Chiara Margarita Cozzolani
Sara Marsico






Viola Gesmundo

 

 «Le monache di Santa Radegonda di Milano, nel possesso della musica sono dotate di così rara isquisitezza, che vengono riconosciute per le prime cantatrici d'Italia. Vestono l'abito cassinense del P.S. Benedetto, e pure sotto le nere spoglie sembrano à chi le ascolta, candidi, armoniosi cigni, che, e riempiono i cuori di maraviglia, e rapiscono le lingue à loro encomij. Frà quelle religiose, merita sommi vanti Donna Chiara Margarita Cozzolani, Chiara di nome, ma più di merito; e Margarita, per nobiltà d'ingegno, rara, ed eccellente, che se nell'anno 1620. ivi s'indossò quell'habito sacro, fece nell'essercitio della musica riuscite così grandi; che dal 1640. fino al 1650. hà mandato alle stampe, quattro opere di musica». (Abate Filippo Picinelli, teologo agostiniano, in Ateneo dei letterati milanesi, Milano,1670)

Doveva essere davvero incantevole la voce di 'Donna Chiara Margarita Cozzolani' "eccellente cantante”, come viene indicata nei frontespizi delle sue opere, ma il campo in cui si distinse fu la composizione musicale, al punto che Cozzolani, «perla rara», secondo l’etimologia del nome Margarita, fu annoverata tra le dodici religiose del Seicento che furono anche compositrici. Nata a Milano il 27 novembre 1602, ultimogenita di una famiglia benestante di mercanti milanesi, Margarita Cozzolani ricevette l’educazione musicale in casa, come era consuetudine per molte giovani appartenenti ai ceti facoltosi di allora. Suoi maestri furono i Rognoni, bravi e noti insegnanti strumentali e vocali della città. L’amore per la musica non la lasciò mai e fu il leitmotiv di tutta la sua esistenza, che non venne meno, anzi non poté che aumentare e raggiunse le più alte vette dopo il suo ingresso nel Monastero benedettino di Santa Radegonda, a Milano, a cui fu destinata e in cui prese i voti, a 18 anni, con il nome di Chiara. Prima di lei avevano indossato l’abito monacale una sorella e una zia. «La clausura può essere necessaria per far sì che le giovani donne non rimangano nella casa paterna a rischio di perdere il loro onore, non solo con estranei, ma anche con i domestici di casa, e ciò che è peggio, persino coi propri fratelli e i propri padri!». Così scrive un gentiluomo di Bologna, come riporta Deborah Roberts nel suo studio sulle monache musiciste e compositrici italiane del Diciassettesimo secolo (reperibile in brightonconsort.org.uk). Il gentiluomo, continua Roberts, si riferiva soprattutto alle ragazze che, con la perdita della madre, avevano perso anche la propria protezione. Tuttavia, in città come Bologna e Milano, oltre il 60% delle giovani del ceto medio venivano mandate in convento, con o senza il loro consenso. Il motivo più frequente di queste scelte era collegato alla preoccupazione di salvare le fortune familiari piuttosto che sprecarle in costose doti matrimoniali.

In un secolo già turbolento e violento la competizione e le lotte per il potere tra le più importanti famiglie condussero alla pratica di diseredare tutti i figli maschi tranne il primogenito, allo scopo di mantenere uniti i beni piuttosto che frammentarli e indebolire lo status della famiglia. I figli più giovani avrebbero dovuto provvedere a trovare la loro strada da soli. Le ragazze venivano mandate in convento. Il Monastero benedettino di Santa Radegonda non esiste più, soppresso nel 1781 per rendere possibile la costruzione dell’attuale via Santa Radegonda, ma le descrizioni arrivate fino a noi lo presentano come un luogo molto bello, con quattro chiostri che includevano San Raffaele e San Simplicianino. La chiesa era doppia, secondo l'uso monastico. In questa cornice i canti e le opere di Chiara Margarita Cozzolani richiamavano enormi folle di fedeli che, attirate dalla musica, in origine composta solo per la preghiera del Monastero, e dalle voci delle monache, accorrevano nella chiesa del convento per ascoltare l'appassionato accompagnamento sonoro e il coro angelico.

Alcuni anni dopo il suo ingresso in convento, Chiara Margarita Cozzolani fu nominata abbadessa e priora e contribuì a guidare le monache in un periodo difficile, intorno al 1660, quando il Monastero fu preso di mira dal cardinale Alfonso Litta, seguace ideologico di Carlo Borromeo, che condusse una vera e propria battaglia contro la musica conventuale, limitandone i corsi e i contatti, da lui definiti “irregolari”, delle monache con il mondo esterno. Tra il 1676 e il 1678 Cozzolani scompare dall’elenco delle suore del convento senza che se ne conosca la ragione. Nei registri del Monastero, peraltro, la si descrive come coinvolta nelle dispute sulla regolamentazione della musica all’interno dell’istituto. Purtroppo non si hanno documenti relativi alla sua prima composizione, Primavera di fiori musicali, del 1640, andata perduta nella distruzione della Biblioteca di Berlino del 1945, come anche la parte del basso continuo di una successiva edizione di mottetti a voce sola del 1648, di cui si conserva parzialmente il libro di soprano. Le sue quattro opere musicali furono composte tra il 1640 e il 1650, che è anche la data di creazione dei suoi Vespri.

Come sottolinea la pianista Nelly Lipuma, una parte del fascino della musica delle monache era la sua unicità timbrica. A Santa Radegonda, ricorda, non erano previsti uomini a cantare insieme alle monache né collaborazioni dall’esterno, per cui gli ensemble vocali e strumentali dovevano essere stati composti da sole donne. Ma nei monasteri, come anche negli ospedali veneziani, c’erano religiose e laiche dotate di voci molto basse per eseguire le linee del tenore e del basso. Inoltre, il basso strumentale aveva la funzione di rafforzare la linea del basso vocale. Una buona parte della musica composta da Cozzolani, nella sua forma stampata sopravvissuta, richiedeva il normale organico di voci miste: soprano, contralto, tenore e basso. La particolarità dei suoi arrangiamenti, secondo Lipuma, «stava nel fatto che le sue opere presentavano ben tre metriche per altrettanti ritornelli che si andavano a fondere con la sinfonia e i versi in doppi o tripli tempi». Le monache dell’ordine di Santa Radegonda erano probabilmente molto preparate dal punto di vista della tecnica vocale, perché le composizioni sacre di Cozzolani presentano un alto livello di difficoltà tecnica. Inoltre, i suoi scritti ne fanno intuire la conoscenza della musica di Claudio Monteverdi, dell’Opera e di altri tipi di monodie precoci.

Dopo il 1650 la musica di Cozzolani non fu più pubblicata, probabilmente a seguito delle dispute con il cardinale Alfonso Litta, a cui l’indipendenza delle linee vocali della compositrice pareva eccessiva e che da tempo aveva iniziato a introdurre una serie di riforme in ambito musicale, dirette a limitare l’attività delle monache e le cosiddette “sregolatezze” della musica in Chiesa, privandoci probabilmente di una serie di brani bellissimi. Chiara Margarita Cozzolani morì all’incirca all’età di 75 anni, probabilmente il 27 aprile 1678. L’Ordine di Santa Radegonda fu sciolto verso la fine del XVIII secolo e le monache furono trasferite a Santa Prassede. Le composizioni della musicista milanese, destinate a restare rinchiuse tra le mura del Monastero, sono giunte fino a noi grazie alle pubblicazioni avvenute prima dell’intervento riformatore di Litta. Le sue opere si distaccano dallo stile del passato e hanno una connotazione moderna, molto avanti rispetto ai suoi tempi. Anche al nostro orecchio di contemporanee/i spesso presentano sonorità originali e nuove. Il suo stile mostra una dimestichezza magistrale con l'arte compositiva e un grande senso drammaturgico. Quasi tutte le creazioni più ampie sono nella forma di un dialogo tra individui o gruppi. Della musicista conserviamo i seguenti brani: Concerti sacri, Venezia, 1642; O dulcis Jesu, 1649; Scherzi di Sacra melodia, di cui la parte del basso continuo è andata perduta, Venezia, 1648; Salmi à ottomotetti et dialoghi, Venezia, 1650. Anche l’aria No, no no che mare purtroppo è andata perduta. The Cozzolani Project (The Cozzolani Project) dal 2000 sta raccogliendo e rendendo accessibile tutta la produzione di questa eccellente compositrice e cantante, la cui bravura è stata recentemente riscoperta.

https://www.youtube.com/watch?v=v2tDtNFhXfc

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Traduzione francese

Guenoah Mroue

«Les moniales de Santa Radegonda de Milan, en possession de la musique, sont dotées d’une si rare finesse, reconnues pour être les premières chanteuses d’Italie. Elles revêtent la robe cassinois du P.S. Benoît, et même sous les apparences noires, ceux qui les écoutent, candides, cygnes harmonieux, qui remplissent les cœurs d’admiration, et étonnent les louanges. Parmi les religieuses, il faut citer Donna Chiara Margarita Cozzolani, Chiara de nom,mais plus mérité ; et Margarita, par son ingéniosité, rare et excellente, que si on se réfère à l’année 1620. C’est là qu’elle se revêtit de cette robe sacré,et qu’elle exerça une influence si profonde sur l’âme musicale ; depuis 1640. Jusqu’à 1650. Elle a présenté quatre œuvres musicales». (Abbé Filippo Picinelli, théologien augustin, à Ateneo dei letterati milanesi, Milan, 1670)

La voix de Donna Chiara Margarita Cozzolani’ "excellent chanteuse", comme indiqué dans les traités de ses œuvres, mais le domaine dans lequel elle se distingua fut la composition musicale, au point que Cozzolani, «perle rare», selon l’étymologie du nom Margarita, elle fut comptée parmi les douze religieuses du XVIIe siècle qui furent aussi compositrices. Née à Milan le 27 novembre 1602, la dernière d’une famille aisée de marchands milanais, Margarita Cozzolani reçut l’éducation musicale à la maison, comme c’était l’habitude pour de nombreuses jeunes appartenant aux classes aisées de l’époque. Ses maîtres furent les Rognons, bons et bien connus en tant qu’enseignants instrumentaux et vocaux de la ville. L’amour pour la musique ne la quitta jamais et fut le leitmotiv de toute son existence, qui ne put qu’augmenter et atteindre les plus hauts sommets après son entrée au Monastère bénédictin de Sainte Radegonde, à Milan, auquel elle fut destinée et dans lequel elle prit les vœux, à 18 ans, sous le nom de Chiara. Avant elle, une sœur et une tante portaient la robe monacale. «La clôture peut être nécessaire pour que les jeunes femmes ne restent pas dans la maison paternelle au risque de perdre leur honneur, non seulement avec des étrangers, mais aussi avec les domestiques, et ce qui est pire, même avec leurs frères et leurs pères». C’est ce qu’écrit un gentleman de Bologne, comme le rapporte Deborah Roberts dans son étude sur les nonnes musiciennes et compositrices italiennes du XVIIe siècle (disponible dans brightonconsort.org.uk). Le gentleman, poursuit Roberts, se référait surtout aux filles qui, avec la perte de leur mère, avaient également perdu leur protection. Cependant, dans des villes comme Bologne et Milan, plus de 60% des jeunes de la classe moyenne étaient envoyées au couvent, avec ou sans leur consentement. La raison la plus fréquente de ces choix était liée au souci de sauver les fortunes familiales plutôt que de les gaspiller dans des dons matrimoniaux coûteux.

Dans un siècle déjà turbulent et violent, la compétition et les luttes pour le pouvoir entre les familles les plus importantes ont conduit à la pratique de déshériter tous les fils, sauf l’ainé, afin de maintenir les biens ensemble plutôt que de les fragmenter et d’affaiblir le statut de la famille. Les enfants plus jeunes auraient dû prendre soin de trouver leur propre chemin. Les filles étaient envoyées au couvent. Le monastère bénédictin de Sainte Radegonda n’existe plus, supprimé en 1781 pour rendre possible la construction de l’actuelle rue Sainte Radegonda, mais les descriptions parvenues jusqu’à nous le présentent comme un très bel endroit, avec quatre cloîtres incluant San Raffaele et San Simplicianino. L’église était double, selon l’usage monastique. Dans ce cadre, les chants et les œuvres de Chiara Margarita Cozzolani rappelaient d’énormes foules de fidèles qui, attirés par la musique, à l’origine composée uniquement pour la prière du monastère, et par les voix des moniales, ils accouraient dans l’église du couvent pour écouter l’accompagnement sonore passionné et le chœur angélique.

Quelques années après son entrée au couvent, Chiara Margarita Cozzolani fut nommée abbesse et prieuse et contribua à guider les moniales dans une période difficile, vers 1660, lorsque le monastère fut pris pour cible par le cardinal Alfonso Litta, disciple idéologique de Carlo Borromeo, qui mena une véritable bataille contre la musique conventuelle, en limitant les cours et les contacts, dits "irréguliers", des moniales avec le monde extérieur. Entre 1676 et 1678, Cozzolani disparaît de la liste des sœurs du couvent sans qu’on en connaisse la raison. Dans les registres du monastère, on la décrit d’ailleurs comme impliquée dans les disputes sur la réglementation de la musique au sein de l’institut. Malheureusement, il n’y a pas de documents relatifs à sa première composition, Printemps de fleurs musicales, de 1640, perdue dans la destruction de la Bibliothèque de Berlin en 1945, ainsi que la partie basse continue d’une édition ultérieure de motets à voix seule de 1648, dont le livre de soprano est partiellement conservé. Ses quatre œuvres musicales ont été composées entre 1640 et 1650, qui est aussi la date de création de ses Vêpres.

Comme le souligne la pianiste Nelly Lipuma, une partie du charme de la musique des nonnes était son timbre unique. À Santa Radegonda, rappelle-t-elle, aucun homme n’était prévu pour chanter avec les moniales ni pour collaborer de l’extérieur, de sorte que les ensembles vocaux et instrumentaux devaient être composés exclusivement de femmes. Mais dans les monastères, comme dans les hôpitaux vénitiens, il y avait des religieuses et des laïques dotées de voix très basses pour exécuter les lignes du ténor et de la basse. En outre, la basse instrumentale avait pour fonction de renforcer la ligne de basse vocale. Une bonne partie de la musique composée par Cozzolani, dans sa forme imprimée qui a survécu, nécessitait l’organigramme normal de voix mixtes: soprano, contralto, ténor et basse. La particularité de ses arrangements, selon Lipuma, «réside dans le fait que ses œuvres présentent trois métriques pour autant de refrains qui vont se fondre avec la symphonie et les vers en double ou triple temps». Les moniales de l’ordre de Sainte Radegonda étaient probablement très bien préparées du point de vue de la technique vocale, car les compositions sacrées de Cozzolani présentent un haut niveau de difficulté technique. En outre, ses écrits laissent deviner sa connaissance de la musique de Claudio Monteverdi, de l’Opéra et d’autres types de monodies précoces.

Après 1650, la musique de Cozzolani ne fut plus publiée, probablement à la suite de disputes avec le cardinal Alfonso Litta, à qui l’indépendance des lignes vocales de la compositrice paraissait excessive et qui avait depuis longtemps commencé à introduire une série de réformes dans le domaine musical, visant à limiter l’activité des moniales et les soi-disant "dérèglements" de la musique dans l’Église, nous privant probablement d’une série de belles chansons. Chiara Margarita Cozzolani meurt à l’âge de 75 ans, probablement le 27 avril 1678. L’ordre de Sainte Radegonda fut dissous vers la fin du XVIIIe siècle et les moniales furent transférées à Sainte Prassede. Les compositions de la musicienne milanaise, destinées à rester enfermées dans les murs du monastère, sont parvenues jusqu’à nous grâce aux publications qui ont eu lieu avant l’intervention réformatrice de Litta. Ses œuvres se détachent du style du passé et ont une connotation moderne, très en avance sur son temps. Même à notre oreille, les contemporains ont souvent des sons originaux et nouveaux. Son style montre une maîtrise magistrale de l’art de la composition et un grand sens dramaturgique. Presque toutes les créations plus larges sont sous la forme d’un dialogue entre individus ou groupes. De la musicienne, nous conservons les morceaux suivants : Concerti sacri, Venise, 1642; O dulcis Jesu, 1649; Scherzi di Sacra melodia, dont la partie de la basse continue a été perdue, Venise, 1648; Salmi à ottomotetti et dialoghi, Venise, 1650. Même l’air No, no no che mare malheureusement été perdue. The Cozzolani Project (The Cozzolani Project) rassemble et rend accessible toute la production de cette excellente compositrice et chanteuse, dont les compétences ont été récemment redécouvertes.

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Traduzione inglese

Syd Stapleton

"The nuns of Santa Radegonda of Milan, in the possession of music are endowed with such rare exquisiteness, that they are recognized for the first female singers of Italy. They wear the Cassinense habit of the P.S. Benedict, and yet under their black robes they seem to those who listen to them, candid, harmonious swans, who fill hearts with wonder, and capture tongues to their praise. Among those religious women, Donna Chiara Margarita Cozzolani deserves great praise, Chiara by name, but more by merit; and Margarita, by nobility of wit, rare, and excellent, who if in the year 1620 put on that sacred habit, made in the practice of music such great achievements that from 1640 until 1650 she sent to the presses, four works of music." (Abbot Filippo Picinelli, Augustinian theologian, in Ateneo dei letterati milanesi, Milan,1670)

The voice of 'Donna Chiara Margarita Cozzolani' "an excellent singer," as she is referred to on the title pages of her works, must have been truly enchanting, but the field in which she distinguished herself was musical composition, to the point that Cozzolani, "a rare pearl," according to the etymology of the name Margarita, was counted among the twelve cloistered women of the seventeenth century who were also composers. Born in Milan on November 27, 1602, the last child of a wealthy family of Milanese merchants, Margarita Cozzolani received her musical education at home, as was customary for many young women from the wealthy classes of the time. Her teachers were the Rognoni, talented and well-known instrumental and vocal teachers in the city. Her love for music never left her and was the leitmotif of her entire existence, which did not diminish, indeed it could only increase and reached the greatest heights after she entered the Benedictine Convent of Santa Radegonda, in Milan, in which she took her vows, at the age of 18, with the name Chiara. Before her, a sister and an aunt had become nuns. "Seclusion may be necessary so that young women do not remain in their father's house at the risk of losing their honor, not only with strangers, but also with the household servants, and what is worse, even with their own brothers and fathers!" So wrote a gentleman from Bologna, as reported by Deborah Roberts in her study of Italian nun musicians and composers of the 17th century (found at brightonconsort.org.uk). The gentleman, Roberts continues, mainly referred to girls who, with the loss of their mother, had also lost their own protection. However, in cities such as Bologna and Milan, more than 60 percent of middle-class girls were sent to convents, with or without their consent. The most frequent reason for these choices was related to a concern for saving family fortunes rather than spending them on expensive marriage dowries.

In an already turbulent and violent century, competition and power struggles among the leading families led to the practice of disinheriting all male children except the eldest son, with the aim of keeping assets together rather than fragmenting them and weakening the status of the family. Younger sons had to provide for themselves and find their own way. Girls were sent to convents. The Benedictine Convent of Santa Radegonda no longer exists, dismantled in 1781 to make possible the construction of what is now Santa Radegonda Street, but the descriptions that have come down to us present it as a very beautiful place, with four cloisters that included St. Raphael and St. Simplicianino. The church was double, according to monastic custom. In this setting the songs and works of Chiara Margarita Cozzolani drew huge crowds of the faithful who flocked to the convent church to hear the passionate accompaniment and angelic choir, attracted by the voices of the nuns and by the music, originally composed only for the prayers of the monastery.

A few years after her entry into the convent, Chiara Margarita Cozzolani was appointed abbess and prioress and helped guide the nuns through a difficult period, around 1660, when the Convent was targeted by Cardinal Alfonso Litta, an ideological follower of Carlo Borromeo, who led a real battle against convent music, restricting its teaching and the nuns' contacts, which he called "irregular," with the outside world. Between 1676 and 1678 Cozzolani disappears from the list of nuns in the convent without any known reason. The institution’s records, moreover, describe her as being involved in disputes over the regulation of music within the convent. Unfortunately, there are no records relating to her first composition, Primavera di fiori musicali (Spring of Musical Flowers), from 1640, which was lost in the 1945 destruction of the Berlin Library, as well as the basso continuo part of a later edition of solo-voice motets from 1648, of which the soprano section is partially preserved. Her four musical works were composed between 1640 and 1650, which is also the date of creation of her Vespers.

As pianist Nelly Lipuma points out, part of the appeal of the nuns' music was its timbral uniqueness. At St. Radegonda, she recalls, there were no men intended to sing with the nuns or collaborations from outside, so vocal and instrumental ensembles had to have been made up of women only. But in convents, as well as in Venetian hospitals, there were nuns and laywomen with very low voices to perform the tenor and bass lines. In addition, the instrumental basso had the function of strengthening the vocal basso line. A good deal of the music composed by Cozzolani, in its surviving printed form, required the normal arrangement of mixed voices: soprano, alto, tenor and basso. The uniqueness of her arrangements, according to Lipuma, "lay in the fact that her works presented as many as three metrics for as many refrains that blended with the symphony and verses in double or triple time." The nuns of the order of St. Radegonda were probably highly trained in vocal technique, because Cozzolani's sacred compositions present a high level of technical difficulty. In addition, her writings suggest her knowledge of Claudio Monteverdi's music, opera, and other types of early monodies.

After 1650 Cozzolani's music was no longer published, probably as a result of disputes with Cardinal Alfonso Litta, to whom the independence of the composer's vocal lines seemed excessive and who had long since begun to introduce a series of “reforms” in music, directed at limiting the activity of nuns and the so-called "unruliness" of music in the Church, probably depriving us of a number of beautiful pieces. Chiara Margarita Cozzolani died at about the age of 75, probably on April 27, 1678. After the Order of Santa Radegonda was dissolved in the late 18th century, the nuns were transferred to Santa Prassede.The compositions of the Milanese musician, destined to remain enclosed within the walls of the convent, have come down to us thanks to publications that occurred before Litta's intervention. Her works break away from the style of the past and have modern characteristics, far ahead of her time. Even to our modern ears, they often present original and new sonorities. Her style shows a masterful familiarity with compositional artistry and a great sense of dramaturgy. Almost all the larger creations are in the form of a dialogue between individuals or groups. The following pieces by the musician have been preserved: Concerti sacri, Venice, 1642; O dulcis Jesu, 1649; Scherzi di Sacra melodia, of which the basso continuo part has been lost, Venice, 1648; Salmi à otto ... motetti et dialoghi, Venice, 1650. The aria No, no no che mare has also unfortunately been lost. Since 2000 The Cozzolani Project has been collecting and making accessible the entire output of this excellent composer and singer, whose skill has recently been rediscovered.

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Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

«Las monjas de Santa Radegonda están dotadas de tan raro y exquisito talento musical, que son consideradas las mejores cantantes de Italia. Llevan el hábito negro benedictino de Benito de Nursia, pero para sus oyentes se asemejan a blancos y melodiosos cisnes, que llenan el corazón de maravilla y elevan el espíritu en sus oraciones. Entre estas hermanas, Doña Chiara Margarita Cozzolani merece el mayor reconocimiento: se llama Chiara de nombre, pero lo es más en virtud, y Margarita por su inusual y excelente nobleza de ingenio, que en el año 1620 se puso aquel hábito sagrado, y logró cosas muy grandes en el ejercicio de la música; y entre 1640 y 1650, publicó cuatro obras musicales». (Abad Filippo Picinelli, teólogo agustino, en Ateneo de literatos milaneses, Milán, 1670).

Debe de haber sido realmente encantadora la voz de "Doña Chiara Margarita Cozzolani, excelente cantante", como se indica en las portadas de sus obras, pero el campo en el que se distinguió fue la composición musical, hasta el punto de que Cozzolani, «perla rara», según la etimología del nombre Margarita, se cuenta entre las doce religiosas del siglo XVI que también fueron compositoras. Nacida en Milán el 27 de noviembre de 1602, última hija de una familia acomodada de mercaderes milaneses, Margarita Cozzolani recibió su educación musical en casa, como era costumbre para muchas jóvenes pertenecientes a las clases acomodadas de entonces. Sus maestros fueron los Rognoni, buenos y conocidos maestros instrumentales y vocales de la ciudad. El amor por la música nunca la abandonó y fue el leitmotiv de toda su existencia, que no solo nunca desapareció, sino que sólo pudo crecer y alcanzó las cimas más altas después de su entrada en el Monasterio benedictino de Santa Radegonda, en Milán, al cual fue destinada y donde tomó los votos, a los 18 años, con el nombre de Chiara. Antes que ella habían llevado el hábito monástico una hermana y una tía. «La clausura puede ser necesaria para evitar que las mujeres jóvenes permanezcan en la casa paterna a riesgo de perder su honor, no sólo con extraños, sino también con los sirvientes y aún peor, con sus hermanos y con sus padres.» Así escribe un caballero de Bolonia, como relata Deborah Roberts en su estudio sobre las monjas músicas y compositoras italianas del siglo XVII (disponible en brightonconsort.org.uk). El caballero, continúa Roberts, se refería especialmente a las niñas que, con la pérdida de su madre, habían perdido también su protección. Sin embargo, en ciudades como Bolonia y Milán, más del 60% de las jóvenes de clase media eran enviadas a conventos, con o sin su consentimiento. La razón más frecuente de estas elecciones estaba relacionada con la preocupación por salvar la fortuna familiar en lugar de desperdiciarla en costosas dotes matrimoniales.

En un siglo ya turbulento y violento, la competencia y las luchas de poder entre las familias más importantes llevaron a la práctica de desheredar a todos los hijos varones, excepto al primogénito, con el fin de mantener unidos los bienes en lugar de fragmentarlos y debilitar el estatus de la familia. Los hijos menores debían encontrar su propio camino. Y a las chicas las enviaban al convento. El monasterio benedictino de Santa Radegonda ya no existe, pues fue suprimido en 1781 para hacer posible la construcción de la actual calle de Santa Radegonda, peroas descripciones que nos han llegado lo presentan como un lugar muy bonito, con cuatro claustros que incluían a San Rafael y San Simplicianino. La iglesia era doble, según la costumbre monástica. En este entorno, los cantos y las obras de Chiara Margarita Cozzolani evocaban enormes multitudes de fieles que, atraídos por la música, originalmente compuesta sólo para la oración del Monasterio, y por las voces de las monjas, acudían a la iglesia del convento para escuchar el apasionado acompañamiento sonoro y el coro angélico.

Algunos años después de su entrada en el convento, Chiara Margarita Cozzolani fue nombrada abadesa y priora y ayudó a guiar a las monjas en un período difícil, alrededor de 1660, cuando el monasterio fue atacado por el cardenal Alfonso Litta, seguidor ideológico de Carlo Borromeo, quien llevó a cabo una verdadera batalla contra la música del convento, limitando los cursos y los contactos, que él definió “irregulares”, de las monjas con el mundo exterior. Entre 1676 y 1678 Cozzolani desaparece de la lista de las religiosas del convento sin que se conozca la razón. En los registros del Monasterio, por otra parte, se la describe como involucrada en las disputas sobre la regulación de la música dentro de la institución. Desgraciadamente, no se dispone de documentación de su primera composición, Primavera di fiori musicali, de 1640, que se perdió en la destrucción de la Biblioteca de Berlín en 1945, ni tampoco del bajo continuo de una edición posterior de motetes de voz única de 1648, del que se conserva parcialmente el libro de soprano. Sus cuatro obras musicales fueron compuestas entre 1640 y 1650, que es también la fecha de creación de sus Vísperas.

Como señala la pianista Nelly Lipuma, una parte del encanto de la música de las monjas era su sello único. En Santa Radegonda, recuerda, no estaban previstos hombres que cantasen junto con las monjas ni colaboraciones desde el exterior, por lo tanto, los conjuntos vocales e instrumentales tenían que estar compuestos sólo por mujeres. Pero en los monasterios, como también en los hospitales venecianos, había religiosas y laicas dotadas de voces muy bajas para ejecutar las líneas del tenor y del bajo. Además, el bajo instrumental tenía la función de fortalecer la línea del bajo vocal. Una buena parte de la música compuesta por Cozzolani, en su forma impresa que ha sobrevivido, requería el orgánico normal de voces mixtas: soprano, contralto, tenor y bajo. La peculiaridad de sus arreglos, según Lipuma, «consistía en el hecho de que sus obras presentaban tres métricas para tantos estribillos que se iban a fusionar con la sinfonía y los versos en doble o triple tiempo». Las monjas de la orden de Santa Radegonda estaban probablemente muy preparadas desde el punto de vista de la técnica vocal, porque las composiciones sagradas de Cozzolani presentan un alto nivel de dificultad técnica. Además, sus escritos hacen intuir el conocimiento de la música de Claudio Monteverdi, de la Ópera y de otros tipos de monodías tempranas.

Después de 1650, la música de Cozzolani dejó de publicarse, probablemente como consecuencia de las disputas con el cardenal Alfonso Litta, a quien la independencia de las líneas vocales de la compositora le parecía excesiva y que desde hacía tiempo había comenzado a introducir una serie de reformas en el ámbito musical, dirigidas a limitar la actividad de las monjas y las llamadas “irregularidades” de la música en la Iglesia, probablemente privándonos de una serie de canciones hermosas. Chiara Margarita Cozzolani murió aproximadamente a la edad de 75 años, probablemente el 27 de abril de 1678. La Orden de Santa Radegonda se disolvió a finales del siglo XVIII y las monjas fueron trasladadas a Santa Práxedes. Las composiciones de la música milanesa, destinadas a permanecer encerradas entre los muros del Monasterio, han llegado hasta nosotros gracias a las publicaciones realizadas antes de la intervención reformadora de Litta. Sus obras se distancian del estilo del pasado y tienen una connotación moderna, muy por delante de su época. Incluso para nuestro oído contemporáneo a menudo presentan sonidos originales y nuevos. Su estilo muestra una familiaridad magistral con el arte de la composición y un gran sentido dramático. Casi todas las creaciones más amplias tienen la forma de un diálogo entre individuos o grupos. De la música conservamos los siguientes pasajes: Concerti sacri, Venecia, 1642; O dulcis Jesu, 1649; Scherzi di Sacra melodia, cuya parte del bajo continuo se ha perdido, Venecia, 1648; Salmi à otto... motetti et dialoghi, Venecia, 1650; Anche l’aria No, no no che mare por desgracia se ha perdido. The Cozzolani Project (The Cozzolani Project) desde el año 2000 está recogiendo y haciendo accesible toda la producción de esta excelente compositora y cantante, cuya destreza ha sido recientemente redescubierta.

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Isabella Leonarda
Milena Gammaitoni






Viola Gesmundo

 

 Nel Seicento e nel Settecento a comporre musica erano spesso le monache: le famiglie ricche, per salvaguardare il patrimonio, decidevano di far sposare una sola figlia con una dote adeguata e mettevano in convento le altre, ancora bambine. A queste era riservata una vita d’isolamento dal mondo esterno, in compenso potevano completare la loro formazione culturale, dedicandosi alle loro attività preferite, fra le quali di frequente c’era la musica.Vari decreti papali vietavano l’esecuzione pubblica delle loro opere; anche gli sforzi di vescovi e funzionari ecclesiastici tendevano a limitare l’attività musicale delle monache, e a rafforzare il muro tra chiostro e comunità. Le composizioni delle suore musiciste erano pertanto eseguite per lo più soltanto nella ristretta cerchia delle consorelle e scarsamente conosciute al di fuori dei conventi. Ma non di rado erano di pregevolissima fattura e, resistendo alle traversie del tempo, fortunatamente molte sono giunte fino a noi. Tra queste eccellenti musiciste suore troviamo tanti nomi: Chiara Margarita Cozzolani, Claudia Sessa, Claudia Rusca, Sulpitia Cesis, Lucretia Orsina Vizzana, Caterina Assandra, Raffaella Aleotti; e per ultima ma non ultima per qualità, Isabella Leonarda, che spicca tra le altre per le sue opere strumentali, una delle compositrici più dotate del periodo barocco, tra le più produttive del suo tempo, purtroppo per parecchio tempo sottovalutata.

Isabella Leonarda trascorse la maggior parte della vita nel convento delle Orsoline e dedicò quasi tutte le sue composizioni (quasi duecento) alla Vergine Maria oltre che a dedicatari viventi come l'arcivescovo di Milano, il vescovo di Novara e l'imperatore austriaco Leopoldo I. La necessità di cercare un sostegno finanziario per il convento probabilmente ha motivato molte di queste dediche che fruttarono ingenti donazioni. Leonarda dichiarò che scriveva musica non per guadagnarsi la fama nel mondo, ma perché tutti sapessero che era devota alla Madonna.

Anna Isabella Leonarda era nata a Novara il 6 settembre 1620, figlia di Giannantonio Leonardi, conte e dottore in giurisprudenza, e di sua moglie, Apollonia Sala. I Leonardi erano un'antica e importante famiglia novarese che annoverava funzionari ecclesiastici e civili. A soli sedici anni Isabella entrò come novizia nel Collegio di Sant’Orsola della sua città, dove fu consacrata monaca nel 1639. I legami politici della sua ricca famiglia, benefattrice del convento, le permisero di diventare una figura autorevole e di godere di grande rispetto, tanto da ricoprire vari incarichi: come madre (1676), superiora (1686), madre vicaria (1693) e consigliera (1700). È stata anche identificata nei documenti come magistra musicae, nel convento infatti insegnava musica alle consorelle e componeva. La sua educazione musicale prima di entrare nel Collegio non è documentata;. gli storici della musica suggeriscono che Isabella, una volta accolta in convento, abbia affinato gran parte della sua abilità di musicista e compositrice sotto la tutela di Gasparo Casati, maestro di cappella presso la cattedrale di Novara. Altri studiosi ritengono che un tale tutoraggio non sia mai avvenuto. In effetti, l'unica prova risiede nel fatto che il Terzo libro dei Sacri Concerti di Casati contiene due Mottetti, le prime composizioni conosciute di Leonarda.

Le sue opere hanno toccato quasi tutti i generi di musica sacra: mottetti per voce solista, il più delle volte con l’accompagnamento dell’organo, concerti sacri, anche molto complessi a quattro strumenti, dialoghi in latino sacro, salmi concertati, responsori, Magnificat, litanie, messe e sonate da chiesa. Ha pure scritto alcune canzoni sacre per solista con testi in volgare. Le sue Sonate da chiesa sono considerate le prime scritte e pubblicate da una compositrice donna (la “sonata” è una composizione eseguita da strumenti, in opposizione alla “cantata”, che sta a indicare un brano interpretato anche da voci). I suoi Sacri concerti mostrano una precisione costante e una perfetta combinazione tra le parti, con spunti di modulazione e di fraseggio spesso molto interessanti. Diverse opere sono state recentemente registrate, e molto apprezzate dalla critica sono soprattutto le Sonate concordate in cui ogni strumento può suonare da solista. Sebbene detenesse privilegi speciali all'interno del convento, Leonarda non veniva meno ai suoi doveri quotidiani per comporre. Nella dedica della sua decima opera, afferma che ha scritto musica solo durante il tempo assegnato al riposo, per non trascurare i suoi doveri amministrativi e religiosi. Assai conosciuta nella sua città natale, era però poco nota in altre parti d'Italia, e ci sarebbe voluto ancora parecchio tempo prima che la sua fama si diffondesse. La sua carriera compositiva è durata sei decenni, dai Dialoghi del 1640 fino ai Mottetti per voce sola del 1700, ma la maggior parte delle sue sonate è stata completata dopo che aveva compiuto cinquant'anni. E le uniche sue opere ad apparire in circolazione prima del 1670 furono i due brani che il presunto mentore Gasparo Casati aveva appunto incluso nel suo Terzo Libro dei Canti Sacri.

Leonarda è ricordata soprattutto per le sue sonate, che hanno una struttura formale insolitamente varia. In contrasto con la forma standard di Arcangelo Corelli (quattro movimenti di tempi veloci e lenti alternati), alcune delle sonate di Isabella non si allineano a quel modello lento-veloce-lento-veloce e presentano ben tredici movimenti, mettendo in mostra la vivace brillantezza del suo genio compositivo. Isabella Leonarda ha vissuto una vita tranquilla, impregnata di devozione spirituale ed eccellenza musicale. È morta a Novara il 25 febbraio 1704. La musica composta nei monasteri femminili è l'espressione musicale della vita spirituale delle monache, è sacra ma plasmata da tendenze secolari. È musica di donne, per donne, appropriata nel testo e nelle estensioni vocali, la cui fama, nonostante tutto, si diffuse oltre le mura che le seppellivano. 


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Au XVIIe siècle et au XVIIIe siècle, les religieuses composaient souvent de la musique : les familles riches, pour sauvegarder le patrimoine, décidaient de marier une seule fille avec une dot adéquate et mettaient au couvent les autres, encore fillettes. A celles-ci était réservée une vie d’isolement du monde extérieur, en revanche elles pouvaient compléter leur formation culturelle, en se consacrant à leurs activités préférées, parmi lesquelles souvent la musique. Plusieurs décrets pontificaux interdisaient l’exécution publique de leurs œuvres; les efforts des évêques et des fonctionnaires ecclésiastiques tendaient également à limiter l’activité musicale des moniales et à renforcer le mur entre le cloître et la communauté. Les compositions des sœurs musiciennes n’étaient donc exécutées que dans le cercle restreint des consoeurs et peu connues en dehors des couvents. Mais il n’était pas rare qu’elles soient de très grande qualité et, résistant aux épreuves du temps, heureusement, beaucoup sont arrivées jusqu’à nous. Parmi ces excellentes musiciennes sœurs, on trouve de nombreux noms : Chiara Margarita Cozzolani, Claudia Sessa, Claudia Rusca, Sulpitia Cesis, Lucretia Orsina Vizzana, Caterina Assandra, Raffaella Aleotti; et pour finir, mais pas la moindre qualité, Isabella Leonarda, qui se distingue entre autres par ses œuvres instrumentales, l’une des compositrices les plus douées de la période baroque, parmi les plus productives de son temps, malheureusement pendant longtemps sous-estimée.

Isabella Leonarda a passé la majeure partie de sa vie au couvent des Ursulines et a consacré presque toutes ses compositions (près de deux cents) à la Vierge Marie, ainsi qu’à des dédicatrices vivantes comme l’archevêque de Milan, l’évêque de Novare et l’empereur autrichien Léopold I. La nécessité de chercher un soutien financier pour le couvent a probablement motivé beaucoup de ces dédicaces qui ont porté d’importantes donations. Léonarde déclara qu’elle écrivait de la musique non pas pour gagner la renommée dans le monde, mais pour que tous sachent qu’elle était dévouée à la Vierge.

Anna Isabella Leonarda est née à Novare le 6 septembre 1620, fille de Giannantonio Leonardi, comte et docteur en droit, et de sa femme, Apollonia Sala. Les Leonardi étaient une ancienne et importante famille de Novare qui comptait des fonctionnaires ecclésiastiques et civils. À seize ans seulement, Isabelle entra comme novice au Collège de Sainte-Ursule de sa ville, où elle fut consacrée religieuse en 1639. Les liens politiques de sa riche famille, bienfaitrice du couvent, lui permirent de devenir une figure d’autorité et de jouir d’un grand respect, au point d’occuper diverses taches : comme mère (1676), supérieure (1686), mère vicaire (1693) et conseillère (1700). Elle a également été identifiée dans les documents comme magistra musicae, dans le couvent en effet elle enseignait la musique aux consoeurs et composait. Son éducation musicale avant d’entrer au Collège n’est pas documentée. Les historiens de la musique suggèrent qu’Isabelle, une fois accueillie au couvent, a perfectionné une grande partie de son talent de musicienne et compositrice sous la tutelle de Gasparo Casati, maître de chapelle à la cathédrale de Novare. D’autres chercheurs pensent qu’un tel mentorat n’a jamais eu lieu. En effet, la seule preuve réside dans le fait que le Troisième livre des Concerts sacrés de Casati contient deux Motets, les premières compositions connues de Leonarda.

Ses œuvres ont touché presque tous les genres de musique sacrée : motets pour voix soliste, le plus souvent avec l’accompagnement de l’orgue, concerts sacrés, même très complexes à quatre instruments, dialogues en latin sacré, psaumes concertés, responseurs, Magnificat, litanies, messes et sonates d’église. Elle a également écrit quelques chansons sacrées pour soliste avec des paroles en vulgaire. Ses Sonates d’église sont considérées comme les premières écrites et publiées par une compositrice femme (la "sonate" est une composition exécutée par des instruments, en opposition à la "cantate", qui indique un morceau interprété par des voix). Ses concerts sacrés montrent une précision constante et une combinaison parfaite entre les parties, avec des éléments de modulation et de phrasé souvent très intéressants. Plusieurs œuvres ont été récemment enregistrées, et très appréciées par la critique sont surtout les sonates convenues où chaque instrument peut jouer en solo. Bien qu’elle ait des privilèges spéciaux au sein du couvent, Leonarda ne faillit pas à ses devoirs quotidiens pour composer. Dans la dédicace de sa dixième œuvre, elle affirme qu’elle n’a écrit de la musique que pendant le temps alloué au repos, afin de ne pas négliger ses devoirs administratifs et religieux. Très connue dans sa ville natale, elle était cependant peu connue dans d’autres parties de l’Italie, et il aurait fallu encore longtemps avant que sa renommée ne se répande. Sa carrière de compositrice a duré six décennies, des Dialoghi de 1640 aux Mottetti par voix seule de 1700, mais la plupart de ses sonates ont été achevées après ses cinquante ans. Et ses seules œuvres à apparaître avant 1670 furent les deux passages que le prétendu mentor Gasparo Casati avait inclus dans son Troisième Livre des Chants Sacrés.

Leonarda est surtout connue pour ses sonates, qui ont une structure formelle inhabituellement variée. Contrairement à la forme standard d’Arcangelo Corelli (quatre mouvements de temps rapides et alternances lentes), certaines des sonates d’Isabella ne s’alignent pas avec ce modèle lent-rapide-lent-rapide et présentent treize mouvements, mettant en valeur l’éclat vif de son génie de la composition. Isabella Leonarda a vécu une vie tranquille, imprégnée de dévotion spirituelle et d’excellence musicale. Elle est morte à Novare le 25 février 1704. La musique composée dans les monastères féminins est l’expression musicale de la vie spirituelle des moniales, elle est sacrée mais façonnée par des tendances séculaires. C’est une musique de femmes, pour femmes, appropriée dans le texte et dans les extensions vocales, dont la renommée, malgré tout, s’est répandue au-delà des murs qui les enterraient.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

In the seventeenth and eighteenth centuries, it was often nuns who composed music. Wealthy families, in order to safeguard their patrimony, usually decided to marry off only one daughter with an adequate dowry and to put the others, still children, in a convent. A life of isolation from the outside world was reserved for them - in return, they could complete their cultural education, devoting themselves to their favorite activities, often to music. Various papal decrees forbade the public performance of their works. Efforts by bishops and church officials also tended to limit the nuns' musical activities, and to strengthen the wall between cloister and community. The compositions of the musician nuns were therefore mostly performed only in the small community of the sisters and scarcely known outside the convents. But the music was, not infrequently, of very fine workmanship and, despite the ravages of time, many compositions have come down to us. Among these excellent nun-musicians we find many names - Chiara Margarita Cozzolani, Claudia Sessa, Claudia Rusca, Sulpitia Cesis, Lucretia Orsina Vizzana, Caterina Assandra, Raffaella Aleotti; and last but not least in quality, Isabella Leonarda, who stands out among the others for her instrumental works, as one of the most gifted composers of the Baroque period, among the most productive of her time, unfortunately underestimated for quite some time.

Isabella Leonarda spent most of her life in the Ursuline convent and dedicated almost all of her compositions (nearly two hundred) to the Virgin Mary as well as to living dedicatees such as the archbishop of Milan, the bishop of Novara and the Austrian emperor Leopold I. The need to seek financial support for the convent probably motivated many of these dedications, which yielded large donations. Leonarda declared that she wrote music not to gain fame in the world, but so that everyone would know that she was devoted to the Virgin Mary.

Anna Isabella Leonarda was born in Novara on September 6, 1620, the daughter of Giannantonio Leonardi, a count and doctor of law, and his wife, Apollonia Sala. The Leonardis were an ancient and important Novara family that included ecclesiastical and civil officials. When she was only sixteen years old Isabella entered the College of St. Ursula in her city as a novice, where she was consecrated a nun in 1639. The political connections of her wealthy family, benefactors of the convent, enabled her to become an influential figure and enjoy great respect, so much so that she held such positions as Mother (1676), Superior (1686), Mother Vicar (1693) and Councilor (1700). She was also identified in documents as magistra musicae. In the convent she taught music to the sisters and composed. Her musical education before entering the college is not documented. Music historians suggest that Isabella, once accepted into the convent, honed much of her skill as a musician and composer under the tutelage of Gasparo Casati, maestro di cappella at Novara Cathedral. Other scholars believe that no such tutoring ever took place. Indeed, the only evidence lies in the fact that the third book of Casati's Sacred Songs contains two motets which are Leonarda's earliest known compositions.

Her works touched almost all genres of sacred music - motets for solo voice, most often with organ accompaniment, sacred concertos, even very complex ones for four instruments, sacred Latin dialogues, concerted psalms, responsories, Magnificats, litanies, masses and church sonatas. She also wrote some sacred songs for soloists with vernacular texts. Her Church Sonatas are considered the first written and published by a female composer (a "sonata" is a composition performed by instruments, as opposed to a "cantata," which is a piece also performed by voices). Her Sacri Concerti show a consistent precision and perfect combination of parts, with often very interesting insights into modulation and phrasing. Several works have recently been recorded, and much appreciated by critics are especially the Concord Sonatas in which each instrument can play solo. Although she held special privileges within the convent, Leonarda did not fail to perform her routine daily duties. In the dedication of her tenth work, she states that she wrote music only during the time allotted for rest, so as not to neglect her administrative and religious duties. She was well known in her hometown but little known in other parts of Italy, and it would be a long time before her fame would spread. Her compositional career spanned six decades, from the Dialogues of 1640 to the Motets for solo voice of 1700, but most of her sonatas were completed after she was in her fifties. And the only works of hers to appear in circulation before 1670 were the two pieces that her supposed mentor Gasparo Casati had included in his Third Book of Sacred Songs.

Leonarda is best remembered for her sonatas, which have an unusually varied formal structure. In contrast to Arcangelo Corelli's standard form (four movements of alternating fast and slow tempos), some of Isabella's sonatas do not align with that slow-fast-slow-fast model and feature as many as thirteen movements, showcasing the lively brilliance of her compositional genius. Isabella Leonarda lived a quiet life imbued with spiritual devotion and musical excellence. She died in Novara on February 25, 1704. The music composed in the women's monasteries was the musical expression of the nuns' spiritual life. It was regarded as sacred, but shaped by secular tendencies. It is music by women, for women, appropriate in text and vocal extensions, whose fame, despite everything, spread beyond the walls that isolated them.


Traduzione spagnola

Erika Incatasciato

En los siglos XVII y XVIII solían ser las monjas quienes componían música: las familias ricas, para salvaguardar su riqueza, decidían casar a una hija con una dote adecuada y, aún niñas, recluíana las otras en un convento. A pesar de que a estas se le daba una vida de aislamiento del mundo exterior, a cambio podían completar su formación cultural, dedicándose a sus actividades favoritas, entre las cuales solía figurar la música. Distintas leyes papales impedían la interpretación pública de sus obras; incluso los esfuerzos del obispo y de los funcionarios eclesiásticos tendían a limitar la actividad musical de las monjas y reforzar la barrera entre el monasterio y la comunidad. Las composiciones de las monjas solo se interpretaban en el círculo íntimo de las hermanas y apenas se conocían fuera de los conventos. Pero, a menudo eran de prestigiosa realización y, resistiendo a las adversidades del tiempo, por suerte, muchas nos han llegado. Entre estas excelentes músicas, encontramos a Chiara Margarita Cozzolani, Claudia Sessa, Claudia Rusca, Sulpitia Cesis, Lucretia Orsina Vizzana, Caterina Assandra, Raffaella Aleotti y, por último, pero no por ello menos estimable, a Isabella Leonarda, que se destaca por sus obras instrumentales y es una de las compositoras más dotadas del barroco entre las más productivas de sus tiempos, desgraciadamente, a largo plazo, subestimada.

Isabella Leonarda pasó la mayor parte de su vida en el convento de las Ursulinas y casi todas sus composiciones (casi doscientas) poseen dos dedicatorias, una a la Virgen María y la otra a unos de los dedicatarios vivos: el arzobispo de Milán, el obispo de Novara y el emperador de Austria Leopoldo I. La necesidad de buscar apoyo financiero para el convento probablemente motivó muchas de estas dedicatorias, que obtuvieron donaciones masivas. Leonarda declaró que no componía música para ganar fama en el mundo, sino para que todos supieran que era devota a Nuestra Señora.

Anna Isabella Leonarda nació en Novara el 6 de septiembre de 1620, hija del conde y Doctor en Derecho Giannantonio Leonardi y su esposa Apollonia Sala. Los Leonardi fueron una antigua y prominente familia de Novara, cuyos miembros incluían a importantes funcionarios eclesiásticos y cívicos. A los dieciséis años ingresó como novicia en el Colegio de Santa Úrsula de su ciudad, donde fue consagrada monja en 1639. Las conexiones políticas de su rica familia, benefactora del convento, le permitieron convertirse en una figura de prestigio, hasta ocupar distintos cargos: madre (1676) superiora (1686), madre vicaria (1693) y consejera (1700). También fue identificada como magistra musicae (maestra de música) en el convento donde, en efecto, componía música y la enseñaba a las otras monjas. No se sabe mucho de su educación musical antes de ingresar en el Colegio; los historiadores de música sugieren que una vez en el convento, Isabella perfeccionó la mayoría de sus habilidades de música y composición con Gasparo Casati, maestro de capilla en la catedral de Novara. Otros estudiosos creen que dicho seguimiento nunca tuvo lugar. En efecto, la única evidencia que tenemos es en el Terzo Libro di Sacri Concenti de Casati que incluye los dos primeros Motetes conocidos de Leonarda.

Sus obras abarcan casi todos los géneros musicales de la iglesia: motetes para voz solista, casi siempre acompañados de órgano, conciertos sagrados, incluso muy complejos para cuatro instrumentos, diálogos sacros en latín, composiciones de salterios, responsorios, magníficat, letanías, misas y sonatas de iglesia. También escribió algunas canciones sagradas para voz solista con textos vernáculos. Sus Sonatas para la Iglesiase consideran como las primeras sonatas instrumentales escritas y publicadas por una compositora (una sonata es una composición interpretada por instrumentos, a diferencia de una cantata, que indica una pieza interpretada también por voces). Sus conciertos sagrados muestran una precisión constante y una combinación perfecta entre las piezas, con interesante modulación y fraseo. Distintas obras han sido grabadas y, de todas, la crítica ha apreciado las Sonatas concertadas, donde cada uno de los instrumentos tiene un pasaje en solitario. Si bien disponía de privilegios especiales en el convento, Leonarda no faltaba a sus deberes diarios para componer. En su dedicatoria de la décima Opus señaló que componía música solo durante el tiempo asignado al descanso, para no descuidar sus deberes administrativos y eclesiásticos. Muy conocida en su ciudad natal, era, sin embargo, poco conocida en otras partes de Italia, y pasaría mucho tiempo antes de que su fama se extendiera. Su carrera de compositora duró seis décadas, desde los diálogos en 1640 hasta Motetes para voz solista en 1700, pero la mayoría de sus sonatas las terminó después de los cincuenta años. Las únicas obras suyas que aparecieron en circulación antes de 1670 fueron las dos piezas que su supuesto mentor Gasparo Casati había incluido en su Terzo Libro di Sacri Concenti.

Leonarda es recordada por sus sonatas que son inusuales en su estructura formal. A diferencia de la forma estándar de Arcangelo Corelli (cuatro movimientos alternados de tiempos rápidos y lentos), algunas de las sonatas de Isabella no se ajustan a este modelo lento-rápido-lento-rápido y presentan trece movimientos, que hacen galade su genialidad compositiva. Isabella Leonarda vivió con serenidad y estuvo comprometida con la devoción espiritual y la excelencia musical. Falleció en Novara el 25 de febrero de 1704. La música compuesta en los monasterios femeninos es la expresión musical de la vida espiritual de las monjas; es sacra, pero forjada por tendencias seculares; es música de mujeres para mujeres, apropiada en el texto y en las extensiones vocales, cuya fama, a pesar de todo, se extendió más allá de las paredes que las sepultaban.

 

"Ma" Rainey
Roberto Del Piano






Laura Zemik

 

«Sono uscita ieri sera con un mucchio di persone care,
dovevano essere donne,perché gli uomini non mi piacciono.
È vero: indosso il colletto e la cravatta, è come avere il vento in poppa.
Perché dici che lo faccio, nessuno mi ha beccata.
Di sicuro devi dimostrarlo:
tu dici che lo faccio, ma nessuno mi ha beccata.
Di sicuro devi dimostrarlo».

(Strofa di Prove It On Me Blues, brano registrato da Ma’ Rainey nel giugno 1928 a Chicago).

Pubblicità Paramount per il brano di ‘Ma’ Rainey Prove It On Me Blues (1928). Si noti la donna di colore in abiti in parte maschili, a sinistra

Gertrude Pridgett nasce a Columbus, Georgia, il 26 aprile 1886, figlia di due artisti minstrels itineranti, Thomas Pridgett Sr. ed Ella Allen-Pridgett. A quattordici anni entra a far parte di un gruppo teatrale di vaudeville e debutta all’Opera House di Columbus nello show The Bunch of Blackberries, che riscuote un discreto successo; attira l’attenzione di Will Rainey, detto ‘Pa’, lui pure uomo di spettacolo. La coppia dà vita a un gruppo chiamato Rabbit Foot Minstrels, che si esibisce in un repertorio misto di canzoni popolari e blues: uno degli spettacoli, con marcate influenze del vaudeville, reca lo spiritoso titolo The assassinators of the blues. Per un certo periodo, siamo nel 1912, farà parte della compagnia anche Bessie Smith, all’inizio della carriera. La stessa ‘Ma’ Rainey (che assume il soprannome dopo il matrimonio con ‘Pa’) racconta di aver ascoltato a St. Louis una donna cantare una canzone triste su un uomo che lascia una ragazza; dopo averne sistemato le parole e la musica, l’artista aggiunge quel brano, per il quale in seguito più volte sosterrà di aver coniato il termine ‘blues’, al proprio repertorio. La canzone viene intitolata See See Rider e qualche anno dopo, il 16 ottobre 1924, Gertrude ne registra la prima versione conosciuta, accompagnata, tra gli altri, da un giovane Louis Armstrong.

«Sono così infelice,
mi sento così triste,
sono sempre depressa.
Ho fatto uno sbaglio,
subito, all’inizio.
Oh, sembra così difficile separarsi.
Oh, ma questa lettera
che io scriverò
sperò faccia in modo che lui si ricordi
quando la riceverà.
Guarda, guarda cavaliere,
Guarda che cosa hai fatto».

Nel 1916 la cantante si separa dal marito e da allora porta sul palcoscenico un proprio spettacolo sotto l’insegna Madame Gertrude ‘Ma’ Rainey and Her Georgia Smart Sets. Dotata di una maestosa vocalità, ‘Ma’ Rainey, sul palcoscenico, elettrizza letteralmente il pubblico: ride, geme, urla, esercitando un fascino straordinario pur non essendo canonicamente bella. Nella sua autobiografia il pianista e compositore Thomas A. Dorsey, che l’aveva accompagnata più volte sia in sala d’incisione sia in tournée, ne fa una descrizione suggestiva:

«Il numero di ‘Ma’ Rainey era quello che chiudeva lo spettacolo. […] Il sipario si alzava lentamente e i riflettori illuminavano con luce soffusa l’orchestra sul palcoscenico, mentre noi suonavamo l’introduzione della canzone di ‘Ma’ […] ‘Ma’ era nascosta in un grande scatolone che aveva la forma di una Victrola, uno di quei fonografi che si usavano molti anni fa. Questa Victrola si trovava sull’altro lato del palcoscenico. Poi arrivava una ragazza e faceva l’atto di mettere su un disco. Allora l’orchestra cominciava a suonare Moonshine Blues: ‘Ma’ cantava le prime battute nascosta dentro la Victrola, poi apriva una porta e usciva fuori nella luce del riflettore sfoggiando una scintillante toilette che pesava poco meno di dieci chili, e una collana fatta di tanti pezzi d’oro. Il pubblico impazziva. Era come se lo spettacolo ricominciasse da capo. ‘Ma’ teneva gli spettatori in pugno. I brillanti che portava alle dita luccicavano come tanti fuochi. La collana sembrava un’armatura d’oro che le coprisse il petto. La chiamavano la Signora dall’ugola d’oro… Quando ‘Ma’ ebbe cantato l’ultimo pezzo e il gran finale, avemmo sette chiamate…».

Così scrive il critico Gunther Schuller, nella sua fondamentale opera Il jazz. Il periodo classico – Gli anni Venti (1996):

«È triste soprattutto che ‘Ma’ Rainey non abbia inciso agli inizi della sua carriera, che cominciò sul volgere del secolo, a quattordici anni. Sarebbe affascinante ripercorrere, attraverso la sua maturazione artistica, la via lungo la quale il blues rurale si mutò nel più raffinato e professionistico blues urbano, il cui sviluppo fu certo parallelo alla sua carriera. Quando finalmente ‘Ma’ incise, a metà degli anni Venti, non era certo la prima a farlo, aveva ormai una quarantina d’anni, e probabilmente non era più nel pieno delle forze».

‘Ma’ in una celebre foto di autore non noto, presumibilmente scattata dopo il 1923

Nel 1923 l’artista firma un contratto con una delle principali etichette operanti nel mercato dei cosiddetti Race Records, una produzione destinata a essere venduta nei negozi riservati alla gente di colore; la Paramount ne fa una delle sue star, affiancandole spesso musicisti e arrangiatori di primo piano: peccato che la qualità delle registrazioni di questa etichetta sia decisamente mediocre, probabilmente per risparmiare sui costi, rispetto a quella di altre concorrenti dell’epoca, dalla Okeh alla Victor, pure operanti nello stesso mercato. Nel dicembre dello stesso anno, la Paramount porta in studio ‘Ma’ Rainey per una seduta di registrazione che produce otto brani, pubblicati in sequenza su quattro 78 giri, contrassegnati dai numeri di catalogo da PM12080 a PM12083; in queste incisioni è accompagnata da Lovie Austin and Her Blues Serenaders: si tratta di un trio guidato dalla pianista e compositrice Lovie Austin, una delle pochissime bandleader femminili del jazz non solo di quegli anni, ma anche dei decenni successivi; pianista non eccelsa ma efficace, in questa occasione si avvale della ruvida quanto espressiva capacità solistica del trombettista Tommy Ladnier e del fraseggio bluesy, non elegante ma dotato di una sonorità che fa pensare a volte al fango del Mississippi, del clarinettista Jimmy O’Bryant. Uno degli otto brani è il già citato Moonshine Blues:

«Ho bevuto tutta la notte, caro, e anche la notte precedente.
Ma quando ridiventerò sobria, non berrò più,
Perché il mio amico mi ha lasciato, in piedi sulla mia porta».

Nel novembre 1924 registra Cell bound blues, uno dei suoi brani più intensi e drammatici con l’accompagnamento della stessa formazione; qui si mette particolarmente in luce Jimmy O’Bryant, figura ingiustamente dimenticata, che dimostra di essere un clarinettista di grande sensibilità.

«Sono entrata nella mia stanza, l’altra notte,
Il mio uomo è entrato e ha iniziato a picchiarmi.
Ho preso la mia pistola nella mano destra e ho detto:
“Fermatelo, gente, non voglio uccidere il mio uomo”.
Quando l’ho fatto, mi ha colpita sulla testa.
Al primo colpo che ho sparato, il mio uomo è morto».

Tra il gennaio e il marzo 1926 registra otto brani con una formazione straordinaria, che sotto il nome di Georgia Band nasconde in realtà un sestetto di all stars guidato dal pianista e bandleader Fletcher Henderson, che comprende Joe Smith alla tromba, Charlie Green al trombone, Buster Bailey al clarinetto, Coleman Hawkins al sax tenore e Charlie Dixon al banjo. Del 1928 è una serie di registrazioni che sembrano riportare ‘Ma’ nell’ambito di una espressività più rurale e meno jazzistica (tra queste Prove It On Me Blues), nelle quali la accompagnano il chitarrista Hudson ‘Tampa Red’ Whitaker e il pianista ‘Georgia Tom’ Dorsey. L’ultimo 78 giri pubblicato dalla Paramount porta sul lato A questo titolo, a suo modo emblematico: Ma and Pa poorhouse blues.

A questo punto la Paramount la scarica, non è più in linea con la moda; lo stesso sta accadendo, o accadrà presto, a molti artisti del jazz e del blues di quel periodo, da King Oliver a Jelly Roll Morton, fino ad allora celebri e sulla cresta dell’onda; la carriera della cantante conosce un rapido declino: si ritira dalle scene, definitivamente, nel 1933. Un attacco di cuore chiude la sua vita nella città che le ha dato i natali, il 22 dicembre 1939, a soli 53 anni:

"If anybody asks you who wrote this lonesome song,
tell ‘em you don’t know the writer, but Ma Rainey put it on"

(Se qualcuno vi chiede chi ha scritto questa canzone triste, ditegli che non sapete chi l’ha scritta, ma che Ma Rainey l’ha messa insieme):

così si conclude Last minute blues, il brano che l’artista utilizzava come bis nei suoi concerti. E cala il sipario. ‘Ma’ Rainey è stata una delle prime cantanti di blues a fare della propria arte una professione, e una delle prime, anche se non la prima, a registrare dei dischi. La prima artista afroamericana a registrare un disco di blues cantato, entrando così nella storia, era stata nel 1920 Mamie Smith per la Okeh Records, col celebre Crazy blues, che divenne un successo straordinario vendendo milioni di copie in meno di un anno e aprendo la strada a tutte le sue colleghe.

Viola Davis interpreta ‘Ma’ Rainey nel film Ma Rainey’s Black Bottom (2020)

‘Ma’ Rainey ha avuto grande influenza su tutte le cantanti che, dopo di lei, si sono dedicate al blues. La sua vita è stata raccontata nel dramma teatrale di August Wilson Ma Rainey’s Black Bottom, trasposto nel 2020 nell’omonimo film, nel quale la cantante viene interpretata splendidamente dall’attrice Viola Davis (attivista del movimento Black Lives Matter), candidata al Premio Oscar con quattro nomination per la sua interpretazione.

 ‘Ma’ Rainey accompagnata da The Wild Cats Jazz Band nel 1928 (fotografia di autore non noto)

Traduzione francese

Guenoah Mroue

«Je suis sortie hier soir avec un tas de personnes chères, elles devaient être des femmes, parce que les hommes ne me plaisent pas. C’est vrai, je porte le col et la cravate, c’est comme avoir le vent en poupe. Parce que tu dis que je le fais, personne ne m’a vue. Tu dois le prouver: Tu dis que je le fais, mais personne ne m’a vue. Tu dois certainement le prouver».

(Strofa de Prove It On Me Blues, chanson enregistrée par Ma' Rainey en juin 1928 à Chicago).

Pubblicità Paramount per il brano di ‘Ma’ Rainey Publicité Paramount pour la chanson de 'Ma' Rainey Prove It On Me Blues. (1928). Notez la femme noire dans des vêtements en partie masculins, à gauche

Gertrude Pridgett est née à Columbus, en Géorgie, le 26 avril 1886, fille de deux artistes itinérants minstrels, Thomas Pridgett Sr. et Ella Allen-Pridgett. À quatorze ans, elle rejoint un groupe de théâtre vaudeville et fait ses débuts à l’Opéra de Columbus dans le spectacle The Bunch of Blackberries, qui rencontre un certain succès ; elle attire l’attention de Will Rainey, 'Pa', lui aussi homme de spectacle. Le couple crée un groupe appelé Rabbit Foot Minstrels, qui joue dans un répertoire mixte de chansons populaires et de blues : l’un des spectacles, avec des influences marquées du vaudeville, porte le titre spirituel The assassinators of the blues. Pendant un certain temps, nous sommes en 1912, Bessie Smith fera également partie de la compagnie au début de sa carrière. La même 'Ma' Assume Rainey (que le surnom après son mariage avec 'Pa') raconte avoir entendu à St. Louis une femme chanter une chanson triste sur un homme quittant une fille; après en avoir arrangé les mots et la musique, l’artiste ajoute ce morceau, pour lequel elle prétendra plus tard à plusieurs reprises avoir inventé le terme 'blues', à son répertoire. La chanson est intitulée See See Rider et quelques années plus tard, le 16 octobre 1924, Gertrude enregistre la première version connue, accompagnée, entre autres, par un jeune Louis Armstrong.

«Je suis si malheureuse, j
e me sens si triste,
je suis toujours déprimée.
J’ai fait une erreur,
tout de suite, au début.
Oh, il semble si difficile de se séparer.
Oh, mais cette lettre
que je vais écrire,
j’espère qu’il se souviendra
quand il la recevra.
Regarde, regarde chevalier,
regarde ce que tu as fait».

En 1916, la chanteuse se sépare de son mari et depuis, elle apporte son propre spectacle sous l’enseigne Madame Gertrude 'Ma' Rainey and Her Georgia Smart Sets. Dotée d’une voix majestueuse, 'Ma' Rainey, sur scène, électrise littéralement le public : elle rit, gémit, hurle, exerçant un charme extraordinaire tout en n’étant pas canoniquement belle. Dans son autobiographie, le pianiste et compositeur Thomas A. Dorsey, qui l’avait accompagnée plusieurs fois en salle d’enregistrement et en tournée, en fait une description suggestive:

«Le numéro de 'Ma' Rainey était celui qui clôturait le spectacle. [… ] Le rideau se levait lentement et les projecteurs éclairaient doucement l’orchestre sur la scène, tandis que nous jouions l’introduction de la chanson de 'Ma' [...] 'Ma' était cachée dans une grande boîte qui avait la forme d’un phonographe, Un de ces phonographes qu’on utilisait il y a des années. Ce phonographe était de l’autre côté de la scène. Puis une fille est arrivée et a fait l’acte de mettre un disque. L’orchestre commençait alors à jouer Moonshine Blues : 'Ma' chantait les premières répliques cachées dans le phonographe , puis ouvrait une porte et sortait dans la lumière du projecteur arborant une toilette étincelante qui pesait un peu moins de dix kilos, et un collier en or. Le public devenait fou. C’était comme si le spectacle recommençait. 'Ma' tenait les spectateurs dans sa poche. Les strass qu’elle portait à ses doigts brillaient de mille feu. Le collier ressemblait à une armure d’or qui couvrait sa poitrine. On l’appelait la Dame à la luette d’or... Quand 'Ma' eut chanté le dernier morceau et le grand final, nous avions sept appels…».

C’est ce qu’écrit le chroniqueur Gunther Schuller dans son œuvre fondamentale Le jazz. La période classique - Les Années Vingt (1996) :

«c'est triste surtout que 'Ma' Rainey n’ait pas marqué au début de sa carrière, qui a commencé au tournant du siècle, à quatorze ans. Il serait fascinant de retracer, à travers sa maturation artistique, le chemin le long duquel le blues rural se transforma en blues urbain le plus raffiné et professionnel, dont le développement fut certainement parallèle à sa carrière. Quand enfin 'Ma' incisa, au milieu des années Vingt, elle n’était certainement pas la première à le faire, elle avait désormais une quarantaine d’années, et elle n’était probablement plus dans la plénitude des forces».

‘'Ma' dans une célèbre photo d’auteur inconnu, probablement prise après 1923

En 1923, l’artiste signe un contrat avec l’un des principaux labels opérant sur le marché des Race Records, une production destinée à être vendue dans les magasins réservés aux personnes de couleur; Paramount en fait l’une de ses stars, souvent aux côtés de musiciens et d’arrangeurs de premier plan: dommage que la qualité des enregistrements de ce label soit très médiocre, probablement pour économiser sur les coûts, par rapport à celle d’autres concurrents de l’époque, de Okeh à Victor, qui opèrent également sur le même marché. En décembre de la même année, la Paramount emmène en studio 'Ma' Rainey pour une séance d’enregistrement qui produit huit titres, publiés séquentiellement sur quatre 78 tours, marqués par les numéros de catalogue PM12080 à PM12083; dans ces enregistrements, elle est accompagnée de Lovie Austin and Her Blues Serenaders : il s’agit d’un trio dirigé par la pianiste et compositrice Lovie Austin, l’une des rares bandleuses féminines du jazz non seulement de ces années, mais aussi des décennies suivantes; pianiste peu excentrique mais efficace, elle utilise à cette occasion la rugueuse et expressive capacité soliste du trompettiste Tommy Ladnier et le phrasé bluesy, pas élégant mais doté d’une sonorité qui fait penser parfois à la boue du Mississippi, du clarinettiste Jimmy O’Bryant. L’un des huit morceaux est le Moonshine Blues:

 «J’ai bu toute la nuit, chéri, et même la nuit précédente.
Mais quand je redeviendrai sobre,je ne boirai plus,
Parce que mon ami m’a laissée, debout sur ma porte».

En novembre 1924, elle enregistre Cell bound blues, l’une de ses chansons les plus intenses et dramatiques avec l’accompagnement de la même formation; ici se met particulièrement en lumière Jimmy O’Bryant, figure injustement oubliée, qui se révèle être un clarinettiste de grande sensibilité.

«Je suis entrée dans ma chambre, l’autre nuit,
Mon homme est entré et a commencé à me frapper.
J’ai pris mon arme dans ma main droite et j’ai dit:
"Arrêtez-le, je ne veux pas tuer mon homme".
Quand je l’ai fait, il m’a frappé sur la tête.
Au premier coup que j’ai tiré, mon homme est mort ».

Entre janvier et mars 1926, elle enregistre huit chansons avec une formation extraordinaire, qui sous le nom de Georgia Band cache en réalité un sextet de all stars dirigé par le pianiste et bandleader Fletcher Henderson, qui comprend Joe Smith à la trompette, Charlie Green au trombone, Buster Bailey à la clarinette, Coleman Hawkins au saxophone ténor et Charlie Dixon au banjo. En 1928, il s’agit d’une série d’enregistrements qui semblent ramener 'Ma' dans le cadre d’une expressivité plus rurale et moins jazzy (entre autres Répétitions It On Me Blues), dans lesquels l’accompagnent le guitariste Hudson 'Tampa Red' Whitaker et le pianiste 'Georgia' Tom' Dorsey. Le dernier 78 tours publié par la Paramount porte sur le côté A ce titre, à sa manière emblématique: Ma and Pa poorhouse blues.

À ce stade, la Paramount la décharge, n’est plus en phase avec la mode; la même chose se produit, ou se produira bientôt, pour de nombreux artistes du jazz et du blues de cette période, de King Oliver à Jelly Roll Morton, jusque-là célèbres et au sommet de la vague; la carrière de la chanteuse connaît un déclin rapide : elle se retire de la scène, définitivement, en 1933. Une crise cardiaque ferme sa vie dans la ville natale, le 22 décembre 1939, à seulement 53 ans:


If anybody asks you who wrote this lonesome song,
tell 'em you don’t know the writer, but Ma Rainey put it on

(Si quelqu’un vous demande qui a écrit cette chanson triste, dites-lui que vous ne savez pas qui l’a écrite, mais que Ma Rainey l’a rassemblée):

ainsi se termine Last minute blues, la chanson que l’artiste utilisait comme bis dans ses concerts. Et le rideau tombe. 'Ma' Rainey a été l’une des premières chanteuses de blues à faire de son art une profession, et l’une des premières, même si ce n’est pas le cas, à enregistrer des disques. La première artiste afro-américaine à enregistrer un disque de blues, entrant ainsi dans l’histoire, était en 1920 Mamie Smith pour Okeh Records, avec le célèbre Crazy blues, qui est devenu un succès extraordinaire en vendant des millions d’exemplaires en moins d’un an et en ouvrant la voie à tous ses collègues.

Viola Davis interprète 'Ma' Rainey dans le film Ma Rainey’s Black Bottom, 2020 (2020)

'Ma' Rainey a eu une grande influence sur toutes les chanteuses qui, après elle, se sont consacrées au blues. Sa vie a été racontée dans le drame théâtral d’August Wilson Ma Rainey’s Black Bottom, transposé en 2020 dans le film du même nom, dans lequel la chanteuse est jouée magnifiquement par l’actrice Viola Davis (activiste du mouvement Black Lives Matter)Elle a été nominée pour quatre Oscars pour son interprétation.

  'Ma' Rainey accompagnée de The Wild Cats Jazz Band en 1928 (photographie d’auteur inconnu)

Traduzione inglese

Syd Stapleton

“Went out last night with a crowd of my friends,
They must've been women, 'cause I don't like no men.
It's true I wear a collar and a tie,
Makes the wind blow all the while
Don't you say I do it, ain't nobody caught me
You sure got to prove it on me.
Say I do it, ain't nobody caught me
Sure got to prove it on me.”

(Verse from Prove It On Me Blues, a song recorded by Ma' Rainey in June 1928 in Chicago).

Pubblicità Paramount per il brano di ‘Ma’ Rainey (Photo) Paramount advertisement for 'Ma' Rainey's song Prove It On Me Blues (1928). (1928). Note the black woman in partly male clothing, left

Gertrude Pridgett was born in Columbus, Georgia, on April 26, 1886, the daughter of two itinerant minstrels, Thomas Pridgett Sr. and Ella Allen-Pridgett. At age fourteen she joined a vaudeville theater group and made her debut at the Opera House in Columbus in the show The Bunch of Blackberries, which was quite successful. It attracted the attention of Will Rainey, known as 'Pa,' himself a showman. The pair started a group called Rabbit Foot Minstrels, which performed a mixed repertoire of folk and blues songs: one of the shows, with marked vaudeville influences, bore the witty title The Assassins of the Blues. For a time, in 1912, Bessie Smith, early in her career, would also be part of the troupe. 'Ma' Rainey (who assumed the nickname after her marriage to 'Pa') herself recounted hearing a woman in St. Louis singing a sad song about a man leaving a girl. After arranging the words and music, the artist added that song, for which she would later several times claim to have coined the term 'blues,' to her own repertoire. The song was titled See See Rider, and a few years later, on October 16, 1924, Gertrude recorded the first known version, accompanied by, among others, a young Louis Armstrong.

“I’m so unhappy,
I feel so blue.
I always feel so sad.
I made a mistake,
Right from the start.
Oh, it seems so hard to part.
Oh, but this letter That I will write
I hope he will remember
When he receive’ it.
Seee, see rider,
See what you done done."

In 1916 the singer separated from her husband and then brought her own show to the stage under the banner Madame Gertrude 'Ma' Rainey and Her Georgia Smart Sets. Gifted with majestic vocals, 'Ma' Rainey, on stage, literally electrified the audience. Laughing, groaning, screaming, exerting extraordinary charm despite not being classically beautiful. In his autobiography, pianist and composer Thomas A. Dorsey, who had accompanied her several times both in the recording studio and on tour, gives an evocative description

"The 'Ma' Rainey number was the one that closed the show. [...] The curtain rose slowly and spotlights shone softly on the orchestra on the stage, while we played the introduction of 'Ma's' song [...] 'Ma' was hidden in a large box that was shaped like a Victrola, one of those phonographs that were used many years ago. This Victrola was on the other side of the stage. Then a girl would come in and do the act of putting on a record. Then the orchestra would begin to play Moonshine Blues: 'Ma' would sing the first few bars hidden inside the Victrola, then she would open a door and step out into the spotlight sporting a glittering outfit that weighed just under ten pounds, and a necklace made of many pieces of gold. The audience went crazy. It was as if the show was starting all over again. 'Ma' held the spectators in her grasp. The diamonds she wore on her fingers glittered like so many fires. The necklace looked like gold armor covering her chest. They called her the Lady with the Golden Throat... When 'Ma' had sung the last piece and the grand finale, we had seven calls...."

The critic Gunther Schuller, in his seminal work Jazz, wrote the following in his book The Classical Period - The 1920s (1996):

"It is especially sad that 'Ma' Rainey did not record at the beginning of her career, which began at the turn of the century, at the age of fourteen. It would be fascinating to trace, through her artistic maturity, the path along which rural blues mutated into the more refined and professional urban blues, whose development certainly paralleled her career. When 'Ma' finally recorded, in the mid-1920s, she was certainly not the first to do so - she was in her early forties by then, and probably no longer in her prime."

‘'(Photo) 'Ma' in a famous photo by an unknown photographer, presumably taken after 1923

In 1923, the artist signed a contract with one of the major labels operating in the so-called “Race Records” market, a production intended to be sold in stores reserved for black people. Paramount made her one of its stars, often flanking her with leading musicians and arrangers - too bad that the quality of this label's recordings was decidedly mediocre, probably to save costs, compared to that of other competitors of the time, from Okeh to Victor, also operating in the same market. In December of the same year, Paramount brought 'Ma' Rainey into the studio for a recording session that produced eight tracks, released sequentially on four 78s, marked with catalog numbers PM12080 to PM12083; in these recordings she is accompanied by Lovie Austin and Her Blues Serenaders. This was a trio led by pianist and composer Lovie Austin, one of the very few female bandleaders in jazz not only of those years but also of the following decades. Not an excellent, but effective, pianist, on this occasion she makes use of the rough as well as expressive solo skills of trumpeter Tommy Ladnier and the bluesy phrasing, not elegant but endowed with a sonority that makes one think at times of Mississippi mud, of clarinetist Jimmy O'Bryant. One of the eight tracks is the aforementioned Moonshine Blues:

“I've been drinking all night, babe, and the night before
But when I get sober, I ain't gonna drink no more
'Cause my friend left me standin' in my door”

In November 1924 she recorded Cell Bound Blues, one of her most intense and dramatic songs with accompaniment by the same ensemble - here Jimmy O'Bryant, an unjustly forgotten figure, is particularly highlighted, proving to be a clarinetist of great sensitivity.

“I walked in my room the other night
My man walked in and begins to fight
I took my gun in my right hand
Told him, folks, I don't wanna kill my man
When I said that, he hit me 'cross my hеad
First shot I fired, my man fell dead.”

Between January and March of 1926 she recorded eight songs with an extraordinary lineup, which under the name “Georgia Band” actually hid an all-star sextet led by pianist and bandleader Fletcher Henderson, including Joe Smith on trumpet, Charlie Green on trombone, Buster Bailey on clarinet, Coleman Hawkins on tenor sax, and Charlie Dixon on banjo. From 1928, there is a series of recordings that seem to bring 'Ma' back into the realm of a more rural, less jazzy expressiveness (among them Prove It On Me Blues), in which she was accompanied by guitarist Hudson 'Tampa Red' Whitaker and pianist 'Georgia Tom' Dorsey. The last 78 rpm released by Paramount carries this title on the A-side, emblematic in its way: Ma and Pa Poorhouse Blues.

At this point Paramount dumped her, she was no longer in line with the fashion; the same was happening, or would soon happen, to many jazz and blues artists of that period, from King Oliver to Jelly Roll Morton, until then famous and on the crest of the wave. The singer's career experienced a rapid decline. She retired from the scene, for good, in 1933. A heart attack ended her life in her hometown, on December 22, 1939, at the age of only 53.

If anybody asks you who wrote this lonesome song
Tell 'em you don't know the writer, but Ma Rainey put it on”

So ends Last Minute Blues, the song the artist used as an encore in her concerts. And the curtain falls.'Ma' Rainey was one of the first blues singers to make her art a profession, and one of the first, though not the very first, to record records. The first African American artist to record a sung blues record, thus entering history, had been, in 1920, Mamie Smith, for Okeh Records, with the famous Crazy Blues, which became an extraordinary success selling millions of copies in less than a year - and paving the way for all her female colleagues.

(Photo) Viola Davis plays 'Ma' Rainey in Ma Rainey's Black Bottom (2020). (2020)

'Ma' Rainey had a great influence on all the singers who, after her, turned to the blues. Her life was chronicled in August Wilson's play Ma Rainey's Black Bottom, transposed in 2020 into the film of the same name, in which the singer is played beautifully by actress Viola Davis (Black Lives Matter movement activist), who was nominated for an Academy Award with four nominations for her performance.

  (Photo) 'Ma' Rainey accompanied by The Wild Cats Jazz Band in 1928 (photographer unknown)

Traduzione spagnola

Erika Incatasciato

«Salí anoche con una multitud de amigas mías
Debieron haber sido mujeres, porque no me gustan los hombres
Es cierto que llevo collar y corbata,
es como navegar con el viento en popa.
Dicen que lo hago, nadie me atrapó
Seguro tienes que demostrármelo
Dicen que lo hago, nadie me atrapó
Seguro tienes que demostrármelo»

(estrofa de Prove It On Me Blues, canción grabada por Ma’ Rainey en junio 1928 en Chicago)

Pubblicità Paramount per il brano di ‘Ma’ Rainey Anuncio Paramount para la canción de Ma’ Rainey Prove It On Me Blues (1928). A la izquierda, nótese la mujer de color con ropa de hombre.

Gertrude Pridgett nació en Columbus en Georgia el 26 abril de 1886, hija de los dos juglares itinerantes Thomas Pridgett Sr. y Ella Allen-Pridgett. A los catorce años formó parte de un grupo teatral de vaudeville y debutó en la Opera House de Columbus con el espectáculo teatral The Bunch of Blackberries que obtuvo un gran éxito; llamó la atención de Will Rainey, conocido como Pa’, él también hombre de espectáculo. La pareja fundó la compañía de Rabbit’s Foot que se exhibía con un repertorio mixto de canciones folk y blues: uno de los espectáculos con marcadas influencias de vaudeville llevaba el titulo humorístico The assasinators of the Blues. Por algún tiempo, en 1912, incluso Bessie Smith, al principio de su carrera, se unió a la compañía. La misma Ma’ Rainey (que tomó este apodo después de casarse con Pa’) contó que en San Luis había escuchado a una mujer que cantaba una canción triste sobre un hombre que deja a la novia. Tras arreglar la letra y la música, la artista añadió la pieza a su repertorio, por la que más tarde reivindicaría la palabra “blues”. La canción se titulaba See See Rider y unos años más tarde, el 16 de octubre de 1924, Gertrude grabó la primera versión famosa acompañada, entre otros, por un joven Louis Armstrong.

«Soy tan infeliz,
me siento tan triste,
siempre estoy deprimida.
Cometí un error,
Desde el principio.
Oh, parece tan difícil separarse.
Oh, pero esta carta
que voy a escribir
espero que él se acuerde
cuando la reciba.
Mira, mira jinete,
Mira lo que hiciste».

En 1916 la cantante se separó de su marido y desde entonces llevó al escenario su propio espectáculo bajo el nombre Madame Gertrude Ma’ Rainey and Her Georgia Smart Sets. Dotada de una majestuosa voz, Ma’ Rainey, en el escenario, electrizaba literalmente al público: reía, gemía, chillaba, ejerciendo un encanto extraordinario a pesar de no ser canónicamente bella. En su autobiografía, el pianista y compositor Thomas A. Dorsey, que la había acompañado varias veces tanto en el estudio de grabación como de gira, hace una descripción evocadora:

«El número de Ma’ Rainey era el que cerraba el espectáculo. […] El telón subía lentamente y los focos iluminaban suavemente la orquesta en el escenario, mientras tocábamos la intro de la canción de Ma’ […]. Ma’ se estaba escondida en una gran caja con forma de Vitrola, uno de los gramófonos que se utilizaban hace muchos años. Esa Vitrola estaba al otro lado del escenario. Luego, llegaba una chica que hacía como si pusiera el disco. Entonces la orquesta empezaba a tocar Moonshine Blues. Ma’ cantaba las primeras estrofas escondida en la Vitrola, luego abría la puerta y, saliendo de allí, los focos lucían su centelleante traje que pesaba poco menos de diez kilos y un collar con muchas piezas de oro. El público enloquecía. Era como si el espectáculo empezara de nuevo. Ma’ se metía al público en el bolsillo. Los diamantes que llevaba en los dedos brillaban como el fuego. El collar parecía una armadura de oro que le cubría el pecho. La llamaban la Dama de la Garganta de Oro… Cuando Ma’ terminó la última canción y el gran final, tuvimos una gran ovación…».

Así escribió el crítico Gunther Schuller en su obra fundamental El jazz, sus raíces y su desarrollo, (1973):

«Sobre todo, es triste que Ma’ Rainey no haya grabado al principio de su carrera, que empezó con el cambio del siglo, a los catorce años. Sería fascinante recorrer, a través de su maduración artística, el camino por el que el blues rural se transformó en el blues urbano más refinado y profesional, cuyo desarrollo fue sin duda paralelo a su carrera. Cuando Ma’ grabó finalmente, a mediados de los años Veinte, no fue ciertamente la primera en hacerlo, ya tenía cuarenta años y probablemente ya no estaba en su apogeo».

‘'(Photo) Ma’ en una foto famosa de autor desconocido probablemente tomada después de 1923

En 1923, la cantante firmó un contrato con uno de los más importantes sellos discográficos del mercado, la Race Records, una producción destinada a venderse en las tiendas de las personas de color; la Paramount la convirtió en una de sus estrellas, sosteniéndola a menudo con músicos y compositores destacados: es una lástima que la calidad de las grabaciones con este sello sea muy mediocre, probablemente para ahorrar costes, en comparación con otros competidores de su época, como la Okeh o la Victor, que también se movían en el mismo mercado. En diciembre del mismo año, Paramount lleva al estudio a Ma’ Rainey para una sesión de grabación que produce ocho canciones, publicadas en secuencia en cuatro discos de 78 RPM, marcados por los números de catálogo de PM12080 a PM12083; en estas grabaciones la acompañan Lovie Austin and Her Blues Serenades: se trata de un trío liderado por la pianista y la compositora Lovie Austin, una de las escasísimas mujeres directoras de bandas jazz no solo de aquellos años, sino también de las décadas siguientes. No es una pianista excelsa, pero es eficaz. En esta ocasión, se sirve de las habilidades solistas, tan ásperas como expresivas, del trompetista Tommy Ladnier y del fraseo bluesy (de blues) no elegante, pero dotado de una sonoridad que a veces hace pensar en el barro del Misisipi, del clarinetista Jimmy O’Bryant. Una de las ocho canciones es la ya mencionada Moonshine Blues:

«He bebido toda la noche, cariño, incluso la noche anterior,
Pero cuando esté sobria, no volveré a beber,
Porque mi amigo me dejó plantada en mi puerta».

En noviembre de 1924 grabó Cell Bound Blues, una de las canciones más intensas y dramáticas acompañada por el mismo grupo; aquí destaca especialmente Jimmy O’Bryant, una figura injustamente olvidada que demuestra ser un clarinetista de gran sensibilidad.

«Entré en mi habitación, la otra noche,
Mi hombre entró y empezó a pegarme.
Cogí mi pistola con la mano derecha y dije:
“Detenedlo, no quiero matar a mi hombre”.
Cuando lo hice, me pegó en la cabeza.
Con el primer tiro que disparé, mi hombre murió».

Entre enero y marzo de 1926 grabó ocho canciones con un grupo excepcional que, bajo el nombre de Georgia Band, esconde en realidad un sexteto con grandes estrellas, liderado por el pianista y director de banda Fletcher Henderson, que incluía a Joe Smith en la trompeta, Charlie Green en el trombón, Buster Bailey en el clarinete, Coleman Hawkins en el saxofón tenor y Charlie Dixon en el banjo. El 1928 es un año de una serie de grabaciones que parecen devolver a Ma’ al terreno de una expresividad más rural y menos jazz (entre todas Prove It On Me Blues), en las que la acompañan el guitarrista Hudson ‘Tampa Red’ Whitaker y el pianista ‘Georgia Tom’ Dorsey. El último 78 RPM publicado por Paramount en el lado A lleva el título, de algún modo emblemático, Ma and Pa Poorhouse blues.

A partir de aquel momento, la Paramount se la quitó de encima: ya no estaba de moda; lo mismo les estaba pasando o estaba a punto de ocurrirles a muchos artistas del jazz y del blues de aquella época; desde King Oliver hasta Jelly Roll Morton, hasta entonces famosos y en su apogeo. La carrera de la cantante conoció un rápido descenso: dejó los escenarios, definitivamente, en 1933. Un ataque cardiaco puso fin a su vida en la ciudad donde nació, el 22 de diciembre de 1939, con tan sólo 53 años.

"If anybody asks you who wrote this lonesome song, tell’em you don’t know the writer, but Ma Rainey put it on"

(«Si alguien les pide quien escribió esta canción melancólica, díganle que no saben quien la escribió, pero que Ma’ Rainey la arregló»):

así concluye Last Minute Blues, la canción que la artista cantaba en el bis de sus conciertos. Telón de fondo. Ma’ Rainey fue una de las primeras cantantes del blues en hacer de su arte una profesión y una de las primeras, aunque no la primera, en grabar discos. La primera artista afroamericana en grabar un disco de blues cantado, entrando así en la historia, fue Mamie Smith en 1920 para la Okeh Records, con la famosa Crazy Blues, que fue un éxito extraordinario y vendió millones de discos en menos de un año abriendo el camino de todas sus compañeras.

(Photo) Viola Davis interpreta a Ma’ Rainey en la película Ma Rainey’s Black Bottom [La Madre del Blues] (2020). (2020)

Ma’ Rainey tuvo una gran influencia en todas las cantantes que se dedicaron al blues después de ella. Su vida fue relatada en la obra de teatro de August Wilson Ma Rainey’s Black Bottom, adaptada en 2020 en la película La Madre del Blues, en la que la cantante es interpretada maravillosamente por la actriz Viola Davis (activista del movimiento Black Lives Matter), nominada al Premio Óscar con cuatro candidaturas por su interpretación.

  Ma’ Rainey acompañada por The Wild Cats Jazz Band en 1928 (fotografía de autor desconocido)

Bessie Smith
Laura Coci




Laura Zemik

 

«Sto seduta nella mia casa, e ho mille cose nella mente,
guardo l’orologio e non riesco neppure a leggere l’ora.
Vado alla finestra e guardo fuori dalla porta,
vorrei che il mio uomo tornasse di nuovo a casa sua.
Non riesco a mangiare, non riesco a dormire,
son così debole che non riesco ad attraversare la stanza
mi sento di gridare all’assassinio, di farmi prendere ancora dalla squadra della polizia.
Mi hanno svegliata prima dell’alba, e avevo la mente sconvolta,
mi torcevo le mani e gridavo, camminavo per la stanza, urlavo e piangevo.
Prendeteli, non lasciate che i blues entrino qui dentro
mi scuotono nel mio letto, non riesco a sedermi sulla sedia.
Oh, i blues mi hanno messo la frenesia addosso
hanno girato intorno alla mia casa, entrando e uscendo dalla porta principale».

(da In the House Blues, registrato a New York l’11 giugno1931, disco Columbia 14611-D, traduzione di Luciano Federighi).

Bessie Smith in un celebre ritratto fotografico del 1923 (autore non noto)

«Con tutta probabilità Bessie non sarebbe stata una così grande cantante se non avesse avuto una vita così drammatica e amara». Così scrive il grande studioso di blues e folklore afroamericano Paul Oliver nella biografia Bessie Smith (Cassell & Co., London 1959). Una ragazza di colore nata nel 1894 (il 15 aprile), a Chattanooga, Tennessee, da una famiglia poverissima, la cui casa è costituita da una baracca di legno con un’unica stanza. I genitori e una sorella muoiono prima che lei compia i nove anni e la sorella maggiore Viola cerca, come può, di provvedere a quel che rimane della famiglia e di tenerla unita. Proprio a nove anni Bessie esordisce all’Ivory Theatre della sua città, contribuendo, grazie alla sua particolarissima voce, a rimpolpare le magre entrate familiari; quando i Rabbit Foot Minstrels, guidati da Will ‘Pa’ Rainey e dalla sua giovanissima moglie Gertrude ‘Ma’ Rainey, arrivano in città, ascoltano la piccola Bessie e non esitano a ingaggiarla come cantante bambina: è l’inizio della tumultuosa carriera della più grande cantante di blues di tutti i tempi. Racconta Gian Carlo Roncaglia nel suo splendido libro Il jazz e il suo mondo (Einaudi, Torino 1979): «[…] quando la Columbia, grazie al fiuto di Frank Walker, la ingaggiò, ottenne tali utili dalla vendita dei suoi dischi da risollevare le sorti economiche del suo bilancio, messe in pericolo, proprio in quegli anni, da non brillanti decisioni manageriali. E Bessie, con la sua parte di guadagno, poté trasferire la sua famiglia da Chattanooga a Philadelphia, acquistando contemporaneamente una fattoria nel New Jersey, nella quale si sarebbe per un non breve periodo stabilita».

E ancora Paul Oliver: «…solo dieci anni prima era una ragazza-prodigio che ballava in uno spettacolo di minstrels per un dollaro al giorno: ora poteva chiedere mille, millecinquecento dollari per ogni spettacolo. Quando veniva pubblicato uno dei suoi dischi riceveva un pagamento anticipato di mille dollari e il cinque per cento sulle vendite dopo il superamento della cifra di mille dollari». Il denaro non le concede la felicità: una testimonianza attendibile racconta, per esempio, che nel solo anno 1926, in sei mesi, Bessie riuscì a spendere 16.000 dollari in gin, abiti e pellicce; ma anche in beneficenza, compiendo gesti leggendari: celebre l’interruzione di una tournée per correre dalla moglie del suo impresario per aiutarla ad accudire il figlio gravemente ammalato, facendole da cameriera e nurse fino a quando il bambino non guarisce.

Bessie Smith in un fotogramma del cortometraggio St. Louis Blues, diretto da Dudley Murphy nel 1929

Così, invece, la descrive il clarinettista Milton ‘Mezz’ Mezzrow (il cui vero cognome era Mesirov), nato a Chicago da una coppia di ebrei russi immigrati, curiosa figura di musicista ma anche spacciatore di stupefacenti che, bianco per nascita, cercò in tutti i modi, senza riuscirci, di far riportare sui propri documenti che era di razza “negra”: «Bessie era una vera donna dalla testa ai piedi: tutta la femminilità del mondo riunita in un dolce involucro. Alta, la pelle scura, con due grandi fossette che le solcavano le guance: una bellezza voluttuosa, massiccia e formosa, ma solenne, con un magnete ad alta tensione per personalità. Quando era nel suo camerino era come se la sua vitalità si addensasse in una spessa nube che tutto riempiva fino a far scoppiare i muri. Non aveva nessuna posa, nessuna affettazione: quelle sue note d’oro uscivano luminose dalla sua bocca senza nessuno sforzo. Essa non faceva altro che mettersi a cantare, e allora tutto l’amore, tutta l’allegria, tutta la tristezza del mondo uscivano dal suo cuore con violenza». (da Milton ‘Mezz’ Mezzrow/Bernard Wolfe, Really the Blues, JazzBookClub, New York 1946). Della sua ben nota dipendenza dall’alcol Bessie Smith cantò più volte, come nella celebre Me and My Gin (registrato a New York il 25 agosto 1928, disco Columbia 14384-D, qui nella bella traduzione di Walter Mauro):

«Sta’ alla larga da me, perché son tutta un peccato,
se questo posto crolla è tutta colpa del gin che ho in corpo.
Che nessuno mi provochi, perché tanto non la spunterebbe,
posso fronteggiare l’esercito e la marina con il gin che ho in corpo.
Ogni contrabbandiere è amico mio,
perché una vecchia, buona bottiglia di gin può fare miracoli.
Quando sono su di giri non c’è niente che non farei,
riempimi di alcol e sarò certo molto carina con te.
Non voglio vestiti, non ho bisogno di un letto,
non voglio braciole di maiale, dammi solo del gin.»

In Gimmie a Pigfoot (registrato a New York il 24 novembre 1933, disco Okeh 8945, traduzione di Gian Carlo Roncaglia), in uno dei quattro brani dell’ultima seduta di registrazione della cantante, la trasgressione, non solo quella dell’alcol, diviene collettiva:

«In Harlem ogni sabato sera
quando i negri si riuniscono
succede un pandemonio.
Vengono da ogni dove per ballare tutta la notte
e ce la mettono tutta. […]
Mi va di spassarmela come dico io,
date da bere al pianista, che mi sta stendendo.
Eccolo che ha preso il ritmo, ah sì,
quando batte i piedi mi sento stordire.
Mettete via coltelli e pistole
sennò va a finire che facciamo a botte e vengono le madame.
Voglio un boccale e una bottiglia di birra,
su, che vuoi che m’importi?
Suona, tanto che m’importa?»

Nei suoi blues Bessie Smith parla spesso di amore e di sesso, anche al limite della pornografia come in Empty Bed Blues (registrato a New York il 20 marzo 1928, disco Columbia 14312-D, traduzione di Walter Mauro):

«Mi sono svegliata stamattina con un terribile mal di testa,
mi sono accorta che il mio nuovo amore mi aveva lasciata,
con camera e letto vuoto.
Eppure lui sapeva come eccitarmi, lo faceva notte e giorno,
faceva l’amore in un modo così diverso che quasi mi levava il fiato.
Mi aveva insegnato cose che non avevo mai appreso da nessuno,
questo mio nuovo amore mi aveva insegnato tante cose nuove;
pensate un po’, quando ebbe finito di insegnarmi tutto,
io mi iscrissi di nuovo a scuola».

In altre occasioni Bessie utilizza un frasario zeppo di doppi sensi, come in You’ve Been an Old Good Wagon (con l’accompagnamento di un giovane Louis Armstrong, registrato a New York il 14 gennaio 1925, disco Columbia 14079-D, nella traduzione, ancora una volta, di Walter Mauro):

«Senti un po’, tesoro, bisogna proprio che te lo dica,
per favore levati di torno,
siamo pari, me ne vado stanotte;
hai fatto il tuo tempo, non mettere su il muso,
sei stato una splendida fuori serie, tesoro, ma adesso hai chiuso.
Ora faresti bene ad andare in officina a farti mettere in sesto,
non hai più nulla che possa far crollare una donna in gamba;
vedi, nessuno vuole un moccioso quando può avere un uomo come si deve,
sei stato una splendida fuori serie, tesoro, ma adesso hai chiuso.
Bisogna battere il ferro finché è caldo,
l’automobile funziona, ma non ce la fai più a correre come prima;
quando eri in forma ti piaceva scorrazzare in su e in giù,
sei stato una splendida fuori serie, amore, ma adesso hai chiuso».

Il celebre critico musicale Joachim E. Berendt, nella sua fondamentale opera Il libro del jazz. Dal New Orleans al free jazz (traduzione italiana di L. Luzzatto, Garzanti, Milano 1973) nota:

«È difficile stabilire in che cosa consista il fascino della sua voce. Forse sta nel fatto che la sua voce aspra e rauca sembra essere velata da una profonda tristezza, anche nelle melodie più scatenate e allegre. Bessie cantava come la rappresentante di un popolo che per secoli aveva vissuto in schiavitù e che dopo l’abolizione della schiavitù doveva subire peggiori discriminazioni di quanto fosse accaduto nel periodo più nero della schiavitù. Il fatto che la sua tristezza si esprima senza un’ombra di sentimentalismo proprio nell’asprezza e nella maestosità della sua voce, è un suo segreto».

 

)

Bessie Smith in un ritratto fotografico del 1936 (Carl Van Vechten, Library of Congress) Bessie Smith in una fotografia del 1925 circa (Michael Ochs Archives / Getty Images

Sei anni di grande successo, dal 1923 al 1929, poi un rapido declino, concomitante con il periodo drammatico della Grande depressione statunitense: il pubblico, quello ancora in grado di comprare dischi e andare ai concerti, vuole solo musica disimpegnata e divertente e così finisce la carriera di tanti musicisti e cantanti che fino a quel momento erano stati gli idoli delle folle. L’ultima seduta di incisione, dopo oltre due anni di silenzio, è del 1933 e viene organizzata per il mercato britannico; tra i musicisti che accompagnano Bessie Smith anche un giovane clarinettista bianco, Benny Goodman: di fatto un passaggio di consegne tra due epoche musicali lontanissime tra loro.

Sulla morte prematura della cantante, a quarantatré anni, è circolata a lungo una storia molto drammatica, rivelatasi poi lontana dalla realtà: non è vero che le rifiutarono i soccorsi perché di colore, quando restò mortalmente ferita in un incidente stradale a Clarksdale, Mississippi; è vero, però, che l’ambulanza che avrebbe dovuto portarla all’Afro american hospital, un ospedale riservato alla gente di colore (e basterebbe questo particolare per descrivere l’oscenità della società statunitense dell’epoca, appena attenuatasi nei decenni successivi), giunse con un certo ritardo: Bessie non si sarebbe salvata in ogni caso. È il 26 settembre 1937: cala, definitivamente, il sipario.


Traduzione francese

Guenoah Mroue

«Je suis assise dans ma maison, et j’ai mille choses en tête,
je regarde l’a montre et je ne peux même pas lire l’heure.
Je vais à la fenêtre et je regarde par la porte,
je voudrais que mon homme revienne chez lui.
Je ne peux pas manger, je ne peux pas dormir,
je suis si faible que je ne peux pas traverser la pièce
que je me sens crier au meurtre, me faire attraper encore par l’équipe de police.
Ils m’ont réveillée avant l’aube, et j’avais l’esprit bouleversé,
je me tordais les mains et je criais, je marchais dans la pièce, je criais et je pleurais.
Prenez-les, ne laissez pas les blues entrer
ici me secouer dans mon lit, je ne peux pas m’asseoir sur la chaise.
Oh, les blues m’ont mis la frénésie
autour de ma maison, entrant et sortant par la porte d’entrée».

(de In the House Blues, enregistré à New York le 11 juin 1931, disque Columbia 14611-D, traduction de Luciano Federighi).

1.Bessie Smith dans un célèbre portrait photographique de 1923 (auteur inconnu)

«Bessie n’aurait probablement pas été une si grande chanteuse si elle n’avait pas eu une vie aussi dramatique et amère». C’est ce qu’écrit le grand chercheur en blues et folklore afro-américain Paul Oliver dans la biographie Bessie Smith (Cassell & Co., London 1959). Une fille de couleur née en 1894 (le 15 avril), à Chattanooga, Tennessee, d’une famille très pauvre, dont la maison se compose d’une cabane en bois avec une seule pièce. Les parents et une sœur meurent avant l’âge de neuf ans et la grande sœur Viola essaie, comme elle le peut, de subvenir aux besoins de ce qui reste de la famille et de la garder unie. À l’âge de neuf ans, Bessie fait ses débuts au Ivory Theatre de sa ville natale, contribuant, grâce à sa voix particulière, à étoffer les maigres revenus familiaux; quand les Rabbit Foot Minstrels, dirigés par Will 'Pa' Rainey et sa très jeune épouse Gertrude 'Ma' Rainey, ils arrivent en ville, écoutent la petite Bessie et n’hésitent pas à l’engager comme enfant chanteuse: c’est le début de la carrière tumultueuse de la plus grande chanteuse de blues de tous les temps. Gian Carlo Roncaglia raconte dans son splendide livre Le jazz et son monde (Einaudi, Turin 1979) : «[... ] quand Columbia, grâce au flair de Frank Walker, l’engagea, obtint des bénéfices tels que la vente de ses disques lui permettait de redresser le sort économique de son bilan, mis en péril, au cours de ces années, par de vaines décisions de gestion. Et Bessie, avec sa part de gain, put transférer sa famille de Chattanooga à Philadelphie, en achetant simultanément une ferme dans le New Jersey, dans laquelle on serait pour une période non brève établie »

Et encore Paul Oliver : «... seulement dix ans auparavant, c’était une fille prodige qui dansait dans un spectacle de minstrels pour un dollar par jour : maintenant elle pouvait demander mille, mille cinq cents dollars pour chaque spectacle. Lorsqu’un de ses disques était publié, elle recevait un paiement anticipé de mille dollars et cinq pour cent sur les ventes après avoir dépassé le chiffre de mille dollars». L’argent ne lui donne pas le bonheur : un témoignage fiable raconte, par exemple, qu’en la seule année 1926, en six mois, Bessie réussit à dépenser 16000 dollars en gin, vêtements et fourrures; mais aussi à la charité, en accomplissant des gestes légendaires : célèbre l’interruption d’une tournée pour courir chez la femme de son entrepreneur pour l’aider à s’occuper de son fils gravement malade, en lui servant de servante et de nurse jusqu’à ce que l’enfant guérisse.

Bessie Smith dans un cadre du court métrage St. Louis Blues,réalisé par Dudley Murphy en 1929

Ainsi, par contre, le clarinettiste Milton 'Mezzrow' (dont le vrai nom était Mesirov), né à Chicago d’un couple de juifs russes immigrés, curieuse figure de musicien mais aussi trafiquant de stupéfiants qui, blanc de naissance, chercha de toutes les manières, sans y parvenir, de faire rapporter sur ses documents qu’il était de race "noire" : «Bessie était une vraie femme de la tête aux pieds: toute la féminité du monde réunie dans une douce enveloppe. Grande, la peau foncée, avec deux grandes fossettes qui sillonnaient ses joues: une beauté voluptueuse, massive et formée, mais solennelle, avec un aimant haute tension pour personnalité. Quand elle était dans sa loge, c’était comme si sa vitalité s’épaississait dans un épais nuage que tout remplissait jusqu’à faire éclater les murs. Elle n’avait aucune pose, aucune affectation: ses notes d’or sortaient brillantes de sa bouche sans aucun effort. Elle ne faisait que chanter, et alors tout l’amour, toute la joie, toute la tristesse du monde sortaient de son cœur avec violence». (de Milton 'Half Row/Bernard Wolfe, Really the Blues, JazzBookClub, New York 1946). Bessie Smith chanta plusieurs fois de sa fameuse dépendance à l’alcool, comme dans le célèbre Me and My Gin (enregistré à New York le 25 août 1928, disque Columbia 14384-D, ici dans la belle traduction de Walter Mauro):

«Reste loin de moi, car je suis tout un péché,
si cet endroit s’écroule, c’est tout le gin que j’ai dans mon corps.
Que personne ne me provoque, parce que ça ne la fera pas gagner,
je peux affronter l’armée et la marine avec le gin que j’ai dans le corps.
Chaque contrebandier est mon ami,
car une bonne vieille bouteille de gin peut faire des miracles.
Quand je suis excitée, il n’y a rien que je ne ferais pas,
remplis-moi d’alcool et je serai très gentille avec toi.
Je ne veux pas de vêtements, je n’ai pas besoin de lit,
je ne veux pas de côtes de porc, donnez-moi juste du gin.»

Dans Gimmie a Pigfoot (enregistré à New York le 24 novembre 1933, disque Okeh 8945, traduction de Gian Carlo Roncaglia), dans l’un des quatre morceaux de la dernière séance d’enregistrement de la chanteuse, la transgression, et pas seulement celle de l’alcool, devient collective:

«Dans Harlem, tous les samedis soirs
quand les nègres se réunissent,
il se passe un vacarme.
Ils viennent de partout pour danser toute la nuit
et ils font de leur mieux. [... ]
J’ai envie de m’éclater comme je dis,
donnez un verre au pianiste, qui est en train de m’endormir.
Le voilà qui prend le rythme, ah oui,
quand il bat les pieds je me sens étourdi.
Rangez vos couteaux et vos flingues, sinon on se fait tabasser et les Dames viennent.
Je veux une chope et une bouteille de bière,
Aller, qu'est-ce que cela peut m'apporter?
Joue, qu’est-ce que ça me fait ?»

Dans ses blues, Bessie Smith parle souvent d’amour et de sexe, même à la limite de la pornographie comme dans Empty Bed Blues (enregistré à New York le 20 mars 1928, disque Columbia 14312-D, traduction de Walter Mauro)

«Je me suis réveillée ce matin avec un terrible mal de tête,
je me suis aperçue que mon nouvel amour m’avait quittée, avec chambre et lit vide.
Et pourtant il savait comment m’exciter,il le faisait nuit et jour,
il faisait l’amour d’une manière si différente qu’il me coupait presque le souffle.
Il m’avait appris des choses que je n’avais jamais apprises de personne,
ce nouvel amour m’avait appris tant de choses nouvelles;
pensez un peu, quand il eut fini de tout m’apprendre,
je m’inscrivis de nouveau à l’école».

À d’autres occasions, Bessie utilise un phrasé bourré de doubles sens, comme dans You’ve Been an Old Good Wagon (accompagné d’un jeune Louis Armstrong, enregistré à New York le 14 janvier 1925, disque Columbia 14079-D, dans la traduction, encore une fois, de Walter Mauro):

«Écoute, chérie, il faut vraiment que je te le dise,
s’il te plaît, dégage de mon chemin,
On est quittes, je pars ce soir,
tu as fait ton temps, ne fais pas la tête,
tu as été une belle excentrique, chérie, mais c’est fini.
Tu ferais bien de t’en aller pour te faire soigner,
tu n’as plus rien qui puisse faire craquer une femme brillante,
tu vois, personne ne veut d’un morveux quand il peut avoir un homme convenable,
tu as été une belle excentrique, chérie, mais maintenant c’est fini.
Il faut battre le fer tant qu’il est chaud, l
a voiture fonctionne, mais tu ne peux plus courir comme avant;
quand tu étais en forme tu aimais courir de haut en bas,
tu as été une merveilleuse hors série, amour, mais maintenant c’est fini».

Le célèbre critique musical Joachim E. Berendt, dans son œuvre fondamentale Le livre du jazz. De la Nouvelle-Orléans au free jazz (traduction italienne de L. Luzzatto, Garzanti, Milan 1973) remarque:

«Il est difficile d’établir en quoi consiste le charme de sa voix. Peut-être est-ce dû au fait que sa voix rugueuse et rauque semble être voilée par une profonde tristesse, même dans les mélodies les plus déchaînées et joyeuses. Bessie chantait comme la représentante d’un peuple qui avait vécu en esclavage pendant des siècles et qui, après l’abolition de l’esclavage, devait subir de pires discriminations que ce qui s’était passé dans la période la plus sombre de l’esclavage. Le fait que sa tristesse s’exprime sans une ombre de sentimentalisme précisément dans la dureté et la majesté de sa voix, est son secret».

 

)

Bessie Smith dans un portrait photographique de 1936 (Carl Van Vechten, Library of Congress) Bessie Smith dans une photographie de 1925 (Michael Ochs Archives / Getty Images)

Sur la mort prématurée de la chanteuse, à quarante-trois ans, a longtemps circulé une histoire très dramatique, qui s’est révélée loin de la réalité : il n’est pas vrai qu’on lui refusa les secours parce que de couleur, quand elle fut mortellement blessée dans un accident de voiture à Clarksdale, Mississippi; il est vrai, cependant, que l’ambulance qui aurait dû l’emmener à l’Afro american hospital, un hôpital réservé aux personnes de couleur (et cela suffirait pour décrire l’obscénité de la société américaine de l’époque, à peine atténuée dans les décennies suivantes)Bessie ne se sauverait pas de toute façon. Nous sommes le 26 septembre 1937 : le rideau tombe définitivement.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

Settin' in the house with everything on my mind
Lookin' at the clock and can't even tell the time
Walkin' to my window, an' lookin' out of my door
Wishin' that my man would come home once more
Can't eat, can't sleep, so weak I can't walk my floor
Feel like hollerin' murder, let the Police Squad get me once more
They woke me before day with trouble on my mind
Wringin' my hands and screamin', walkin' the floor hollerin' and cryin'
Catch 'em, don't let them blues in here
They shakes me in my bed, can't set down in my chair
Oh, the blues has got me on the go
Oh, they've got me on the go
They runs around my house, in and out of my front door

(From In the House Blues, recorded in New York on June 11,1931, Columbia disc 14611-D)

Bessie Smith in a famous 1923 photographic portrait (photographer unknown)

"In all probability Bessie would not have been such a great singer if she had not had such a dramatic and bitter life." So writes the great scholar of African American blues and folklore Paul Oliver in the biography Bessie Smith (Cassell & Co., London 1959). A black girl, she was born April 15, 1894, in Chattanooga, Tennessee, to a very poor family whose home consisted of a one-room log cabin. Her parents and a sister died before she turned nine, and her older sister Viola tried, as best she could, to provide for what was left of the family and keep it together. At the age of only nine, Bessie made her debut at the Ivory Theatre in her hometown, helping, thanks to her very special voice, to replenish the meager family income. When the Rabbit Foot Minstrels, led by Will 'Pa' Rainey and his very young wife Gertrude 'Ma' Rainey, came to town, they heard little Bessie and didn’t hesitate to hire her as a child singer. It was the beginning of the tumultuous career of the greatest blues singer of all time. Gian Carlo Roncaglia recounts in his splendid book Il jazz e il suo mondo (Einaudi, Turin 1979), "[...] when Columbia, thanks to Frank Walker's flair, hired her, they obtained such profits from the sale of her records that they were able to lift the economic fortunes of their enterprise, endangered, precisely in those years, by poor managerial decisions. And Bessie, with her share of the profits, was able to move her family from Chattanooga to Philadelphia, at the same time buying a farm in New Jersey, on which she would settle for a not short time."

" And again Paul Oliver: "... only ten years earlier she was a girl-prodigy dancing in a minstrels' show for a dollar a day: now she could charge a thousand, fifteen hundred dollars per show. When one of her records was released she received an upfront payment of one thousand dollars and five percent on sales after the thousand dollar figure was exceeded." Money did not grant her happiness. Reliable testimony relates, for example, that in the year 1926 alone, in six months, Bessie managed to spend $16,000 on gin, dresses and furs - but also on charity, making legendary gestures. Famous is her interruption of a tour to run to her impresario's wife to help her care for her seriously ill son, acting as her maid and nurse until the child recovered.

Bessie Smith in a frame from the short film St. Louis Blues,directed by Dudley Murphy in 1929.

In contrast, clarinetist Milton 'Mezz' Mezzrow (whose real last name was Mesirov), born in Chicago to a Russian Jewish immigrant couple, a curious figure of a musician but also a drug dealer who, white by birth, tried unsuccessfully to have his documents state that he was of the "Negro" race, describes her this way: "Bessie was a real woman from head to toe: all the womanhood of the world gathered in a sweet wrapper. Tall, dark-skinned, with two large dimples furrowing her cheeks: a voluptuous beauty, massive and shapely, yet solemn, with a high-voltage magnet for personality. When she was in her dressing room it was as if her vitality thickened into a dense cloud that filled everything until the walls burst. She had no pose, no affectation - those golden notes of hers came brightly out of her mouth without any effort. She did nothing but set to singing, and then all the love, all the cheerfulness, all the sadness of the world came violently out of her heart." (from Milton 'Mezz' Mezzrow/Bernard Wolfe, Really the Blues, JazzBookClub, New York 1946).

Bessie Smith sang several times of her well-known addiction to alcohol, as in the famous Me and My Gin (recorded in New York on August 25, 1928, Columbia disc 14384-D):

Stay away from me 'cause I'm in my sin
Stay away from me 'cause I'm in my sin
If this place gets raided, it's me and my gin

Don't try me nobody, oh, you will never win
Don't try me nobody 'cause you will never win
I'll fight the army, navy just me and my gin

Any bootlegger sure is a pal of mine
Any bootlegger sure is a pal of mine
'Cause a good ol' bottle o' gin will get it all the time

When I'm feeling high, ain't nothing I won't do
When I'm feeling high, ain't nothing I won't do
Get me full of liquor and I'll sure be nice to you

I don't want no cloak and I don't need no bed
I don't want no cloak and I don't need no bed
I don't want no porkchop, just give me gin instead

In Gimmie a Pigfoot (recorded in New York on November 24, 1933, Okeh disc 8945), in one of four tracks from the singer's last recording session, transgression, not just that of alcohol, becomes collective:

Up in Harlem every Saturday night
When the high-browns get together it's just too tight
They all congregate at an all night strut
And what they do is tut-tut-tut

[...]

I feel just like I wanna clown
Give the piano player a drink because he's bringing me down

He's gotta rhythm, yeah, when he stomps his feet
He sends me right off to sleep
Check all your razors and your guns
We gonna be rasslin' when the wagon comes

I wanna pigfoot and a bottle of beer
Send me 'cause I don't care
Blame me 'cause I don't care

In her blues Bessie Smith often talks about love and sex, even bordering on pornography as in Empty Bed Blues (recorded in New York on March 20, 1928, Columbia disc 14312-D):

I woke up this morning with a awful aching head
I woke up this morning with a awful aching head
My new man had left me, just a room and a empty bed
Bought me a coffee grinder, that's the best one I could find
Bought me a coffee grinder, that's the best one I could find
Oh, he could grind my coffee, 'cause he had a brand-new grind

He's a deep sea diver with a stroke that can't go wrong
He's a deep sea diver with a stroke that can't go wrong
He can stay at the bottom and his wind holds out so long
He knows how to thrill me and he thrills me night and day
Oh, he knows how to thrill me, he thrills me night and day

He's got a new way of loving, almost takes my breath away
Lord, he's got that sweet somethin' and I told my girlfriend Lou
He's got that sweet somethin' and I told my girlfriend Lou
From the way he's raving, he must have gone and tried it too

At other times, Bessie uses a phraseology chock-full of double entendres, as in You've Been an Old Good Wagon (with accompaniment by a young Louis Armstrong, recorded in New York on January 14, 1925, Columbia disc 14079-D):

Looka here, Daddy, I want to tell you, please get out of my sight
I'm playin' quits now, right from this very night
You've had your day, don't sit around and frown
You've been a good old wagon, Daddy, but you done broke down

Now, you'd better go the blacksmith shop and get yourself overhauled
There's nothing about you to make a good woman fall
Nobody wants a baby when a real man can be found
You've been a good old wagon, honey, but you done broke down

When the sun is shinin', it's time to make hay
Automobiles operate, you can't make that wagon pay
When you were in your prime, you love to run around
You've been a good old wagon, honey, but you done broke down

Renowned music critic Joachim E. Berendt, in his seminal work The Book of Jazz. From New Orleans to Free Jazz (Italian translation by L. Luzzatto, Garzanti, Milan 1973) notes, "It is difficult to determine in what the charm of her voice consists. Perhaps it lies in the fact that her harsh, raspy voice seems to be veiled by a deep sadness, even in the wildest and most cheerful tunes. Bessie sang as the representative of a people who had lived in slavery for centuries and who were to suffer worse discrimination after the abolition of slavery than they had during the blackest period of slavery. The fact that her sadness is expressed without a shadow of sentimentality precisely in the harshness and majesty of her voice is a secret of hers."

 

)

Bessie Smith in a 1936 photographic portrait (Carl Van Vechten, Library of Congress) Bessie Smith in a circa 1925 photograph (Michael Ochs Archives / Getty Images)

After six years of great success, from 1923 to 1929, then came a rapid decline, coinciding with the dramatic period of the Great Depression in the United States. The public, those still able to buy records and go to concerts, wanted only disengaged, fun music, and so ended the careers of so many musicians and singers who up to that time had been the idols of the crowds. Her last recording session, after more than two years of silence, was in 1933 and was arranged for the British market. Among the musicians accompanying Bessie Smith was a young white clarinetist, Benny Goodman. It was a handover between two musical eras that were far apart.

A very dramatic story circulated for a long time, about the singer's untimely death at age forty-three - turned out to be far from the truth. It is not true that she was refused aid because she was black when she was fatally injured in a car accident in Clarksdale, Mississippi. It is true, however, that the ambulance that was supposed to take her to the Afro American Hospital, a hospital reserved for black people (and this detail alone would be enough to describe the obscenity of U.S. society at the time, which has barely abated in the decades that followed), arrived rather late, but Bessie would not have been saved in any case. It is September 26, 1937, and the curtain falls, for good.


Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

«Estoy sentada en mi casa y tengo mil cosas en la cabeza,
miro el reloj y ni siquiera puedo leer la hora.
Voy a la ventana y miro por la puerta,
me gustaría que mi hombre volviera a su casa.
No puedo comer, no puedo dormir,
estoy tan débil que no puedo cruzar la habitación
me antoja gritar al asesinato, que me atrape de nuevo la policía.
Me despertaron antes del amanecer, y mi mente estaba perturbada,
me retorcía las manos y gritaba, caminaba por la habitación, gritaba y lloraba.
Tómenlos, no dejen que los blues entren
aquí me sacuden en mi cama, no puedo sentarme en la silla.
Oh, los blues me han puesto nerviosa
han dado vueltas alrededor de mi casa, entrando y saliendo por la puerta principal».

(de In the House Blues, grabado en Nueva York el 11 de junio de 1931, disco Columbia 14611-D, a partir de la traducción italiana de Luciano Federighi).

Bessie Smith en un famoso retrato fotográfico de 1923 (autor desconocido)

«Bessie no habría sido una gran cantante si no hubiera tenido una vida tan dramática y amarga». Eso afirma el gran estudioso del blues y folclore afroamericano Paul Oliver en la biografía de Bessie Smith (Cassell & Co., Londres 1959). Una niña de color nacida en 1894 (el 15 de abril) en Chattanooga, Tennessee, de una familia muy pobre, cuya casa consiste en una choza de madera de una sola habitación. Sus padres y una hermana mueren antes de que ella cumpla nueve años y su hermana mayor, Viola, trata de proveer para lo que queda de la familia y mantenerla unida. A los nueve años, Bessie debuta en el Ivory Theater de su ciudad, ayudando, gracias a su particularísima voz, a contribuir a los escasos ingresos familiares; cuando los Rabbit Foot Minstrels, dirigidos por Will ‘Pa’ Rainey y su joven esposa Gertrude ‘Ma’ Rainey, llegan a la ciudad, escuchan a la pequeña Bessie y no dudan en contratarla como cantante infantil: es el comienzo de la tumultuosa carrera de la mejor cantante de blues de todos los tiempos. Gian Carlo Roncaglia relata en su espléndido libro Il jazz e il suo mondo (Einaudi, Turín, 1979): «[...] cuando la Columbia, gracias al olfato de Frank Walker, la contrató, obtuvo tantos beneficios de la venta de sus discos que mejoró la situación económica de la empresa, que , precisamente en aquellos años, se encontraba en dificultades a causa de malas decisiones administrativas. Y Bessie, con sus ganancias, pudo trasladar a su familia de Chattanooga a Filadelfia, adquiriendo al mismo tiempo una granja en Nueva Jersey, en la que se establecería durante un largo un período».

Y de nuevo Paul Oliver: «...sólo diez años antes era una niña prodigio que bailaba en un espectáculo de los Minstrels por un dólar al día: ahora podía pedir mil, mil quinientos dólares por espectáculo. Cuando se publicaba uno de sus discos, recibía un adelanto de mil dólares y el cinco por ciento de las ventas después de haber superado la cifra de mil dólares». El dinero no le da la felicidad: un testimonio fidedigno dice, por ejemplo, que sólo en 1926, en seis meses, Bessie consiguió gastar 16.000 dólares en ginebra, ropa y pieles; pero también en obras de beneficencia, realizando gestos legendarios: es celebre la interrupción de una gira para correr a la casa de la mujer de su empresario para ayudarla a cuidar de su hijo gravemente enfermo, sirviéndole de camarera y niñera hasta que el niño se recupeó`.

Bessie Smith en un fotograma del cortometrajeSt. Louis Blues,St. Louis Blues, dirigido por Dudley Murphy en 1929

Así la describe, en cambio, el clarinetista Milton ‘Mezz’ Mezzrow (cuyo verdadero apellido era Mesirov), nacido en Chicago de una pareja de judíos rusos inmigrantes, curiosa figura de músico, pero también de narcotraficante que, siendo blanco de nacimiento, intentó por todos los medios, sin éxito, hacer constar en sus documentos que era de raza “negra”: «Bessie era una verdadera mujer de pies a cabeza: toda la feminidad del mundo reunida en una dulce envoltura. Alta, de piel oscura, con dos grandes hoyuelos atravesando sus mejillas: una belleza voluptuosa, maciza y esculpida, pero solemne, con un imán de alta tensión en cuanto a personalidad. Cuando estaba en su camerino, era como si su vitalidad se concentrara en una espesa nube que lo llenaba todo hasta hacer reventar las paredes. No tenía poses, ni era afectada: sus notas doradas salían luminosas de su boca sin esfuerzo. No hacía más que ponerse a cantar, y entonces todo el amor, toda la alegría, toda la tristeza del mundo salían de su corazón con violencia». (en Milton ‘Mezz’ Mezzrow/Bernard Wolfe, Really the Blues, JazzBookClub, Nueva York 1946). Sobre su conocida adicción al alcohol, Bessie Smith cantó varias veces, como en el famoso Me and My Gin (grabado en Nueva York el 25 de agosto de 1928, disco Columbia 14384-D, aquí traducido de la versión italiana de Walter Mauro):

«Aléjate de mí, porque toda yo soy un pecado,
si este lugar se derrumba, es por culpa de la ginebra en mi cuerpo.
Que nadie me provoque, porque de todas formas no ganaría.
Puedo enfrentar al ejército y a la marina con la ginebra que tengo en mi cuerpo.
Todo contrabandista es mi amigo,
porque una buena botella de ginebra envejecida puede hacer milagros.
Cuando estoy en movimiento no hay nada que no haría,
lléname de alcohol y seré muy agradable contigo.
No quiero ropa, no necesito una cama.
ni quiero chuletas de cerdo, sólo dame un poco de ginebra.»

En Gimmie a Pigfoot (grabado en Nueva York el 24 de noviembre de 1933, disco Okeh 8945), en uno de los cuatro temas de la última sesión de grabación de la cantante, la transgresión, no sólo la del alcohol, se vuelve colectiva:

 

«En Harlem todos los sábados por la noche
cuando los negros se reúnen
hay un pandemonio.
Vienen de todas partes para bailar toda la noche.
y lo dan todo.
[…]
Quiero divertirme como digo yo.
Pónganle algo al pianista que me está deprimiendo.
Ahí está el ritmo, ah, sí,
cuando lo marca con los pies, me siento aturdida.
Guarden sus cuchillos y pistolas.
si no, acabaremos peleándonos y vendrá la bofia.
Quiero una jarra y una botella de cerveza,
vamos, ¿qué quieres que me importe?
Toca, ¿qué me importa?»

(a partir de la traducción italiana de Roncaglia).

En sus blues Bessie Smith habla a menudo de amor y sexo, incluso al borde de la pornografía como en Empty Bed Blues (grabado en Nueva York el 20 de marzo de 1928, disco Columbia 14312-D):

«Me he despertado esta mañana con un terrible dolor de cabeza,
me di cuenta de que mi nuevo amor me había dejado,
con habitación y cama vacía.
Pero él sabía cómo excitarme, lo hacía de noche y de día,
me hacía el amor de una manera tan distinta que casi me quitaba el aliento.
Me había enseñado cosas que nunca había aprendido de nadie,
este nuevo amor mío me había enseñado muchas cosas nuevas;
pensad un poco, que cuando terminó de enseñármelo todo,
me matriculé, otra vez, en la escuela»

(a partir de la traducción italiana de Walter Mauro).

En otras ocasiones, Bessie utiliza un vocabulario lleno de dobles sentidos, como en You’ve Been an Old Good Wagon (con el acompañamiento de un joven Louis Armstrong, grabado en Nueva York el 14 de enero de 1925, disco Columbia 14079-D):

«Escucha , cariño, tengo que decírtelo,
por favor, lárgate,
estamosempatados, me voy esta noche;
has pasado de moda, no pongas esa cara,
fuiste un maravilloso fuera de serie, cariño, pero ahora se ha terminado.
Ahora, será mejor que te vayas al taller y te arrreglen la carrocería,
ya no tienes nada para correr tras  una mujer .
mira, nadie quiere un mocoso cuando puede tener un hombre como se debe,
fuiste un maravilloso fuera de serie, cariño, pero ahora se ha terminado.
Hay que batir el hierro mientras está candente,
el coche funciona, pero no puedes correr como antes;
cuando estabas en forma te gustaba correr arriba y hacia abajo,
fuiste un espléndido fuera de serie, amor, pero ahora se ha terminado»

(a partir de la traducción italiana de Walter Mauro).

El célebre crítico musical Joachim E. Berendt, en su obra fundamental El el jazz. De Nueva Orleans los años Ochenta (traducción española Reuter, Utrilla y Colón Gómez, Fondo de Cultura 1986) señala: «Es difícil establecer en qué consiste el encanto de su voz. Tal vez sea el hecho de que su voz áspera y ronca parece estar cubierta por una profunda tristeza, incluso en las melodías más desenfrenadas y alegres. Bessie cantaba como la representante de un pueblo que había vivido durante siglos en la esclavitud y que, tras la abolición de la esclavitud, sufría peores discriminaciones que durante el período más oscuro de la esclavitud. El hecho de que su tristeza se exprese sin una sombra de sentimentalismo precisamente en la dureza y la majestuosidad de su voz, es un secreto suyo».

 

)

Bessie Smith en un retrato fotográfico de 1936 (Carl Van Vechten, Biblioteca del Congreso) Bessie Smith en una fotografía de aproximadamente 1925 (Michael Ochs Archives / Getty Imágenes)

Seis años de gran éxito, de 1923 a 1929, luego un rápido declive, concomitante con el dramático período de la Gran Depresión de los Estados Unidos: el público, el que todavía puede comprar discos e ir a los conciertos, sólo quiere música sin ataduras y divertida y así termina la carrera de muchos músicos y cantantes que hasta ese momento habían sido los ídolos de las multitudes. La última sesión de grabación, tras más de dos años de silencio, se organiza para el mercado británico; entre los músicos que acompañan a Bessie Smith hay un joven clarinetista blanco, Benny Goodman: en efecto, el relevo entre dos épocas musicales muy lejanas entre ellas.

Acerca de la muerte prematura de la cantante, a los 43 años, circuló durante mucho tiempo una historia muy dramática, que luego resultó alejada de la realidad: no es cierto que se le negó ayuda por ser negra, cuando resultó mortalmente herida en un accidente de tráfico en Clarksdale, Mississippi; sin embargo, sí es cierto que la ambulancia que iba a llevarla al Afro American Hospital, un hospital reservado para la gente de color (y esto ya sería suficiente para describir la obscenidad de la sociedad estadounidense de la época, apenas paliada en las décadas sucesivas), llegó con cierto retraso: Bessie no se habría salvado de todos modos. Es el 26 de septiembre de 1937: se baja definitivamente el telón.

Sister Rosetta Tharpe
Gabriella Milia




Laura Zemik

 

«Nessun uomo può suonare come me. Suono meglio di un uomo!»

rispondeva risentita Sister Rosetta a chi le diceva di suonare proprio come un uomo.

Sister Rosetta Tharpe nasce come Rosetta Nubin nel 1915 a Cotton Plant, nell'Arkansas, da Katie Bell Nubin e Willis Atkins. L’ambiente è quello dei campi di cotone, delle chiese, dei locali dove bere. Sono soprattutto questi i luoghi in cui si diffonde la musica afroamericana, quella musica fatta di chitarra e piedi battuti in terra. In quei campi di cotone uomini e donne con le schiene chine seguono il ritmo come per alleviare la fatica e rivolgere una preghiera al cielo. Nel 1921 la madre decide di lasciare il marito per diventare un'evangelista itinerante portandosi dietro la figlia. Suona il mandolino per le strade del Sud, cercando di convertire chi passa, accompagnata dalla bambina. Così la piccola Rosetta Nubin conosce il blues del Mississipi e il jazz di New Orleans. Quando si stabiliscono a Chicago e comincia a cantare in piedi su un pianoforte, mostra già di possedere tanto talento e una straordinaria personalità. A diciannove anni sposa il predicatore Thomas Thorpe e, da quel momento, adotta una versione modificata del cognome del marito come nome d'arte: Rosetta Tharpe, pseudonimo che continuerà a usare per il resto della sua carriera.

Il matrimonio non è felice, l’uomo è un violento e sfrutta Rosetta che, nel 1938, fugge con la madre e arriva a New York City dove viene subito notata e comincia a cantare nei night club più rinomati. La notorietà arriva all'improvviso. Al Cotton Club Revue, a soli ventitré anni, lancia il suo primo brano di successo, Rock Me, un gospel rivoluzionario. Nel titolo è presente la parola “rock”, ancora sconosciuta in ambito musicale, ma che di lì a poco indicherà il genere cui Sister Rosetta diede il suo fondamentale contributo. «Ha influenzato Elvis Presley, ha influenzato Johnny Cash, ha influenzato Little Richard. Ha influenzato innumerevoli altre persone che riconosciamo come figure fondamentali del rock and roll», così scrive Gayle Wald (, Shout, Sister, Shout! The Untold Story of Rock-and-Roll Trailblazer Sister Rosetta Tharpe, Beacon Press, 2007.) Sempre nel 1938 la Decca pubblica i suoi primi dischi, Rock Me appunto, e This Train, una combinazione di sacro e profano che affascina il pubblico americano ma scandalizza la comunità dei fedeli. «Rosetta decise di uscire dalla strada che era stata tracciata per lei dal matrimonio, dalla chiesa, e dalle convenzioni sociali. Prese la drastica decisione di lasciare la chiesa per una carriera laica». (Gayle Wald, op.cit.). Nel dicembre alla Carnegie Hall la folla accorre in massa a sentire Sister Rosetta Tharpe che viene acclamata come vera e propria star nazionale. «D’improvviso ti rendi conto che stai ascoltando i primi assoli di chitarra ‘moderna’. Non solo di blues – di cui ci sono ovviamente buoni esempi – ma anche assoli che ricordano quelli suonati da Eric Clapton o Jimmy Page per stregare il loro pubblico», ha affermato George Brant (Marie and Rosetta, editore Samuel French, 9 novembre 2017).

Nel 1944 Strange Things Happen Every Day, da molti considerato il primo disco di rock and roll, viene inserito nella Harlem Hit Parade. Sister Rosetta Tharpe è la prima cantante afroamericana a scegliere un quartetto bianco per accompagnarla sul palco. Ma nell’America del dopoguerra vige la segregazione razziale e le persone nere, anche artisti famosi, sportivi, politici, subiscono pesanti restrizioni rispetto a spazi e luoghi da poter frequentare. E allora Sister Rosetta utilizza un autobus per spostarsi, un tour-bus, il primo della storia del rock, in cui poter cenare e dormire, in quanto l’accesso a ristoranti e alberghi è limitato. Tharpe condivide il tour con la cantante Marie Knight, incontrata nel suo continuo viaggiare. Nasce così non solo una coppia artistica ma anche un rapporto umano e sentimentale che farà scalpore; tuttavia, l’armonia tra le due donne e la determinazione a stare insieme per sempre, non saranno minate. Quando però la madre di Marie e due figli piccoli moriranno in un incendio, la donna, distrutta dal dolore, sparisce lasciando Rosetta sola. Negli anni Quaranta e Cinquanta Sister Rosetta Tharpe è ormai famosissima; quando nel 1951 sposa il suo manager, circa 25.000 spettatori e spettatrici pagano per assistere alla cerimonia al Griffith Stadium di Washington DC e sentirla poi cantare. Tra i suoi ammiratori, ci sono ragazzi entusiasti come Elvis Presley, Jerry Lee Lewis, Chuck Berry, Johnny Cash e Little Richard, che la citeranno sempre tra le loro maggiori ispirazioni. «Chuck Berry ha preso in prestito il suo stile e Little Richard ha detto che è lei la responsabile della sua carriera. Elvis Presley la citava fra le sue influenze e perfino Jimi Hendrix una volta ha detto che voleva solo suonare come Rosetta», ha scritto ancora George Brant. Johnny Cash l'ha citata tra i suoi idoli durante il discorso di ringraziamento per l'ingresso nella Rock And Roll Hall Fame nel 1992. Ma saranno proprio quei ragazzi e l’arrivo del rock and roll a rubarle la scena e così, da metà degli anni Cinquanta, la sua carriera comincia piano piano a sfumare. Sister Rosetta si trasferisce con il marito e la madre a Philadelphia e sembra stabilirsi definitivamente lì.

Quando, però, negli anni Sessanta l’Europa riscopre il blues, Sister Rosetta Tharpe viene chiamata a esibirsi e girerà il vecchio continente, accanto a Muddy Waters. Il suo tour europeo culmina in un concerto, in diretta televisiva, il 7 maggio del 1964 quando canta in una stazione in disuso fuori Manchester, la Wilbraham Road Rail Station di Chorltonville, durante il Folk, Blues and Gospel Caravan Tour. Tra i tanti che riempiono le banchine trasformate in gradinate, ci sono anche Eric Clapton, Jeff Beck, Keith Richards e Brian Jones. E Bob Dylan ricorda: «Sublime, splendida, una grande forza della Natura… Sono sicuro che tanti ragazzi inglesi hanno preso in mano una chitarra elettrica dopo averla vista suonare quella sera». Dopo lo strepitoso successo di quel concerto, la carriera musicale di Rosetta si avvia alla conclusione, muore sua madre e lei cade in depressione. È colpita da un ictus nei primi anni Settanta, le viene amputata una gamba a causa del diabete ed è costretta a ridurre le esibizioni in pubblico. Il 7 ottobre del 1973, poco prima di una sessione di registrazione, Sister Rosetta Tharpe muore a Philadelphia. Al funerale solo gli amici più stretti e la vecchia compagna Marie Knight. È sepolta nel cimitero di Northwood a Philadelphia, in Pennsylvania. La sua tomba rimane a lungo senza lapide. Soltanto nel 2008, con i soldi di un concerto appositamente organizzato, verrà posta l'iscrizione su cui si legge «Sister Rosetta, leggenda della musica gospel. Cantava fino a farti piangere e poi cantava fino a farti ballare di gioia».

Nel 2018 viene inserita nella Rock And Roll Hall Fame:

«Senza Sister Rosetta Tharpe, il rock and roll sarebbe una musica diversa. Lei è la madre fondatrice che ha dato l’idea ai padri fondatori del rock».


Traduzione francese

Guenoah Mroue

«Aucun homme ne peut jouer comme moi. Je joue mieux qu’un homme»

répondit en colère Sister Rosetta à qui lui disait de jouer comme un homme.

Sister Rosetta Tharpe est née en 1915 à Cotton Plant, dans l’Arkansas, de Katie Bell Nubin et Willis Atkins. L’environnement est celui des champs de coton, des églises, et des lieux où boire. Ce sont surtout là les lieux où se répand la musique afro-américaine, cette musique faite de guitare et de pieds battus sur terre. Dans ces champs de coton, les hommes et les femmes à dos d’âne suivent le rythme comme pour soulager la fatigue et adresser une prière au ciel. En 1921, la mère décide de quitter son mari pour devenir évangéliste itinérante en emmenant sa fille avec elle. Elle joue de la mandoline dans les rues du Sud, essayant de convertir ceux qui passent, accompagnée de la petite fille. Ainsi, la petite Rosetta Nubin connaît le blues du Mississipi et le jazz de la Nouvelle-Orléans. Lorsqu’elle s’installe à Chicago et commence à chanter debout sur un piano, elle montre déjà qu’elle possède beaucoup de talent et une personnalité extraordinaire. À dix-neuf ans, elle épouse le prédicateur Thomas Thorpe et, à partir de ce moment, adopte une version modifiée du nom de famille de son mari comme prénom d’art : Rosetta Tharpe, pseudonyme qu’elle continuera à utiliser pour le reste de sa carrière.

Le mariage n’est pas heureux, l’homme est violent et exploite Rosetta qui, en 1938, s’enfuit avec sa mère et arrive à New York où elle est immédiatement remarquée et commence à chanter dans les boîtes de nuit les plus renommées. La notoriété vient soudainement. Au Cotton Club Revue, à seulement 23 ans, elle lance sa première chanson à succès, Rock Me, un gospel révolutionnaire. Dans le titre il y a le mot "rock", encore inconnu dans le domaine musical, mais qui peu après indiquera le genre auquel Sister Rosetta donna sa contribution fondamentale. «Elle a influencé Elvis Presley, influencé Johnny Cash, influencé Little Richard. Elle a influencé d’innombrables autres personnes que nous reconnaissons comme des figures fondamentales du rock and roll», écrit Gayle Wald (, Shout, Sister, Shout! The Untold Story of Rock-and-Roll Trailblazer Sister Rosetta Tharpe, Beacon Press, 2007.) En 1938, Decca publie ses premiers disques, Rock Me justement, et This Train, une combinaison de sacré et profane qui fascine le public américain mais scandalise la communauté des fidèles. «Rosetta a décidé de sortir de la voie qui lui avait été tracée par le mariage, l’église et les conventions sociales. Elle prit la décision drastique de quitter l’église pour une carrière laïque». (Gayle Wald, op.cit.) En décembre, au Carnegie Hall, la foule afflue en masse pour entendre Sister Rosetta Tharpe qui est acclamée comme une véritable star nationale. «Soudain, vous réalisez que vous écoutez les premiers solos de guitare 'moderne'. Non seulement du blues - dont il y a évidemment de bons exemples - mais aussi des solos qui rappellent ceux joués par Eric Clapton ou Jimmy Page pour ensorceler leur public», a déclaré George Brant (Marie et Rosetta, éditeur Samuel French, 9 novembre 2017).

En 1944, Strange Things Happen Every Day, considéré par beaucoup comme le premier album de rock and roll, est inclus dans la Harlem Hit Parade. Sister Rosetta Tharpe est la première chanteuse afro-américaine à choisir un quatuor blanc pour l’accompagner sur scène. Mais dans l’Amérique d’après-guerre, il y a la ségrégation raciale et les personnes de couleur Noirs, même les artistes célèbres, les sportifs, les politiciens, subissent de lourdes restrictions quant aux espaces et aux lieux qu’ils peuvent fréquenter. Alors Sister Rosetta utilise un bus pour se déplacer, un tour-bus, le premier dans l’histoire du rock, où elle peut dîner et dormir, car l’accès aux restaurants et aux hôtels est limité. Tharpe partage la tournée avec la chanteuse Marie Knight, rencontrée lors de ses voyages continus. Ainsi naît non seulement un couple artistique mais aussi une relation humaine et sentimentale qui fera sensation; cependant, l’harmonie entre les deux femmes et la détermination à être ensemble pour toujours ne seront pas sapées. Mais quand la mère de Marie et deux jeunes enfants meurent dans un incendie, la femme, dévastée par la douleur, disparaît en laissant Rosetta seule. Dans les années 1940 et 1950, Rosetta Tharpe est devenue célèbre en se mariant avec son manager en 1951, environ 25000 spectateurs et spectatrices paient pour assister à la cérémonie au Griffith Stadium de Washington DC et l’entendre chanter. Parmi ses admirateurs, il y a des personnes enthousiastes comme Elvis Presley, Jerry Lee Lewis, Chuck Berry, Johnny Cash et Little Richard, qui la citeront toujours parmi leurs plus grandes inspirations. «Chuck Berry a emprunté son style et Little Richard a dit qu’elle était responsable de sa carrière. Elvis Presley la citait parmi ses influences et même Jimi Hendrix a dit une fois qu’il voulait juste jouer comme Rosetta», écrit à nouveau George Brant. Johnny Cash l’a citée parmi ses idoles lors de son discours de remerciement pour son entrée au Rock and Roll Hall Fame en 1992. Mais ce sont ces jeunes et l’arrivée du rock’n’roll qui vont lui voler la vedette et ainsi, depuis le milieu des années 50, sa carrière commence peu à peu à s’estomper. Sister Rosetta déménage avec son mari et sa mère à Philadelphie et semble s’y installer définitivement.

Mais quand, dans les années 60, l’Europe redécouvre le blues, Sister Rosetta Tharpe est appelée à se produire et parcourt le vieux continent, aux côtés de Muddy Waters. Le 7 mai 1964, elle chante dans une station désaffectée à l’extérieur de Manchester, la Wilbraham Road Rail Station de Chorltonville, pendant le Folk, le Blues and Gospel Caravan Tour. Parmi les nombreux quais aménagés en gradins, il y a aussi Eric Clapton, Jeff Beck, Keith Richards et Brian Jones. Et Bob Dylan se souvient : «Sublime, splendide, une grande force de la nature... Je suis sûr que beaucoup de garçons anglais ont pris une guitare électrique après l’avoir vue jouer ce soir-là ». Après le succès retentissant de ce concert, la carrière musicale de Rosetta touche à sa fin, sa mère meurt et elle tombe en dépression. Elle est victime d’un accident vasculaire cérébral au début des années 1970, on lui ampute une jambe à cause du diabète et elle est contrainte de réduire ses performances en public. Le 7 octobre 1973, peu avant une séance d’enregistrement, Sister Rosetta Tharpe meurt à Philadelphie. À l’enterrement, il y avait seulement les amis proches et l’ancienne compagne Marie Knight. Elle est enterrée au cimetière de Northwood à Philadelphie, en Pennsylvanie. Sa tombe reste longtemps sans pierre tombale. Ce n’est qu’en 2008, avec l’argent d’un concert spécialement organisé, que sera placée l’inscription sur laquelle on lit «Sister Rosetta, légende de la musique gospel. Elle chantait jusqu’à ce que tu pleures et puis elle chantait jusqu’à ce que tu danses de joie ».

En 2018, elle est insérée dans le Rock and Roll Hall Fame:

«Sans Sister Rosetta Tharpe, le rock and roll serait une musique différente. Elle est la mère fondatrice qui a donné l’idée aux pères fondateurs du rock».


Traduzione inglese

Syd Stapleton

"No man can sound like me. I play better than a man!"

resentfully replied Sister Rosetta to those who told her she sounded just like a man.

Sister Rosetta Tharpe was born as Rosetta Nubin in 1915 in Cotton Plant, Arkansas, to Katie Bell Nubin and Willis Atkins. The setting was cotton fields, churches, and drinking establishments. Above all, these were the places where African American music spread, music made by guitars and feet pounding on the ground. In those cotton fields men and women with bowed backs followed the rhythm as if to relieve fatigue and address a prayer to heaven. In 1921 Rosetta’s mother decided to leave her husband to become an itinerant evangelist, taking her daughter with her. She played the mandolin on streets of the South, trying to convert those who pass by, accompanied by the little girl. Thus, little Rosetta Nubin got to know the blues of Mississippi and the jazz of New Orleans. When she settled in Chicago and began to sing standing on a piano, she already showed that she had much talent and an extraordinary personality. At nineteen she married preacher Thomas Thorpe and, from that time, adopted a modified version of her husband's last name as her stage name - Rosetta Tharpe, a pseudonym she would continue to use for the rest of her career.

The marriage was not happy, the man was abusive and exploited Rosetta who, in 1938, fled with her mother and arrived in New York City where she was immediately noticed and began singing in the most renowned night clubs. Notoriety came suddenly. At the Cotton Club Revue, at only twenty-three years old, she launched her first hit song, Rock Me, a revolutionary gospel. The title features the word "rock," still unknown in music circles, but which would shortly thereafter indicate the genre to which Sister Rosetta made her seminal contribution. "She influenced Elvis Presley, she influenced Johnny Cash, she influenced Little Richard. She influenced countless others whom we recognize as seminal figures in rock and roll," so wrote Gayle Wald (Shout, Sister, Shout! The Untold Story of Rock-and-Roll Trailblazer Sister Rosetta Tharpe, Beacon Press, 2007). Also in 1938, Decca released her first records, Rock Me, and This Train, a combination of the sacred and the profane that captivated American audiences but scandalized the worshiping community. "Rosetta decided to leave the path that had been laid out for her by marriage, the church, and social conventions. She made the drastic decision to leave the church for a secular career." (Gayle Wald, op.cit.) In December at Carnegie Hall, crowds flocked to hear Sister Rosetta Tharpe hailed as a true national star. "Suddenly you realize you're hearing the first 'modern' guitar solos. Not just of blues – of which there are obviously good examples - but solos reminiscent of those played by Eric Clapton or Jimmy Page to bewitch their audiences," said George Brant (Marie and Rosetta, publisher Samuel French, Nov. 9, 2017).

In 1944 Strange Things Happen Every Day, considered by many to be the first rock and roll record, was included in the Harlem Hit Parade. Sister Rosetta Tharpe was the first African American singer to choose a white quartet to accompany her on stage. But in post-war America, racial segregation was in force, and black people, even famous artists, sports figures, and politicians, were severely restricted with respect to the spaces and places they could go. So, Sister Rosetta used a bus to get around, a tour bus, the first in rock history, in which to dine and sleep, as access to restaurants and hotels was restricted. Tharpe shares the tour with singer Marie Knight, whom she met on her constant travels. Thus was born not only an artistic partnership but also a human and romantic relationship that would cause a stir. Nevertheless, the harmony between the two women, and their determination to be together forever, would not be undermined. However, when Marie's mother and two young children died in a fire, the grief-stricken woman disappeared, leaving Rosetta alone. By the 1940s and 1950s, Sister Rosetta Tharpe was hugely famous. When she married her manager in 1951, some 25,000 spectators and spectators paid to attend the ceremony at Griffith Stadium in Washington, D.C., and to then hear her sing. Among her admirers were enthusiastic men like Elvis Presley, Jerry Lee Lewis, Chuck Berry, Johnny Cash and Little Richard, who would always cite her among their greatest inspirations. "Chuck Berry borrowed her style and Little Richard said she was responsible for his career. Elvis Presley cited her among his influences and even Jimi Hendrix once said he just wanted to sound like Rosetta," George Brant wrote. Johnny Cash cited her among his idols during his acceptance speech for induction into the Rock and Roll Hall Fame in 1992. But it was those men and the arrival of rock and roll that would steal her thunder, and so, by the mid-1950s, her career slowly began to fade. Sister Rosetta moved with her husband and mother to Philadelphia and seemed to settle there for good.

When, however, Europe rediscovered the blues in the 1960s, Sister Rosetta Tharpe was called upon to perform and toured the continent, alongside Muddy Waters. Her European tour culminated in a concert, live on television, on May 7, 1964 when she sang at a disused station outside Manchester, the Wilbraham Road Rail Station in Chorltonville, during the Folk, Blues and Gospel Caravan Tour. Among the many who filled the platforms turned into bleachers were Eric Clapton, Jeff Beck, Keith Richards, and Brian Jones. And Bob Dylan remembers, "Sublime, splendid, a great force of Nature...I'm sure a lot of British kids picked up an electric guitar after seeing her play that night." After the resounding success of that concert, Rosetta's musical career drew to a close, her mother died, and she fell into depression. She suffered a stroke in the early 1970s, had a leg amputated due to diabetes, and was forced to cut back on public performances. On October 7, 1973, just before a recording session, Sister Rosetta Tharpe died in Philadelphia. Only close friends and her old partner Marie Knight attend the funeral. She is buried in Northwood Cemetery in Philadelphia, Pennsylvania. Her grave remained long without a headstone. It was not until 2008, with money from a specially organized concert, that an inscription would be placed that reads "Sister Rosetta, gospel music legend. She sang till you cried and then sang till you danced with joy."

In 2018 she was inducted into the Rock and Roll Hall of Fame:

"Without Sister Rosetta Tharpe, rock and roll would be a different music. She is the founding mother who gave the idea to the founding fathers of rock."


Traduzione spagnola

Flavia Palumbo

«Ningún hombre puede tocar igual que yo. ¡Toco mejor que cualquier hombre!»

respondía resentida Sister Rosetta a quienes le decían que tocaba como un hombre.

Sister Rosetta Tharpe nació como Rosetta Nubin en 1915 en Cotton Plant, Arkansas, hija de Katie Bell Nubin y Willis Atkins. La época era la de los campos de algodón, de las iglesias y de los sitios para beber. Estos son principalmente los lugares donde se difundió la música afroamericana, esa música compuesta por guitarra y pies que golpean el suelo. En esos campos de algodón, hombres y mujeres con las espaldas dobladas seguían el ritmo como si quisieran aliviar la fatiga y dirigir una oración al cielo. En 1921, su madre decidió dejar a su marido para convertirse en una evangelista itinerante llevándose consigo a su hija. Tocaba el mandolino por las calles del Sur, intentando convertir a quienes pasaban, acompañada por la niña. De esta manera, la pequeña Rosetta Nubin conoció el blues del Mississippi y el jazz de Nueva Orleans. Cuando se establecieron en Chicago y empezó a cantar en pie frente a un piano, ya mostraba que tenía mucho talento y una personalidad extraordinaria. Con diecinueve años se casó con el predicador Thomas Thorpe y, desde entonces, adopta una versión modificada del apellido del marido como nombre artístico: Rosetta Tharpe, un seudónimo que siguió usando durante el resto de su carrera.

El matrimonio no fue feliz: el hombre era violento y explotaba a Rosetta quien, en 1938, huyó con su madre y llegó a la ciudad de Nueva York, donde rápidamente la notaron y empezó a cantar en los night-clubs más prestigiosos. La notoriedad llegó de repente. En el Cotton Club Revue, con solo veintitrés años, presentó su primer éxito, Rock Me, un góspel revolucionario. En el título se encuentra la palabra 'rock', aún desconocida en el ámbito musical, pero que poco después designará el género al que Sister Rosetta dio su contribución fundamental. «Ha influenciado a Elvis Presley, ha influenciado a Johnny Cash, ha influenciado a Little Richard. Ha influido en innumerables personas que reconocemos como figuras fundamentales del rock and roll», escribe Gayle Wald (Shout, Sister, Shout! The Untold Story of Rock and Roll Trailblazer Sister Rosetta Tharpe, Beacon Press, 2007). El mismo año 1938, Decca lanzó sus primeros discos, concretamente Rock Me y This Train, una combinación entre lo sagrado y lo profano que fascinó al público estadounidense a la vez que escandalizó a la comunidad de creyentes. «Rosetta decidió apartarse del camino trazado por el matrimonio, la iglesia y las convenciones sociales. Tomó la drástica decisión de abandonar la iglesia para seguir una carrera laica» (Gayle Wald, op. cit.). En diciembre, en la Carnegie Hall, la multitud acudió en masa para escuchar a Sister Rosetta Tharpe, quien fue aclamada como una verdadera estrella nacional. «De repente te das cuenta de que estás escuchando los primeros solos de guitarra 'modernos'. No solo de blues, del cual hay, por supuesto, buenos ejemplos, sino también solos que recuerdan a los tocados por Eric Clapton o Jimmy Page para cautivar a su audiencia», afirmó George Brant (Marie and Rosetta, editorial Samuel French, 9 de noviembre de 2017).

En 1944, Strange Things Happen Every Day, considerado por muchos como el primer disco de rock and roll, fue incluido en la Harlem Hit Parade. Sister Rosetta Tharpe fue la primera cantante afroamericana en elegir un cuarteto blanco que la acompañara en el escenario. Sin embargo, en los EEUU de la posguerra estaba vigente la segregación racial, y las personas negras, incluso artistas famosos, deportistas y políticos, sufrían fuertes restricciones en cuanto a los espacios y lugares que podían frecuentar. De este modo, Sister Rosetta utilizó un autobús para desplazarse, un tour-bus, el primero en la historia del rock, donde podía cenar y dormir, ya que el acceso a restaurantes y hoteles estaba limitado. Tharpe compartió la gira con la cantante Marie Knight, a quien conoció en sus constantes viajes. Por consiguiente, nació no solo una pareja artística, sino también una relación humana y sentimental que causó sensación. A pesar de ello, la armonía entre las dos mujeres y la determinación de estar juntas para siempre no se vieron afectadas. No obstante, cuando la madre de Marie y sus dos hijos pequeños murieron en un incendio, la mujer, devastada por el dolor, desapareció, dejando a Rosetta sola. En los años cuarenta y cincuenta, Sister Rosetta Tharpe ya era famosísima. Cuando se casó con su manager en 1951, alrededor de 25.000 espectadores y espectadoras pagaron para asistir a la ceremonia en el Griffith Stadium de Washington DC y luego escucharla cantar. Entre sus admiradores se encontraban jóvenes entusiastas como Elvis Presley, Jerry Lee Lewis, Chuck Berry, Johnny Cash y Little Richard, quienes siempre la citaron como una de sus mayores inspiraciones. «Chuck Berry tomó prestado su estilo y Little Richard dijo que fue ella la responsable de su carrera. Elvis Presley la citaba entre sus influencias e incluso Jimi Hendrix, en una ocasión, dijo que solo quería tocar igual que Rosetta», escribió Greorge Brant. Johnny Cash la citó entre sus ídolos durante el discurso de agradecimiento por su introducción al Rock And Roll Hall Fame en 1992. Sin embargo, fueron precisamente esos jóvenes y la llegada del rock and roll los que le robaron el protagonismo, y así, a mediados de los años cincuenta, su carrera empezó poco a poco a desvanecerse. Sister Rosetta se mudó a Filadelfia con su esposo y su madre, y parece que se estableció definitivamente allí.

Sin embargo, en los años sesenta, cuando Europa vuelve a descubrir el blues, Sister Rosetta Tharpe fue invitada a exhibirse y recorrió el viejo continente, junto con Muddy Waters. Su gira europea culminó en un concierto transmitido en vivo el 7 de mayo de 1964, cuando cantó en una estación de tren abandonada fuera de Manchester, la Wilbraham Road Rail Station de Chorltonville, durante el Folk, Blues and Gospel Caravan Tour. Entre los muchos que llenaron los andenes convertidos en gradas, estaban también Eric Clapton, Jeff Beck, Keith Richards y Brian Jones. Adicionalmente, Bob Dylan dijo: «Sublime, espléndida, una gran fuerza de la naturaleza... Estoy seguro de que muchos chicos ingleses tomaron una guitarra eléctrica después de haberla visto tocar esa noche». Tras el asombroso éxito de ese concierto, la carrera musical de Rosetta se encaminó hacia su conclusión: su madre murió y ella cayó en depresión. En los primeros años de la década de 1970, sufre un derrame cerebral, le amputan una pierna debido a la diabetes y se ve obligada a reducir sus actuaciones en público. El 7 de octubre de 1973, poco antes de una sesión de grabación, Sister Rosetta Tharpe fallece en Filadelfia. Al funeral solo asistieron los amigos más cercanos y la antigua compañera Marie Knight. Fue enterrada en el cementerio de Northwood en Filadelfia, Pensilvania. Su tumba permaneció sin lápida durante mucho tiempo. Solo en 2008, con el dinero de un concierto organizado especialmente, se colocó una inscripción que dice: «Sister Rosetta, leyenda de la música gospel. Cantaba hasta hacerte llorar y luego cantaba hasta hacerte bailar de alegría».

En 2018, fue incluida en el Rock And Roll Hall Fame:

«Sin Sister Rosetta Tharpe, el rock and roll sería una música diferente. Ella es la madre fundadora que dio la idea a los padres fundadores del rock».

 

"Big Mama” Thornton
Mauro Zennaro




Laura Zemik

 

Nel video girato l’11 aprile 1984 al Rooster Club di Los Angeles si vede salire sul palco un uomo alto e scheletrico, con un cappello da cowboy in testa, infagottato in un completo grigio di diverse taglie più grande della sua. Ha una sigaretta in mano, si muove a fatica, si mette subito a sedere davanti alla band ed estrae dalla tasca un’armonica a bocca sulla quale soffia qualche nota di prova, poi lascia che la band suoni una lunga introduzione e quindi comincia a cantare. Ma non è un uomo: è Big Mama Thornton. Il vestito è quello che portava quando pesava più di un quintale – alcune fonti riportano addirittura uno e mezzo, perfino due – ma ora, dopo l’incidente d’auto e una vita da alcolista, pesa sui quarantacinque chili. La voce, però, non sembra smagrita. Il pubblico l’accoglie con calore, la stravaganza dell’abbigliamento non lo inganna e lei sorride e ammicca come al solito. Canta, suona l’armonica e fuma per tutto il concerto e quando finalmente attacca il suo capolavoro premette: «Ora vi canterò Ball and Chain», e precisa con aria di sfida: «a modo mio». La smorfia con cui lo dice meriterebbe un romanzo. Il pubblico è in prevalenza bianco, ma nel 1984 Big Mama è diventata un’icona, non come ai vecchi tempi del ghetto.

Willie Mae Thornton era nata l’11 dicembre 1926 ad Ariton, un paesino dell’Alabama che contava circa seicento anime e nessuno aveva mai sentito nominare, per cui lei soleva invece dichiarare di essere originaria della capitale dello Stato, Montgomery. Era una ragazzona alta forte e robusta, per cui il soprannome Big Mama arrivò come logica conseguenza, probabilmente ispirato da Mami, il personaggio della cameriera nera enorme e volitiva di Via col vento, e dalla cantante blues Gertrude “Ma” Rainey. Il termine “mamma” riferito a donne forti e importanti sembra riassumere il senso di identità delle comunità nere, in cui i pari grado si chiamano fra loro “fratello” e “sorella”, come in una famiglia, e alla gente di rispetto ci si rivolge con “mamma” e “papà”. Willie Mae, come tante altre artiste blues, era figlia di un pastore battista e di una cantante di chiesa, e in chiesa aveva cominciato a cantare con i fratelli e le sorelle. Ma il nome d’arte era anche un tributo alla sua voce, così potente che il microfono risultava superfluo. Un giorno raccolse dalla spazzatura un’armonica a bocca buttata via da uno dei fratelli e imparò a suonarla. «Non ho mai avuto nessuno che mi insegnasse niente. Non sono mai andata a scuola di musica né niente del genere. Ho imparato da sola a cantare e a suonare l’armonica, e persino la batteria, guardando gli altri. Non so leggere la musica, ma so cosa sto cantando. Non canto come nessuno tranne me stessa».

Le notizie sulla sua vita sono frammentarie. Leggendo qui e là si scopre che aveva sei fratelli, o quattro, forse un marito, forse uno o più figli, perché Big Mama non ha mai riscosso il grande successo internazionale che sorrise, per esempio, a Elvis Presley e Janis Joplin, che interpretarono due suoi pezzi; ma loro avevano la pelle bianca. La mamma, Edna M. Richardson Thornton (ma alcune fonti la nominano Mattie Haynes), morì tubercolosa in giovane età e Willie Mae lasciò la scuola, dapprima per accudire lei e quindi per lavorare come donna delle pulizie. A quattordici anni vinse un concorso per dilettanti, andò via di casa, cominciò a cantare in giro con varie formazioni e per tutti gli anni Cinquanta ebbe un discreto successo. Poi arrivarono Elvis Presley e il rock and roll, e i tempi divennero duri. Elvis si appropriò di Hound Dog, il cavallo di battaglia di Big Mama scritto da Jerry Leiber e Mike Stoller, due ragazzi bianchi di Los Angeles, che lei aveva trasformato in quello che è stato definito in seguito un inno femminista, ma il cui tema è assai frequente nel blues delle donne: la cacciata di un uomo parassita e violento e la rivendicazione della propria autonomia. Dice: «Non sei altro che un cane da caccia/smettila di curiosare intorno alla mia porta/puoi scodinzolare/ma non ti darò più da mangiare». Il testo di Elvis è naturalmente diversissimo, puritano e bianco: parla di un amico che piagnucola e che, nonostante si consideri un cane da caccia, non ha mai preso un solo coniglio. La registrazione di Thornton del 1952 fu un successo colossale per una cantante blues: vendette 500.000 copie ma la cover di Elvis superò i dieci milioni e per molti anni nessuno ricollegò la canzone a lei.

Big Mama si vestiva da uomo e manifestava apertamente il suo orientamento sessuale, ma tale stravaganza le era permessa dall’essere nera e dal vivere nel ghetto, perché nell’America puritana di quegli anni (ma solo quelli?) qualunque riferimento esplicito al sesso era forzatamente ignorato. Come scrive Angela Davis, «Uno degli aspetti più evidenti per cui le canzoni blues si discostavano dalla cultura musicale dell’epoca era le pervasività e provocatorietà dell’immaginario sessuale, omosessualità inclusa (…). Gli aspetti delle relazioni amorose incompatibili con l’idea dominante eterea e astratta dell’amore – come le relazioni extraconiugali, la violenza domestica e l’occasionalità di molte relazioni sessuali – erano banditi dal canone della popular music». La sessualizzazione del blues era dovuta al fatto che il pubblico, ovvero il mercato, era completamente nero e che il blues, così come il jazz statunitense, era di fatto puro intrattenimento. La gente si aspettava dagli artisti e dalle artiste un abbigliamento vistoso, un comportamento eccentrico sul palco e palesi riferimenti sessuali mentre, al contrario, la musica pop bianca doveva corrispondere alla morale corrente e quella colta avocava a sé uno status culturale elevato e di nicchia. Ancora Davis: «Le rappresentazioni dell’amore e della sessualità nel blues femminile spesso contraddicevano palesemente i presupposti ideologici tradizionali sulle donne e l’innamoramento. Sfidavano (…) l’assunto che il “posto” delle donne fosse nella sfera domestica». 

Sorte simile a Hound Dog ebbe Ball and Chain, composta da Big Mama all’inizio degli anni Sessanta ma divenuta celebre grazie all’interpretazione di Janis Joplin. Rispetto a Elvis, Janis era molto più vicina in spirito a Big Mama, ma questa non percepì mai le royalties che le spettavano. E non si esibì mai davanti al pubblico immenso che osannava artisti e artiste di pelle bianca. Gli anni Sessanta, la controcultura, il nuovo mercato giovanile non riguardavano neri e nere che cantavano blues. Era solo “intrattenimento”, non “cultura”. Come altre stelle del blues e del jazz, solo in Europa Big Mama fu accolta come meritava e, di rimbalzo, quando l’etichetta della “cultura” arrivò negli Stati Uniti, alla fine degli anni Settanta, Big Mama fu invitata ai primi grandi festival di blues e jazz e conobbe un po’ di notorietà. In quel video dell’aprile 1984 la donna vestita da uomo canta suona e fuma seduta, poi alla fine si alza e abbozza qualche passo di danza, qualche smorfia e ammiccamento come da copione. Si regge in piedi a malapena ma porta avanti lo spettacolo e il pubblico quasi tutto bianco, che ormai è colto e informato, l’applaude con calore. Tre mesi dopo, il 25 luglio, Willie Mae Thornton, detta Big Mama, muore per le conseguenze epatiche e cardiache della propria dissolutezza blues. Le fonti si contraddicono sulle cause, sul luogo esatto del decesso e su chi la trovò morta. Pare impossibile stabilire la verità su una persona marginale come una musicista nera. Lei per prima non lo troverebbe interessante. Cantava a modo suo, e questo è tutto.


Traduzione francese

Guenoah Mroue

Dans la vidéo prise le 11 avril 1984 au Rooster Club de Los Angeles, on voit monter sur scène un homme grand et squelettique, avec un chapeau de cowboy sur la tête, vêtu d’un costume gris de différentes tailles plus grand que le sien. Il a une cigarette dans la main, il bouge à peine, s’assied immédiatement devant le groupe et sort de sa poche un harmonica à la bouche sur lequel souffle quelques notes de preuve, puis laisse le groupe jouer une longue introduction et commence à chanter. Mais ce n’est pas un homme, c’est Big Mama Thornton. La robe était celle qu’il portait quand il pesait plus d’un quintal - certaines sources rapportent même un et demi, voire deux - mais maintenant, après l’accident de voiture et une vie d’alcoolique, il pèse 45 kilos. La voix, cependant, ne semble pas maigrie. Le public l’accueille avec chaleur, l’extravagance des vêtements ne le trompe pas et elle sourit et cligne comme d’habitude. Elle chante, joue de l’harmonica et fume tout au long du concert et quand elle attaque enfin son chef-d’œuvre elle appuie : «Maintenant je vais vous chanter Ball and Chain», et elle précise avec un air de défi:«à ma manière». La grimace avec laquelle elle dis cela mériterait un roman. Le public est majoritairement blanc, mais en 1984 Big Mama est devenue une icône, pas comme dans le vieux temps du ghetto.

Willie Mae Thornton est née le 11 décembre 1926 à Ariton, un petit village d’Alabama qui comptait environ 600 âmes et dont personne n’avait entendu parler, alors qu’elle prétendait être originaire de la capitale de l’État, Montgomery. C’était une grande fille forte et robuste, le surnom de Big Mama est venu comme une conséquence logique, probablement inspiré par Mami, le personnage de la serveuse noire énorme et volontaire de Via col vento, et la chanteuse de blues Gertrude "Ma" Rainey. Le terme "maman" désignant les femmes fortes et importantes semble résumer le sentiment d’identité des communautés noires, où les gens de la même classe sont appelés entre eux "frère" et “sœur", comme dans une famille, et les gens de respect s’adressent avec "maman" et “papa”.Willie Mae, comme beaucoup d’autres artistes blues, était la fille d’un pasteur baptiste et d’une chanteuse d’église, et à l’église elle avait commencé à chanter avec ses frères et sœurs. Mais le nom de scène était aussi un hommage à sa voix, si puissante que le microphone était superflu. Un jour, elle ramassa de la poubelle un harmonica à bouche jeté par un des frères et apprit à le jouer. «Je n’ai jamais eu personne pour m’apprendre quoi que ce soit. Je ne suis jamais allée à l’école de musique ni quoi que ce soit de ce genre. J’ai appris seule à chanter et à jouer de l’harmonica, et même de la batterie, en regardant les autres. Je ne sais pas lire la musique, mais je sais ce que je chante. Je ne chante comme personne sauf moi-même». 

Les nouvelles de sa vie sont fragmentaires. En lisant ici et là, on découvre qu’elle avait six frères, ou quatre, peut-être un mari, peut-être un ou plusieurs enfants, parce que Big Mama n’a jamais connu le grand succès international qui sourit, par exemple, à Elvis Presley et Janis Joplin, qui jouèrent deux de ses pièces; mais ils avaient la peau blanche. Sa mère, Edna M. Richardson Thornton (mais certaines sources la nomment Mattie Haynes), meurt à un jeune âge et Willie Mae quitte l’école, d’abord pour s’occuper d’elle et ensuite pour travailler comme femme de ménage. À l’âge de quatorze ans, elle remporte un concours amateur, quitte la maison, commence à chanter avec diverses formations et connaît un succès modéré tout au long des années 1950. Puis vint Elvis Presley et le rock and roll, et les temps devinrent durs. Elvis s’appropria Hound Dog, le cheval de bataille de Big Mama écrit par Jerry Leiber et Mike Stoller, deux garçons blancs de Los Angeles, qu’elle avait transformé en ce qu’on a appelé plus tard un hymne féministe, mais dont le thème est très fréquent dans le blues des femmes : la chasse d’un homme parasite et violent et la revendication de sa propre autonomie. Elle dit : «Tu n’es qu’un chien de chasse/arrête de fouiner autour de ma porte/tu peux remuer/mais je ne te donnerai plus à manger». Le texte d’Elvis est naturellement très différent, puritain et blanc : elle parle d’un ami qui gémit et qui, bien qu’il se considère comme un chien de chasse, n’a jamais capturé un seul lapin. L’enregistrement de Thornton en 1952 a été un énorme succès pour une chanteuse de blues : elle s’est vendue à 500000 exemplaires, mais la reprise d’Elvis a dépassé les dix millions et pendant de nombreuses années, personne ne lui a rattaché la chanson.

Big Mama s’habillait en homme et manifestait ouvertement son orientation sexuelle, mais cette extravagance lui était permise d’être noire et de vivre dans le ghetto, car dans l’Amérique puritaine de ces années-là (mais seulement celles-ci?) toute référence explicite au sexe était ignorée de force. Comme l’écrit Angela Davis, «L’un des aspects les plus évidents des chansons blues s’écartait de la culture musicale de l’époque était l’omniprésence et la provocation de l’imaginaire sexuel, y compris l’homosexualité (...). Les aspects des relations amoureuses incompatibles avec l’idée dominante éthérée et abstraite de l’amour - comme les relations extraconjugales, la violence domestique et l’occasionnelité de nombreuses relations sexuelles - étaient interdits par le canon de la musique populaire». La sexualisation du blues était due au fait que le public, c’est-à-dire le marché, était complètement noir et que le blues, ainsi que le jazz américain, était en fait un pur divertissement. Les gens attendaient des artistes, et des artistes des vêtements flashy, un comportement excentrique sur scène et des références sexuelles évidentes, par contre, la musique pop blanche devait correspondre à la morale courante et la musique cultivée avait un statut culturel élevé et de niche. Mais aussi, Davis:«Les représentations de l’amour et de la sexualité dans le blues féminin contredisaient souvent clairement les présupposés idéologiques traditionnels sur les femmes et l’amour. Ils contestaient (...) l’hypothèse que la "place" des femmes était dans la sphère domestique».

Comme Hound Dog, Ball and Chain a été composé par Big Mama au début des années 1960, mais est devenu célèbre grâce à l’interprétation de Janis Joplin. Par rapport à Elvis, Janis était beaucoup plus proche en esprit de Big Mama, mais celle-ci ne percevait jamais les royalties qui lui revenaient. Et elle ne se produisit jamais devant l’immense public qui acclamait artistes et artistes couleur blanche. Les années 60, la contre-culture, le nouveau marché des jeunes ne concernaient pas les noirs, les noirs qui chantaient du blues. C’était juste un "divertissement", et non pas une "culture". Comme d’autres stars du blues et du jazz, en Europe seulement Big Mama a été accueilli comme elle le méritait et, de rebond, quand le label de la "culture" est arrivé aux États-Unis, à la fin des années 1970, Big Mama a été invitée aux premiers grands festivals de blues et de jazz et a connu une certaine notoriété. Dans cette vidéo d’avril 1984, la femme habillée comme un homme chante et fume assise, puis finalement se lève et esquisse quelques pas de danse, quelques grimaces et des clins d’œil comme dans le scénario. Elle tient à peine debout, mais fait avancer le spectacle et le public presque tout blanc, qui est maintenant cultivé et informé, l’applaudit avec chaleur. Trois mois plus tard, le 25 juillet, Willie Mae Thornton, dit Big Mama, meurt des suites hépatiques et cardiaques de sa dissolution blues. Les sources se contredisent sur les causes, sur le lieu exact du décès et sur qui l’a trouvée morte. Il semble impossible d’établir la vérité sur une personne marginale comme une musicienne noire. Elle ne trouverait pas ça intéressant au début. Elle chantait à sa façon, et c’est tout.


Traduzione inglese

Syd Stapleton

In a video filmed on April 11, 1984, at the Rooster Club in Los Angeles, a tall, skeletal man, wearing a cowboy hat on his head and bundled up in a gray suit several sizes too large, can be seen coming onstage. He has a cigarette in his hand, moves with difficulty, immediately takes a seat in front of the band and pulls a mouth harmonica from his pocket on which he blows a few practice notes, then lets the band play a long introduction and then begins to sing. But it is not a man! It is Big Mama Thornton. The outfit is the one she wore when she weighed more than a hundred kilos - some sources even report one hundred fifty, even two - but now, after a car accident and a life as an alcoholic, she weighs in at only forty-five kilos (one hundred pounds). Her voice, however, does not sound thin. The audience greets her warmly, the extravagance of her attire does not fool them, and she smiles and winks as usual. She sings, plays the harmonica and smokes throughout the concert, and when she finally attacks her masterpiece she presses, "Now I'm going to sing Ball and Chain to you," and defiantly clarifies, "my way." The grimace with which she says this would deserve a novel. The audience is overwhelmingly white, but by 1984 Big Mama had become an icon, not like in the old ghetto days.

Willie Mae Thornton had been born on December 11, 1926, in Ariton, a small Alabama town of about six hundred souls that no one had ever heard of, so instead she used to claim to be from the State capital, Montgomery. She was a tall, strong, big girl, so the nickname Big Mama came as a logical consequence, probably inspired by Mammy, the character of the huge, strong-willed black maid in Gone with the Wind, and the blues singer Gertrude "Ma" Rainey. The term "Mamma" referring to strong, important women seems to sum up the sense of identity in black communities, in which peers call each other "brother" and "sister," as in a family, and people of respect are addressed as "Ma" and "Pa." Willie Mae, like so many other female blues artists, was the daughter of a Baptist pastor and a church singer, and she had begun singing at church with her brothers and sisters. But the stage name was also a tribute to her voice, so powerful that a microphone was superfluous. One day she picked up a mouth harmonica from the trash, thrown away by one of the brothers and learned to play it. "I never had anyone to teach me anything. I never went to music school or anything like that. I taught myself to sing and play the harmonica, and even the drums by watching others. I can't read music, but I know what I'm singing. I don't sing like anyone but myself."

News about her life is fragmentary. Reading here and there one discovers that she had six siblings, or four, perhaps a husband, perhaps one or more children, because Big Mama never enjoyed the great international success that smiled on, for example, Elvis Presley and Janis Joplin, who performed two of her songs - but they had white skin. The mother, Edna M. Richardson Thornton (but some sources name her Mattie Haynes), died young of tuberculosis, and Willie Mae left school, first to care for her and then to work as a cleaning lady. At the age of fourteen she won an amateur contest, left home, began singing with various ensembles, and throughout the 1950s was quite successful. Then came Elvis Presley and rock and roll, and times got tough. Elvis appropriated Hound Dog, the workhorse Big Mama song written by Jerry Leiber and Mike Stoller, two white boys from Los Angeles, which she turned into what was later called a feminist anthem, but whose theme is very common in women's blues: the ousting of a parasitic, abusive man and the reclaiming of one's autonomy. She says, "You're nothing but a hound dog/ Stop snooping around my door/ You can wag your tail/ But I won't feed you anymore." Elvis's lyrics are, of course, very different, puritanical and white - about a whining friend who, despite considering himself a hound dog, has never caught a single rabbit. Thornton's 1952 recording was a colossal success for a blues singer: it sold 500,000 copies, but Elvis's cover exceeded ten million, and for many years no one reconnected the song to her.

Big Mama dressed as a man and openly manifested her sexual orientation, but such extravagance was allowed by being black and living in the ghetto, because in the puritan America of those years (but only those?) any explicit reference to sex was forcibly ignored. As Angela Davis writes, "One of the most obvious aspects in which blues songs departed from the musical culture of the time was the pervasiveness and provocative nature of sexual imagery, homosexuality included... Aspects of love relationships incompatible with the dominant ethereal and abstract idea of love - such as extramarital affairs, domestic violence, and the casualness of many sexual relationships-were banned from the popular music canon." The sexualization of the blues was due to the fact that the audience, that is, the market, was almost entirely black and that the blues, as well as U.S. jazz, were in fact pure entertainment. People expected flashy clothing, eccentric behavior on stage, and overt sexual references from performers while, on the contrary, white pop music had to match current morals and “cultured” music claimed a high and niche cultural status. Davis again, "Representations of love and sexuality in women's blues often blatantly contradicted traditional ideological assumptions about women and falling in love. They challenged (...) the assumption that women's 'place' was in the domestic sphere."

Ball and Chain had a fate similar to Hound Dog, composed by Big Mama in the early 1960s but made famous through Janis Joplin's interpretation. Compared to Elvis, Janis was much closer in spirit to Big Mama, but the latter never received the royalties she was due. And she never performed in front of the huge audiences that hailed white-skinned artists and performers. The 1960s, the counterculture, the new youth market, was not about blacks or about blacks singing blues. It was just "entertainment," not "culture." Like other blues and jazz stars, it was only in Europe that Big Mama was received as she deserved, and, on the rebound, when the "culture" label came to the United States in the late 1970s, Big Mama was invited to the first major blues and jazz festivals and experienced some renown. In that April 1984 video, the woman dressed as a man sings, plays, and smokes while sitting, then eventually gets up and sketches a few dance moves, a few grimaces and winks as scripted. She barely stands but carries on with the show, and the almost all-white audience, which by now is educated and informed, applauds her warmly. Three months later, on July 25, Willie Mae Thornton, known as Big Mama, died from the liver and heart consequences of her own blues debauchery. Sources contradict each other about the causes, the exact place of death and who found her dead. It seems impossible to establish the truth about someone as marginal as a black musician. She, for one, would not find it interesting. She sang in her own way, and that was that.


Traduzione spagnola

Francesco Rapisarda

En el video grabado el 11 de abril de 1984 en el ‘Rooster Club’ de Los Ángeles se ve subir al escenario un hombre alto y flaquito con un sombrero de vaquero en la cabeza, arropado en un conjunto gris de varias tallas más grande que la suya. Tiene un cigarillo en la mano, se mueve con dificultad, enseguida se sienta delante de la banda y saca de su bolsillo una armónica con la que toca algunas notas para probar, luego deja que la banda toque una larga introducción y, entonces, empieza a cantar. No obstante, no es un hombre: es Big Mama Thornton. El vestido es el mismo que llevaba cuando pesaba más de 100 kg -algunas fuentes dicen que incluso 150, 200- pero ahora, después del accidente automovilístico y de una vida de alcohólica, pesa unos 45 . Sin embargo, parece que su voz no ha adelgazado. El público la recibe calurosamente, no se deja engañar por la extravagancia de la ropa y ella sonríe y guiña el ojo como siempre. Canta, toca la armónica y fuma durante todo el concierto y cuando finalmente arranca su obra maestra empieza diciendo: «Ahora os voy a cantar Ball and Chain», y precisa desafiante: «a mi manera». La mueca con la que lo dice se merecería una novela. El público es predominantemente blanco, pero en 1984 Big Mama se convirtió en un icono, no como en los viejos tiempos del gueto. 

Willie Mae Thornton nació el 11 de diciembre de 1926 en Ariton, un pequeño pueblo de Alabama que contaba con unas seiscientas almas y del cual nadie había oído hablar, por lo tanto, ella solía decir que era originaria de la capital del estado, Montgomery. Era una chica alta, fuerte y robusta, por lo que el apodo de Big Mama llegó como consecuencia lógica, probablemente inspirado por Mami, el personaje de la camarera negra enorme y volitiva de Lo que el viento se llevó, y por la cantante de blues Gertrude “Ma” Rainey. El apodo “mamá” para referise a mujeres fuertes e importantes parece resumir el sentido de identidad de las comunidades negras, donde los iguales, entre ellos, se llaman “hermano” y “hermana”, como en una familia, y a las personas respetables se les llama “mamá” y “papá”. Willie Mae, como muchas otras artistas de blues, era hija de un pastor baptista y de una cantante de iglesia, y en la iglesia comenzó a cantar con sus hermanos y hermanas. Pero, el nombre artístico era también un tributo a su voz, tan potente que el micrófono era superfluo. Un día recogió de la basura una armónica que había tirado uno de sus hermanos y aprendió a tocarla. «Nunca tuve a nadie que me enseñara nada. Nunca fui a la escuela de música ni nada de eso. Aprendí sola a cantar y tocar la armónica, e incluso la batería, mirando a los demás. No sé leer música, pero sé lo que estoy cantando. No canto como nadie, sino como yo misma».

Las noticias sobre su vida son fragmentarias. Leyendo deaquí y de allá, descubrimos que tenía seis hermanos, o cuatro, tal vez un esposo, quizá un hijo o más de uno, ya que Big Mama nunca tuvo el gran éxito que les tocó, por ejemplo, a Elvis Presley y a Janis Joplin, que interpretaron dos de sus temas; pero ellos tenían la piel blanca. Su madre, Edna M. Richardson Thornton (aunque algunas fuentes se refieren a ella como Mattie Haynes) murió de tuberculosis a una edad temprana y Willie Mae abandonó la escuela, primero para cuidarla y luego para trabajar como limpiadora. A los catorce años ganó un concurso de aficionados, se marchó de casa, comenzó a cantar con diferentes formaciones y durante todos los años Cincuenta tuvo un discreto éxito. Luego llegaron Elvis Presley y el rock and roll, y los tiempos se volvieron difíciles. Elvis se apropió de Hound Dog, el caballo de batalla de Big Mama escrito por Jerry Leiber y Mike Stoller, dos chicos blancos de Los Ángeles, y que ella había convertido en lo que más tarde se definió un himno feminista, pero cuyo tema es muy común en el blues femenino: la expulsión de un hombre “parásito” y violento y la reivindicación de su autonomía. Dice: «No eres más que un perro de caza/deja de husmear alrededor de mi puerta/puedes mover la cola/pero ya no te daré de comer». El texto de Elvis es, por supuesto, muy distinto, puritano y blanco: habla de un amigo que lloriquea y que, aunque se considera un perro de caza, nunca ha cazado un solo conejo. La grabación de Thornton de 1952 fue un éxito colosal para una cantante de blues: vendió 500.000 ejemplares, pero la versión de Elvis superó los 10 millones y durante muchos años nadie la relacionó con ella.

Big Mama se vestía como un hombre y manifestaba abiertamente su orientación sexual, pero se le permitía semejante extravagancia por ser negra y por vivir en el gueto, porque en la América puritana de aquellos años (¿solo aquellos?) cualquier referencia explícita al sexo era, a la fuerza, ignorada. Como escribe Angela Davis: «Uno de los aspectos más evidentes por los que las canciones de blues se distanciaban de la cultura musical de la época era la penetración y el carácter provocador de la esfera sexual, incluso la homosexualidad (…). Los aspectos de las relaciones amorosas incompatibles con la idea dominante etérea y abstracta del amor –como las relaciones extramaritales, la violencia doméstica y la ocasionalidad de muchas relaciones sexuales– estaban prohibidos por el canon de la música popular». La sexualización del blues se debió al hecho de que el público, es decir, el mercado, era completamente de color y a que el blues, al igual que el jazz estadounidense, de hecho era puro entretenimiento. La gente se esperaba que los artistas llevasen ropa llamativa, tuvieran un comportamiento excéntrico en el escenario e hicieran referencias sexuales explícitas, mientras que, por el contrario, la música pop blanca tenía que corresponder a la moral de la época y la música culta tenía un estatus cultural elevado y de nicho. Sigue Davis: «Las representaciones del amor y de la sexualidad en el blues femenino a menudo contradecían claramente los presupuestos ideológicos tradicionales acerca de las mujeres y del enamoramiento. Desafiaban (…) la suposición de que el “lugar” de las mujeres estuviera en la esfera doméstica».

Ball and Chain compuesta por Big Mama a principios de los años Sesenta, tuvo un éxito similar a Hound Dog pero se hizo famosa gracias a la interpretación de Janis Joplin. Janis estaba mucho más cerca espiritualmente a Big Mama que Elvis, pero esta nunca recibió los derechos de autora que le correspondían. Y nunca actuó frente al gran público que halagaba a los y las artistas de piel blanca. En los años Sesenta, la contracultura, el nuevo mercado juvenil, ya no estaban formados por negros y negras que cantaban blues. Era solo “entretenimiento”, no “cultura”. Al igual que otras estrellas del blues y del jazz, solo en Europa Big Mama fue recibida como se merecía y, como rebote, cuando la etiqueta de la “cultura” llegó a Estados Unidos, a finales de los años Setenta, Big Mama fue invitada a los primeros grandes festivales de blues y jazz y adquirió un poco de notoriedad. En ese video de abril de 1984 la mujer vestida de hombre canta, toca y fuma sentada, luego al final se levanta y esboza algunos pasos de baile, algunas sonrisas y guiños como de guión. Apenas se mantiene en pie, pero sigue adelante con el espectáculo y el público, casi todo blanco, que ahora es bien culto y está informado, la aplaude con calidez. Tres meses después, el 25 de julio, Willie Mae Thornton, conocida como Big Mama, muere a causa de las consecuencias hepáticas y cardíacas de su inmoralidad blues. Las fuentes se contradicen sobre las causas, el lugar exacto de la muerte y quién la encontró muerta. Parece imposible establecer la verdad sobre una persona marginal como era una música negra. Ni siquiera ella lo encontraría interesante. Ella cantaba a su manera, eso es todo.

 

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