Janis Joplin
Gemma Pacella




Laura Zemik

 

La rivista statunitense Rolling Stone la pone al 46º posto della lista dei/delle 100 artisti/e più importanti della storia e al 28º della classifica del 2008 dei/delle 100 cantanti più importanti di tutti i tempi. Riconosciuta e ricordata per l'intensità delle sue interpretazioni, nel 1995 è stata inserita nella Rock and Roll Hall of Fame e nel 2005 è stata insignita del Grammy Award alla carriera postumo.

Janis Lyn Joplin nasce il 19 gennaio 1943 a Port Arthur, in Texas, che lei definirà la sua “prigione natale”. La sua è una famiglia conservatrice: il padre è un ingegnere e sua madre, profondamente devota, canta nel coro della chiesa finché, durante un’operazione alla tiroide, per sbaglio le lesionano le corde vocali. Il suo pianoforte viene venduto. Quella che diventerà la regina hippy di Haight-Ashbury cresce immersa in principi cristiani di rinuncia e di astensione, la maggiore di tre fratelli. Scopre da subito la sua prima passione, i libri, iniziando a leggere da sola. Parallelamente coltiva l'amore per l’arte: da un lato la pittura e dall’altro, sin da adolescente, si avvicina al blues. Inizia a cantare nel coro cittadino e ad ascoltare artiste come Bessie Smith, Odetta e Big Mama Thornton, da cui probabilmente “eredita” quella voce graffiante e profonda che le varrà, più tardi, l’appellativo di “la donna che cantava con l’utero”. Resterà il legame profondo soprattutto con Bessie Smith, a tal punto che Janis le donerà una lapide nuova, poco prima di morire a sua volta. Fin da ragazza, Janis si schiera contro il Ku Klux Klan e persegue gli ideali di uguaglianza, contro la pesante segregazione razziale, in quel periodo fortemente presente nello Stato del Texas. Gli anni trascorsi a scuola sono difficili per lei, bullizzata da compagni e compagne per il suo aspetto fisico e per il carattere fuori dagli schemi, oltre che per la sua notevole intelligenza. Uniamo questi primi due punti fondamentali della sua giovane vita per arrivare alla sua inossidabile passione per il blues: combatte al fianco del popolo nero che ha inventato e diffuso il genere musicale e prova, fin da ragazza, una malinconica sofferenza di emarginazione e non accettazione che solo un genere come quello dei “diavoli blu” le consente di narrare e, in chiave catartica, esorcizzare, diventando per lei il suo “kozmic blues”. Si diploma nel 1960 e passa al baccellierato in Arti liberali presso il Lamar State College of Technology di Beaumont. Da qui inizia una carriera di studi altalenante: resta iscritta al college fino al 1966. Pur frequentando solo 50 ore, nel 1965 sostiene con un profitto quasi massimo (99/100) una prova di esame in Problemi sociali. Viene poi ammessa all’Università del Texas ad Austin, ma non ha mai completato gli studi.

In questo periodo vive in un edificio comunemente chiamato "The Ghetto", al 2812 1/2 di Nueces Street, per un affitto di 40 dollari al mese. Le cose non migliorano molto rispetto ai tempi del liceo: anche quelli dell’università non sono anni facili per lei, definita “l’uomo più brutto del campus”. D’altronde, dirà poi lei nel suo brano Kozmic blues: «Said you, they're always gonna hurt you. I said they're always gonna let you down. I said everywhere, every day, every day. And every way, every way» (Ho detto che ti deluderanno sempre. Ho detto ovunque, ogni giorno. E in ogni modo). Eppure, Janis trova un suo spazio espressivo e libero in cui muoversi: la scena musicale di Austin in quegli anni è brulicante di artisti e artiste dallo strabiliante genio creativo, nei generi come blues, rock, jazz, gospel. Al campus anche Janis inizia a cantare bluegrass, un tipo particolare di musica country, accompagnata da un duo di musicisti. Si esibisce al Threadgill’s, la mecca musicale di Austin, e ottiene un séguito importante: «Cantava il blues meglio di qualsiasi ragazza bianca che avessi mai ascoltato», dirà il proprietario del locale, Ken Threadgill. Uno dei personaggi più in vista del Ghetto dell’Università di Austin è Chet Helms, che diventerà un leggendario organizzatore di eventi e impresario musicale di San Francisco. Quando Janis molla l’università, lei e Chet attraversano l’America in autostop fino a raggiungere proprio San Francisco. C’è Kerouac sulla “sua strada”: sono gli anni in cui le influenze beat giungono nei pensieri dei e delle più giovani e, quando possibile come accade per Janis, ne intercettano l’arte. Chet porta Janis ad esibirsi al Coffee & Confusion, dove canta a cappella quattro brani country-gospel, scatenando un’autentica ovazione e ben 14 dollari in monetine di mancia, che, tuttavia, non bastano a mantenersi in città, nemmeno integrandole con il sussidio di disoccupazione e con qualche occasione di taccheggio.

Così, Janis ritorna a Houston per riprendere gli studi e per riprendersi da qualche eccesso con droghe e alcol ma viene presto ricondotta a San Francisco: la formazione californiana dei Big Brother and the Holding Company è alla ricerca di una vocalist e, su suggerimento di Helms che la incoraggia a farsi avanti, sceglie lei. Da questo momento comincia la sua vera ascesa musicale: incide e reincide brani di successo con i Big Brother, esibendosi in diversi concerti, la sua unica passione di tutta la frenetica macchina dell’industria musicale. Giunge poi la partecipazione ad alcuni dei festival più importanti di quegli anni, tra cui il Festival Pop di Monterey, dove ottiene un trionfo con un'indimenticabile versione del brano Ball and Chain di Big Mama Thornton. In quell’occasione è l’unica artista ad essere richiamata a furor di popolo sul palcoscenico. E, naturalmente, arriva il Festival di Woodstock, che tuttavia non si rivela un gran successo per Janis, provata dall’abuso di alcol. Nel 1969 inizia la carriera da solista e sceglie come gruppo d'accompagnamento la Kozmic Blues Band, con la quale pubblica I got dem 'ol Kozmic Blues Again mama. Purtroppo, però, anche il rapporto con questa band viene rovinato dall'abuso di eroina e alcol e il gruppo si scioglie. Lei ci riprova: per un periodo si disintossica e forma ancora un’altra band, la Full Tilt Boogie Band, con cui lavora per la realizzazione del terzo album, Pearl, al quale si dedica con impegno e precisione, fino a registrare alcuni brani persino in un solo giorno. L’album uscirà l’11 gennaio del 1971 ottenendo un grandissimo successo, soprattutto grazie a Cry baby e Me and Bobby mcGee (cover di un pezzo di Kris Kristofferson), ma sarà postumo.

Il 4 ottobre 1970, qualche mese prima, Janis Joplin viene trovata morta nella stanza di un hotel di Los Angeles. L'esame autoptico stabilisce una morte accidentale, causata da overdose di eroina. Il suo corpo viene cremato al Westwood Village Memorial Park Cemetery e le ceneri sparse nell'Oceano Pacifico. L’iconografia e l’aneddotica di questa artista è vastissima: potremmo ricordare la sua Porsche dipinta da Dave Richards, con una bandiera americana insanguinata sul baule, i volti dei Big Brother e paesaggi fantastici. Il nome della macchina è Fantality, che combina fantasy e reality. O ancora segnalare che nel 1970 Janis Joplin è la prima donna dello show business a farsi tatuare, da Lyle Tuttle, il primo artista del tatuaggio psichedelico, con un cuore sul seno, un bocciolo su una caviglia e un braccialetto al polso. Nello stile, in quella che sarà la sua immagine più matura, creata dopo i primi successi, grazie all’amicizia con la moglie di un componente dei Big Brother, Janis combina colori e tessuti tra abiti e accessori: il viola e il porpora, il rosa pastello, il verde pavone, indossa campanellini alla cintura e ai polsi. Iconici del suo look sono i sabot dorati, con il tacco a rocchetto. In alcune sue apparizioni catturano l’attenzione le piume verdi e fucsia che sovrastano i suoi capelli, un po’ capa indiana, un po’ omaggio ad un’altra grande artista, Etta James.

Janis Joplin ha percorso gli anni Sessanta con il suo blues irriverente e il suo stile sfrenato, il periodo che ha rappresentato nella sua vita ben più che un contesto di riferimento: per alcune e alcuni potrebbe trattarsi di un genio dalla vita sregolata, dedita all’inscindibile trio di sesso, droga e rock and roll, ma la sua biografia non racconta solo di una donna che ha sfidato i limiti imposti alla libertà sessuale e all’uso di sostanze sballanti. Anzi, di lei si dice che non amasse assumere sostanze psichedeliche per non perdere lucidità durante le sue performance e che si fosse autoimposta una regola, ovvero quella di non assumere mai eroina prima di una esibizione. La sua breve vita ci racconta di una ragazza che vagava nel suo vivere profondo all’interno della musica. Nel documentario L’altra faccia del rock - In ricordo di Janis Joplin del 1981, la voce narrante dice, fuor di retorica, che «senza di lei, il rock, la musica colonna sonora del nostro tempo, ma anche la musica più rivoluzionaria ed eversiva, non sarebbe mai diventata un’arte femminile».

Janis, con il suo blues della tartaruga, che ha seguito ed inseguito le artiste che l’hanno preceduta come grandi icone nella musica e nello stile, è diventata lei stessa sorgente di ispirazione per moltissime altre artiste dopo di lei. Una artista di confine tra blues, rock, soul e jazz se n’è andata sul più bello, si direbbe. Si chiama “club 27” un gruppo (non musicale) di cantanti famosi/e che hanno perso la vita all’età di 27 anni. Tra loro: Jimi Hendrix, Jim Morrison, Kurt Cobain, Amy Winehouse e, appunto, Janis Joplin. Anche lei farebbe parte del gruppo degli eccessi, nello stile di vita, probabilmente, nello stile musicale, certamente. Buried alive in the blues, una delle tracce inserite in Pearl, è priva di voce, è solo strumentale, non avendo fatto in tempo a registrare il testo. Eppure il titolo dice molto più di tante altre parole, Janis: sepolta viva nel blues.


Traduzione francese

Guenoah Monroe

La revue américaine Rolling Stone la place au 46e rang de la liste des 100 artistes les plus importants de l’histoire et au 28e rang du classement 2008 des 100 chanteurs les plus importants de tous les temps. Reconnue et commémorée pour l’intensité de ses interprétations, elle a intégré le Rock and Roll Hall of Fame en 1995 et a été récompensé avec le Grammy Award à la carrière posthume en 2005.

Janis Lyn Joplin est née le 19 janvier 1943 à Port Arthur, au Texas, qu’elle nommera sa "prison natale". Sa famille est conservatrice : son père est ingénieur et sa mère, profondément dévouée, chante dans le chœur de l’église jusqu’à ce que, lors d’une opération de la thyroïde, elle se blesse accidentellement les cordes vocales. Son piano a été vendu. Celle qui deviendra la reine hippie de Haight-Ashbury, l’aînée de trois frères, grandit entourée des valeurs chrétiennes de renoncement et d'abstention. Elle découvre immédiatement sa première passion, les livres, en commençant à lire seule. Elle fais preuve d’amour pour l’art en même temps : d’une part, la peinture et, d’autre part, dès l’adolescence, elle se rapproche du blues. Elle commence à chanter dans le chœur de la ville et à écouter des artistes comme Bessie Smith, Odetta et Big Mama Thornton, dont elle "hérite" probablement cette voix rauque et profonde qui lui vaudra, plus tard, le titre de "la femme qui chantait avec l’utérus". Le lien restera bien profond surtout avec Bessie Smith, à tel point que Janis lui offrira une pierre tombale juste avant de rendre son dernier souffle. Dès son plus jeune âge, Janis prend parti contre le Ku Klux Klan et poursuit les idéaux d’égalité, contre la forte ségrégation raciale, à cette époque fortement présente dans l’État du Texas. Les années passées à l’école sont difficiles pour elle, harcelée par ses camarades et compagnes en raison de son apparence physique et de son caractère hors du commun, ainsi que de son intelligence remarquable. Joignons ces deux premiers points fondamentaux de sa jeune vie pour arriver à sa passion inoffensive pour le blues : elle se bat aux côtés du peuple noir qui a inventé et diffusé le genre musical et essai, depuis son enfance, une souffrance mélancolique de marginalisation et de non-acceptation que seul un genre comme celui des "diables bleus" lui permet de raconter et, de manière cathartique, d’exorciser, devenant pour elle son "kozmic blues". Elle est diplômé en 1960 et passe au baccalauréat en arts libéraux au Lamar State College of Technology de Beaumont. De là commence une carrière d’études flottante: elle reste inscrite au collège jusqu’en 1966. Bien qu’elle ne suive que 50 heures, en 1965, elle soutient avec un profit presque maximal (99/100) une épreuve d’examen en problèmes sociaux. Elle est ensuite admise à l’Université du Texas à Austin, mais n’a jamais terminé ses études.

Pendant ce temps, elle vit dans un bâtiment communément appelé "The Ghetto", au 2812 1/2 Nueces Street, pour un loyer de 40 dollars par mois. Les choses ne s’améliorent pas beaucoup par rapport au lycée : même les années passées à l’université ne sont pas si faciles pour elle, surnommée "l’homme le plus laid du campus". D’ailleurs, elle dira ensuite dans sa chanson Kozmic blues : «Said you, they’re always gonna hurt you. I said they’s re always gonna let you down. I said everywhere, every day, every day. And every way, every way » (je t’ai dit, ils te feront toujours du mal. J’ai dit qu’ils te laisseront toujours tomber. J’ai dit partout, tous les jours, tous les jours. Et de toutes les façons, toutes les façons). Pourtant, Janis trouve son propre espace expressif et libre pour s’exprimer : la scène musicale d’Austin à cette époque est grouillante d’artistes de par leur incroyable talentscréatif, dans des genres tels que le blues, le rock, le jazz, le gospel. Sur le campus, Janis commence également à chanter du bluegrass, un type particulier de musique country, accompagnée d’un duo de musiciens. Elle se produit au Threadgill’s, la mecque de la musique d’Austin, et obtient une suite importante: «Elle chantait le blues mieux que n’importe quelle fille blanche que j’avais jamais entendue», dira le propriétaire du club, Ken Threadgill. L’un des personnages les plus en vue du Ghetto de l’Université d’Austin est Chet Helms, qui deviendra un organisateur légendaire d’événements et un agent musical de San Francisco. Quand Janis abandonne l’université, elle et Chet traversent l’Amérique en autostop jusqu’à San Francisco. Il y a Kerouac sur "son chemin" : ce sont les années où les influences beat arrivent dans les pensées des plus jeunes et, lorsque cela est possible, comme pour Janis, elles en interceptent l’art. Chet emmène Janis se produire au Coffee & Confusion, où elle chante a cappella quatre chansons country-gospel, provoquant un véritable enthousiasme et 14 dollars en pourboire, ce qui ne suffit pas à subvenir à ses besoins en ville, même pas en les ajoutant aux allocations chômage et quelques occasions de vol à l’étalage.

Ainsi, Janis retourne à Houston pour reprendre ses études et se remettre de quelques excès de drogues et d’alcool mais elle est rapidement ramenée à San Francisco : la formation californienne de Big Brother and the Holding Company est à la recherche d’une chanteuse et, sur la suggestion de Helms qui l’encourage à se présenter, la choisissait. C’est à ce moment-là que commence sa véritable ascension musicale : elle enregistre et réincide des morceaux à succès avec les Big Brother, en se produisant dans plusieurs concerts, sa seule passion de toute la frénétique machine de l’industrie musicale. Elle participe ensuite à certains des festivals les plus importants de ces années, dont le Festival Pop de Monterey, où elle obtient un triomphe avec une version inoubliable de la chanson Ball and Chain de Big Mama Thornton. À cette occasion, elle est la seule artiste à être rappelée à la fureur du peuple sur scène. Et bien sûr, le Festival de Woodstock arrive, ce qui n’est pas un grand succès pour Janis, éprouvée par l’abus d’alcool. En 1969, elle commence sa carrière solo et choisit comme groupe d’accompagnement le Kozmic Blues Band, avec lequel elle publie I got dem 'ol Kozmic Blues Again mama. Malheureusement, Mais sa relation avec ce groupe est également perturbée par l’abus d’héroïne et d’alcool et le groupe se sépare. Elle réessaie : pendant un temps, elle se désintoxique et forme encore un autre groupe, le Full Tilt Boogie Band, avec lequel elle travaille pour le troisième album, Pearl, pour lequel elle se consacre avec soin et précision, jusqu’à enregistrer quelques chansons même en une seule journée. L’album sortira le 11 janvier 1971 avec un grand succès, notamment grâce à Cry baby et Me and Bobby mcgee (reprise d’un morceau de Kris Kristofferson) mais ce sera posthume.

Le 4 octobre 1970, quelques mois plus tôt, Janis Joplin a été retrouvée morte dans une chambre d’hôtel à Los Angeles. L’autopsie révèle une mort accidentelle, due à une overdose d’héroïne. Son corps est incinéré au cimetière de Westwood Village Memorial Park Cemetery et les cendres dispersées dans l’océan Pacifique. L’iconographie et l’anecdote de cette artiste est très vaste : on pourrait se souvenir de sa Porsche peinte par Dave Richards, avec un drapeau américain ensanglanté sur son coffre, les visages des Big Brother et des paysages fantastiques. Le nom de la voiture est Fantality, qui combine la fantaisie et la réalité. Ou encore signaler qu’en 1970 Janis Joplin est la première femme du show business à se faire tatouer, par Lyle Tuttle, le premier artiste du tatouage psychédélique, avec un cœur sur la poitrine, un bouton sur la cheville et un bracelet au poignet. Dans le style, dans ce qui sera son image la plus sage, créée après les premiers succès, grâce à son amitié avec la femme d’un membre des Big Brother, Janis combine couleurs et tissus entre vêtements et accessoires: violet et mauve, rose pastel, vert paon, elle porte des clochettes à la ceinture et aux poignets. Iconiques de son look sont les sabots dorés, avec le talon en forme de bobine. Dans certaines de ses apparitions, elle attire l’attention sur les plumes vertes et fuchsia qui recouvrent ses cheveux, un peu comme la dirigeante indienne, un peu en l'honneur d'une autre grande artiste, Etta James.

Janis Joplin a parcouru les années 60 avec son blues irrévérencieux et son style débridé, la période qu’elle a représentée dans sa vie bien plus qu’un contexte de référence : pour certaines et certains, il pourrait s’agir d’un génie à la vie déréglée, mais sa biographie ne parle pas seulement d’une femme qui a défié les limites de la liberté sexuelle et de la consommation de stupéfiants. En fait, on dit qu’elle n’aimait pas prendre de substances psychédéliques pour ne pas perdre son sang-froid pendant ses performances et qu’elle s’était imposée une règle, à savoir de ne jamais prendre d’héroïne avant une performance. Sa courte vie nous parle d’une fille qui errait dans sa vie profonde à l’intérieur de la musique. Dans le documentaire L’autre visage du rock - En mémoire de Janis Joplin de 1981, la voix narrative dit, hors de rhétorique, que «Sans elle, le rock, la musique de musique de notre temps, mais aussi la musique la plus révolutionnaire et la plus subversive, n’aurait jamais été un art féminin».

Janis, avec son blues de la tortue, qui a suivi et poursuivi les artistes qui l’ont précédée comme de grandes icônes dans la musique et le style, est devenue elle-même source d’inspiration pour de nombreuses autres artistes après elle. Une artiste à la frontière entre le blues, le rock, la soul et le jazz est partie sur le plus beau, on dirait. On appelle "club 27" un groupe (non musical) de chanteurs célèbres/et qui ont perdu la vie à l’âge de 27 ans. Parmi eux : Jimi Hendrix, Jim Morrison, Kurt Cobain, Amy Winehouse et, justement, Janis Joplin. Elle ferait partie du groupe des excès, du style de vie, probablement, du style musical, certainement. Buried alive in the blues, l’une des pistes insérées dans Pearl, est dépourvue de voix, est simplement instrumentale, n’ayant pas eu le temps d’enregistrer le texte. Et pourtant, le titre dit bien plus que d’autres mots, Janis : enterrée vivante dans le blues.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

The U.S. magazine Rolling Stone placed her 46th on its list of the 100 most important artists in history, and 28th on its 2008 list of the 100 most important singers of all time. Recognized and remembered for the intensity of her performances, she was inducted into the Rock and Roll Hall of Fame in 1995 and was posthumously awarded the Grammy Award for Lifetime Achievement in 2005.

Janis Lyn Joplin was born on January 19, 1943, in Port Arthur, Texas, which she would call her "childhood prison." Hers was a conservative family - her father was an engineer and her deeply devout mother sang in the church choir until, during thyroid surgery, she suffered an injury to her vocal cords. Her piano was sold. What would become the hippie queen of Haight-Ashbury grew up steeped in Christian principles of renunciation and abstention, the eldest of three siblings. She soon discovered her first passion, books, and began to read on her own. At the same time, she cultivated a love of art - on the one hand, painting and on the other, as a teenager, she took up the blues. She began singing in the town choir and listening to artists such as Bessie Smith, Odetta and Big Mama Thornton, from whom she probably "inherited" that scratchy, deep voice that would later earn her the nickname "the woman who sang with her womb." The deep bond with Bessie Smith in particular would remain, to such an extent that Janis would give her a new tombstone shortly before she in turn died. Even as a young girl, Janis spoke out against the Ku Klux Klan and pursued the ideals of equality, against the heavy racial segregation that was strongly present in the state of Texas at that time. Her years in school were difficult for her, bullied by classmates and peers for her physical appearance and out-of-the-box character, as well as her considerable intelligence. These first features of her young life combined to produce her undying passion for the blues. She fought alongside the black people who invented and popularized the musical genre, and experienced, even as a young girl, a melancholic suffering of marginalization and non-acceptance that only a genre such as the "blue devils" allowed her to narrate and, in a cathartic key, exorcise, leading to her song Kozmic Blues. She graduated in 1960 and went on to study Liberal Arts at Lamar State College of Technology in Beaumont. From there began an up-and-down student career. She was admitted to the University of Texas in Austin, but never completed her studies. She remained enrolled in college until 1966. Although she attended only erratically, she took an examination in Social Problems in 1965 with near-maximum proficiency (99/100).

During that time she lived in Austin in a building commonly called "The Ghetto," at 2812 1/2 Nueces Street, for a rent of $40 a month. Things did not improve much from her high school days - even her college years were not easy years for her, being referred to as "the ugliest man on campus." Then again, she would later say in her song Kozmic Blues, "I said you, they're always gonna hurt you. I said they're always gonna let you down. I said everywhere, every day, every day. And every way, every way." And yet, Janis found her own expressive and free space in which to move. The Austin music scene in those years teemed with male and female artists of amazing creative genius, in genres such as blues, rock, jazz, and gospel. On campus, Janis too began to sing bluegrass, a particular kind of country music, accompanied by a duo of musicians. She performed at Threadgill's, Austin's musical mecca, and garnered a major following: "She sang the blues better than any white girl I'd ever heard," said the club's owner, Ken Threadgill. One of the most prominent figures in the University of Austin “Ghetto” was Chet Helms, who would become a legendary San Francisco event planner and music impresario. When Janis dropped out of college, she and Chet hitchhiked across America until they reached San Francisco. Like Jack Kerouac “On the Road" - these are the years when beat influences reached into the thoughts of the younger generation and, when possible as was the case with Janis, intersected with their art. Chet took Janis to perform at Coffee & Confusion, where she sang four country-gospel songs a cappella, triggering a standing ovation and as much as $14 in tips, which, however, was far from enough to support herself in the city, not even while supplementing it with unemployment benefits and the occasional opportunity to shoplift.

Thus, Janis returned to Houston to resume her studies and to recover from some excesses with drugs and alcohol, but was soon brought back to San Francisco. The California-based band Big Brother and the Holding Company was looking for a vocalist and, at the suggestion of Helms, who encouraged her to come forward, she was chosen. From that moment her real musical rise began. She recorded and re-recorded hit songs with Big Brother, performing in several concerts, her primary passion of the whole hectic music industry machine. Next came participation in some of the most important festivals of those years, including the Monterey Pop Festival, where she achieved a triumph with an unforgettable version of Big Mama Thornton's Ball and Chain. On that occasion she was the only artist to be recalled to the stage by popular acclaim. And, of course, the Woodstock Festival came next, which, however, did not prove to be much of a success for Janis, who was affected by alcohol abuse. In 1969 she began a career as a soloist and chose the Kozmic Blues Band as her backing band, with which she released I Got Dem 'ol Kozmic Blues Again Mama. Unfortunately, however, her relationship with this band was ruined by heroin and alcohol abuse, and the group disbanded. She tried again - for a time she got sober and formed yet another band, the Full Tilt Boogie Band, with which she worked on the third album, Pearl, to which she devoted herself with commitment and precision, even to the point of recording some tracks in a single day. The album was released on January 11, 1971, achieving great success, especially thanks to Cry Baby and Me and Bobby McGee (cover of a Kris Kristofferson song), but it would be posthumous.

On October 4, 1970, a few months earlier, Janis Joplin was found dead in a Los Angeles hotel room. An autopsy established an accidental death, caused by a heroin overdose. Her body was cremated at Westwood Village Memorial Park Cemetery and the ashes were scattered in the Pacific Ocean. The iconography and legend of this artist is vast - we might recall her Porsche painted by Dave Richards, with a bloody American flag on the trunk, the faces of the “Big Brothers”, and fantastic landscapes. The name of the car is Fantality, combining fantasy and reality. Or even report that in 1970 Janis Joplin was the first woman in show business to get tattooed, by Lyle Tuttle, the first psychedelic tattoo artist, with a heart on her breast, a bud on an ankle and a bracelet on her wrist. In style, in what is her more mature period, created after her early successes, thanks to her friendship with the wife of a Big Brother and the Holding Company member, Janis combined colors and fabrics among her clothes and accessories - violet and purple, pastel pink, peacock green, she wore bells on her belt and wrists. Iconic to her look are the gold, spool-heeled sabots. In some of her appearances, the green and fuchsia feathers above her hair caught the eye, a little bit of Indian style, a little bit homage to another great artist, Etta James.

Janis Joplin traversed the 1960s with her irreverent blues and unbridled style, the period that represented far more than a frame of reference in her life. To some she may be a genius with an unregulated life, devoted to the inseparable trio of sex, drugs and rock and roll, but her biography tells of more than just a woman who defied the limits imposed on sexual freedom and the use of narcotic substances. On the contrary, it is said of her that she disliked taking psychedelic substances so as not to lose lucidity during her performances and that she made a self-imposed rule of never taking heroin before a performance. Her short life tells us about a girl who wandered in her deep living within music. In the 1981 documentary “The Other Side of Rock - In Remembrance of Janis Joplin,” the narrator says, outside of rhetoric, that "without her, rock, the soundtrack music of our time, but also the most revolutionary and subversive music, would never have become a woman's art."

Janis, with her Turtle Blues, who followed and pursued the female artists who preceded her as great icons in music and style, became herself a source of inspiration for many other female artists after her. A boundary artist between blues, rock, soul and jazz, she left on the most beautiful note, you might say. They have been called "Club 27" a group of famous singer/songwriters who lost their lives at the age of 27. Among them: Jimi Hendrix, Jim Morrison, Kurt Cobain, Amy Winehouse, and, indeed, Janis Joplin. She too would be part of the group of excesses, in lifestyle probably, in musical style, certainly. Buried Alive in the Blues, one of the tracks included in the album Pearl, is devoid of vocals, it is only instrumental, having not been made in time to record the lyrics. Yet the title says more than many words, Janis - buried alive in the blues.


Traduzione spagnola

Vanessa Dumassi

La revista estadounidense «Rolling Stone» la clasificó en el puesto n° 46 en su lista de los/las 100 artistas más importantes de la historia y en el n° 28 en su lista de 2008 de los/las 100 cantantes más importantes de todos los tiempos. Reconocida y recordada por la intensidad de sus interpretaciones, fue incluida en 1995 en la Rock and Roll Hall of Fame y en 2005 recibió el Premio Grammy a título póstumo.

Janis Lyn Joplin nació el 19 de enero de 1943 en Texas, en la ciudad de Port Arthur, que ella llamaba su “prisión natal”. Procede de una familia conservadora: su padre era ingeniero y su madre, profundamente devota, cantaba en el coro de la iglesia hasta que, durante una operación de tiroides, le lesionaron accidentalmente las cuerdas vocales. Su piano fue vendido. La que se convertirá en la reina hippy de Haight-Ashbury, la mayor de tres hermanos, crece impregnada de los principios cristianos de renuncia y abstención. Empezó a cantar en el coro del pueblo y a escuchar a artistas come Bessie Smith, Odetta y Big Mama Thornton, de quien probablemente “heredó” la voz rasposa y grave que más tarde le valdrá el apodo de “la mujer que cantaba con el útero”. En particular permanecerá el profundo vínculo con Bessie Smith, hasta tal punto que Janis le regalará una nueva lápida, poco antes de morir a su vez. Ya de niña, Janis se pronunció contra el Ku Klux Klan y persiguió los ideales de igualdad, contra la fuerte segregación racial muy presente en el estado de Texas en aquella época. Los años de la escuela fueron difíciles para ella: acosada por sus compañeros por su aspecto físico y su carácter fuera de lo común, así como por su notable inteligencia. Estos dos primeros hitos de su joven vida se combinan hasta llegar a su perdurable pasión por el blues: lucha junto a las personas de color que inventaron y difundieron el género musical y siente, ya desde niña, un melancólico sufrimiento de marginación y de no aceptación que sólo un género como los "diablos azules" le permite narrar y –en clave catártica– exorcizar, convirtiéndose para ella en su "kozmic blues". Se graduó en 1960 y se licenció en Artes Liberales en el Lamar State College of Technology de Beaumont. A partir de ahí comenzó una carrera de estudios inestable: permaneció matriculada en la universidad hasta 1966. Aunque sólo asistió 50 horas, en 1965 aprobó un examen de Problemas Sociales con una nota casi máxima (99/100). Después fue admitida en la Universidad de Texas en Austin, pero nunca completó sus estudios.

Durante este tiempo vive en un edificio comúnmente conocido como “The Ghetto”, en el 2812 1/2 de Nueces Street, por un alquiler de 40 dólares al mes. Las cosas no mejoran mucho desde sus días en la escuela: ni siquiera los años de universidad son fáciles para ella, a la que se refieren como “el hombre más feo del campus”. Por otra parte, más tarde dice en su canción Kozmic blues: «Said you, they're always gonna hurt you. I said they're always gonna let you down. I said everywhere, every day, every day. And every way, every way» (he dicho que siempre te decepcionarán. Lo he dicho en todas partes, todos los días. Y de todas las maneras). Sin embargo, Janis encontró su propio espacio expresivo y libre en el que moverse: la escena musical de Austin en aquellos años estaba repleta de artistas con un genio creativo asombroso, en géneros como el blues, el rock, el jazz, el góspel. En el campus, Janis también empieza a cantar bluegrass, un género particular de música country, acompañada por un dúo de músicos. Actuó en Threadgill's, la meca musical de Austin, y consiguió muchos seguidores: «cantaba el blues mejor que cualquier chica blanca que hubiera oído nunca», dirá el dueño del club, Ken Threadgill. Uno de los personajes más destacados del gueto de la Universidad de Austin es Chet Helms, que se convertiría en un legendario organizador de eventos y empresario musical de San Francisco. Cuando Janis abandona la universidad, ella y Chet atraviesan EEUU en autostop hasta el mismo San Francisco. En "el camino" se encuentra Kerouac: son los años en los que las influencias beat llegan alpensamiento de los y las jóvenes y, cuando es posible como en el caso de Janis, interceptan su arte. Chet lleva a Janis a actuar al Coffee & Confusion, donde canta cuatro canciones de country-gospel a capela, lo que provoca una gran ovación y nada menos que 14 dólares de propina, que, sin embargo, no son suficientes para mantenerse en la ciudad, ni siquiera complementados con los subsidios de desempleo y con algunas ocasiones para robar en tiendas.

Así, Janis regresó a Houston para retomar sus estudios y recuperarse de algunos excesos con las drogas y el alcohol, pero pronto la llevan de nuevo a San Francisco: la banda californiana Big Brother and the Holding Company buscaba una vocalista y, por sugerencia de Helms, que la animó a presentarse, la eligieron. A partir de ese momento, comenzó su verdadero ascenso musical: grabó y regrabó canciones de éxito con Big Brother, actuando en varios conciertos, su única pasión en toda la frenética máquina de la industria musical. Más allá participó en algunos de los festivales más importantes de aquellos años, como el Monterey Pop Festival, donde triunfó con una inolvidable versión de Ball and Chain de Big Mama Thornton. En esa ocasión fue la única artista reclamada en el escenario por aclamación popular. Y, por supuesto, llega el Festival de Woodstock, que, sin embargo, no resulta ser un gran éxito para Janis que se veía afectada por el abuso del alcohol. En 1969 inició una carrera en solitario y eligió como banda de acompañamiento a la Kozmic Blues Band, con la que publicó I got dem 'ol Kozmic Blues Again mama. Pero, por desgracia, la relación con esta banda también se ve arruinada por el abuso de heroína y alcohol, y el grupo se disuelve. Lo intenta de nuevo: durante un tiempo intenta desintoxicarse y forma otra banda, la Full Tilt Boogie Band, con la que trabajó en su tercer álbum, Pearl, al que se dedicó con empeño y precisión, hasta el punto de grabar algunas canciones en un solo día. El álbum se publicó el 11 de enero de 1971 con gran éxito especialmente gracias a Cry baby y Me and Bobby mcGee (versión de una canción de Kris Kristofferson)– pero que fue póstumo.

El 4 de octubre de 1970, unos meses antes, Janis Joplin fue hallada muerta en la habitación de un hotel de Los Ángeles. El examen de la autopsia establece una muerte accidental, causada por una sobredosis de heroína. Su cuerpo se cremó en el cementerio Westwood Village Memorial Park y las cenizas se esparcieron en el océano Pacífico. La iconografía y el anecdotario de este artista son vastos: podríamos recordar su Porsche pintada por Dave Richards, con una bandera americana ensangrentada en el maletero, las caras de los Big Brother y paisajes fantásticos. El nombre del coche era Fantality, que combina fantasía y realidad. Además, por ejemplo, en 1970 Janis Joplin fue la primera mujer del mundo del espectáculo en ser tatuada, por Lyle Tuttle –el primer tatuador psicodélico– con un corazón en el pecho, un capullo en un tobillo y una pulsera en la muñeca. En su estilo, en lo que sería su imagen más madura, creada tras sus primeros éxitos, gracias a su amistad con la esposa de un miembro de los Big Brother, Janis combina colores y tejidos en su ropa y accesorios: morado y carmesí, rosa pastel, verde pavo real, lleva cascabeles en el cinturón y en las muñecas. Icónicos de su look son los sabots dorados de tacón de carrete. En algunas de sus apariciones llaman a la atención las plumas verdes y fucsias sobre el pelo, un poco tocado indio, un poco homenaje a otra gran artista, Etta James.

Janis Joplin atravesó los años 60 con su blues irreverente y su estilo desenfrenado, un periodo que representó algo más que un marco de referencia en su vida. Para algunos, puede que fuera un genio con una vida desordenada, entregada al trío inseparable de sexo, drogas y rock and roll, pero su biografía no habla sólo de una mujer que desafió los límites impuestos a la libertad sexual y al consumo de substancias estupefacientes. De hecho, se dice de ella que no le gustaba tomar substancias psicodélicas para no perder la lucidez durante sus actuaciones y que se había autoimpuesto la norma de no tomar nunca heroína antes de una actuación. Su corta vida nos habla de una chica que se adentró en la música. En el documental de 1981 The Other Face of Rock - In Memory of Janis Joplin, el narrador dice, sin retórica, que «sin ella, el rock, la banda sonora de nuestro tiempo, pero también la música más revolucionaria y subversiva, nunca se habría convertido en un arte femenino».

Janis, con su blues de tortuga, que siguió y persiguió a las artistas que la precedieron como grandes iconos de la música y el estilo, se convirtió ella misma en fuente de inspiración para muchas otras artistas posteriores a ella. Una artista fronteriza entre el blues, el rock, el soul y el jazz se fue en su mejor momento, podría decirse. Se llama "club 27" un grupo (no musical) de cantantes famosos que perdieron la vida a los 27 años. Entre ellos: Jimi Hendrix, Jim Morrison, Kurt Cobain, Amy Winehouse y, por supuesto, Janis Joplin. Ella también formaría parte del grupo de los excesos, en estilo de vida, probablemente, en estilo musical, sin duda. Buried alive in the blues, una de las canciones incluidas en Pearl, carece de voz, es sólo instrumental, al no haber tenido tiempo de grabar la letra. Sin embargo, el título dice más que muchas palabras, Janis: enterrada viva en el blues.

Maddalena Casulana
Elisa Onorati




Giulia Canetto

 

Compositrice, liutista e cantante italiana del periodo rinascimentale, Maddalena Casulana è nata probabilmente intorno al 1540 a Casole d'Elsa, in provincia di Siena. È stata la prima donna compositrice, nella storia della musica occidentale, a far stampare e pubblicare la sua musica. Le vennero attribuiti due appellativi: Maddalena de Mezari detta “Casulana” o “Casulana Vicentina” che potrebbero derivare rispettivamente dal paese di nascita, individuato oggi come Casole D'Elsa, e dal luogo in cui svolse parte della sua attività, Vicenza.

Si conosce poco della sua biografia: la maggior parte delle informazioni sulla sua vita sono ipotizzabili dalle dediche contenute nelle opere o da riferimenti di altri compositori o scrittori del tardo Rinascimento. Sappiamo che nell'accademia di Casole si è compiuta la prima formazione musicale, e che successivamente, all'età di vent’anni, si trasferì a Firenze, diventando una musicista e cantante di spicco nei circoli intellettuali della città. Nel 1568 pubblicò due raccolte di proprie composizioni per voce sola: il Primo libro de' madrigali a quattro voci e Il primo libro de' madrigali a cinque voci, che le valsero un ampio riconoscimento. Nella dedica della sua opera la compositrice scrisse: «di mostrar anche al mondo (per quanto mi fosse concesso in questa profession della Musica) il vano error de gl’huomini, che de gli alti doni dell’intelletto tanto si credono patroni, che par loro, ch’alle Donne non possono medesimamente esser communi. Ma con tutto ciò non ho voluto mancar di mandarle in luce, sperando che dal chiaro nome di Vostra Eccellentia (a cui riverentemente le dedico) tanto di lumi debbano conseguire, che da quello possa accendersi qualche altro più elevato ingegno, a dimostrar con chiari effetti quello che non ho potuto dimostrar ’io se non con l’animo». Dedica queste righe a Isabella de' Medici, la quale le commissionò l'opera e la incoraggiò a perseguire la sua attività.

La dedica era una vera e propria rivendicazione dei diritti e della posizione delle donne nel campo musicale, un ambiente quasi esclusivamente maschile e soprattutto maschilista. Le sue composizioni hanno portato elementi di innovazione e sperimentazione e la sua musica è stata descritta come intrepida e non convenzionale. Alcune canzoni erano basate sulle opere di Petrarca, mentre altre erano canzoni d'amore secolari. I madrigali rivelano uno stile personale e originale, derivato dal fatto che, probabilmente, non ebbe un insegnante specifico durante la formazione. Nelle sue composizioni si nota, inoltre, una mancanza di elementi tipici e di deroghe ai canoni armonici, come, per esempio, le imitazioni, la presenza di molti cromatismi e quinte e ottave parallele. Molte opere parlano di storie d'amore, come nel madrigale Morir non può il mio cuore, in cui due amanti sono divisi tra il desiderio di morire e lasciarsi o di rimanere uniti nell’amore:

«Morir non può il mio cuore:
ucciderlo vorrei, poi che vi piace.
Ma trar no si può fuore
del petto vostr’ove gran tempo giace.
Et uccidendol’io, come desio,
so che morreste voi,
morrend’ anch’io».

Le sue capacità di relazionarsi e le abilità musicali le permisero di avere rapporti con vari protagonisti di quella che sarà chiamata “commedia dell’arte” negli ambienti veneziani, veronesi, vicentini e padovani. Entrò in contatto e collaborò con compositori di alto prestigio come Philippe De Monte, Orlando Di Lasso, Stefano Rossetto, Antonio Molino e Giambattista Maganza il Vecchio. Il compositore Orlando Di Lasso nel 1568 diresse una sua opera durante il matrimonio di Guglielmo V, figlio del Duca di Baviera, che rimase impressionato dalla sua bravura. Intorno al 1568 Maddalena si trasferì a Venezia, per pochi mesi, ma non ci sono notizie di sue esecuzioni musicali. Il breve soggiorno, infatti, sembra si sia limitato a intraprendere rapporti lavorativi con l’editore veneziano Scotto e a una fugace attività didattica. A Venezia, infatti, pare abbia avuto come allievo l’anziano vicentino Antonio Molino, musico, attore e poeta nella «grechesca», lingua di sua invenzione con lo pseudonimo di Manoli Blessi.

Dopo la sua permanenza a Venezia Casulana si trasferì a Vicenza dove si fece subito apprezzare come compositrice, cantante, virtuosa di liuto e bellissima donna. Ormai ben nota negli ambienti di corte e in quelli accademici, nel 1570 pubblicò la sua seconda raccolta intitolata Il secondo libro de’ madrigali a quattro voci, con una dedica ad Antonio Londonio, un potente ufficiale governativo milanese dal quale, pare, riuscì ad assicurarsi dei favori con evidente abilità diplomatica. Le testimonianze del periodo sembrano dare valore alla supposizione che Maddalena si fosse, nel frattempo, stabilita a Milano. Il musicista Nicolò Tagliaferro, infatti, descrive nel suo scritto Esercizi Filosofici le esibizioni di Maddalena e di altre due cantatrici. Ci sono notizie su un evento che si tenne nel gennaio del 1583 a Vicenza, nell’Accademia Olimpica: un concerto con strumenti dove Casulana cantò, e sembra che quello sia stato l’ultimo momento della sua attività artistica, sulla quale non vi sono ulteriori documenti. Sicuramente frequentò molto intensamente l’Accademia Olimpica, se un suo ritratto era conservato in una collezione austriaca, di provenienza ferrarese, insieme a quelli di altre due musiciste vicentine, Isabetta e Lucietta Pellizzari, salariate dal 1582 al 1587 dalla stessa Accademia. L'iconografia rimane comunque dubbia, non ci sono certezze che ritragga Casulana. Le notizie su di lei si fermano al 1591. Non sono certi infatti il luogo e la data della sua morte, indicata da alcuni studiosi fra il 1586 e il 1590. Nonostante il successo, ha comunque dovuto affrontare critiche e discriminazioni in ambito lavorativo in quanto donna e non stupisce che abbia rifiutato di sposarsi, almeno nei primi anni di lavoro, perché credeva che il matrimonio avrebbe ostacolato la propria carriera. Tuttavia, l’editore veneziano Angelo Gardano, che nel 1582 le dedicò il Primo libro di madrigali a 3 voci di Filippo De Monte, la nominò per la prima volta come «Signora Madalena Casulana di Mezari»: si potrebbe ipotizzare allora che in quegli anni avesse sposato un uomo della famiglia Mezari, a Vicenza, ma su di lui e sul loro matrimonio non si hanno informazioni.

Di Maddalena Casulana è giunto ai giorni nostri un totale di sessantasei madrigali. La sua preziosa eredità, come compositrice pioniera, è rimasta in gran parte dimenticata sino al ventesimo secolo, fino a quando, cioè, le sue opere sono state riscoperte ed eseguite come parte degli sforzi del movimento femminista per rivendicare il contributo delle donne nella storia della musica. Oggi Maddalena Casulana è ricordata come una figura importante nella musica antica e nella lotta all'uguaglianza di genere e possiamo sicuramente affermare che ha aperto la strada alle future generazioni di compositrici.

Fonti

http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/maddalena-casulana/

https://www.opinione.it/cultura/2023/02/01/manlio-lo-presti_maddalena-casulana-compositrice-musica-piccolomini/

https://www.blogdellamusica.eu/maddalena-casulana-compositrice-biografia/

https://www.treccani.it/enciclopedia/maddalena-mezari_%28Dizionario-Biografico%29/


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Compositrice, luthiste et chanteuse italienne de la période de la Renaissance, Maddalena Casulana est probablement née vers 1540 à Casole d’Elsa, en Toscane. Elle a été la première compositrice dans l’histoire de la musique occidentale à faire imprimer et publier sa musique. On lui attribue deux appellations, Maddalena de Mezari dite "Casulana" ou "Casulana Vicentina", qui pourraient provenir respectivement du pays de naissance, identifié aujourd’hui comme Casole D’Elsa, et du lieu où elle exerce une partie de son activité, Vicence.

On connaît peu de choses sur sa biographie : la plupart des informations sur sa vie peuvent être tirées des dédicaces de ses œuvres ou des références d’autres compositeurs ou écrivains de la fin de la Renaissance. Nous savons que dans l’académie de Casole a eu lieu la première formation musicale de Casulana, et que plus tard, à l’âge de vingt ans, elle a déménagé à Florence, devenant une musicienne et chanteuse éminente dans les cercles intellectuels de la ville. En 1568, elle publie deux recueils de ses propres compositions pour voix seule : le Premier livre de madrigaux à quatre voix et Le premier livre de madrigaux à cinq voix, qui lui valent une large reconnaissance. Dans sa dédicace, la compositrice a écrit : «de montrer aussi au monde (pour autant qu’il me fût permis dans cette profession de la Musique) la vain erreur des hommes, que des dons élevés de l’intellect se croient patrons, qui selon eux, ne peuvent pas être communs. Mais avec tout cela je n’ai pas voulu manquer de les éclairer, en espérant que du nom clair de Votre Excellence (à laquelle je dédie respectueusement) tant d’éclairs ils doivent arriver, que de cela il puisse s’enflammer quelques autres ingéniosités plus élevées, à démontrer avec des effets clairs ce que je n’ai pu démontrer qu’avec l’âme». Dédie ces lignes à Isabelle de Médicis, qui lui commanda l’œuvre et l’encouragea à poursuivre son activité.

La dédicace était une véritable revendication des droits et de la position des femmes dans le domaine musical, un environnement presque exclusivement masculin. Ses compositions ont apporté des éléments d’innovation et d’expérimentation et sa musique a été décrite comme intrépide et non conventionnelle. Certaines de ses chansons étaient basées sur les œuvres de Pétrarque, tandis que d’autres étaient des chansons d’amour séculaires. Ses madrigaux révèlent un style personnel et original, dérivé du fait que, probablement, il n’avait pas d’enseignant spécifique pendant sa formation. Dans ses compositions, on note également un manque d’éléments typiques et de dérogations aux canons harmoniques, tels que, par exemple, les imitations, la présence de nombreux chromatismes et quintes et octaves parallèles. Beaucoup de ses œuvres parlent d’histoires d’amour, comme dans le madrigal Morir ne peut pas mon cœur, dans lequel deux amants sont divisés entre le désir de mourir et de se laisser ou de rester unis dans l’amour:

«Mourir, ne peut pas mon cœur:
J’aimerais le tuer, mais vous aimez ça.
Mais on ne peut pas se tromper
de la poitrine où il y a longtemps.
Et le tuant, moi, comme je le désir,
je sais que vous mourriez,
En mourant moi aussi».

Ses compétences musicales lui permettent d’avoir des relations avec divers protagonistes de ce qui sera appelé "commedia dell’arte" dans les milieux vénitiens, véronais, vicentins et padouans. Elle entre en contact et collabore avec des compositeurs prestigieux tels que Philippe De Monte, Orlando Di Lasso, Stefano Rossetto, Antonio Molino et Giambattista Maganza il Vecchio. Le compositeur Orlando Di Lasso en 1568 dirigea son opéra lors du mariage de Guillaume V, fils du duc de Bavière, qui fut impressionné par ses prouesses. Autour de 1568, Maddalena a déménagé à Venise, pendant quelques mois, mais il n’y a pas de nouvelles de ses exécutions musicales. Son bref séjour, en effet, semble s’être limité à entreprendre des relations de travail avec l’éditeur vénitien Scotto et à une brève activité didactique. À Venise, en effet, il semble qu’elle ait eu comme élève l’ancien vicentin Antonio Molino, musicien, acteur et poète dans la « grechesca», langue de son invention sous le pseudonyme de Manoli Blessi.

Après son bref séjour à Venise, Casulana s’installe à Vicence où elle se fait immédiatement apprécier comme compositrice, chanteuse, virtuose de luth et belle femme. Désormais bien connu dans les milieux de la cour et dans les milieux académiques, elle publia en 1570 son deuxième recueil intitulé Il secondo libro de' madrigali a quattro voci, avec une dédicace à Antonio Londonio, un puissant officier gouvernemental milanais à partir duquel, apparemment, elle a obtenu des faveurs avec une habileté diplomatique évidente. Les témoignages de la période semblent donner de la valeur à l’hypothèse que Maddalena s’était entre-temps établie à Milan. Le musicien Nicolò Tagliaferro, en effet, décrit dans son écrit Esercizi Philosophci les performances de Maddalena et de deux autres chanteuses de cette période. Il y a des nouvelles d’un événement qui a eu lieu en janvier 1583 à Vicence, à l’Académie olympique, sur un concert avec des instruments où Casulana a chanté, et il semble que ce fut le dernier moment de son activité artistique, sur lequel il n’y a pas d’autres documents. Elle fréquenta sûrement très intensément l’Académie olympique, si son portrait était conservé dans une collection autrichienne, de provenance ferraraise, avec ceux de deux autres musiciennes vicentines, Isabetta et Lucietta Pellizzari, salariées de 1582 à 1587 par la même Académie. L’iconographie reste cependant douteuse, il n’y a pas de nouvelles certaines qui dépeignent Casulana. Les nouvelles à son sujet s’arrêtent à 1591. Le lieu et la date de sa mort, indiquée par certains savants entre 1586 et 1590, ne sont pas certains. Malgré son succès, elle a dû faire face à la critique et à la discrimination en tant que femme au travail et il n’est pas étonnant qu’elle ait refusé de se marier, du moins dans les premières années de son travail, car elle pensait que le mariage entraverait sa carrière. Cependant, l’éditeur vénitien Angelo Gardano, qui en 1582 lui dédia le Premier livre de madrigaux à 3 voix de Filippo De Monte, la nomma pour la première fois « Madame Madalena Casulana di Mezari » on pourrait alors supposer qu’elle avait épousé un homme de la famille Mezari à Vicence, mais on ne dispose pas d’informations à propos d’elle et de son mariage.

À nos jours, nous avons un total de soixante-six madrigaux de Maddalena Casulana. Son héritage précieux, en tant que compositrice pionnière, est resté en grande partie oublié jusqu’au vingtième siècle, jusqu’à ce que ses œuvres soient redécouvertes et exécutées dans le cadre des efforts du mouvement féministe pour revendiquer la contribution des femmes dans l’histoire de la musique. Aujourd’hui, Maddalena Casulana est rappelée comme une figure importante dans la musique ancienne et dans la lutte pour l’égalité des genres et nous pouvons certainement dire qu’elle a ouvert la voie aux futures générations de compositeurs.

Sources

http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/maddalena-casulana/

https://www.opinione.it/cultura/2023/02/01/manlio-lo-presti_maddalena-casulana-compositrice-musica-piccolomini/

https://www.blogdellamusica.eu/maddalena-casulana-compositrice-biografia/

https://www.treccani.it/enciclopedia/maddalena-mezari_%28Dizionario-Biografico%29/


Traduzione inglese

Syd Stapleton

An Italian composer, lutenist and singer of the Renaissance period, Maddalena Casulana was probably born around 1540 in Casole d'Elsa, Tuscany. She was the first woman composer in the history of Western music to have her music printed and published. She was given two appellations, Maddalena de Mezari known as "Casulana" or "Casulana Vicentina," which may derive respectively from the town of her birth, identified today as Casole D'Elsa, and from the place where she carried out part of her activity, Vicenza.

Little is known about her biography. Most information about her life can be surmised from dedications in her works or from references by other late Renaissance composers or writers. We know that Casulana's early musical training was accomplished in the academy of Casole, and that she later moved to Florence at the age of 20 and became a prominent musician and singer in the city's intellectual circles. In 1568 she published two collections of her own compositions for voice: Primo libro de madrigali a quattro voci (First Book of Madrigals in Four Voices) and Il primo libro de madrigali a cinque voci, (The First Book of Madrigals in Five Voices) which earned her wide recognition. In the dedication of her work, the composer wrote: "to show the world also (as far as I was allowed in this profession of music) the vain error of men, who of the high gifts of the intellect so believe themselves to be patrons, that it seems to them, that to women they cannot likewise be in common. But with all this I did not want to fail to send them into the light, hoping that from the clear name of Your Excellency (to whom I reverently dedicate them) so much enlightenment should result, that from that some other higher intellect may be kindled, to demonstrate with clear effects what I have not been able to demonstrate myself except with the soul." She dedicated these lines to Isabella de' Medici, who commissioned the work from her and encouraged her to pursue it.

The dedication was a true defense of the rights and position of women in the field of music, an almost exclusively male and especially macho environment. Her compositions brought elements of innovation and experimentation, and her music has been described as fearless and unconventional. Some of her songs were based on the works of Petrarch, while others were secular love songs. Her madrigals reveal a personal and original style, derived from the fact that she probably had no specific teacher during her training. Also noticeable in her compositions is a lack of typical elements and exceptions to harmonic canons, such as, for example, imitations, the presence of many chromaticisms and parallel fifths and octaves. Many of her works are about love stories, as in the madrigal Morir non può il mio cuore (My heart cannot die), in which two lovers are torn between the desire to die and leave each other or to remain united in love:

«My heart cannot die:
I would like to kill it, if it pleased you.
But you can't get it out
of your chest where has lain for a long time.
And killing it, as I desire,
I know you would die
I would die too.»

Her interpersonal and musical skills enabled her to have relationships with various protagonists of what would be called "commedia dell'arte" in Venetian, Veronese, Vicentine and Paduan circles. She came into contact with and collaborated with such high-profile composers as Philippe De Monte, Orlando Di Lasso, Stefano Rossetto, Antonio Molino, and Giambattista Maganza il Vecchio. Composer Orlando Di Lasso in 1568 conducted one of her operas during the wedding of William V, son of the Duke of Bavaria, who was impressed by her bravura. Around 1568 Magdalene moved to Venice, for a few months, but there are no records of her musical performances. Her brief stay, in fact, seems to have been limited to engaging in working relationships with the Venetian publisher Scotto and a brief teaching activity. In Venice she seems to have had as a pupil the elderly Vicentine Antonio Molino, a musician, actor and poet in the "grechesca," a language of his own invention under the pseudonym Manoli Blessi.

After her brief stay in Venice Casulana moved to Vicenza, where she quickly became appreciated as a composer, singer, lute virtuoso and beautiful woman. By then well known in court and academic circles, in 1570 she published her second collection entitled Il secondo libro de' madrigali a quattro voci (The Second Book of Madrigals in Four Voices), with a dedication to Antonio Londonio, a powerful Milanese government official from whom, it seems, she managed to secure favors with evident diplomatic skill. Evidence from the period seems to give value to the supposition that Maddalena had, in the meantime, settled in Milan. The musician Nicolò Tagliaferro, describes in his writing Esercizi Filosofici (Philosopical Exercises) the performances of Maddalena and two other female singers of that period. There are reports about an event held in January 1583 in Vicenza, in the Accademia Olimpica - a concert with instruments where Casulana sang, and it seems that that was the last moment of her artistic activity, about which there are no further documents. She certainly attended the Accademia Olimpica very intensely, if a portrait of her was preserved in an Austrian collection from Ferrara, along with those of two other female musicians from Vicenza, Isabetta and Lucietta Pellizzari, who were salaried from 1582 to 1587 by the same Accademia. The iconography remains dubious, however; there are no certain reports that it depicts Casulana. News about her stops at 1591. Indeed, the place and date of her death, given by some scholars between 1586 and 1590, are uncertain. Despite her success, she nonetheless faced criticism and discrimination in the workplace because she was a woman, and it is not surprising that she refused to marry, at least in her early years, because she believed that marriage would hinder her career. However, the Venetian publisher Angelo Gardano, who in 1582 dedicated to her the Primo libro di madrigali a 3 voci (First book of Madrigals in Three Voices) by Filippo De Monte, first named her as "Signora Madalena Casulana di Mezari." It could be assumed then that she had married a man from the Mezari family in Vicenza in those years, but no information is available about him or their marriage.

A total of sixty-six madrigals composed by Maddalena Casulana have come down to the present day. Her precious legacy as a pioneering composer remained largely forgotten until the twentieth century, that is, until her works were rediscovered and performed as part of the feminist movement's efforts to reclaim women's contribution to the history of music. Today Maddalena Casulana is remembered as an important figure in early music and in the struggle for gender equality, and we can certainly say that she helped pave the way for future generations of women composers.

Sources

http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/maddalena-casulana/

https://www.opinione.it/cultura/2023/02/01/manlio-lo-presti_maddalena-casulana-compositrice-musica-piccolomini/

https://www.blogdellamusica.eu/maddalena-casulana-compositrice-biografia/

https://www.treccani.it/enciclopedia/maddalena-mezari_%28Dizionario-Biografico%29/


Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

Compositora, laudista y cantante italiana del período renacentista, Maddalena Casulana nació, probablemente, alrededor de 1540 en Casole d'Elsa, provincia de Siena. Fue la primera mujer compositora, en la historia de la música occidental, en hacer imprimir y publicar su música. Se le atribuyeron dos apodos: Maddalena de Mezari llamada “Casulana” o “Casulana Vicentina” que podrían derivarse respectivamente de su lugar de nacimiento, identificado hoy como Casole D'Elsa, y del lugar donde llevó a cabo parte de su actividad, Vicenza.

Poco se sabe de su biografía: la mayoría de la información sobre su vida se puede inferir de las dedicatorias contenidas en las obras o de referencias de otros compositores o escritores del Renacimiento tardío. Sabemos que en la academia de Casole se formó musicalmente por primera vez, y que posteriormente, a la edad de veinte años, se mudó a Florencia, convirtiéndose en una música y cantante prominente en los círculos intelectuales de la ciudad. En 1568 publicó dos colecciones de sus composiciones a una sola voz: Il Primo libro de’ madrigali a quattro voci e Il primo libro de’ madrigali a cinque voci, que le valieron un amplio reconocimiento. En la dedicatoria de su obra, la compositora escribió que quería: «enseñarle también al mundo (por lo que me estaba permitido en esta profesión de la Música) el vano error de los hombres, que de los altos dones del intelecto tanto se creen dueños, que, para ellos, estos mismos no pueden pertenecer a las Mujeres. Pero con todo esto no he querido dejar de hacerlas públicas, esperando que del claro nombre de Vuestra Excelencia (a quien se las dedico reverentemente) obtengan tanta luz, que de la misma pueda encenderse algún otro ingenio superior, para demostrar con claros efectos lo que yo no he podido demostrar si no con el alma». Dedica estas líneas a Isabel de Médici, quien le encargó la obra y la alentó a continuar con su trabajo.

La dedicatoria era una verdadera reivindicación de los derechos y la posición de las mujeres en el campo de la música, un entorno casi exclusivamente masculino y sobre todo machista. Sus composiciones aportaron elementos de innovación y experimentación, y su música fue descrita como intrépida y no convencional. Algunas canciones estaban basadas en las obras de Petrarca, mientras que otras eran canciones de amor seculares. Los madrigales revelan un estilo personal y original, derivado del hecho de que, probablemente, no tuvo un profesor específico durante su formación. En sus composiciones se observa, además, una falta de elementos típicos y excepciones a los cánones armónicos, tales como, por ejemplo, las imitaciones, la presencia de muchos cromatismos y quintas y octavas paralelas. Muchas obras hablan de historias de amor, como el madrigal Morir non può il mio cuore, donde dos amantes están divididos entre el deseo de morir y dejarse o de permanecer unidos en el amor:

«Morir no puede mi corazón:
me gustaría matarlo, ya que lo deseas.
Pero no se puede sacar
de tu pecho, donde yace desde hace mucho tiempo.
Y matándolo, como anhelo,
sé que morirías,
y yo contigo».

Sus capacidades para relacionarse y sus habilidades musicales le permitieron relacionarse con varios protagonistas de la que se llamará “comedia del arte” en los ambientes venecianos, veroneses, vicentinos y paduanos. Entró en contacto y colaboró con compositores de alto prestigio como Philippe De Monte, Orlando Di Lasso, Stefano Rossetto, Antonio Molino y Giambattista Maganza il Vecchio. El compositor Orlando Di Lasso dirigió en 1568 una obra suya durante el matrimonio de Guillermo V, hijo del duque de Baviera, quien quedó impresionado por su talento. Alrededor de 1568 Maddalena se mudó a Venecia durante unos meses, pero no hay noticias de sus actuaciones musicales. De hecho, la breve estancia parece haberse limitado a entablar relaciones laborales con el editor veneciano Scotto y a una efímera actividad didáctica. En efecto, en Venecia, parece haber tenido como alumno al anciano vicentino Antonio Molino, efectivamente, actor y poeta en la «grechesca», lengua de su invención con el seudónimo de Manoli Blessi.

Después de su estancia en Venecia, Casulana se trasladó a Vicenza donde se hizo apreciar inmediatamente como compositora, cantante, virtuosa de laúd y hermosa mujer. Ya bien conocida en los ambientes de la corte y en los círculos académicos, en 1570 publicó su segunda colección titulada Il secondo libro de’ madrigali a quattro voci, con una dedicatoria a Antonio Londonio, un poderoso funcionario del gobierno milanés del que, al parecer, logró obtener favores con evidente habilidad diplomática. Los testimonios de la época parecen dar valor a la suposición de que Maddalena se había establecido, mientras tanto, en Milán. De hecho, el músico Nicolò Tagliaferro, describe en su escrito ‘Ejercicios Filosoficos’ las actuaciones de Maddalena y de otras dos cantantes. Hay noticias de un evento que tuvo lugar en enero de 1583 en Vicenza, en la Academia Olímpica: un concierto con instrumentos donde Casulana cantó, y parece que ese fue el último momento de su actividad artística, sobre la cual no hay más documentos. Seguramente frecuentó muy intensamente la Academia Olímpica, si un retrato suyo se conservaba en una colección austriaca, de procedencia ferraresa, junto con los de otras dos músicas vicentinas, Isabetta y Lucietta Pellizzari, asalariadas de 1582 a 1587 por la misma Academia. La iconografía sigue siendo dudosa, no hay certeza de que represente a Casulana. A partir de 1591 no hay más noticias sobre ella. No se sabe con certeza el lugar y la fecha de su muerte, indicada por algunos estudiosos entre 1586 y 1590. A pesar de su éxito, como mujer tuvo que enfrentarse a las críticas y a la discriminación en el lugar de trabajo , y no es de extrañar que se negara a casarse, al menos en sus primeros años de trabajo, porque creía que el matrimonio obstaculizaría su carrera. Sin embargo, el editor veneciano Angelo Gardano, que en 1582 le dedicó el Primo libro de’ madrigali a 3 voci de Filippo De Monte, la nombró por primera vez como «Señora Maddalena Casulana di Mezari»: se podría suponer, entonces, que en aquellos años se había casado con un hombre de la familia Mezari, en Vicenza, pero sobre él y sobre su matrimonio no hay información.

De Maddalena Casulana ha llegado, a nuestros días, un total de sesenta y seis madrigales. Su valioso legado como compositora pionera permaneció en gran parte olvidado hasta el siglo XX, es decir, hasta que sus obras fueron redescubiertas y ejecutadas como parte de los esfuerzos del movimiento feminista para reivindicar la contribución de las mujeres en la historia de la música. Hoy en día, Maddalena Casulana es recordada como una figura importante en la música antigua y en la lucha por la igualdad de género, y podemos afirmar con seguridad que ha allanado el camino para las futuras generaciones de compositoras.

 

Francesca Caccini La Cecchina
Milena Gammaitoni




Giulia Canetto

 

Francesca Caccini nasce nella corte Medicea e compone una delle prime forme di Dramma in Musica: la futura opera lirica. Primogenita in una famiglia di musicisti, in particolare il padre, Giulio Caccini, famoso musico della Camerata dei Bardi. Francesca fu allieva prediletta dal padre, il quale la istruì anche nella composizione, nella quale rivelò fin da giovanissima una particolare attitudine. Giulio Caccini faceva parte della famosa Camerata dei Bardi, un cenacolo di umanisti (letterati e musici) che alla fine del XVI secolo si formò intorno al conte Giovanni Bardi, con il comune desiderio di un rinnovamento della musica dallo stile polifonico a quello monodico, con l’obiettivo purista di ristabilire il connubio greco tra parola e suono. La giovane Francesca Caccini oltre a distinguersi come cantante, tanto che all’età di 25 anni formò nel Palazzo Pitti un complesso vocale femminile, di cui era la direttrice, venne istruita dal padre alle lettere; scrisse poesie in latino e nella lingua volgare, apprese le lingue straniere, in particolare cantava in francese e spagnolo. Aprì una scuola di canto, e dal 1619 già si parla delle sue discepole.

Suonava il liuto, il chitarrineto e il clavicembalo e all’età di diciotto anni iniziò a comporre. Nel 1607 entra ufficialmente al servizio della corte e divenne la musicista più pagata: passò dai 10 ai 20 scudi mensili. La Cecchina, come poi fu solito chiamarla e ricordarla, viene definita come donna di grande cultura, sensibile, di un carattere forte, esuberante, insolito forse tipico di un’altrettanto insolita genialità. Il soprannome “Cecchina” fu tanto usuale da essere tradotto in latino nell'iscrizione didascalica Cechine Pulchritudinis Immortalitati, posta su un medaglione marmoreo con il suo ritratto (presso il palazzo Rospigliosi a Pistoia). Nel medaglione si vedono i tratti di una bella donna, con un profilo greco, dallo sguardo pensoso e forme opulente. Iniziò a musicare le poesie di Michelangelo Buonarroti il Giovane, pronipote del Grande Michelangelo, il quale poeta di corte, ricevette spesso dai Medici l’incarico di scrivere libretti per musica con Francesca Caccini. Scrisse madrigali, ballate, variazioni, musica per voce, e un melodramma. Fu attivissima collaboratrice negli spettacoli di corte, come esecutrice di musica sacra e profana. La sua produzione comprende un ricco repertorio di pezzi per voce sola e basso continuo, che cercano di approfondire la sperimentazione delle possibilità della voce umana attraverso una ricca linea melodica.

Il suo Primo libro delle musiche a una e due voci pubblicato nel 1618 – che riunisce 36 musiche composte in diverse date a partire dalle sue prime composizioni: sonetti, arie, sacre e profane, madrigali, canzonette – si può considerare un documento pedagogico di quello che, nell’ambiente mediceo, una donna dotata di un grande genio musicale poté concepire e insegnare alle sue allieve. In linea con una politica di sfarzosa ostentazione e promozione culturale della corte medicea, Francesca musicò libretti d’opera e feste teatrali. Nel repertorio teatrale possiamo annoverare Il ballo delle zigane, un balletto rappresentato a palazzo Pitti nel carnevale del 1615, del quale Francesca curò anche l’allestimento, e il melodramma La liberazione di Ruggiero dall’isola di Alcina, ispirato alle vicende dell’omonimo personaggio dell’Ariosto.

Viaggiò in tournée, accompagnata spesso dal marito, per le corti italiane ed europee, rappresentando a Varsavia, in onore del principe ereditario polacco Ladislao Sigismondo, la sua prima opera composta nella forma del melodramma: La liberazione di Ruggiero dall’isola di Alcina – opera ispirata ai canti VI, VII,VIII dell’Orlando Furioso di Ariosto, che inizia con una sinfonia a quattro parti di andamento dapprima solenne e poi più spigliato – che porterà la dedica al futuro re. La messa in scena fiorentina del 1625 in occasione della visita del futuro re di Polonia Vladislao IV colpì tanto favorevolmente l’ospite che in seguito egli volle riproporre lo spettacolo dinanzi alla sua corte con una compagnia di artisti italiani. È la prima opera italiana a essere rappresentata all’estero e che rappresenta l’origine del melodramma. Francesca Caccini compose quest’opera in seguito alla morte del padre, utilizzando, contro le convinzioni paterne, la tecnica del contrappunto – l’arte di combinare più melodie contemporaneamente, nata nel Medioevo con la pratica polifonica, dalla sovrapposizione nota contro nota (punctum contra punctum) di una seconda linea melodica, detta discanto, al canto dato, detto tenor: Giulio Caccini non aveva appoggiato in alcun modo lo sviluppo del contrappunto considerando la monodia una forma pura, sul modello della musica greca, e dunque superiore a ogni altra tecnica compositiva. Francesca Caccini, invece, costruì una partitura estremamente varia, alternando parti corali con duetti, terzetti, recitativi. La Liberazione, infatti, è un mondo tutto al femminile, dominato da due potenti maghe: la severa Melissa – restauratrice dell’ordine morale – e l’appassionata Alcina, che difende un affascinante e irreale mondo armonioso. Alcina si traveste da Altante per strappare Ruggero dagli incanti di Melissa trasformata in una bellissima regina.

Eppure, nonostante la fama e il successo, già nel 1700 la Cecchina cade nell’oblio e viene talvolta ricordata solo come cantante. Lodata da Monteverdi, che riconosce in lei una maestra, ammirata da celebri letterati e poeti come Pietro della Valle, Ottavio Rinuccini, Gabriello Chiabrera. A Francesca Caccini, è stato dedicato un cratere sul pianeta Venere, ma le sue composizioni cadono vittime del pregiudizio che ne ha impedito la conoscenza e che a tutt’oggi ostacola la curiosità di eseguire e diffondere le sue opere.

Opere di Francesca Caccini

Il primo libro delle musiche a una e due voci (1618)
La liberazione di Ruggiero dall'isola d'Alcina, (1625)
"Dove io credea" in Constantini Ghirlandetta amorosa (1621)
"Ch'io sia fidele" in Robletti Le risonanti sfere (1629)
Per Rinuccini La mascherata delle ninfe di Senna (1611)
Per Buonarroti La Tancia (1611),
Il passatempo (1614)
La fiera (1619)
Per Ferdinando Saracinelli Il ballo delle Zingane (1615)
Per Jacopo Cicognini Il martiro di S Agata (1622)

Discografia

Nella Anfuso – Francesca Caccini, CD+Libro Stilnovo 8816 – Florilegio. Musiche, Libro I, Firenze 1618
IL CANTO DELLE DAME. Concerto da Chiesa & da Camera, STROZZI Barbara, CACCINI Francesca, ASSANDRA Caterina, LEONARDA Isabella
Maria Cristina Kiehr, Concerto Soave, Jean-Marc Aymes, direzione Francesca Caccini: O Viva Rosa by Shannon Mercer, Luc Beausejour, Sylvain Bergeron, Amanda Keesmaat and Francesca Caccini (2010)
La Musica: 16th & 17th Century Music and a 20th Century Surprise by Carol Plantamura, Jurgen Huebscher, Francesca Caccini, Sigismondo d'India and Alessandro Piccinini (2005)
Beniamino Gigli, Vol. 2 by Francesca Caccini, Francesco Cilea, Gaetano Donizetti, Christoph Willibald Gluck and Charles Gounod (1992)
Women's Voices: Five Centuries of Song by Neva Pilgrim, Edward Smith, Steven Heyman, Duchess of Saxe-Weimar Anna Amalie and Caterina Assandra (1997)


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Francesca Caccini est née à la cour des Médicis et compose une des premières formes de Drame en musique : l’oeuvre lyrique à venir. Aînée d’une famille de musiciens, son père en particulier, Giulio Caccini, célèbre musicien de la Camerata dei Bardi. Francesca a été l’élève préférée de son père, qui l’instruisit également dans la composition, dans laquelle elle révéla dès son plus jeune âge une attitude particulière. Giulio Caccini faisait partie de la célèbre Camerata dei Bardi, un cénacle d’humanistes (lettrés et musiciens) qui, à la fin du XVIe siècle, s’est formé autour du comte Giovanni Bardi, avec le désir commun d’un renouveau de la musique du style polyphonique au style monodique, avec l’objectif puriste de rétablir la combinaison grecque de la parole et du son. La jeune Francesca Caccini en plus de se distinguer en tant que chanteuse, à l’âge de 25 ans elle forma au Palazzo Pitti un ensemble vocal féminin, dont elle était la directrice, elle fut instruite par son père aux lettres; elle écrivit des poèmes en latin et dans la langue vulgaire, elle a appris les langues étrangères, notamment le français et l’espagnol. Elle ouvre une école de chant, et à partir de 1619, on parle déjà de ses disciples.

Elle jouait du luth, de la guitare et du clavecin, et à l’âge de dix-huit ans, elle a commencé à composer. En 1607, elle entre officiellement au service de la cour et devient la musicienne la mieux payée : elle passe de 10 à 20 écus par mois. La Tchéquie, comme on l’appelait alors et la rappelle, est définie comme une femme de grande culture, sensible, d’un caractère fort, exubérant, insolite peut-être typique d’un génie tout aussi insolite. Le surnom "Cecchina" était tellement habituel qu’il a été traduit en latin dans l’inscription Cechine Pulchritudinis Immortalitati, placée sur un médaillon en marbre avec son portrait (au palais Rospigliosi à Pistoia). Dans le médaillon on voit les traits d’une belle femme, avec un profil grec, au regard pensif et aux formes opulentes. Elle commence à mettre en musique les poèmes de Michel-Ange Buonarroti le Jeune, l’arrière-petit-fils du Grand Michel-Ange, poète de la cour qui reçoit souvent des Médicis la charge d’écrire des livrets pour musique avec Francesca Caccini. Elle a écrit des madrigaux, des ballades, des variations, de la musique pour la voix, et un mélodrame. Elle fut une collaboratrice active dans les spectacles de la cour, comme interprète de musique sacrée et profane. Sa production comprend un riche répertoire de pièces pour voix seule et basse continue, qui cherchent à approfondir l’expérimentation des possibilités de la voix humaine à travers une riche ligne mélodique.

Son Premier livre des musiques à une et deux voix publié en 1618 - qui réunit 36 musiques composées en différentes dates à partir de ses premières compositions : sonnets, arias, sacrés et profanes, madrigaux, chansons - on peut considérer un document pédagogique de ce qui, dans le milieu médicéen, une femme dotée d’un grand génie musical put concevoir et enseigner à ses élèves. Conformément à une politique d’ostentation fastueuse et de promotion culturelle de la cour des Médicis, Francesca composa des livrets d’opéra et des fêtes théâtrales. Dans le répertoire théâtral nous pouvons citer Il ballo delle zigane, un ballet représenté au palais Pitti dans le carnaval de 1615, dont Francesca a également pris soin de l’installation, et le mélodrame La libération de Ruggiero de l’île d’Alcina, inspiré par les événements du personnage de l’Ariosto.

Elle voyage en tournée, souvent accompagnée de son mari, pour les cours italiennes et européennes, représentant à Varsovie, en l’honneur du prince héritier polonais Ladislao Sigismondo, son premier opéra composé sous la forme du mélodrame : La libération de Ruggiero de l’île d’Alcina - oeuvre inspirée des chants VI, VII,VIII d’Orlando Furioso d’Ariosto, qui commence par une symphonie en quatre parties, d’abord solennelle puis plus subtile - qui portera la dédicace au futur roi. La mise en scène florentine de 1625 à l’occasion de la visite du futur roi de Pologne Vladislao IV impressionne tant favorablement l’hôte que plus tard elle voulut reproposer le spectacle devant sa cour avec une compagnie d’artistes italiens. C’est le premier opéra italien à être représenté à l’étranger et qui représente l’origine du mélodrame. Francesca Caccini a composé cette œuvre après la mort de son père, en utilisant, contre les convictions paternelles, la technique du contrepoint - l’art de combiner plusieurs mélodies à la fois, née au Moyen ge avec la pratique polyphonique, de la superposition connue contre note (punctum contra punctum) d’une seconde ligne mélodique, dite discanto, au chant donné, dit tenor : Giulio Caccini n’avait nullement appuyé le développement du contrepoint en considérant la monodie comme une forme pure, sur le modèle de la musique grecque, et donc plus que toute autre technique de composition. Francesca Caccini, en revanche, a construit une partition extrêmement variée, alternant des parties chorales avec des duos, des triplés, des récitatifs. La Libération, en effet, est un monde entièrement féminin, dominé par deux puissantes sorcières : la sévère Melissa - restauratrice de l’ordre moral - et la passionnée Alcina, qui défend un monde fascinant et irréel harmonieux. Alcina se déguise en Altante pour arracher Ruggero aux charmes de Melissa transformée en une belle reine.

Pourtant, en dépit de sa renommée et de son succès, la Tchéquie tombe dans l’oubli dès 1700 et n’est parfois rappelée qu’en tant que chanteuse. Louée par Monteverdi, qui reconnaît en elle une maîtresse, admirée par de célèbres lettrés et poètes comme Pietro della Valle, Ottavio Rinuccini, Gabriello Chiabrera. A Francesca Caccini, un cratère a été dédié sur la planète Vénus, mais ses compositions sont victimes du préjugé qui en a empêché la connaissance et qui entrave encore aujourd’hui la curiosité d’exécuter et de diffuser ses œuvres.

Opere di Francesca Caccini

Il primo libro delle musiche a una e due voci (1618)
La liberazione di Ruggiero dall'isola d'Alcina, (1625)
"Dove io credea" in Constantini Ghirlandetta amorosa (1621)
"Ch'io sia fidele" in Robletti Le risonanti sfere (1629)
Per Rinuccini La mascherata delle ninfe di Senna (1611)
Per Buonarroti La Tancia (1611),
Il passatempo (1614)
La fiera (1619)
Per Ferdinando Saracinelli Il ballo delle Zingane (1615)
Per Jacopo Cicognini Il martiro di S Agata (1622)

Discografia

Nella Anfuso – Francesca Caccini, CD+Libro Stilnovo 8816 – Florilegio. Musiche, Libro I, Firenze 1618
IL CANTO DELLE DAME. Concerto da Chiesa & da Camera, STROZZI Barbara, CACCINI Francesca, ASSANDRA Caterina, LEONARDA Isabella
Maria Cristina Kiehr, Concerto Soave, Jean-Marc Aymes, direzione Francesca Caccini: O Viva Rosa by Shannon Mercer, Luc Beausejour, Sylvain Bergeron, Amanda Keesmaat and Francesca Caccini (2010)
La Musica: 16th & 17th Century Music and a 20th Century Surprise by Carol Plantamura, Jurgen Huebscher, Francesca Caccini, Sigismondo d'India and Alessandro Piccinini (2005)
Beniamino Gigli, Vol. 2 by Francesca Caccini, Francesco Cilea, Gaetano Donizetti, Christoph Willibald Gluck and Charles Gounod (1992)
Women's Voices: Five Centuries of Song by Neva Pilgrim, Edward Smith, Steven Heyman, Duchess of Saxe-Weimar Anna Amalie and Caterina Assandra (1997)


Traduzione inglese

Syd Stapleton

 Francesca Caccini was born in the Medici court and composed one of the earliest forms of music for the stage - the future opera. Firstborn in a family of musicians, in particular her father, Giulio Caccini, who was a famous musician in the Camerata dei Bardi. Francesca was a favorite pupil of her father, who also instructed her in composition, for which she revealed a particular aptitude from a very early age. Giulio Caccini was part of the famous Camerata dei Bardi, a coterie of humanists (men of letters and musicians) who formed around Count Giovanni Bardi at the end of the 16th century, with a common desire for a renewal of music from the polyphonic to the monodic style, with the purist goal of re-establishing the Greek union between word and sound. In addition to distinguishing herself as a singer, so much so that at the age of 25 she formed a female vocal ensemble in the Pitti Palace, of which she was the director, the young Francesca Caccini was instructed by her father in letters. She wrote poems in Latin and in the vernacular, learned foreign languages, in particular sang in French and Spanish. She opened a singing school, and by 1619 there was already talk of her disciples.

1607 she officially entered the service of the court and became the highest paid musician - she went from 10 to 20 scudi monthly. La Cecchina, as she was then usually called and remembered, is described as a woman of great culture, sensitive, strong in character, exuberant, unusual perhaps for a woman of that time, but perhaps typical for an equally unusual genius. The nickname "Cecchina" was so well known that it was translated into Latin in the didactic inscription Cechine Pulchritudinis Immortalitati (Immortal Beauty) , placed on a marble medallion with her portrait (at the Rospigliosi palace in Pistoia). The medallion shows the features of a beautiful woman, with a Greek profile, thoughtful gaze, and an opulent form. She began setting to music the poems of Michelangelo Buonarroti the Younger, great-grandson of the Great Michelangelo, who was a court poet and was often commissioned by the Medici to write librettos for music with Francesca Caccini. She wrote madrigals, ballads, variations, music for voice, and a melodrama. She was a very active collaborator in court performances as a performer of sacred and secular music. Her output included a rich repertoire of pieces for solo voice and basso continuo, which seek to deepen experimentation with the possibilities of the human voice through a rich melodic line.

Her Primo libro delle musiche a una e due voci (First Book of Music for One and Two Voices) published in 1618, which brings together 36 pieces of music composed at different dates from her earliest compositions: sonnets, arias, sacred and profane, madrigals, and canzonettas, can be considered a pedagogical demonstration of what, in the Medicean milieu, a woman endowed with great musical genius could conceive of and teach to her pupils. In line with a policy of lavish ostentation and cultural promotion of the Medici court, Francesca set to music opera librettos and theatrical events. In her theatrical repertoire we can include Il ballo delle zigane (The Dance of the Gypsies), a ballet performed at the Pitti Palace during the carnival of 1615, for which Francesca also oversaw the staging, and the melodrama La liberazione di Ruggiero dall'isola di Alcina (The Liberation of Ruggiero from the Island of Alcina), inspired by the events of Ariosto's character of the same name.

She traveled on tour, often accompanied by her husband, to Italian and European courts, performing La liberazione di Ruggiero dall'isola di Alcina in Warsaw, in honor of the Polish Crown Prince Ladislaus Sigismund. It was her first opera composed in the melodrama form - an opera inspired by cantos VI, VII, and VIII of Ariosto's Orlando Furioso, which begins with a four-part symphony of at first solemn and then more lighthearted progression - that included a dedication to the future king. The Florentine staging in 1625, on the occasion of the visit of the future king of Poland, Vladislaus IV, so favorably impressed the honoree that he later wished to have the play performed again before his court with a company of Italian artists. It was the first Italian opera to be performed abroad, and represents the origin of melodrama. Francesca Caccini composed this opera following the death of her father, using, against her father's convictions, the technique of counterpoint - the art of combining several melodies at once, born in the Middle Ages with the practice of polyphony, from the superimposition note against note (punctum contra punctum) of a second melodic line, called discanto, to the given theme, called tenor. Giulio Caccini had not supported the development of counterpoint in any way, considering monody a pure form, on the model of Greek music, and therefore superior to any other compositional technique. Francesca Caccini, on the other hand, constructed an extremely varied score, alternating choral parts with duets, trios, and recitations. Liberation is set in an all-female world, dominated by two powerful sorceresses: the severe Melissa - restorer of the moral order - and the passionate Alcina, who defends a fascinating and etherial harmonious world. Alcina disguises herself as Altante, thus transformed into a beautiful queen, to snatch Roger from the spells of Melissa.

Yet despite her fame and success, as early as the 1700s Cecchina falls into oblivion and is sometimes remembered only as a singer. Praised by Monteverdi, who recognizes in her a teacher, and admired by famous men of letters and poets such as Pietro della Valle, Ottavio Rinuccini, and Gabriello Chiabrera. A crater on the planet Venus was dedicated to Francesca Caccini, but her compositions have fallen victim to the prejudice that prevented her recognition, and that to this day hinder the desire to perform and disseminate her works.

Opere di Francesca Caccini

Il primo libro delle musiche a una e due voci (1618)
La liberazione di Ruggiero dall'isola d'Alcina, (1625)
"Dove io credea" in Constantini Ghirlandetta amorosa (1621)
"Ch'io sia fidele" in Robletti Le risonanti sfere (1629)
Per Rinuccini La mascherata delle ninfe di Senna (1611)
Per Buonarroti La Tancia (1611),
Il passatempo (1614)
La fiera (1619)
Per Ferdinando Saracinelli Il ballo delle Zingane (1615)
Per Jacopo Cicognini Il martiro di S Agata (1622)

Discografia

Nella Anfuso – Francesca Caccini, CD+Libro Stilnovo 8816 – Florilegio. Musiche, Libro I, Firenze 1618
IL CANTO DELLE DAME. Concerto da Chiesa & da Camera, STROZZI Barbara, CACCINI Francesca, ASSANDRA Caterina, LEONARDA Isabella
Maria Cristina Kiehr, Concerto Soave, Jean-Marc Aymes, direzione Francesca Caccini: O Viva Rosa by Shannon Mercer, Luc Beausejour, Sylvain Bergeron, Amanda Keesmaat and Francesca Caccini (2010)
La Musica: 16th & 17th Century Music and a 20th Century Surprise by Carol Plantamura, Jurgen Huebscher, Francesca Caccini, Sigismondo d'India and Alessandro Piccinini (2005)
Beniamino Gigli, Vol. 2 by Francesca Caccini, Francesco Cilea, Gaetano Donizetti, Christoph Willibald Gluck and Charles Gounod (1992)
Women's Voices: Five Centuries of Song by Neva Pilgrim, Edward Smith, Steven Heyman, Duchess of Saxe-Weimar Anna Amalie and Caterina Assandra (1997)


Traduzione spagnola

Erika Incatasciato

Francesca Caccini nació en la corte de los Médici y compuso una de las primeras formas de Drama en Música: la futura ópera lirica. Es primogénita de una familia de músicos, especialmente su padre, Giulio Caccini, famoso compositor de la Camerata Florentina. Francesca fue alumna predilecta de su padre, que también le enseñó composición, en la que, desde muy joven, mostró una especial aptitud. Giulio Caccini formaba parte de la famosa Camerata Florentina –cenáculo de humanistas (músicos y literatos)– que a finales del siglo XVI se formó alrededor del conde Giovanni de’ Bardi, con el deseo común de renovar la música pasando del estilo polifónico al monódico y con el objetivo purista de restablecer la fusión griega entre la palabra y el sonido. La joven Francesca Caccini no solo destacó como cantante (tanto que a los 25 años, en el palacio Pitti, formó un conjunto vocal femenino del que era directora), pues también fue instruida por su padre en las Letras; escribió poemas en latín y en vernáculo, aprendió idiomas extranjeros y cantaba especialmente en francés y en español. Abrió una escuela de canto y desde 1619 ya se hablaba de sus discípulas.

Tocaba el laúd, el guitarrillo y el clavecín, y a los dieciocho años empezó a componer. En 1607 trabajó oficialmente al servicio de la corte y se convirtió en la música más pagada, pasando de 10 a 20 escudos mensuales. Cecchina, como luego solían llamarla y recordarla, fue descrita como una mujer de gran cultura, sensible, de carácter fuerte, enérgico e inusual quizás propio de una genialidad igualmente excepcional. El apodo “Cecchina” fue tan común que se tradujo al latín en la inscripción didáctica Cechine Pulchritudinis Immortalitati, colocada en un medallón de mármol con su retrato (en el palacio Rospigliosi de Pistoia). En este medallón apreciamos los rasgos de una mujer hermosa con perfil griego, de mirada pensativa y formas opulentas. Empezó a componer los poemas de Michelangelo Buonarroti el Joven, bisnieto del gran Michelangelo, quien, como poeta de la corte, a menudo recibía encargos de los Médici para escribir libretos de música junto a Francesca Caccini. Escribió madrigales, baladas, variaciones, música para voz y un melodrama. Fue una colaboradora muy activa en los espectáculos de la corte, como compositora de música sacra y profana. Su producción incluye un rico repertorio de piezas para voz sola y bajo continuo, que intentan profundizar la experimentación de las posibilidades de la voz humana a través de una línea melódica rica.

Su Primo Libro delle musiche a una e due voci publicado en 1618 –en el que reunió 36 composiciones escritas en distintas fechas, a partir de sus primeras composiciones: sonetos, arias, sacras y profanas, madrigales, chanzonetas– se puede considerar un documento pedagógico de lo que, en el ambiente de los Médici, una mujer dotada de gran genio musical podía idear y enseñarles a sus alumnas. En consonancia con una política de ostentación suntuosa y de promoción cultural de la corte de los Médici, Francesca compuso libretos de óperas y fiestas escénicas. El repertorio escénico incluye: Il ballo delle zigane, un ballet representado en palacio Pitti durante el Carnaval de 1615, de cuya puesta en escena también se encargó, y el melodrama La Liberazione di Ruggiero dell’Isola di Alcina, inspirado en las aventuras del personaje homónimo de Ariosto.

Fue de gira, a menudo acompañada por su marido, por las cortes italianas y europeas, y en Varsovia, en honor al príncipe heredero de Polonia Ladislao Sigismundo, se representó su primera ópera que había compuesto en forma de melodrama: La liberazione di Ruggiero dall’isola di Alcina (La Liberación de Rugiero de la isla de Alcina) –obra basada en los cantos VI, VII y VIII de Orlando Furioso de Ariosto, que empieza con una sinfonía de cuatro partes, inicialmente solemne y luego más animada– con una dedicatoria al futuro rey. La puesta en escena de1625 en Florencia, con motivo de la visita del futuro rey de Polonia Ladislao IV, impresionó tan favorablemente el huésped que, posteriormente, quiso reponer el espectáculo ante su corte con una compañía de artistas italianos. Fue la primera ópera italiana que se representó fuera de Italia, que marcó el origen del melodrama. Francesca Caccini compuso dicha ópera tras la muerte de su padre, usando, contra las creencias paternas, la técnica del contrapunto –el arte de combinar varias melodías simultáneamente que nació en la Edad Media con la práctica polifónica, superponiendo nota contra nota (punctum contra punctum) una segunda línea melódica, llamada discanto, sobre el canto principal, llamado tenor: Giulio Caccini no había respaldado de ninguna manera el desarrollo del contrapunto, ya que consideraba la monodia una forma pura, y seguía el modelo de la música griega, por lo tanto, superior a cualquier otra técnica compositora. Por otro lado, Francesca Caccini compuso una partitura extremadamente variada, alternando partes corales con dúos, tercetos y estilo recitativo. De hecho, la Liberazione es un mundo completamente femenino, dominado por dos poderosas magas: la severa Melissa –restauradora del orden moral– y la apasionada Alcina, que defiende un mundo armonioso, fascinante e irreal. Alcina se disfrazó de Atlante para liberar a Ruggiero de los encantos de Melissa transformada en una hermosa reina.

Sin embargo, a pesar de la fama y el éxito, ya en 1700 Cecchina cae en el olvido y a veces solo es recordada como cantante. Elogiada por Monteverdi, quien reconoció en ella una maestra, fue también admirada por destacados literatos y poetas como Pietro della Valle, Ottavio Rinuccini, Gabriello Chiabrera. A Francesca Caccini ha sido dedicado un cráter del planeta Venus, pero sus composiciones son víctimas del prejuicio que impidió su reconocimiento y que hoy en día obstaculiza el interés para interpretar y difundir sus óperas.

Opere di Francesca Caccini

Il primo libro delle musiche a una e due voci (1618)
La liberazione di Ruggiero dall'isola d'Alcina, (1625)
"Dove io credea" in Constantini Ghirlandetta amorosa (1621)
"Ch'io sia fidele" in Robletti Le risonanti sfere (1629)
Per Rinuccini La mascherata delle ninfe di Senna (1611)
Per Buonarroti La Tancia (1611),
Il passatempo (1614)
La fiera (1619)
Per Ferdinando Saracinelli Il ballo delle Zingane (1615)
Per Jacopo Cicognini Il martiro di S Agata (1622)

Discografia

Nella Anfuso – Francesca Caccini, CD+Libro Stilnovo 8816 – Florilegio. Musiche, Libro I, Firenze 1618
IL CANTO DELLE DAME. Concerto da Chiesa & da Camera, STROZZI Barbara, CACCINI Francesca, ASSANDRA Caterina, LEONARDA Isabella
Maria Cristina Kiehr, Concerto Soave, Jean-Marc Aymes, direzione Francesca Caccini: O Viva Rosa by Shannon Mercer, Luc Beausejour, Sylvain Bergeron, Amanda Keesmaat and Francesca Caccini (2010)
La Musica: 16th & 17th Century Music and a 20th Century Surprise by Carol Plantamura, Jurgen Huebscher, Francesca Caccini, Sigismondo d'India and Alessandro Piccinini (2005)
Beniamino Gigli, Vol. 2 by Francesca Caccini, Francesco Cilea, Gaetano Donizetti, Christoph Willibald Gluck and Charles Gounod (1992)
Women's Voices: Five Centuries of Song by Neva Pilgrim, Edward Smith, Steven Heyman, Duchess of Saxe-Weimar Anna Amalie and Caterina Assandra (1997)

 

Barbara Strozzi
Mauro Zennaro




Giulia Canetto

 

 Di lei sappiamo poco, ma quel poco è prezioso perché delle altre sappiamo ancora meno. Abbiamo l’anno di nascita, il 1619, e il giorno del battesimo nella chiesa di Santa Sofia, il 6 agosto. Abbiamo anche la data della morte, l’11 novembre 1677, a Padova. Il suo ritratto, a opera del prete genovese Bernardo Strozzi (che non era suo parente) ricorda l’autoritratto coevo di Artemisia Gentileschi (che però è infinitamente più bello). Barbara ha tra i sedici e i vent’anni, ha in mano la viola da gamba e l’archetto, ci guarda con aria assorta, sembra più grande della sua età, è vestita in modo succinto; Artemisia, invece, si rappresenta come Allegoria della pittura, non guarda noi ma la sua opera, l’inquadratura è audace e moderna. Le due donne non sembrano assomigliarsi, ma hanno una cosa in comune: l’affermazione della propria professione attraverso l’esibizione degli strumenti del mestiere. Il genovese ha dipinto una Barbara discinta, confermando le dicerie sulla giovane musicista che, non sposata e per di più artista, era ipso facto condannata a una fama di cortigiana. Benché nel 1636 Nicolò Fontei, musicista di qualche fama, dedicasse la sua seconda raccolta di Bizzarrie poetiche poste in musica alla «gentilissima e virtuosissima donzella la Signora Barbara», e il poeta genovese Gian Vincenzo Imperiale, sentitala cantare, la definisse «una delle Muse di Parnaso», per il resto la reputazione della giovane Strozzi non era al livello della sua riconosciuta maestria musicale. Altrove non le si risparmiano i lazzi, come nell’anonimo testo satirico in cui, nonostante la si veda «castissima», «come femina» poteva «in libertà passarvi il tempo con qualche amore». D’altro canto, la definizione di «virtuosissima cantatrice» datale da Fontei è di parte, essendo il musicista intimo di Giulio Strozzi, padre – benché ufficialmente adottivo – di Barbara.

 Ma tutto questo è ormai ovvio. La stessa Artemisia si era vista dare, nell’elegante e fiorita rima secentesca, della poco di buono solo perché artista e indipendente. E d’altro canto la prostituzione poteva essere un destino inevitabile: si pensi per esempio a Fillide Melandroni, la modella che Caravaggio immortalò nel 1599 come Giuditta, che, perso il padre ed emigrata a Roma, fu spinta alla prostituzione dalla madre, fu definita «cortigiana scandalosa» dalla Chiesa, fu amante di Giulio Strozzi nel periodo romano di lui, fu cacciata da Roma in seguito alle pressioni della famiglia dello stesso, non ottenne sepoltura in terra consacrata quando morì trentasettenne. Quel poco che la storiografia ci tramanda delle donne che ricercano alternative alla vita ristretta loro destinata è noto e rimasticato, ma è difficile evitarlo, come è difficile capire se la fama che accompagnava artiste e modelle fosse reale o frutto di becero sessismo; e oggi non sembra nemmeno utile stabilirlo. A nove anni Barbara Caterina fu adottata dal presumibile padre Giulio Strozzi, poeta e avvocato; la madre era Isabella Garzoni, che lavorava in casa Strozzi. Nel testamento, Giulio nominò Barbara sua unica erede perché a Venezia, diversamente che altrove, le donne potevano ereditare e perché presumibilmente non c’erano altri figli. Giulio stesso era stato adottato e apparteneva a una famiglia in vista di Firenze. Giudice, appassionato di musica, poeta e famoso librettista, aveva lavorato alla corte papale e si era poi trasferito a Venezia, dove aveva aderito all’Accademia degli Incogniti e poi, in pieno stile secentesco, ne aveva fondata una, l’Accademia degli Unisoni, di cui la figlia divenne protagonista. Barbara aveva studiato musica con l’insigne Pier Francesco Cavalli, cantava e suonava magnificamente, componeva arie e madrigali. Soprattutto metteva in musica le opere letterarie del padre per la propria voce.

Tra il 1644 e il 1664 riuscì a pubblicare ben otto volumi delle proprie composizioni: un numero enorme rispetto a quello di tante musiciste rimaste sconosciute. Ma Venezia era una città meno ostile verso le donne e l’ambiente culturale in cui viveva Barbara decisamente favorevole. Ed era all’avanguardia: il cremonese Claudio Monteverdi, grande innovatore, inventore del melodramma, viveva a Venezia ed era famosissimo. Era molto più anziano di Barbara e nessuna fonte riporta una loro qualche conoscenza, ma sembra impossibile che lei, il padre e l’Accademia tutta non lo frequentassero: il più famoso ritratto di Monteverdi è a opera dello stesso Bernardo Strozzi che aveva dipinto lei (naturalmente in abiti e abbigliamento molto più austeri). È noto anche che a Venezia il cremonese produsse moltissimo e non finì il suo capolavoro L’incoronazione di Poppea, il cui duetto finale, di rara bellezza, fu composto da qualcun altro: probabilmente Francesco Sacrati, nella cui opera La finta pazza (su libretto di Giulio Strozzi) si è rinvenuta forte somiglianza con l’opera monteverdiana. Ma non è certo…Nonostante la mole impressionante delle pubblicazioni – in tutto centoventicinque brani – e la fama che l’accompagnava, Barbara non ebbe mai un committente fisso, il che significa che per pubblicare e guadagnare doveva trovare mecenati. La cosa divenne problematica soprattutto dopo la morte di Giulio e Barbara decise di proseguire nella professione di musicista anche da sola.

Molti artisti vivevano di commesse private, ma trovavano spesso lavoro come maestri di cappella o insegnanti presso nobili e istituzioni pubbliche. Anche la citata Artemisia Gentileschi cercò tutta la vita un incarico pubblico e lo trovò solo a Napoli poco prima di morire. Per le artiste, dunque, la strada era molto più impervia che per i loro colleghi. Nel 1644, un anno dopo la morte di Monteverdi, la venticinquenne Barbara pubblicò un primo libro di madrigali a più voci, su testi del padre, che dedicò alla granduchessa di Toscana Vittoria della Rovere, anche perché Giulio aveva mantenuto stretti rapporti con il ramo fiorentino della famiglia (sul presunto bigottismo oscurantista di Vittoria molta critica moderna ha espresso dubbi); nel 1651 un volume di cantate dedicato alle nozze di Ferdinando III d’Asburgo e a Eleonora Gonzaga-Nevers; l’anno seguente un terzo; poi un quarto andato perduto; quindi il quinto con musiche sacre dedicato ad Anna de’ Medici, arciduchessa d’Austria; il sesto, il settimo e l’ottavo contengono arie a una voce sola: la sua. A queste opere vanno aggiunte numerose altre comprese in miscellanee pubblicate in tutto il Seicento. Le composizioni sono spesso di alto virtuosismo, ovvero adatte alla sua finissima tecnica vocale. Non sappiamo quanto le dediche ai nobili personaggi abbiano fruttato all’autrice, ma lei tenne duro.

Barbara Strozzi non si sposò mai e si mantenne da sola. Ebbe una lunga relazione con Giovanni Paolo Vidman (o Widmann), patrizio ammogliato e amico di famiglia (a lui sono dedicate le Bizzarie poetiche di quel Fontei che elogiavano la «gentilissima» e «virtuosissima» Barbara) da cui ebbe tre dei suoi figli, o forse tutti e quattro. Ma, ad onta delle malelingue, non dovette essere un rapporto d’interesse, perché in un’occasione fu lei a prestare dei soldi a lui, così come pagava l’affitto della casa del padre. Riuscì a dare una dote alle due figlie e a un figlio per permettere loro di entrare in convento, e l’altro figlio ricevette un’eredità. Si sa poco degli ultimi dieci anni. Probabilmente pubblicò ancora, ma non è certo, come possibile è una sua attività didattica. Conservò una certa notorietà in ambito specialistico, soprattutto britannico, ma i moderni studi di musicologia e sulla cultura delle donne l’hanno riportata alla fama che merita. La sua musica è forte, innovativa, eloquente, al punto che non mancano rivisitazioni in chiave moderna accanto alle moltissime interpretazioni degli originali. Non sappiamo perché Barbara si recasse a Padova nel maggio del 1677, ma lì si ammalò e morì dopo tre mesi. Si dice fosse in condizioni economiche precarie, ma la sua vita è tutta un «si dice». E nel frattempo le sue opere si spargevano per tutta Europa.


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Nous en savons peu sur elle, mais ce peu est précieux car nous en savons encore moins sur les autres. Nous avons l’année de naissance, le 1619, et le jour du baptême dans l’église de Sainte-Sophie, le 6 août. Nous avons aussi la date de la mort, le 11 novembre 1677, à Padoue. Son portrait, réalisé par le prêtre génois Bernardo Strozzi (qui n’était pas un parent) rappelle l’autoportrait contemporain d’Artemisia Gentileschi (qui est mille fois plus beau). Barbara a entre seize et vingt ans, elle tient la viole de jambe et l’archet, elle nous regarde avec un air captivant, elle semble plus âgée, elle est habillée succinctement; Artemisia, par contre, se représente comme Allégorie de la peinture, elle ne nous regarde pas mais son œuvre, le cadrage est audacieux et moderne. Les deux femmes ne semblent pas se ressembler, mais elles ont une chose en commun : l’affirmation de leur profession à travers l’exhibition des instruments du métier. Le génois a peint une Barbara discinta, confirmant les rumeurs sur la jeune musicienne qui, célibataire et de plus artiste, était ipso facto condamnée à une réputation de courtisane. Bien qu’en 1636 Nicolò Fontei, musicien de renom, dédia son deuxième recueil de Bizarreries poétiques mises en musique à la « très gentille et virtuose dame Barbara », et le poète génois Gian Vincenzo Imperiale, l’entendit chanter, la définissa « une des Muses de Parnasse », pour le reste, la réputation de la jeune Strozzi n’était pas au niveau de sa maîtrise musicale reconnue. Ailleurs, on ne lui épargne pas le lazzi, comme dans le texte satirique anonyme où, bien qu’on la voie « chaste », « comme une femme » pouvait « en liberté y passer du temps avec un peu d’amour ». D’autre part, la définition de « virtuosissima cantatrice » donnée par Fontei est partiale, étant le musicien intime de Giulio Strozzi, père - bien qu’officiellement adoptif - de Barbara.

Mais tout cela est devenu évident. Artemisia elle-même s’était vue donner, dans l’élégante et fleurie rime du XVIIe siècle, de la mauvaise qualité uniquement parce qu’artiste et indépendante. Et d’autre part la prostitution pouvait être un destin inévitable : on pense par exemple à Fillide Melandroni, le modèle que Caravaggio a immortalisé en 1599 comme Judith, qui, ayant perdu son père et émigré à Rome, fut poussé à la prostitution par sa mère, fut définie «courtisane scandaleuse» de l’Église, fut l’amante de Giulio Strozzi dans la période romaine de lui, fut chassée de Rome à la suite des pressions de la famille du même, n’obtint pas enterrement consacrée quand elle mourut trente-sept ans. Le peu que l’historiographie nous transmet des femmes qui cherchent des alternatives à la vie restreinte qui leur est destinée est connu et remanié, mais il est difficile de l’éviter, comme il est difficile de comprendre si la renommée qui accompagnait artistes et mannequins était réelle ou le fruit d’un faux sexisme; aujourd’hui, il ne semble même pas utile de le déterminer. À neuf ans, Barbara Caterina a été adoptée par le père présumé Giulio Strozzi, poète et avocat; sa mère était Isabella Garzoni, qui travaillait à la maison Strozzi. Dans son testament, Jules nomma Barbara comme seule héritière car à Venise, contrairement à d’autres, les femmes pouvaient hériter et parce qu’il n’y avait probablement pas d’autres enfants. Jules lui-même avait été adopté et appartenait à une famille en vue de Florence. Juge, passionné de musique, poète et célèbre librettiste, il avait travaillé à la cour pontificale et s’était ensuite installé à Venise, où il avait adhéré à l’Académie des Incogniti et, en plein style du XVIIe siècle, il en avait fondé une, l’Académie des Unisons, dont la fille est devenue le protagoniste. Barbara avait étudié la musique avec l’éminent Pier Francesco Cavalli, chantait et jouait magnifiquement bien, composait des arias et des madrigaux. Surtout, elle mettait en musique les œuvres littéraires de son père pour sa propre voix.

Entre 1644 et 1664, elle réussit à publier huit volumes de ses compositions : un nombre énorme par rapport à celui de nombreuses musiciennes restées inconnues. Mais Venise était une ville moins hostile envers les femmes et l’environnement culturel dans lequel vivait Barbara résolument favorable. Et elle était à l’avant-garde : le Crémonais Claudio Monteverdi, grand innovateur, inventeur du mélodrame, vivait à Venise et était très célèbre. Elle était beaucoup plus âgé que Barbara et aucune source ne rapporte une quelconque connaissance d’elle, mais il semble impossible qu’elle, son père et toute l’Académie ne le fréquentent pas : le portrait le plus célèbre de Monteverdi est l’œuvre du même Bernardo Strozzi qui avait peint (bien sûr dans des vêtements et des vêtements beaucoup plus austères). On sait aussi qu’à Venise le Crémone produisit beaucoup et ne termina pas son chef-d’œuvre Le couronnement de Poppea, dont le duo final, d’une rare beauté, fut composé par quelqu’un d’autre : probablement Francesco Sacrati, dans l’opéra La finta pazza (sur un livret de Giulio Strozzi) on a trouvé une forte ressemblance avec l’œuvre de Monteverdi. Mais ce n’est pas certains... Malgré la masse impressionnante des publications - au total cent vingt-cinq titres - et la renommée qui l’accompagnait, Barbara n’eut jamais de commanditaire fixe, ce qui signifie que pour publier et gagner, elle devait trouver des mécènes. Cela devient problématique surtout après la mort de Giulio et Barbara décide de poursuivre seule la profession de musicien.

De nombreux artistes vivaient de commandes privées, mais trouvaient souvent du travail en tant que maîtres de chapelle ou enseignants auprès de nobles et d’institutions publiques. Même Artemisia Gentileschi, citée plus haut, chercha toute sa vie une charge publique et ne le trouva qu’à Naples peu avant sa mort. Pour les artistes, la route était donc beaucoup plus rude que pour leurs collègues. En 1644, un an après la mort de Monteverdi, Barbara, 25 ans, publia un premier livre de madrigaux à plusieurs voix, sur des textes de son père, qu’elle dédia à la grande-duchesse de Toscane Vittoria della Rovere, aussi parce que Jules avait maintenu des relations étroites avec la branche florentine de la famille (sur le présumé bigoterisme obscurantiste de Victoria beaucoup de critique moderne a exprimé des doutes); en 1651 un volume de cantates dédié aux noces de Ferdinand III de Habsbourg et à Eleonora GonzagueNevers ; l’année suivante un troisième, puis un quatrième perdu ; puis le cinquième avec des musiques sacrées dédié à Anne de Médicis, archiduchesse d’Autriche ; les sixième, septième et huitième contiennent des arias à une seule voix : la sienne. À ces œuvres s’ajoutent de nombreuses autres incluses dans des recueils publiés au XVIIe siècle. Les compositions sont souvent de haute virtuosité, c’est-à-dire adaptées à sa technique vocale très fine. Nous ne savons pas à quel point les dédicaces aux nobles personnages ont profité à l’auteur, mais elle a tenu bon.

Barbara Strozzi ne s’est jamais mariée et est restée seule. Elle eut une longue relation avec Jean-Paul Vidman (ou Widmann), patricien marié et ami de famille (lui sont dédiées les Bizarreries poétiques de ce Fontei qui louaient la « très gentille » et « très vertueuse » Barbara) dont elle eut trois de ses enfants, ou peut-être tous les quatre. Mais, en dépit des mauvaises langues, ce n’était pas une relation d’intérêt, parce qu’à une occasion, elle lui a prêté de l’argent, comme elle payait le loyer de la maison de son père. Elle réussit à donner une dot aux deux filles et à un fils pour leur permettre d’entrer au couvent, et l’autre fils reçut un héritage. On en sait peu sur les dix dernières années. Elle a probablement encore publié, mais ce n’est pas certain, comme c’est possible une activité didactique. Elle conserve une certaine notoriété dans le milieu spécialisé, notamment britannique, mais les études modernes de musicologie et de culture des femmes l’ont ramenée à la renommée qu’elle mérite. Sa musique est forte, innovante, éloquente, au point que les interprétations des originaux ne manquent pas. Nous ne savons pas pourquoi Barbara se rendit à Padoue en mai 1677, mais là, elle tomba malade et mourut après trois mois. On dit qu’elle était dans une situation économique précaire, mais sa vie est toute une «on dit». Et pendant ce temps, ses œuvres se répandaient dans toute l’Europe.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

We know little of her, but that little is precious because of the rest we know even less. We have the year of her birth, 1619, and the day of her baptism in the church of Santa Sofia, August 6. We also have the date of her death, November 11, 1677, in Padua. Her portrait, by the Genoese priest Bernardo Strozzi (who was not her relative) is reminiscent of Artemisia Gentileschi's contemporary self-portrait (which is infinitely more beautiful, however). Barbara is between sixteen and twenty years old, she is holding a viola da gamba and bow, she looks at us blankly, she seems older than her age, and she is dressed skimpily. Artemisia, on the other hand, represents herself as an Allegory of Painting, she is not looking at us but at her work, the setting is bold and modern. The two women do not seem to resemble each other, but they have one thing in common: the affirmation of their profession through the display of the tools of the trade. The Genoese painted a discreet Barbara, confirming the rumors about the young musician who, unmarried and an artist to boot, was ipso facto condemned to a reputation as a courtesan. Although in 1636 Nicolò Fontei, a musician of some renown, dedicated his second collection of Bizzarrie poetiche poste in musica to the "most gracious and virtuous maiden, the Signora Barbara," and the Genoese poet Gian Vincenzo Imperiale, upon hearing her sing, called her "one of the Muses of Parnassus." Otherwise, the young Strozzi's reputation was not on the level of her acknowledged musical mastery. Elsewhere, she was not spared laughter, as in the anonymous satirical text in which, although she is seen to be "most chaste," "as a woman" she could "at liberty pass the time with some lover." On the other hand, the definition of "very virtuous maiden" given to her by Fontei is biased, him being a musician intimate with Giulio Strozzi, Barbara's father - though officially adoptive.

But all this is now obvious. Artemisia herself had been given, in the elegant and flowery seventeenth-century speech, as little good just because she was an artist and independent. And on the other hand, prostitution might have been an inevitable fate. Think, for example, of Fillide Melandroni, the model whom Caravaggio immortalized in 1599 as Judith, who, having lost her father and emigrated to Rome, was driven to prostitution by her mother, was called a "scandalous courtesan" by the Church, was Giulio Strozzi's mistress during his Roman period, was driven out of Rome after pressure from his family, and did not get burial in consecrated ground when she died at the age of thirty-seven. What little historiography has handed down to us about women seeking alternatives to the restricted life destined for them is well known and rehashed, but it is difficult to avoid it, just as it is difficult to understand whether the reputation that accompanied female artists and models was real or the result of boorish sexism. And today it does not even seem useful to try to establish it. At the age of nine, Barbara Caterina was adopted by her apparent father Giulio Strozzi, a poet and lawyer. Her mother was Isabella Garzoni, who worked in the Strozzi household. In his will, Giulio named Barbara his sole heir because in Venice, unlike elsewhere, women could inherit and because presumably there were no other children. Giulio himself had been adopted and belonged to a prominent family in Florence. A judge, music lover, poet, and famous librettist, he had worked at the papal court and then moved to Venice, where he had joined the Accademia degli Incogniti and then, in full seventeenth-century style, founded one, the Accademia degli Unisoni, in which his daughter became a leading figure. Barbara had studied music with the distinguished Pier Francesco Cavalli, sang and played beautifully, composed arias and madrigals. Above all, she set her father's literary works to music for her own voice.

Between 1644 and 1664 she managed to publish as many as eight volumes of her own compositions - a huge number compared to that of so many female musicians who remained unknown. But Venice was a city less hostile toward women, and the cultural environment in which Barbara lived was decidedly favorable. And it was avant-garde. The Cremonese Claudio Monteverdi, the great innovator, inventor of melodrama, lived in Venice and was very famous. He was much older than Barbara, and no source reports any acquaintance of theirs, but it seems impossible that she, her father and the whole Accademia did not frequent him. The most famous portrait of Monteverdi is by the same Bernardo Strozzi who had painted her (of course in much more austere dress and attitude). It is also known that in Venice the Cremonese produced a great deal and did not finish his masterpiece L'incoronazione di Poppea, the final duet of which, of rare beauty, was composed by someone else - probably Francesco Sacrati, in whose opera La finta pazza (with libretto by Giulio Strozzi) strong resemblance to Monteverdi's opera has been found. But it is not certain...Despite the impressive volume of publications - a hundred and twenty-five pieces in all - and the accompanying fame, Barbara never had a regular patron, meaning that in order to publish and earn money she had to find patrons. This became especially problematic after Giulio died, and Barbara decided to pursue the profession of music on her own.

Barbara Strozzi never married, and supported herself. She had a long relationship with Giovanni Paolo Vidman (or Widmann), a married patrician and family friend (to him are dedicated Fontei’s Bizzarrie poetiche poste in musica praising the "gentilissima" and "virtuosissima" Barbara). By Vidman she had three of her children, or perhaps all four. But, malicious tongues notwithstanding, it did not have to be a relationship of financial interest, for on one occasion it was she who lent him money, just as she paid the rent on her father's house. She managed to give a dowry to her two daughters and one son to enable them to enter the convent, and the other son received an inheritance. Little is known about her last ten years. She probably still published, but it is not certain, as possible is a teaching activity by her. She retained some reputation in specialist circles, especially British, but modern studies in musicology and women's culture have restored her to the fame she deserves. Her music is strong, innovative, and eloquent, to the point that there is no shortage of modern reinterpretations alongside the many interpretations of the originals. We do not know why Barbara went to Padua in May 1677, but it was there that she fell ill and died after three months. It is said that she was in a precarious financial condition, but her life is all "rumor." And in the meantime, her works were spreading all over Europe.


Traduzione spagnola

Claudio Ardita

Sabemos poco sobre ella, pero ese poco es muy valioso porque de las otras artistas sabemos aún menos. Sabemos el año de nacimiento, 1619, y el día del bautismo en la iglesia de Santa Sofía, el 6 de agosto. También sabemos la fecha de su muerte, el 11 de noviembre de 1677, en Padua. Su retrato, obra del «Fraile genovés» Bernardo Strozzi (que no era pariente suyo), recuerda el autorretrato coetáneo de Artemisia Gentileschi (que, sin embargo, es infinitamente más bello). Barbara tiene entre dieciséis y veinte años, sujeta con una mano la viola de gamba y el arco, nos mira con aire ensimismado, parece mayor de lo que es y viste de modo sucinto; Artemisia, en cambio, se representa como la Alegoría de la Pintura, no nos mira a nosotros sino a su obra, el encuadre es audaz y moderno. No parece que las dos mujeres se asemejen, pero tienen una cosa en común: la afirmación de su profesión a través de la exhibición de las herramientas del oficio. El genovés, al pintar a una Barbara desaliñada, confirmó las habladurías sobre la joven música que, al no estar casada y al ser una artista, se veía ipso facto condenada a una fama de cortesana. Si bien en 1636 Nicolò Fontei, músico de cierta fama, dedicó su segunda colección de Bizzarrie poetiche poste in musica a la «gentilissima e virtuosissima donzella la Signora Barbara», y el poeta genovés Gian Vincenzo Imperiale, al escucharla cantar, la definió como «una delle Muse di Parnaso», por lo demás, la reputación de la joven Strozzi no correspondía a su reconocida maestría musical. En otras obras no se le escatiman las burlas, como en el texto satírico anónimo en el que, aunque es «castissima», «come femina» podía «in libertà passarvi il tempo con qualche amore». Por otro lado, la definición de "virtuosissima cantante" atribuida por Fontei era subjetiva, al ser este músico amigo íntimo de Giulio Strozzi, padre –oficialmente adoptivo– de Barbara.

Pero todo esto ya es obvio. Artemisia había sido calificada como persona poco recomendable sólo por el hecho de ser artista e independiente en el periodo más próspero del siglo XVII. Y, por otra parte, la prostitución podía ser un destino inevitable: piénsese, por ejemplo, en Fillide Melandroni, la modelo que Caravaggio inmortalizó en 1599 como Judit, quien, huérfana de padre y emigrada a Roma, fue empujada a la prostitución por su madre; fue calificada de «corteggiana scandalosa» por la Iglesia, fue amante de Giulio Strozzi durante la estancia romana de este último, fue expulsada de Roma por presiones de su familia y no recibió sepultura en tierra consagrada cuando murió a los treinta y siete años. Es bien sabido lo poco que la historiografía nos ha dejado de las mujeres que buscaron alternativas a la vida rígida que se les había destinado, pero es difícil evitarlo, como también es difícil entender si la fama que acompañó a las artistas y modelos femeninas fue real o fruto del machismo grosero; y hoy ni siquiera parece útil establecerlo. Giulio Strozzi, poeta, abogado y supuesto padre de Barbara Caterina, la adoptó cuando tenía nueve años; su madre era Isabella Garzoni, quien trabajaba en casa de Strozzi. En su testamento, Giulio nombró a Barbara su única heredera porque en Venecia, a diferencia de otros lugares, las mujeres podían heredar y porque se presumía que no hubiera otros hijos. El propio Giulio había sido adoptado y pertenecía a pertenecía a una importante familia de Florencia. Juez, melómano, poeta y célebre libretista, trabajó en la corte papal y luego se trasladó a Venecia, donde ingresó en la Accademia degli Incogniti y luego, según el estilo del siglo XVII, fundó su Academia, la Accademia degli Unisoni, en la que su hija fue protagonista. Barbara estudió música con el célebre maestro Pietro Francesco Cavalli, cantaba y tocaba maravillosamente y compuso arias y madrigales. Sobre todo, musicó para su propia voz las obras literarias de su padre.

Entre 1644 y 1664, consiguió publicar nada menos que ocho volúmenes de sus propias composiciones: un número enorme comparado con el de muchas músicas que siguen siendo desconocidas. Pero Venecia era una ciudad menos hostil hacia las mujeres y el ambiente cultural en el que vivía Barbara era decididamente favorable y vanguardista: el cremonés Claudio Monteverdi, gran innovador e inventor del melodrama, vivía en Venecia y era muy famoso. Era mucho mayor que Barbara y ningún documento informa de que se conocieran, pero parece imposible que ella, su padre y toda la Academia no lo frecuentaran. El retrato más famoso de Monteverdi es de Bernardo Strozzi que la había pintado a ella (naturalmente con ropas y trajes mucho más austeros). También se sabe que en Venecia el compositor cremonés produjo mucho y no terminó su obra maestra La coronación de Popea, cuyo dúo final, de singular belleza, se supone que había sido compuesto por otra persona, es decir, Francesco Sacrati. De hecho, su ópera La finta pazza (el libreto es de Giulio Strozzi) tiene un gran parecido con la ópera de Monteverdi. Pero no es seguro…A pesar del impresionante volumen de publicaciones –ciento veinticinco piezas en total– y de la fama que la acompañaba, Barbara nunca tuvo un comisionista fijo, lo que significaba que, para publicar y ganar dinero, tenía que encontrar mecenas. Esto se hizo especialmente problemático tras la muerte de Giulio, y Barbara decidió seguir en la profesión de música por su cuenta.

Muchos artistas vivían de encargos privados, pero a menudo encontraban trabajo como maestros de capilla o profesores con nobles e instituciones públicas. Como la ya mencionada Artemisia Gentileschi, quien buscó un puesto público durante toda su vida y sólo lo encontró en Nápoles poco antes de su muerte. Para las mujeres artistas, por tanto, el camino era mucho más empinado que para sus colegas varones. En 1644, un año después de la muerte de Monteverdi, Barbara, a los 25 años, publicó un primer libro de madrigales a varias voces, usando los textos de su padre, que dedicó a la Gran Duquesa de la Toscana Vittoria della Rovere, porque Giulio había mantenido estrechas relaciones con la rama florentina de la familia (muchos críticos modernos han expresado dudas sobre el supuesto fanatismo oscurantista de Vittoria); en 1651 un volumen de cantatas dedicadas a la boda de Fernando III de Habsburgo y Leonor Gonzaga-Nevers; al año siguiente un tercer volumen; luego un cuarto que se ha perdido; después el quinto con música sacra dedicado a Ana de Médici, archiduquesa de Austria; el sexto, el séptimo y el octavo contienen arias para una sola voz: la suya. A estas obras hay que añadir otras muchas incluidas en misceláneas publicadas a lo largo del siglo XVII. Las composiciones suelen ser de gran virtuosismo, adaptadas a su técnica vocal. No sabemos cuánto ganaba la autora con las dedicatorias a personajes nobles, pero se ganaba la vida.

Barbara Strozzi nunca se casó y se mantenía a sí misma. Tuvo una larga relación con Giovanni Paolo Vidman (o Widmann), un patricio casado y amigo de la familia (a él están dedicadas las Bizzarie poetiche del ya mencionado Fontei, donde se elogiaba a la "gentilissima" y "virtuosissima" Barbara) con el que tuvo tres de sus hijos, o quizá los cuatro. Pero, a pesar de las habladurías, no tenía por qué ser una relación de interés, ya que en una ocasión fue ella quien le prestó dinero, al igual que pagaba el alquiler de la casa de su padre. Consiguió dar una dote a sus dos hijas y a un hijo para que pudieran entrar en el convento, y el otro hijo cobró una herencia. Poco se sabe de los últimos diez años. Probablemente seguía publicando, pero no es seguro, como es posible su actividad como docente. Mantuvo cierta notoriedad en los círculos especializados, principalmente británicos, pero los estudios modernos de musicología y de cultura de las mujeres le han devuelto la fama que merece. Su música es fuerte, innovadora, elocuente, hasta el punto de que no faltan interpretaciones modernas junto a las numerosas interpretaciones de los originales. No sabemos por qué Barbara fue a Padua en mayo de 1677, pero allí cayó enferma y murió al cabo de tres meses. Se dice que su situación económica era precaria, pero toda su vida es un ‘se dice que’. Mientras tanto, sus obras se difundían por toda Europa.

Maria Teresa Agnesi Pinottini
Silvia de Maria




Giulia Canetto

 

Protagonista degli ambienti culturali milanesi del XVIII secolo, Maria Teresa Agnesi è stata un’artista versatile che orienta la sua creatività musicale sia verso il teatro sia verso altri generi musicali, privilegiando le composizioni per clavicembalo di cui è abile virtuosa.

Nata a Milano il 17 ottobre 1720, il suo nome è rimasto a lungo dimenticato, nonostante le sue musiche abbiano accompagnato momenti importanti della vita sociale delle corti dell’epoca. Nel secondo Settecento, durante l’assolutismo illuminato dell’imperatrice d’Austria Maria Teresa, la città ferve culturalmente sotto l’impulso di personaggi quali Verri, Beccaria, Parini. In questo contesto Maria Teresa riceve, assieme alla sorella Gaetana (celebre matematica), un’educazione straordinariamente liberale, approfondita e aperta, senza quelle remore che di solito distinguevano la formazione delle fanciulle. Grazie infatti all’apertura mentale del padre, ella può assecondare la propria passione per la musica ed ha subito l’occasione di mettersi in mostra negli incontri culturali organizzati nel salotto di famiglia, ai quali partecipano ospiti sia italiani che stranieri. Divenuta celebre come clavicembalista e come autrice di brani cameristici, a ventisette anni vede consacrata anche la propria abilità di compositrice: nel 1747 la sua cantata Il ristoro d’Arcadia è dedicata al delegato imperiale Gian Luca Pallavicini e l’opera Sofonisba viene destinata all’imperatore Francesco I per l’onomastico della consorte Maria Teresa.

Nel 1752 vita personale e vita artistica si incrociano: morto il padre, Teresa sposa Pietro Antonio Pinottini e lavora a un melodramma, Nitocri, su libretto di Apostolo Zeno, mentre nel 1753 la messa in scena di Ciro in Armenia, per Federico Augusto di Sassonia re di Polonia, viene allestita al Teatro Regio Ducale di Milano. Il 1753 vede il riconoscimento ufficiale della musicista nel giudizio di Giammaria Mazzuchelli che scrive di lei: «Maria Teresa si distingue in modo particolare nella cognizione della musica, nella quale è la meraviglia de’ più rinomati Professori di tal arte ch’ella non abbia pari in Europa. Essa compone con tale idea, gusto, intelligenza, ed espressione di parole, con tale novità di stile, e con tali motivi, per parlare co’ nomi dell’arte, da sorprenderne chicchessia».

Nel 1755-56 Agnesi scrive le musiche per Il Re Pastore adattando il famoso libretto di Pietro Metastasio, utilizzato poi in seguito anche da Mozart. Il celebre musicologo inglese Charles Burney, in visita a Milano in quegli anni, la ricorda protagonista di una serata culturale: «Mi hanno fatto entrare in un salone grande e bello dove c’erano trenta persone di tutte le nazioni d’Europa disposte in circolo, e la signora Agnesi seduta da sola. Dopo la conversazione suonò al clavicembalo, quasi fosse lo stesso Rameau, brani di Rameau e altri composti da lei stessa, e cantò accompagnandosi da sé». Negli anni che seguono non solo cresce il numero delle composizioni musicali di Maria Teresa, ma aumenta anche la considerazione che gli intellettuali hanno nei suoi confronti. Basti citare, a esempio, le Cinque cantate per musica in versi “da rappresentarsi nel Regio Ducal Palazzo” a lei dedicate nel 1756 da Pietro Domenico Soresi, come lei componente dell’Accademia dei Trasformati della quale fa parte anche Giuseppe Parini. Sono ancora prova del suo successo L'Insubria consolata, “componimento drammatico” del 1766 destinato alle feste di fidanzamento di Maria Ricciarda Beatrice d’Este con Ferdinando d’Austria, e Ulisse in Campania, serenata composta due anni dopo per il matrimonio di Ferdinando IV di Borbone con Maria Carolina d’Asburgo a Napoli.

Sappiamo infine, dalle cronache delle persone presenti alla serata, che nel 1770 fa parte della ristrettissima cerchia che a Palazzo Firmian accoglie il quattordicenne Mozart nel suo passaggio in città. Dopo quella data le notizie sull’arte di Teresa vanno tuttavia scomparendo: rimasta vedova e caduta in ristrettezze economiche, muore a Milano nel 1795. Artista per vocazione, professionista per preparazione e formazione, oltre che per l’esito delle sue composizioni, Maria Teresa resta a lungo considerata una ‘dilettante’ per il ruolo sociale che l’epoca assegnava alle donne. Oltre alle citate opere teatrali e da camera, ha lasciato un cospicuo corpus di composizioni destinate alla tastiera, compresi alcuni concerti con accompagnamento di archi. La scrittura solistica per tastiera è di notevole livello virtuosistico e rivela evidenti influenze di Domenico Scarlatti e soprattutto di Jean-Philippe Rameau; nel genere del concerto per clavicembalo, all'epoca poco diffuso in Italia, Agnesi si dimostra vicina alla sensibilità di Baldassarre Galuppi o di Tommaso Giordani. Il suo stile nella musica vocale si distingue per l'intensità espressiva e drammatica, la definizione dei caratteri e degli affetti trova corrispondenza sia nei libretti che Teresa scriveva da sé sia nella musica elaborata attraverso il sapiente uso dell’armonia, tanto apprezzato dal teorico Giordano Riccati.


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Protagoniste des milieux culturels milanais du XVIIIe siècle, Maria Teresa Agnesi a été une artiste polyvalente qui oriente sa créativité musicale tant vers le théâtre que vers d’autres genres musicaux, privilégiant les compositions pour clavecin dont elle est une loyale.

Elle est née à Milan le 17 octobre 1720, son nom est longtemps resté oublié, malgré ses musiques qui ont accompagné des moments importants de la vie sociale des cours de l’époque. Au deuxième XVIIIe siècle, pendant l’absolutisme illuminé de l’impératrice d’Autriche Marie-Thérèse, la ville fervente culturellement sous l’impulsion de personnages tels que Verri, Beccaria, Parini. Dans ce contexte, Marie-Thérèse reçoit, avec sa sœur Gaetana (célèbre mathématicienne), une éducation extraordinairement libérale, approfondie et ouverte, sans les obstacles qui distinguaient habituellement la formation des jeunes filles. En effet, grâce à l’ouverture d’esprit de son père, elle peut seconder sa passion pour la musique et elle a immédiatement eu l’occasion de se montrer dans les rencontres culturelles organisées dans le salon familial, auxquelles participent des invités italiens et étrangers. Devenue célèbre en tant que claveciniste et auteure de pièces de chambre, à vingt-sept ans elle voit également consacrée son talent de compositrice : En 1747, sa chanson Il ristoro d’Arcadia est dédiée au délégué impérial Gian Luca Pallavicini et l’opéra Sofonisba est destiné à l’empereur François Ier pour la fête de sa femme Marie-Thérèse.

En 1752, la vie personnelle et la vie artistique se croisent : son père est mort, Teresa épouse Pietro Antonio Pinottini et travaille sur un mélodrame, Nitocri, sur un livret d’Apôtre Zénon, tandis qu’en 1753 la mise en scène de Cyrus en Arménie, pour Frédéric Auguste de Saxe, roi de Pologne, Elle est présentée au théâtre Regio Ducale de Milan. 1753 voit la reconnaissance officielle de la musicienne dans le jugement de Giammaria Mazzuchelli qui écrit sur elle : «Marie-Thérèse se distingue particulièrement dans la connaissance de la musique, dans laquelle elle est la merveille des professeurs les plus renommés de cet art qu’elle n’ait pas d’égal en Europe. Elle compose avec cette idée, goût, intelligence, et expression de mots, avec cette nouveauté de style, et avec ces motifs, pour parler avec les noms de l’art, à en surprendre qui que ce soit».

En 1755-56 Agnès écrit la musique pour Il Roi Pastore en adaptant le célèbre livret de Pietro Metastasio, utilisé ensuite par Mozart. Le célèbre musicologue anglais Charles Burney, en visite à Milan au cours de ces années, la rappelle comme le protagoniste d’une soirée culturelle : «Ils m’ont fait entrer dans un grand et beau salon où il y avait trente personnes de toutes les nations d’Europe disposées en cercle, et Mme Agnès assise seule. Après la conversation, elle joua au clavecin, comme si c’était Rameau lui-même, des morceaux de Rameau et d’autres composés par elle-même, et elle chanta en s’accompagnant elle-même». Dans les années qui suivent, non seulement le nombre des compositions musicales de Maria Teresa augmente, mais aussi la considération que les intellectuels ont pour elle. Il suffit de citer, à titre d’exemple, les Cinque cantate per musica in versi "à représenter dans le Palais Royal Ducal" qui lui ont été dédiées en 1756 par Pietro Domenico Soresi, comme membre de l’Académie des Transformés dont fait partie aussi Giuseppe Parini. L’Insubria consolata, "composition dramatique" de 1766 destinée aux fêtes de fiançailles de Maria Ricciarda Beatrice d’Este avec Ferdinand d’Autriche, et Ulysse en Campanie, Sérénade composée deux ans plus tard pour le mariage de Ferdinand IV de Bourbon avec Marie-Caroline de Habsbourg à Naples.

Nous savons enfin, d’après les chroniques des personnes présentes à la soirée, qu’en 1770, elle fait partie du cercle très restreint qui, au Palazzo Firmian, accueille Mozart, 14 ans, dans son passage en ville. Après cette date, les nouvelles sur l’art de Thérèse disparaissent cependant : devenue veuve et tombée dans des difficultés économiques, elle meurt à Milan en 1795. Artiste par vocation, professionnelle pour la préparation et la formation, ainsi que pour le résultat de ses compositions, Marie-Thérèse reste longtemps considérée comme une 'amatrice' pour le rôle social que l’époque assignait aux femmes. En plus de ces pièces de théâtre et de chambre, elle a laissé un important corpus de compositions destinées au clavier, y compris des concerts avec des arcs. L’écriture solistique pour clavier est d’un remarquable niveau virtuose et révèle des influences évidentes de Domenico Scarlatti et surtout de Jean-Philippe Rameau; dans le genre du concerto pour clavecin, peu répandu à l’époque en Italie, Agnès se montre proche de la sensibilité de Balthazar Galuppi ou de Thomas Giordani. Son style dans la musique vocale se distingue par son intensité expressive et dramatique, la définition des caractères et des affections trouve une correspondance aussi bien dans les livrets que Thérèse écrivait elle-même que dans la musique élaborée à travers l’usage savant de l’harmonie, tant apprécié par le théoricien Giordano Riccati.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

A leading figure in the 18th-century cultural circles in Milan, Maria Teresa Agnesi was a versatile artist who directed her musical creativity toward both theater and other musical genres, favoring compositions for harpsichord, of which she was a skilled virtuoso.

Born in Milan, Italy on October 17, 1720, her name was long forgotten, although her music accompanied important moments in the social life of the courts of the time. In the second half of the 18th century, during the enlightened absolutism of Empress Maria Theresa of Austria, the city fermented culturally under the impetus of such figures as Verri, Beccaria, and Parini. In this context Maria Theresa received, together with her sister Gaetana (a famous mathematician), an extraordinarily liberal, thorough and open education, without the qualms that usually distinguished the education of young girls. Indeed, thanks to her father's open-mindedness, she was able to indulge her passion for music and immediately had the opportunity to show off at cultural gatherings organized in the family salon, attended by both Italian and foreign guests. Having become famous as a harpsichordist and as a composer of chamber pieces, at the age of twenty-seven she also saw her skills as a composer consecrated - in 1747 her cantata Il ristoro d'Arcadia was dedicated to the imperial delegate Gian Luca Pallavicini, and the opera Sofonisba was destined for Emperor Francis I for the name-day of his consort Maria Theresa.

In 1752 personal life and artistic life intersected - after her father's death, Teresa married Pietro Antonio Pinottini and worked on a melodrama, Nitocri, to a libretto by Apostolo Zeno, while in 1753 the staging of Ciro in Armenia, for Federico Augusto of Saxony king of Poland, was presented at the Teatro Regio Ducale in Milan. The year 1753 saw official recognition of the musician in the judgment of Giammaria Mazzuchelli, who wrote of her, "Maria Teresa distinguishes herself in a special way in the cognition of music, in which she is the marvel of the most renowned Professors of that art that she has no equal in Europe. She composes with such creativity, taste, intelligence, and expression of words, with such novelty of style, and with such motifs, to speak with the names of art, as to surprise anyone."

In 1755-56 Agnesi wrote the music for Il Re Pastore (The Shepherd King), adapting the famous libretto by Pietro Metastasio, later used by Mozart as well. The famous English musicologist Charles Burney, visiting Milan in those years, remembered her as the protagonist of a cultural evening. "I was shown into a large and beautiful salon where there were thirty people from all the nations of Europe arranged in a circle, and Mrs. Agnesi sitting alone. After the conversation she played on the harpsichord, as if it were Rameau himself, pieces by Rameau and others composed by herself, and sang accompanying herself." In the years that followed, not only did the number of Maria Theresa's musical compositions grow, but so did the intellectuals' regard for her. Suffice it to mention, for example, the Cinque cantate per musica in verse "to be presented in the royal Ducal palace" dedicated to her in 1756 by Pietro Domenico Soresi, like her a member of the Accademia dei Trasformati of which Giuseppe Parini was also a member. Still evidence of her success are L'Insubria consolata, a 1766 "dramatic composition" intended for the betrothal parties of Maria Ricciarda Beatrice d'Este to Ferdinand of Austria, and Ulisse in Campania, a serenade composed two years later for the wedding of Ferdinand IV of Bourbon to Maria Carolina of Habsburg in Naples.

Finally, we know from the chronicles of people present at the soiree that in 1770 she was part of the very small circle at Palazzo Firmian that welcomed the 14-year-old Mozart as he passed through town. After that date, however, news about Teresa's art disappears. Widowed and falling into financial straits, she died in Milan in 1795. An artist by vocation, professional by preparation and training, as well as by the success of her compositions, Maria Theresa long remained considered an 'amateur' because of the social role that the era assigned to women. In addition to the aforementioned theatrical and chamber works, she left a substantial body of compositions intended for the keyboard, including some concertos with string accompaniment. Her solo keyboard writing is of a remarkable virtuosic level and reveals clear influences of Domenico Scarlatti and especially Jean-Philippe Rameau. In the genre of the harpsichord concerto, which was not very popular in Italy at the time, Agnesi showed herself close to the sensibility of Baldassarre Galuppi or Tommaso Giordani. Her style in vocal music is distinguished by expressive and dramatic intensity, the definition of characters and affects finding correspondence both in the librettos that Teresa wrote herself and in the music elaborated through the skillful use of harmony, so appreciated by theorist Giordano Riccati.


Traduzione spagnola

Flavia Palumbo

Protagonista de los círculos culturales milaneses del siglo XVIII, María Teresa Agnesi fue una artista versátil que dirigió su creatividad musical tanto al teatro como a otros géneros musicales, dando preferencia a las composiciones para clavicémbalo, del que fue una hábil virtuosa.

Nació en Milán el 17 de octubre de 1720 y su nombre cayó en el olvido durante mucho tiempo, aunque su música acompañó momentos importantes de la vida social de las cortes de su época. En la segunda mitad del Setecientos, durante el absolutismo ilustrado de la emperatriz de Austria, María Teresa, la ciudad de Milán bullía culturalmente bajo el impulso de personajes como Verri, Beccaria y Parini. En ese contexto, María Teresa recibió, junto a su hermana Gaetana (una célebre matemática), una educación extraordinariamente liberal, profunda y abierta, sin las reticencias que solían caracterizar la formación de las jóvenes. En efecto, gracias a la mentalidad abierta de su padre, pudo seguir su pasión por la música y, en seguida, tuvo la oportunidad de destacar en los encuentros culturales organizados en el salón de la familia, a los que asistían tanto invitados italianos como extranjeros. De este modo, se hizo famosa como clavecinista y autora de obras camerísticas. A los veintisiete años, también se consagró su habilidad como compositora: en 1747, dedicó su cantata Il ristoro d'Arcadia al delegado imperial Gian Luca Pallavicini, y destinó su ópera Sofonisba al emperador Francisco I para el onomástico de su consorte María Teresa.

En 1752, la vida personal y artística de Teresa se entrelazaron: tras la muerte de su padre, se casó con Pietro Antonio Pinottini y trabajó en un melodrama, Nitocri, con libreto de Apostolo Zeno, y en 1753 se realizó la puesta en escena de su obra Ciro in Armenia, para Federico Augusto de Sajonia, rey de Polonia, en el Teatro Regio Ducale de Milán. En 1753, es oficialmente reconocida como música por Giammaria Mazzuchelli, quien escribe: «María Teresa destaca particularmente en el conocimiento de la música, en la que es la maravilla de los más renombrados Profesores de esta arte que no tiene igual en Europa. Compone con una idea, gusto, inteligencia y expresión de palabras tan novedosos en estilo y motivos, para hablar en términos del Arte, que sorprende a cualquiera».

En 1755-56, Agnesi escribe la música para Il Re Pastore, adaptando el famoso libreto de Pietro Metastasio, más tarde utilizado por Mozart. El destacado musicólogo inglés Charles Burney, de visita en Milán en aquellos años, la recuerda como protagonista de una velada cultural: «Me hicieron entrar en un salón grande y hermoso donde había treinta personas de todas las naciones de Europa dispuestas en círculo, y la señora Agnesi sentada sola. Después de la conversación, tocó el clavecín, casi como si fuera el propio Rameau, interpretando piezas de Rameau y otras compuestas por ella misma, y cantó acompañándose a sí misma». En los años siguientes, no solo aumentó el número de composiciones musicales de María Teresa, sino también la consideración que los intelectuales tenían hacia ella. Baste citar, por ejemplo, las Cinque cantate per musica in versi "para ser representadas en el Palacio Ducal Real" a ella dedicadas en 1756 por Pietro Domenico Soresi, quien, como ella, era miembro de la Academia de los Transformados, de la cual también formaba parte Giuseppe Parini. Otras pruebas de su éxito son L'Insubria consolata, un "componimento drammatico" de 1766 destinado a las celebraciones del compromiso entre María Beatriz de Este y Fernando de Austria, y Ulisse in Campania, una serenata compuesta dos años después para la boda de Fernando IV de Borbón con María Carolina de Austria en Nápoles.

Finalmente, sabemos, por las crónicas de las personas presentes en aquella velada, que en 1770 formó parte del selecto círculo que, en el Palacio Firmian, recibió al adolescente Mozart en su paso por la ciudad. Después de esa fecha, las noticias sobre el arte de Teresa comienzan a desvanecerse: viuda y enfrentando dificultades económicas, murió en Milán en 1795. A pesar de ser una artista por vocación, una profesional en cuanto a preparación y formación, y a pesar del éxito de sus composiciones, durante mucho tiempo María Teresa fue considerada una "aficionada" debido al papel social que en aquella época se asignaba a las mujeres. Además de las obras teatrales y de cámara mencionadas, dejó un considerable corpus de composiciones para teclado, incluyendo algunos conciertos con acompañamiento de cuerdas. La escritura solista para teclado muestra un notable nivel virtuosístico y revela evidentes influencias de Domenico Scarlatti y, sobre todo, de Jean-Philippe Rameau. En el género del concierto para clavecín, poco difundido en Italia en aquella época, Agnesi demuestra afinidad con la sensibilidad de Baldassarre Galuppi o de Tommaso Giordani. Su estilo en la música vocal se distingue por la intensidad expresiva y dramática; la definición de los caracteres y afectos encuentra correspondencia tanto en los libretos que Teresa escribía como en la música elaborada a través del hábil uso de la armonía, algo muy apreciado por el teórico Giordano Riccati.

 

Maria Rosa Coccia
Rossana Laterza




Giulia Canetto

 

«…non seguendo il metro del commun impiego al mio sesso, procurai distinguermi coll’acquisto di qualche scienza, che potesse supplire a ciò che non sortii dalla fortuna. Fu questa la musica…»

così scrisse Maria Rosa Coccia nella Lettera a Maria I Regina di Portogallo, Roma 28 maggio 1778

L’ampia e circostanziata monografia di Candida Felici raccoglie e analizza tutte le stampe e i manoscritti di Coccia conosciuti fino al 2004 mettendone in luce l’originalità e la modernità: «… la scrittura della Coccia si rivela degna d’interesse e nient’affatto marginale nel panorama dell’ultimo trentennio del Settecento, facendo sue le istanze più moderne, pur da una posizione d’isolamento quale poteva essere quella di una donna compositrice che, per quanto ne sappiamo, non si mosse mai da Roma nel corso della sua pur lunga vita». (Maria Rosa Coccia, Maestra Compositora Romana, Roma, Colombo 2004, p. 70). Se le composizioni sacre presentano «…un linguaggio fortemente influenzato dalla musica profana e spiccatamente moderno», le Cantate profane Arsinoe e Il Trionfo d’Enea «…per la condotta dell’azione e le dimensioni [sono] da considerarsi delle vere e proprie opere…» (idem p. 68). Nei secoli XVII e XVIII molte ragazze nobili e ricche erano indotte a farsi monache per evitare il pagamento di esose doti matrimoniali e non mancarono casi di monacazione forzata. Ma poteva anche accadere che giovani dotate di talento musicale preferissero il chiostro al matrimonio per poter cantare, suonare e soprattutto comporre musica più liberamente.

A Venezia esperte suore musiciste, eludendo anche il vincolo della musica sacra, insegnavano l’esecuzione strumentale, la composizione e il canto alle giovani povere. Nelle corti europee era costume diffuso che nobili e regnanti eccellessero come compositrici ed esecutrici. Uno stile di vita a cui si andava uniformando la borghesia ricca e illuminata anche in Italia, dove ci si avvaleva delle competenze delle monache o si ricorreva a un Maestro di Cappella. Ma per quanto fosse accettabile e auspicabile che le donne praticassero musica per diletto – potenziando le proprie attrattive come future mogli e padrone di casa – o, come è il caso delle suore, per dovere, non era approvato che ne facessero una professione. Meno che mai a Roma dove dal 1716 il papa aveva stabilito che solo la Congregazione di Santa Cecilia, previo il superamento di un severo esame, poteva conferire la patente di Maestro di Cappella, titolo che dava diritto a dirigere e coordinare il complesso delle attività musicali presso chiese, dimore nobiliari e teatri, assicurando ai maestri contratti e redditi cospicui. Fu in questo ambiente maschile e competitivo che tentò di farsi strada Maria Rosa Coccia. Figlia di Antonio, di professione speziale, e di Maria Angela Luzi, era nata a Roma il 4 giugno 1759.

Bambina prodigio dotata di eccezionale talento musicale all’inizio venne probabilmente istruita da una suora. A otto anni già eseguiva «difficili composizioni e trasportandole in tutte le tonalità, tanto da essere invitata a suonare il clavicembalo in casa del barone Carlo Odoardo du Classe che l’accompagna al violoncello» (idem p.40). A dodici anni compose sei Sonate per clavicembalo dedicate a Carlo III Stuart e L’isola disabitata, opera andata perduta di cui rimane solo il libretto di Pietro Metastasio. L’anno dopo compose l’oratorio Daniello (andato perduto) sempre su testo di Metastasio, dedicato alla duchessa Marianna Caetani Sforza Cesarini, eseguito presso la Chiesa Nuova. Fu un evento eccezionale in quanto, per la fama della compositrice tredicenne, fu permesso l’accesso anche alle donne a cui di norma era vietato assistere agli oratori. Il periodico romano Diario Ordinario riferì: «…numeroso intervento di nobiltà ne’coretti e di persone civili ne’banchi… stato il tutto applaudito da numeroso uditorio». ( idem p. 44).

Sotto la guida di Sante Pesci, Maestro di Cappella della basilica Liberiana (Santa Maria Maggiore), studiò per l’ammissione alla Congregazione di Santa Cecilia. La fama di cui godeva e l’intercessione del Maestro avranno avuto un peso nel consentirle, anche se donna, l’accesso all’esame, ma bisogna aggiungere che nella seconda metà del Settecento pure alle istituzioni più conservatrici ed impermeabili arrivava l’eco di un certo cambiamento delle idee. Nel 1773 c’era stata l’ammissione della prima donna alla prestigiosa Accademia Filarmonica di Bologna. Era Marianna De Martinez, figlia del Nunzio papale a Vienna, cantante e clavicembalista di grande valore legata a Metastasio, che si era molto prodigato nel sostenerne la carriera. L’anno seguente, il 28 novembre 1774, a quindici anni, Coccia superò brillantemente l’esame che consisteva nella composizione di una fuga estemporanea a quattro voci sull’antifona Hic vir despiciens mundum, alla presenza di quattro professori, fra cui Pesci stesso. L’Esperimento estemporaneo svolto in un’ora e mezza fu giudicato ottimo:

«…esaminata ed approvata la signora Maria Rosa Coccia, in qualità di Maestra di Cappella, concediamo libera ed ampia facoltà alla medesima di poter esercitare l’impiego pubblico di Maestra di Cappella in questa città di Roma con tutti gl’onori preminenze dritti e ragioni…confermati con Autorità apostolica». (idem pp.45-46).

L’anno successivo l’Esperimento venne pubblicato e Coccia entrò a far parte anche dell’Accademia dei Forti assumendo il nome pastorale di Trevia. Nel 1779 a venti anni fu ammessa, con voto unanime, all’Accademia Filarmonica di Bologna. Nel 1780 Michele Mallio, che presiedeva l’Accademia dei Forti, pubblicò un Elogio storico della signora Maria Rosa Coccia a cui allegò poesie in lode e lettere di altri estimatori. Tuttavia, pur ricevendo entusiastici riconoscimenti da parte di illustri contemporanei tra cui il poeta cesareo Metastasio, il sopranista Carlo Broschi (Farinelli), l’erudito teorico della musica padre Martini, il principe dell’Accademia Filarmonica di Bologna Petronio Lanzi, il Maestro di Cappella Pasquale Antonio Basili ecc, il titolo conseguito non bastò a garantirle un impiego al servizio della Chiesa o un patrocinio stabile che le permettesse di vivere con i proventi della sua attività di compositrice. Non v’è dubbio che tanto successo potesse generare anche invidie e risentimenti. Nel 1781 Francesco Capalti, Maestro di Cappella di Narni, pubblicò la Critica all’esame fatto dalla signora Maria Rosa Coccia in cui rilevava errori nella tecnica del contrappunto e accusava di incompetenza Pesci e gli altri esaminatori di Santa Cecilia, da cui aveva peraltro subìto due bocciature consecutive nel 1756. Ne scaturì un’aspra controversia che la musicologa Maria Caruso riconduce al risentimento di Capalti verso l’Accademia di Santa Cecilia e allo scontro fra due concezioni diverse della tecnica del contrappunto: una più moderna ed evoluta e l’altra pedissequamente ancorata a regole dogmatiche.

È evidente che Coccia si trovò, suo malgrado, a essere usata come pretesto per lo scontro. Questa ‘sovraesposizione’ non giovò alla giovanissima compositrice che, pur avendo conquistato ufficialmente una posizione di prestigio, in quanto donna dovette sopportare controlli e critiche a cui nessun uomo, nella stessa condizione, sarebbe stato sottoposto. Diverso il caso di altre compositrici ed esecutrici professioniste. Di solito erano figlie d’arte che, viaggiando con le famiglie presso le corti europee, potevano conoscere mecenati, farsi apprezzare e intraprendere carriere di successo, oppure erano donne di talento di famiglie nobili, ricche e di vedute molto larghe, che, già introdotte in ambienti esclusivi, avevano modo di comporre ed esibirsi senza essere vincolate alla professione per sopravvivere. Rimane il fatto che, comunque, nell’opinione corrente non era ben visto che una donna mettesse in mostra i propri talenti. Per Coccia il titolo di Maestra di Cappella rimase un mero riconoscimento formale, né ebbe appoggi che l’aiutassero a uscire dal chiuso ambiente romano. Lo stesso Metastasio, che pure fu uno dei suoi più grandi estimatori, addusse scuse poco credibili onde evitare di far conoscere alla corte di Vienna o a una eventuale committenza i «tre eccellenti di Lei musicali componimenti» (idem p. 140) pervenutigli. Forse per tema che potessero oscurare la fama della sua protetta De Martinez. Dalla Congregazione Coccia ebbe solo l’incarico di comporre un Vespro per la festa di Santa Cecilia «…cantato con molto applauso nella Chiesa di San Carlo ai Catinari.» (1776).

La Chiesa non le commissionò lavori e lei si diede all’insegnamento, occupazione più onorata e socialmente accettabile per una donna. Ma risulta che almeno fino al 1783 continuò pervicacemente a comporre musica sacra e profana destinandola per lo più a nobildonne illustri e regine nell’intento strategico di ottenerne appoggio e protezione per continuare la carriera. Fra le dedicatarie troviamo Maria Amalia Augusta Elettrice di Sassonia, Maria I Regina del Portogallo, Maria Carolina di Napoli. Ancora a donne sono dedicate altre sue composizioni scoperte di recente: i Vingt Menuets pour le clavecin à l’usage de son excellence M: Henriette Milano (1783) per la Principessa Enrichetta Caracciolo Milano, ritrovati nel 2008 nell’ Archivio del Monastero di S. Gregorio Armeno a Napoli, e Ifigenia, cantata a 5 voci e orchestra (1779) indirizzata a Maria Luisa di Parma Principessa delle Asturie, rinvenuta nel 2019 nella Real Biblioteca di Madrid. Composizioni rispettivamente analizzate dalle musicologhe Maria Caruso e Judith Ortega Rodriguez. (Maria Caruso, A gift of twenty minuets exploring a recently discovered manuscript by Maria Rosa Coccia del 2016; Judith Ortega Rodriguez, Al rescate de Ifigenia, Cantata de la compositora italiana Maria Rosa Coccia del 2021)Se ne deduce che esisteva una rete di donne che promuoveva il lavoro di altre donne di cui Coccia cercò di avvalersi stringendo anche rapporti epistolari personali come con Enrichetta, lungamente vissuta in Francia a cui si rivolgeva in francese, inviandole minuetti francesi e musica adatta all’esecuzione di gruppi amatoriali domestici molto in voga nei salotti nobiliari del tempo. Le composizioni le procurarono gratitudine, riconoscimenti e doni in denaro che però non furono sufficienti a garantirle una tranquillità economica. Dal 1783 non si hanno più notizie della sua vita fino al 1832 quando rivolse alla Congregazione di Santa Cecilia la richiesta di un «caritatevole sussidio» (idem p.154). Ormai anziana e malata non poteva più insegnare né comporre e, avendo mantenuto i genitori e la sorella fino alla loro morte, si ritrovava priva di mezzi per sopravvivere. L’Accademia le accordò solo pochi scudi. «Comunque Lei non peserà a lungo sulle finanze della Congregazione, poiché morì a Roma, sola e dimenticata come volevano i suoi detrattori, il 20 novembre 1833. Tutti i maestri Congregati avevano diritto a un funerale pubblico… Maria Rosa Coccia fu congedata da questo mondo con quattro messe celebrate in suffragio della sua anima, nella Cappella della Congregazione, a San Carlo ai Catinari». (Breve biografia di M.R. Coccia a cura del sito web dell’Accademia Maria Rosa Coccia). Il lavoro di ricerca di altre studiose e musiciste come lei l’ha sottratta all’oblio, tuttavia resta ancora al buio un lungo periodo di circa cinquant’anni in cui si perdono le tracce della sua vita e delle sue opere.

Per approfondire:


Traduzione francese

Guenoah Mroue

« ... En ne suivant pas le critère du commun emploi à mon sexe, je me distinguai par l’achat de quelques sciences, qui pourraient suppléer à ce qui ne sort pas de la chance. Ce fut la musique...»

a écrit Maria Rosa Coccia dans la Lettre à Marie Ier Reine du Portugal, Rome 28 mai 1778

La monographie ample et circonstanciée de Candida Felici rassemble et analyse toutes les estampes et manuscrits de Coccia connus jusqu’en 2004 en mettant en lumière leur originalité et leur modernité : «... l’écriture de la Coccia se révèle digne d’intérêt et pas du tout marginale dans le panorama des trente dernières années du XVIIIe siècle, en faisant siennes les instances les plus modernes, tout en étant dans une position d’isolement telle que celle d’une femme compositrice qui, pour autant que nous savons, n’a jamais quitté Rome au cours de sa longue vie». (Maria Rosa Coccia, Maestra Compositora Romana, Rome, Colombo 2004, p. 70). Si les compositions sacrées présentent «...un langage fortement influencé par la musique profane et nettement moderne», les Cantates profanes Arsinoé et Il Trionfo d’Enea «...pour la conduite de l’action et les dimensions [sont] à considérer comme de véritables œuvres...» (idem. 68). Aux XVIIe et XVIIIe siècles, de nombreuses filles nobles et riches étaient amenées à se faire nonnes pour éviter le paiement de dons matrimoniaux exorbitants et des cas de monacation forcée ne manquèrent pas. Mais il pouvait aussi arriver que des jeunes doués en musique préfèrent le cloître au mariage pour pouvoir chanter, jouer et surtout composer de la musique plus librement.

A Venise, des sœurs musiciennes expérimentées, éludant également le lien de la musique sacrée, enseignaient l’exécution instrumentale, la composition et le chant aux jeunes pauvres. Dans les cours européennes, la coutume était répandue que les nobles et les souverains excellaient en tant que compositeurs et exécutants. Un style de vie auquel on uniformisait la bourgeoisie et éclairée également en Italie, où l’on faisait appel aux compétences des moniales ou à un Maître de Chapelle. Mais autant il était acceptable et souhaitable que les femmes pratiquent la musique par plaisir - en renforçant leurs attraits comme futures épouses et maître de maison - ou, comme c’est le cas des sœurs, par devoir, il n’était pas approuvé qu’elles en fassent une profession. Moins que jamais à Rome où, depuis 1716, le pape avait établi que seule la Congrégation de Sainte-Cécile, après avoir passé un examen rigoureux, pouvait conférer la licence de Maître de Chapelle, titre qui donnait le droit de diriger et de coordonner l’ensemble des activités musicales dans les églises, les demeures et les théâtres, assurant aux maîtres des contrats et des revenus substantiels. C’est dans ce milieu masculin et compétitif que Maria Rosa Coccia tente de se frayer un chemin. Fille d’Antonio, de profession épicée, et de Maria Angela Luzi, elle est née à Rome le 4 juin 1759.

Enfant prodige dotée d’un talent musical exceptionnel au début, elle fut probablement instruite par une sœur. À huit ans, elle exécutait déjà «des compositions difficiles et les transportait dans toutes les tonalités, au point d’être invitée à jouer du clavecin chez le baron Carlo Odoardo du Classe qui l’accompagne au violoncelle» (idem p.40). À douze ans, elle compose six Sonate per clavicembalo dédiées à Charles III Stuart et L’isola disabitata, opéra perdu dont il ne reste que le livret de Pietro Metastasio. L’année suivante, elle compose l’oratoire Daniello (perdu) toujours sur un texte de Metastasio, dédié à la duchesse Marianna Caetani Sforza Cesarini, exécuté à la Chiesa Nuova. Ce fut un événement exceptionnel car, en raison de la renommée de la compositrice de treize ans, l’accès fut également accordé aux femmes auxquelles il était normalement interdit d’assister. Le périodique romain Diario Ordinario rapporte : «...nombreuses interventions de la noblesse dans les chœurs et de personnes civiles sur les bancs... été applaudi par un large public». ( idem p. 44)

Sous la direction de Sante Pesci, maître de chapelle de la basilique Liberiana (Santa Maria Maggiore), elle étudia pour l’admission à la Congrégation de Sainte-Cécile. La renommée dont elle jouissait et l’intercession du Maitre auront pesé sur elle pour lui permettre, même si elle est une femme, l’accès à l’examen, Mais il faut ajouter que, dans la seconde moitié du XVIII siècle, les institutions les plus conservatrices et imperméables ont également reçu l’écho d’un certain changement d’idées. En 1773, il y avait eu l’admission de la première femme à la prestigieuse Académie Philharmonique de Bologne. C’était Marianna De Martinez, fille du Nonce pontifical à Vienne, chanteuse et claveciniste de grande valeur liée à Metastasio, qui avait beaucoup contribué à soutenir sa carrière. L’année suivante, le 28 novembre 1774, à quinze ans, Coccia réussit brillamment l’examen qui consistait en la composition d’une fugue impromptue à quatre voix sur l’antienne Hic vir despiciens mundum, en la présence de quatre professeurs, dont Pesci lui-même. L’expérience impromptue en une heure et demie a été jugée excellente:

« ... examiné et approuvé Mme Maria Rosa Coccia, en tant que Maîtresse de Chapelle, nous accordons libre et ample faculté à celle-ci de pouvoir exercer l’emploi public de Maîtresse de Chapelle dans cette ville de Rome avec tous les honneurs prééminences et raisons... confirmés par l’Autorité apostolique». (idem pp.45-46).

L’année suivante, l’Expérimentation est publiée et Coccia devient membre de l’Académie des Forts en prenant le nom pastoral de Trevia. En 1779, à vingt ans, elle est admise, avec vote unanime, à l’Académie Philharmonique de Bologne. En 1780, Michele Mallio, qui présidait l’Académie des Forts, publia un Éloge historique de Mme Maria Rosa Coccia auquel elle joignit des poèmes en louanges et des lettres d’autres admirateurs. Cependant, tout en recevant des éloges enthousiastes de la part d’illustres contemporains dont le poète césarien Métastase, le sopraniste Carlo Broschi (Farinelli), l’érudit théoricien de la musique père Martini, le prince de l’Académie philharmonique de Bologne Petronio Lanzi, le Maître de Chapelle Pascal Antonio Basili etc, le titre obtenu ne suffisait pas à lui garantir un emploi au service de l’Église ou un patronage stable qui lui permettrait de vivre avec les bénéfices de son activité de compositeur. Sans aucun doute, un tel succès ne pouvait que générer de l’envie et du ressentiment. En 1781, Francesco Capalti, maître de chapelle de Narni, publia la Critique à l’examen de Mme Maria Rosa Coccia où il relevait des erreurs dans la technique du contrepoint et accusait d’incompétence Pesci et les autres examinateurs de Sainte Cécile, dont elle avait d’ailleurs subi deux rejets consécutifs en 1756. Il en résulta une vive controverse que la musicologue Maria Caruso attribua au ressentiment de Capalti envers l’Académie de Santa Cecilia et à l’affrontement entre deux conceptions différentes de la technique du contrepoint : l’une plus moderne et plus évoluée et l’autre solidement ancrée dans des règles dogmatiques.

Il est évident que Coccia se trouva, malgré elle, utilisée comme prétexte à l’affrontement. Cette surexposition ne profita pas à la très jeune compositrice qui, bien qu’ayant acquis officiellement une position de prestige, en tant que femme, dut supporter des contrôles et des critiques auxquels aucun homme, dans la même condition, ne serait soumis. Le cas d’autres compositrices et exécutantes professionnelles est différent. Elles étaient généralement des filles d’art qui, en voyageant avec leurs familles auprès des cours européennes, pouvaient connaître des mécènes, se faire apprécier et entreprendre des carrières réussies, ou étaient des femmes talentueuses de familles nobles, riches et très ouvertes d’esprit, qui, déjà introduites dans des milieux exclusifs, avaient la possibilité de composer et de se produire sans être liées à la profession pour survivre. Il n’en reste pas moins que, dans l’opinion courante, il n’était pas bien vu qu’une femme présentait ses talents. Pour Coccia, le titre de Maîtresse de Chapelle ne resta qu’une simple reconnaissance formelle, et n’eut pas d’appuis pour l’aider à sortir du milieu romain fermé. Métastase lui-même, qui fut pourtant l’un de ses plus grands admirateurs, lui donna des excuses peu crédibles pour éviter de faire connaître à la cour de Vienne ou à un éventuel commanditaire les «trois excellentes mélodies composantes» (idem p. 140) qui lui sont parvenues. Peut-être par crainte qu’ils puissent ternir la réputation de sa protégée De Martinez. De la Congrégation Coccia, elle n’eut que la charge de composer un Vêpres pour la fête de Sainte Cécile « ...chanté avec beaucoup d’applaudissements dans l’église Saint-Charles aux Catinari» (1776).

L’Église ne lui a pas confié de travaux et elle s’est donnée à l’enseignement, une occupation plus honorable et socialement acceptable pour une femme. Mais il s’avère qu’au moins jusqu’en 1783, elle a continué à composer de la musique sacrée et profane, principalement destinée à des femmes nobles illustres et reines dans le but stratégique d’obtenir un soutien et une protection pour poursuivre leur carrière. Parmi les dédicatrices, on trouve Maria Amalia Augusta Elettrice di Sassonia, Maria I Regina del Portugal, Maria Carolina di Napoli. Ses compositions découvertes récemment sont dédiées encore à des femmes: les Vingt Menuets pour le clavecin à l’usage de son excellence M : Henriette Milano (1783) pour la Princesse Enrichetta Caracciolo Milano, retrouvés en 2008 dans les Archives du Monastère de S. Gregorio Armeno à Naples, et Iphigénie, cantate à 5 voix et orchestre (1779) adressée à Marie-Louise de Parme Princesse des Asturies, retrouvée en 2019 dans la Real Bibliothèque de Madrid. Compositions respectivement réalisées par les musicologues Maria Caruso et Judith Ortega Rodriguez. (Maria Caruso, A gift of twenty minuets exploring a recently discovered Manuscript by Maria Rosa Coccia de 2016; Judith Ortega Rodriguez, Al rescate de Ifigenia, Cantata de la compositeur italienne Maria Rosa Coccia de 2021) On en déduit qu’il existait un réseau de femmes qui promouvaient le travail d’autres femmes dont Coccia chercha à se prévaloir en nouant également des relations épistolaires personnelles comme avec Henriette, longtemps vécue en France à laquelle elle s’adressait en français, en lui envoyant des menuets français et de la musique adaptée à l’exécution de groupes amateurs domestiques très en vogue dans les salons nobiliaires de l’époque. Les compositions lui ont procuré de la gratitude, de la reconnaissance et des dons de titre financiers, mais ils n’ont pas suffi à lui assurer une tranquillité économique. De 1783, il n’y a plus de nouvelles de sa vie jusqu’en 1832 quand elle adressa à la Congrégation de Sainte-Cécile la demande d’un « secours charitable » (idem p.154). Désormais âgée et malade, elle ne pouvait plus enseigner ni composer et, ayant entretenu ses parents et sa sœur jusqu’à leur mort, elle se retrouvait privée de moyens pour survivre. L’Académie ne lui accorda que quelques assurances. « De toute façon, elle ne pèsera pas longtemps sur les finances de la Congrégation, car elle mourut à Rome, seule et oubliée comme le voulaient ses détracteurs, le 20 novembre 1833. Tous les maîtres de la Congrégation avaient droit à des funérailles publiques... Maria Rosa Coccia fut congédiée de ce monde par quatre messes célébrées en suffrage de son âme, dans la Chapelle de la Congrégation, à San Carlo ai Catinari». (Brève biographie de M.R. Coccia par le site web de l’Académie Maria Rosa Coccia). Le travail de recherche d’autres savantes et musiciennes comme elle l’a soustraite à l’oubli, mais il reste encore dans l’obscurité une longue période d’environ cinquante ans où se perdent les traces de sa vie et de ses œuvres.

Pour plus d’informations:


Traduzione inglese

Syd Stapleton

"...not following the rules of employment common for my sex, I chose to distinguish myself by the acquisition of some science, which could make up for what I did not possess by fortune. This was music..."

so wrote Maria Rosa Coccia in her Letter to Mary I Queen of Portugal, Rome May 28, 1778

Candida Felici's extensive and circumstantial monograph collects and analyzes all of Coccia's printed work and manuscripts known up to 2004, highlighting her originality and modernity: "... Coccia's writing proves to be worthy of interest and not at all marginal in the panorama of the last thirty years of the eighteenth century, making hers the most modern instances, albeit from a position of isolation as could have been that of a woman composer who, as far as we know, never moved from Rome in the course of her long life." (Maria Rosa Coccia, Maestra Compositora Romana, Rome, Colombo 2004, p. 70). If the sacred compositions present "...a language strongly influenced by secular music and distinctly modern," the secular Cantatas Arsinoe and Il Trionfo d'Enea "...for the conduct of the action and the dimensions [are] to be considered real operas..." (idem p. 68). In the 17th and 18th centuries, many noble and wealthy young women were induced to become nuns in order to avoid the payment of exorbitant marriage dowries, and there was no shortage of cases of forced nunhood.But it could also have been that some musically talented young women preferred the cloister to marriage in order to be able to sing, play and especially compose music more freely.

In Venice expert musician nuns, evading even the constraint of sacred music, taught instrumental performance, composition and singing to poor young women. In European courts it was a common custom for nobles and royalty to excel as composers and performers. It was a way of life to which the wealthy and enlightened bourgeoisie was conforming in Italy as well, where they made use of the skills of nuns or employed a Maestro di Cappella (chapel master). But as much as it was acceptable and desirable for women to practice music for pleasure - enhancing their attractiveness as future wives and house mistresses - or, as is the case with nuns, for duty, it was not approved for them to make it a profession. Least of all in Rome, where since 1716 the pope had established that only the Congregation of St. Cecilia, after passing a strict examination, could confer the license of Maestro di Cappella, a title that gave the right to direct and coordinate the complex of musical activities at churches, noble residences and theaters, assuring the masters substantial contracts and income. It was in this masculine and competitive environment that Maria Rosa Coccia attempted to make her way. The daughter of Antonio, an apothecary by profession, and Maria Angela Luzi, she was born in Rome on June 4, 1759.

A child prodigy with exceptional musical talent, she was initially probably taught by a nun. At eight years old she was already performing "difficult compositions and carrying them in all tonalities, so much so that she was invited to play harpsichord in the house of Baron Carlo Odoardo du Classe who accompanied her on the cello" (idem p.40). At the age of twelve she composed six Sonatas for harpsichord dedicated to Charles III Stuart and L'isola disabitata, a lost opera of which only the libretto by Pietro Metastasio remains. The following year she composed the oratorio Daniello (now lost), also on a text by Metastasio, dedicated to Duchess Marianna Caetani Sforza Cesarini, performed at the Chiesa Nuova. It was an exceptional event in that, due to the fame of the 13-year-old composer, women who were normally forbidden to attend oratorios were also allowed to attend. The Roman periodical Diario Ordinario reported, "...numerous examples of nobility in the choruses and of civilized people in the pews...the whole was applauded by a numerous audience." (idem p. 44).

Under the guidance of Sante Pesci, Maestro di Cappella of the Liberian Basilica (Santa Maria Maggiore), she studied for admission to the Congregation of Saint Cecilia. The fame she enjoyed and the Maestro's intercession will have played a part in allowing her, even as a woman, access to the examination, but it must be added that in the second half of the eighteenth century even the most conservative and impermeable institutions were receiving suggestions of a certain change in ideas. In 1773 there had been the admission of the first woman to the prestigious Accademia Filarmonica in Bologna. She was Marianna De Martinez, daughter of the Papal Nuncio in Vienna, a singer and harpsichordist of great value linked to Metastasio, who had done much to support her career. The following year, on November 28, 1774, at the age of fifteen, Coccia brilliantly passed the exam that consisted of composing an extemporaneous fugue for four voices on the antiphon Hic vir despiciens mundum, in the presence of four professors, including Pesci himself. The “Extemporaneous Experiment” performed in an hour and a half was judged excellent:

"...having examined and approved Mrs. Maria Rosa Coccia, as Maestra di Cappella, we grant free and ample faculty to the same to be able to exercise the public employment of Maestra di Cappella in this city of Rome with all the honors, preeminences rights and duties...confirmed with Apostolic Authority." (idem pp.45-46).

The following year the “Experiment” was published and Coccia also joined the Accademia dei Forti taking on the pastoral name of Trevia. In 1779 at the age of twenty she was admitted, by unanimous vote, to the Accademia Filarmonica in Bologna. In 1780 Michele Mallio, who presided over the Accademia dei Forti, published a Historical Eulogy of Mrs. Maria Rosa Coccia to which he attached poems in praise and letters from other admirers. However, although she received enthusiastic accolades from distinguished contemporaries including the Caesarean poet Metastasio, the sopranist Carlo Broschi (Farinelli), the erudite music theorist Father Martini, the prince of the Philharmonic Academy of Bologna Petronio Lanzi, the Maestro di Cappella Pasquale Antonio Basili, etc., the title she earned was not enough to secure her employment in the service of the Church or a stable patronage that would allow her to live off the proceeds of her activity as a composer. There is no doubt that such success could also generate envy and resentment. In 1781 Francesco Capalti, Maestro di Cappella of Narni, published Critica all'esame fatto dalla signora Maria Rosa Coccia in which he noted errors in counterpoint technique and accused Pesci and the other examiners of Santa Cecilia of incompetence, from whom he had moreover suffered two consecutive failures in 1756. A bitter controversy ensued, which musicologist Maria Caruso traces back to Capalti's resentment toward the Accademia di Santa Cecilia and the clash between two different conceptions of counterpoint technique: one more modern and evolved and the other slavishly anchored in dogmatic rules.

It is clear that Coccia found herself, despite herself, being used as a pretext for the clash. This 'overexposure' did not benefit the very young composer who, although she officially gained a prestigious position, as a woman had to endure scrutiny and criticism to which no man in the same condition would have been subjected. The case of other professional female composers and performers was different. They were usually daughters of artists who, by traveling with their families to European courts, were able to meet patrons, gain appreciation and embark on successful careers, or they were talented women from noble, wealthy and very broad-minded families who, already introduced into exclusive circles, had a way to compose and perform without being bound to the profession in order to survive. The fact remains, however, that in current opinion it was frowned upon for a woman to showcase her talents. For Coccia, the title of Maestra di Cappella remained a mere formal recognition, nor did she have any support to help her get out of the closed Roman environment. Metastasio himself, who was also one of her greatest admirers, made scarcely credible excuses in order to avoid making known to the Viennese court or a possible patronage the "three excellent of Lei musicali componimenti" (idem p. 140) that had reached him. Perhaps for fear that they might overshadow the fame of his protégée De Martinez. From the Congregation Coccia had only the commission to compose a Vesper for the feast of Saint Cecilia "...sung with much applause in the Church of San Carlo ai Catinari." (1776).

The Church did not commission works from her and she took up teaching, a more “honorable” and socially acceptable occupation for a woman. But it turns out that at least until 1783 she stubbornly continued to compose sacred and secular music, mostly destined to be dedicated to distinguished noblewomen and queens in the strategic intent of gaining their support and protection to continue her career. Among the dedicatees we find Maria Amalia Augusta Elector of Saxony, Maria I Queen of Portugal, and Maria Carolina of Naples. Also dedicated to women are other recently discovered compositions of hers: the Vingt Menuets pour le clavecin à l'usage de son excellence M. Henriette Milano (1783) for Princess Enrichetta Caracciolo Milano, found in 2008 in the Archives of the Monastery of S. Gregorio Armeno in Naples, and Iphigenia, cantata for 5 voices and orchestra (1779) addressed to Maria Luisa di Parma Princess of Asturias, found in 2019 in the Real Biblioteca in Madrid. These compositions were respectively analyzed by musicologists Maria Caruso and Judith Ortega Rodriguez. (Maria Caruso, A gift of twenty minuets exploring a recently discovered manuscript by Maria Rosa Coccia from 2016; Judith Ortega Rodriguez, Al rescate de Ifigenia, Cantata de la compositora italiana Maria Rosa Coccia of 2021). It can be deduced that there was a network of women who promoted the work of other women whose connections Coccia tried to take advantage of by also forging personal correspondence relationships, such as with Enrichetta, who lived in France for a long time and to whom she wrote in French, sending her French minuets and music suitable for performance by domestic amateur groups very much in vogue in the aristocratic salons of the time. The compositions brought her gratitude, recognition and gifts of money, which, however, were not enough to guarantee her financial peace of mind. From 1783 there is no further news of her life until 1832 when she applied to the Congregation of St. Cecilia for a "charitable subsidy" (idem p.154). By now old and ill, she could no longer teach or compose, and having supported her parents and sister until their deaths, she found herself without the means to survive. The Academy granted her only a few scudi. "However, she would not weigh long on the finances of the Congregation, for she died in Rome, alone and forgotten as her detractors wanted, on November 20, 1833. All Congregational teachers were entitled to a public funeral...Maria Rosa Coccia was dismissed from this world with four masses celebrated in suffrage of her soul, in the Chapel of the Congregation, at San Carlo ai Catinari." (Short biography of M.R. Coccia edited by the Maria Rosa Coccia Academy website). The research work on other scholars and musicians like her has rescued her from oblivion, however, a long period of about fifty years exists in which traces of her life and works are still obscure.

For more:


Traduzione spagnola

Syd Stapleton

«…Sin seguir el metro del común uso para mi género, procuré destacar con la adquisición de algúna ciencia que pudiera suplir lo que no obtuve por fortuna. Esta fue la música...»

escribió María Rosa Coccia en la Lettera a Maria I Regina di Portogallo, Roma, 28 de mayo de 1778.

La amplia y detallada monografía de Cándida Felici recopila y analiza todas las impresiones y manuscritos conocidos de Coccia hasta el año 2004, destacando su originalidad y modernidad: «…La escritura de Coccia se revela digna de interés y en absoluto marginal en el panorama de las últimas tres décadas del siglo XVIII, adoptando las demandas más modernas, a pesar de su posición aislada como podría ser la de una mujer compositora que, según sabemos, nunca salió de Roma durante su larga vida» (Maria Rosa Coccia, Maestra Compositora Romana, Roma, Colombo 2004, p. 70). Si las composiciones sacras presentan «...un lenguaje fuertemente influenciado por la música profana y marcadamente moderno», las Cantatas profanas Il Trionfo d'Enea y Arsinoe «...por la dirección de la acción y por sus dimensiones deben ser consideradas auténticas óperas...» (ibíd. p. 68). En los siglos XVII y XVIII, muchas jóvenes ricas de la nobleza eran inducidas a hacerse monjas para evitar el pago de dotes matrimoniales exorbitantes, y no faltaron casos de reclusión monástica forzada. Sin embargo, también podía suceder que jóvenes dotadas de talento musical prefirieran el claustro al matrimonio para poder cantar, tocar e incluso componer música de manera más libre.

En Venecia, expertas monjas músicas, eludiendo incluso la restricción de la música sacra, enseñaban ejecución instrumental, composición y canto a jóvenes de escasos recursos. En las cortes europeas, era común que la nobleza y las gobernantes destacaran como compositoras e intérpetes. Un estilo de vida al que la burguesía rica e ilustrada también se iba acostumbrando en Italia, donde o se aprovechaban las habilidades de las monjas o se recurría a un Maestro di Cappella. No obstante, aunque fuera aceptable y deseable que las mujeres practicaran la música por deleite –mejorando así su atractivo como futuras esposas y amas de casa– o, como en el caso de las monjas, por deber, se consideraba reprochable que hicieran de la música una profesión. Más aún en Roma, donde desde 1716 el Papa había establecido que solo la Congregación de Santa Cecilia, tras aprobar un riguroso examen, podía otorgar la licencia de Maestro di Cappella, un título que confería el derecho de dirigir y coordinar todas las actividades musicales en iglesias, residencias nobiliarias y teatros, garantizando a dichos maestros tanto contratos como ingresos considerables. Fue en semejante entorno masculino y competitivo donde María Rosa Coccia intentó abrirse paso. Hija de Antonio, que era farmacéutico, y de María Angela Luzi, nació en Roma el 4 de junio de 1759.

Niña prodigio con un talento musical excepcional, probablemente al principio fue instruida por una monja. A los ocho años ya ejecutaba «difíciles composiciones y las transponía a todas las tonalidades, tanto que fue invitada a tocar el clavecín en casa del barón Carlo Odoardo du Classe, quien la acompañaba con el violonchelo» (ibíd. p. 40). A los doce años compuso seis Sonate per clavicembalo dedicadas a Carlos III Estuardo y L'isola disabitata, una ópera perdida de la cual solo se conserva el libreto de Pietro Metastasio. Al año siguiente, compuso el oratorio Daniello (también perdido), otra vez con el texto de Metastasio, dedicado a la duquesa Marianna Caetani Sforza Cesarini, interpretado en la Chiesa Nuova. Fue un evento excepcional ya que, debido a la fama de la compositora de trece años, también se permitió el acceso a las mujeres, a las que normalmente se les prohibía asistir a los oratorios. El periódico romano Diario Ordinario informó: «...numerosa participación de la nobleza en los coretti y de personas civiles en los bancos... todo fue aplaudido por un numeroso auditorio» (ibíd. p. 44).

Bajo la dirección de Sante Pesci, Maestro di Cappella de la basílica Liberiana (Santa Maria Maggiore), estudió con el objeto de ser admitida en la Congregación de Santa Cecilia. La fama que tenía y la intercesión del Maestro probablemente tuvieron un peso al permitirle acceder al examen a pesar de ser mujer. Sin embargo, es importante añadir que, en la segunda mitad del siglo XVIII, incluso las instituciones más conservadoras e impermeables comenzaban a abrirse a ciertos cambios de ideas. En 1773, fue admitida la primera mujer en la prestigiosa Accademia Filarmonica de Bolonia, Marianna De Martínez, hija del Nuncio papal en Viena, una destacada cantante y clavecinista vinculada a Metastasio, quien se esforzó mucho por apoyar su carrera. Al año siguiente, el 28 de noviembre de 1774, a la edad de quince años, Coccia superó brillantemente el examen, que consistía en la composición de una fuga improvisada a cuatro voces sobre la antífona Hic vir despiciens mundum, en presencia de cuatro profesores, incluido el propio Pesci. El Experimento improvisado realizado en una hora y media fue calificado como excelente:

«…examinada y aprobada la señora María Rosa Coccia, en calidad de Maestra di Cappella, le otorgamos libertad y amplio poder para ejercer el cargo público de Maestra di Cappella en esta ciudad de Roma, con todos los honores, prerrogativas, derechos y razones… confirmados con Autoridad apostólica» (ibíd. pp. 45-46).

Al año siguiente, el Experimento fue publicado y Coccia también se unió a la Accademia dei Forti, adoptando el nombre pastoral de Trevia. En 1779, con veinte años, fue admitida por unanimidad en la Accademia Filarmonica de Bolonia. En 1780, Michele Mallio, que presidía la Accademia dei Forti, publicó un Elogio storico della signora Maria Rosa Coccia, al que adjuntó poemas elogiosos y cartas de otros admiradores. No obstante, a pesar de recibir entusiastas reconocimientos de ilustres contemporáneos como el poeta cesáreo Metastasio, el sopranista Carlo Broschi (Farinelli), el erudito teórico musical Padre Martini, el príncipe de la Accademia Filarmonica de Bolonia, Petronio Lanzi, el Maestro di Cappella Pasquale Antonio Basili, etc., el título obtenido no fue suficiente para asegurarle un empleo al servicio de la Iglesia o un patrocinio estable que le permitiera vivir de los ingresos de su actividad como compositora. No cabe duda de que tanto éxito podía generar envidias y resentimientos. En 1781, Francesco Capalti, Maestro di Cappella de Narni, publicó la Critica all’esame fatto dalla signora Maria Rosa Coccia, en la que señalaba errores en la técnica del contrapunto y acusaba de incompetencia a Pesci y a los demás examinadores de Santa Cecilia, quienes le habían dado dos calabazas consecutivas en 1756. Surgió así una agria controversia que la musicóloga Maria Caruso atribuye al resentimiento de Capalti hacia la Academia de Santa Cecilia y al enfrentamiento entre dos concepciones distintas de la técnica del contrapunto: una más moderna y evolucionada, y la otra aferrada al pie de la letra a reglas dogmáticas.

Es evidente que Coccia se convirtió, a pesar suyo, en un pretexto para el conflicto. Esta "sobreexposición" no benefició a la joven compositora, quien, aunque había conquistado oficialmente una posición de prestigio, como mujer tuvo que soportar controles y críticas a los que ningún hombre en la misma condición se habría visto sometido. El caso de otras compositoras e intérpretes profesionales es distinto: por lo general, eran hijas de artistas que, al viajar con sus familias por las cortes europeas, tenían la oportunidad de conocer mecenas, ganarse aprecio e iniciar exitosas carreras, o bien eran mujeres talentosas de familias nobles, ricas y de mentalidad abierta que, ya introducidas en entornos exclusivos, tenían la posibilidad de componer y actuar sin depender de la profesión para sobrevivir. De todas formas, está claro que, en la opinión general no se veía con buenos ojos que una mujer exhibiera sus propios talentos. Para Coccia, el título de Maestra di Cappella quedó como un mero reconocimiento formal, y ni siquiera contó con un respaldo que la ayudara a salir del cerrado ambiente romano. Incluso Metastasio, uno de sus mayores admiradores, presentó excusas poco creíbles para evitar dar a conocer en la corte de Viena o a posibles patrocinadores las “sus tres excelentes composiciones musicales" (ídem p. 140) que le había enviado. Quizás temía que pudieran eclipsar la fama de su protegida De Martínez. De la Congregación, Coccia solo recibió el encargo de componer unas Vísperas para la fiesta de Santa Cecilia «...cantadas con muchos aplausos en la Iglesia de San Carlo ai Catinari» (1776).

La Iglesia no le encargó nada y ella se dedicó a la enseñanza, una ocupación más respetada y socialmente aceptable para una mujer. Sin embargo, parece que al menos hasta 1783 continuó componiendo obstinadamente música sacra y profana, destinándola principalmente a ilustres mujeres nobles y reinas, con la estrategia de obtener su apoyo y protección para seguir con su carrera. Entre las destinatarias encontramos a María Amalia Augusta Elettrice de Sajonia, María I Reina de Portugal, y María Carolina de Nápoles. Recientemente se descubrieron otras composiciones suyas dedicadas a mujeres: los Vingt Menuets pour le clavecin à l’usage de son excellence M: Henriette Milano (1783) para la Princesa Enrichetta Caracciolo Milano, hallados en 2008 en el Archivo del Monasterio de S. Gregorio Armeno en Nápoles, e Ifigenia, una cantata a 5 voces y orquesta (1779) dirigida a María Luisa de Parma, Princesa de Asturias, descubierta en 2019 en la Real Biblioteca de Madrid. Estas composiciones han sido analizadas respectivamente por las musicólogas María Caruso y Judith Ortega Rodríguez (María Caruso, A gift of twenty minuets exploring a recently discovered manuscript by Maria Rosa Coccia de 2016; Judith Ortega Rodríguez, Al rescate de Ifigenia, Cantata de la compositora italiana Maria Rosa Coccia de 2021). Se deduce que existía una red de mujeres que promovía el trabajo de otras mujeres, de la cual Coccia intentó beneficiarse estableciendo también relaciones epistolares personales, como con Enrichetta, quien vivió durante mucho tiempo en Francia y a la cual se dirigía en francés, enviándole minuetos franceses y música adecuada para la ejecución de grupos amateur domésticos muy populares en los salones nobles de la época. Sus composiciones le procuraron gratitud, reconocimiento y donaciones en dinero, aunque no fueron suficientes para garantizarle estabilidad económica. Desde 1783 no se dispone de más noticias de su vida hasta 1832, cuando se dirigió a la Congregación de Santa Cecilia solicitando un «caritativo subsidio» (ídem p.154). Ya anciana y enferma, no podía enseñar ni componer, y al haber mantenido a sus padres y hermana hasta sus muertes, se encontraba sin recursos para sobrevivir. La Academia le concedió solo unos pocos escudos. «De todos modos, no pesará mucho en las finanzas de la Congregación, ya que murió en Roma, sola y olvidada como querían sus detractores, el 20 de noviembre de 1833. Todos los maestros Congregados tenían derecho a un funeral público... María Rosa Coccia fue despedida de este mundo con cuatro misas celebradas en sufragio de su alma, en la Capilla de la Congregación, en San Carlo ai Catinari». (Breve biografía de M.R. Coccia a cargo del sitio web de la Academia María Rosa Coccia). El trabajo de investigación de otras estudiosas y músicas como ella la ha rescatado del olvido, aunque aún permanece en la oscuridad un largo período de aproximadamente cincuenta años en el que se pierden las huellas de su vida y de sus obras.

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