned and respected biologists. In 1990 she was called to the University of California, San Francisco, where she remains a professor in Biology and Physiology. In 2001 she was appointed chair of the Council on Bioethics, but her positions in favor of the use of embryonic cells for research caused her term to be revoked in 2004, causing outrage in the scientific community at the time. Blackburn has never hidden that she thought the cause of the revocation was the Bush administration's religious stance. She has been active ever since in denouncing political attempts to manipulate scientific research. It is for this reason that the awarding of the Nobel Prize in 2009 for these discoveries, shared with Szostaks and Greider, is perceived by her supporters as a powerful response to ultra-conservatism and its attempts to control the world of science.

Blackburn's career accolades are countless. In 1998 she was president of the American Society for Cell Biology and a member of numerous prestigious academies and scientific societies. In 2007 Time Magazine named her one of the 100 most influential people in the world, and since 2008 she has worked with UNESCO for greater involvement of women in science. Numerous female scientists, such as geneticist Elena Cattaneo and biologist Anna Meldonesi, identify her as their main role model. Blackburn is also committed to the issue of bioethics, an assiduous advocate of the well-being of humanity as the true and ultimate goal of research, ignoring mere economic or political gain.


Traduzione spagnola

Federica Agosta

Recibe el Premio Nobel de Medicina en 2009, compartido con su colega Jack W. Szostak y su alumna Carol W. Greider, por el descubrimiento de los telómeros, una secuencia de ADN situada al final del cromosoma que impide la desintegración del material genético durante la división celular, y de la enzima telomerasa, que produce el ADN contenido en los telómeros.

Elizabeth Blackburn nace en Hobart, Tasmania, Australia, segunda de siete hermanos. La ciencia y la investigación están muy arraigadas en su familia: hija de dos médicos, nieta de geólogos y coleccionistas de insectos, Blackburn se encuentra en estrecho contacto con el mundo científico desde su edad temprana. Poco antes de empezar el jardín de infancia, se traslada con su familia a Lauceston, en el norte de Tasmania. Aprovechando el gran jardín de su nueva casa, sus padres favorecen su pasión por los animales y la naturaleza: la niña está constantemente rodeada de renacuajos, loros y canarios, peces rojos, gallinas y gallos, conejos y cobayas, hasta los más clásicos gatos y perros. Su amor por la fauna y la lectura de textos científicos simplificados para la juventud la convencen a dedicarse a la biología y a la ciencia. Asiste a escuelas exclusivamente para chicas, donde las asignaturas científicas no forman parte del plan de estudios; una carencia que, de estudiante, compensa tomando clases nocturnas de física en una escuela pública cercana. Poco antes de terminar el instituto, la familia Blackburn se traslada a Melbourne, una de las mayores ciudades de Australia. Una vez terminados los estudios, Elizabeth se matricula en la universidad local, inscribiéndose en el curso de biología, donde se interesa en particular por el trabajo de laboratorio. Se licencia en Bioquímica en 1970 y termina su especialización en 1972. Animada por sus profesores, decide cursar un doctorado en el Darwin College de Cambridge (Inglaterra) con el fin de estudiar los métodos de secuenciación del ADN.

Se casa con su colega John Sedat en 1975 y ese mismo año se traslada a Yale, donde prosigue sus estudios posdoctorales hasta 1977. En 1978 la llaman a Berkeley, California, como profesora titular. Colabora con Jack W. Szostak y su alumna Carol W. Greider para estudiar el ciclo biológico celular y la duplicación del ADN durante la mitosis, la división celular. Cuando una célula ha obtenido bastante nutrientes y está lista para replicar su ADN, los cromosomas se separan y se desplazan hacia sus extremos. Una vez llevada a cabo la división, las dos células hijas recién creadas incluirán el mismo patrimonio genético que la célula madre. Este proceso es fundamental para nuestra supervivencia: es lo que permite que un óvulo fecundado se convierta en un ser humano, o que se curen graves lesiones. Cualquier error puede hacer que el material genético se pierda o se dañe, con consecuencias graves para la salud. Estudios precedentes acerca del ADN habían observado que la enzima ADN polimerasa, responsable de la duplicación del ADN en la célula, no lograba realizar el mismo proceso en los extremos de los cromosomas. En teoría, debería haber una pérdida de material genético de dichos extremos en el momento de la duplicación. Blackburn descubre la razón por la cual esto no ocurre: en los extremos de los cromosomas hay secuencias de ADN cuya función es precisamente la de impedir cualquier pérdida, actuando como una especie de tapón. Recibieron el nombre de telómeros: sin ellos habría un riesgo constante de pérdida de informaciones durante la replicación, o de fusión de cromosomas en los extremos. Se acortan con cada ciclo y se consideran como una especie de reloj biológico para las células: para evitar daños causados por las pérdidas de ADN, cuando los telómeros se acortan demasiado, la célula entra en un estado de senescencia y deja de reproducirse. Esto parece relacionar los telómeros con la senilidad, la muerte y el desarrollo de tumores o enfermedades crónicas. Sucesivamente, Blackburn descubre la telomerasa, la enzima que tiene la función de sintetizar las secuencias de los telómeros. Esto permite mantener su longitud, alargando así la vida de la célula y retrasando el envejecimiento celular.

 Las implicaciones clínicas de estos descubrimientos fueron enormes. Permitieron obtener una mejor comprensión acerca del desarrollo de los tumores, al constatar que la excesiva actividad de la telomerasa en las células cancerosas impide el acortamiento de los telómeros, lo que favorece su reproducción incontrolada. Esto llevó a la teoría de que una posible cura radica en la posibilidad de detener el trabajo de la telomerasa, y se están realizando numerosos estudios con este fin. La correlación entre la longitud de los telómeros y el envejecimiento sugiere que, si se encontrara una manera para alargar los telómeros, se podría retrasar o incluso detener la senescencia de las células y, por lo tanto, la vejez. En estudios posteriores, Blackburn demuestra la correlación entre los niveles de actividad de la telomerasa y las fuertes condiciones de estrés: un trabajo muy difícil, o una condición de alto estrés disminuyen la actividad de la enzima, lo que implica que los telómeros se acorten, provocando daños en la salud. El alcance de las investigaciones de Blackburn ya había sido entendido en los años ochenta, convirtiéndola en una de las biólogas más reconocidas y respetadas del mundo. En 1990 la llaman a la Universidad de California, San Francisco, donde sigue dando clases de Biología y Fisiología. En 2001 la nombran Presidenta del Consejo de Bioética, pero sus posturas a favor de la utilización de células embrionarias para la investigación la llevan a su cese en 2004, provocando la indignación de la comunidad científica de la época. Blackburn nunca ha ocultado lo que creía ser la causa de la revocación, causa que, según la científica, se debía a la postura religiosa de la administración Bush; desde entonces ha denunciado activamente los intentos de la política de manipular la investigación científica. Es por esa razón que la adjudicación del Premio Nobel en 2009 por estos descubrimientos, compartidos con Szostaks y Greider, se percibe por sus partidarios como un desquite contra el ultra-conservadurismo y los intentos de controlar el mundo de la ciencia.

Los reconocimientos obtenidos por Blackburn a lo largo de su carrera son innumerables: en 1998 llega a ser Presidenta de la American Society for cell biology y es miembra de numerosas academias de prestigio y sociedades científicas. En 2007, el Time Magazine la nombra entre una de las 100 personas más influyentes del mundo y desde 2008 colabora con la Unesco para una mayor participación de las mujeres en el ámbito científico. Numerosas científicas, como la genetista Elena Cattaneo y la bióloga Anna Meldonesi, la identifican como su principal modelo a seguir. Blackburn, además, se compromete con la cuestión de la bioética, es asidua defensora del bienestar de la humanidad como verdadero y último objetivo de la investigación, ignorando el mero beneficio económico o político.


Traduzione ucraina

Alina Petelko

Вона була удостоєна Нобелівської премії з медицини в 2009 році, яку розділила зі своїм колегою Джеком В. Шостаком і своєю ученицею Керол В. Грейдер, за відкриття теломер, послідовності ДНК, розташованої в кінці хромосоми, яка запобігає розпаду генетичного матеріалу під час поділу клітини, і ферменту теломерази, який виробляє ДНК, що міститься в теломерах.

Елізабет Блекберн народилася в Хобарті, Тасманія, Австралія, другою з семи братів і сестер. Наука та дослідження мають глибоке коріння в її родині: дочка двох лікарів, онука геологів та колекціонерів комах, Блекберн з раннього дитинства була в тісному контакті з науковим світом. Незадовго до того, як піти до дитячого садка, вона переїхала з сім'єю до Локстона, що на півночі Тасманії. Користуючись перевагами великого саду в її новому будинку, батьки потурали її пристрасті до тварин і природи: її постійно оточували пуголовки, папуги і канарки, золоті рибки, кури і півні, кролики і морські свинки, аж до більш класичних котів і собак. Любов до фауни та читання спрощених наукових текстів в юності переконали її присвятити себе біології та науці. Він навчався у школах для дівчат, де природничі предмети не були частиною навчальної програми; цей недолік він компенсував у студентські роки, відвідуючи вечірні заняття з фізики у сусідній державній школі. Незадовго до закінчення середньої школи родина Блекбернів переїхала до Мельбурна, одного з найбільших міст Австралії. Після закінчення школи Елізабет вступила до місцевого університету, записавшись на курс біології, де особливо зацікавилася лабораторними роботами. У 1970 році отримала ступінь бакалавра біохімії, а в 1972 році - ступінь магістра. Заохочена своїми професорами, вона вирішила здобути докторський ступінь у Дарвін-коледжі в Кембриджі, Англія, вивчаючи методи секвенування ДНК.

У 1975 році вийшла заміж за свого колегу Джона Седата і в тому ж році переїхала до Єльського університету, де продовжила навчання в аспірантурі до 1977 року. У 1978 році була запрошена до Берклі, Каліфорнія, на посаду доцента. Співпрацювала з Джеком В. Шостаком та його ученицею Керол В. Грейдер над вивченням біологічного циклу клітин і дублюванням ДНК в момент мітозу, поділу клітин. Коли клітина отримує достатньо поживних речовин і готова до реплікації своєї ДНК, хромосоми розщеплюються і рухаються до її кінця. Після того, як поділ відбувся, дві новостворені дочірні клітини будуть містити ту ж генетичну спадщину, що і материнська клітина. Цей процес має вирішальне значення для нашого виживання: саме він дозволяє заплідненій яйцеклітині стати людиною або загоїти серйозні травми. Будь-яка помилка може призвести до втрати або пошкодження генетичного матеріалу, що матиме серйозні наслідки для здоров'я. Попередні дослідження ДНК відзначали, що фермент ДНК-полімераза, відповідальний за дублювання ДНК в клітині, не здатний виконувати той же процес на кінцях хромосом. Теоретично, в момент дублювання повинен був відбутися витік генетичного матеріалу з цих кінців. Блекберн виявив, чому цього не відбувається: на кінцях хромосом є послідовності ДНК, робота яких полягає саме в тому, щоб запобігати будь-якому витоку, виконуючи роль своєрідної пробки. Їх перейменували на теломери: без них існував би постійний ризик втрати інформації під час реплікації, або злиття хромосом на кінцях. Вони коротшають з кожним циклом і розглядаються як своєрідний біологічний годинник для клітин: щоб запобігти пошкодженням, викликаним витоком ДНК, коли теломери стають занадто короткими, клітина впадає в стан старіння і перестає розмножуватися. Це, як видається, пов'язує теломери зі старістю, смертю та розвитком пухлин або хронічних захворювань. Згодом Блекберн відкрив теломеразу - фермент, відповідальний за синтез послідовностей теломер. Це дає можливість підтримувати їх довжину, тим самим продовжуючи термін життя клітини і затримуючи клітинне старіння.

Клінічні наслідки цих відкриттів були величезними. Вони привели до кращого розуміння розвитку пухлин, зазначивши, що надмірна активність теломерази в ракових клітинах перешкоджає вкороченню теломер, тим самим заохочуючи їх неконтрольоване розмноження. Це призвело до теорії, що можливе лікування полягає в можливості зупинки роботи теломерази, і в цьому напрямку проводяться численні дослідження. Кореляція між довжиною теломер і старінням свідчить про те, що якби був знайдений спосіб подовження теломер, то старіння клітин, а отже, і старість, можна було б затримати або навіть зупинити. У подальших дослідженнях Блекберн демонструє взаємозв'язок між рівнем активності теломерази і важкими стресовими станами: дуже важка робота або стан високого стресу знижує активність цього ферменту, що потім викликає вкорочення теломер, що призводить до пошкодження здоров'я. Масштаби досліджень Блекберн були усвідомлені вже у 1980-х роках, що зробило її одним з найвідоміших і найшанованіших біологів у світі. У 1990 році була запрошена до Каліфорнійського університету в Сан-Франциско, де й досі читає лекції з біології та фізіології. У 2001 році вона була призначена президентом Ради з біоетики, але її позиція на користь використання ембріональних клітин для досліджень призвела до її звільнення у 2004 році, що викликало обурення в науковому співтоваристві того часу. Блекберн ніколи не приховувала, що вважала причиною відкликання релігійну позицію адміністрації Буша; відтоді вона активно виступає проти спроб політиків маніпулювати науковими дослідженнями. Саме з цієї причини присудження їй Нобелівської премії у 2009 році за ці відкриття, яку вона розділила з Шостаксом і Грейдером, сприймається її прихильниками як реванш за ультраконсерватизм і спроби контролювати світ науки.

За свою кар'єру Блекберн отримала незліченну кількість нагород: у 1998 році вона стала президентом Американського товариства клітинної біології, є членом численних престижних академій та наукових товариств. У 2007 році журнал "Тайм" назвав її однією з 100 найвпливовіших людей світу, а з 2008 року вона співпрацює з ЮНЕСКО задля більшого залучення жінок до науки. Численні жінки-науковці, такі як генетик Олена Каттанео та біолог Анна Мельдонезі, називають її своєю головною рольовою моделлю. Блекберн також прихильний до питань біоетики, старанно відстоює благополуччя людства як справжню і кінцеву мету досліджень, ігноруючи просту економічну або політичну вигоду.

Sottocategorie

 

 

 Wikimedia Italia - Toponomastica femminile

    Logo Tf wkpd

 

CONVENZIONE TRA

Toponomastica femminile, e WIKIMEDIA Italia