Mary Elmes



Rita Mota

 

Mary Elmes, studiosa e laureata alla prestigiosa Università del Trinity College a Dublino, voltò le spalle a una brillante carriera accademica per svolgere attività di volontariato in due dei peggiori conflitti del XX secolo. Durante la Guerra civile spagnola (1936-1939) istituì e gestì ospedali per l'infanzia, spostandosi di sito in sito mentre le truppe di Franco avanzavano. Quando era evidente che la Spagna non fosse più sicura, seguì i rifugiati spagnoli oltre il confine in Francia per trovarsi troppo presto in un'altra guerra: la Seconda guerra mondiale. In Francia seguitò ad aiutare i rifugiati e in piena crisi bellica rischiò la vita per salvare bambine e bambini ebrei dalla deportazione. Marie Elisabeth Jean Elmes aveva vissuto la turbolenza della guerra fin da giovanissima. Nacque il 5 maggio del 1908 in una prospera famiglia anglicana e progressista a Ballintemple, nella città di Cork. Suo padre Edward Elmes era un farmacista e sua madre Elisabeth si era battuta per il voto alle donne ed era stata la tesoriera della Munster Women's Franchise League. Mary e suo fratello minore John frequentarono entrambi la Rochelle School, un istituto moderno e ben attrezzato a Blackrock, Cork. La scuola imponeva una “rigorosa cortina di censura” ai propri alunni nel tentativo di proteggerli dagli sconvolgimenti politici del primo Novecento, ma invano.

 

La giovanissima Mary era a conoscenza della Prima guerra mondiale e, all'età di sette anni, confezionava calzini per i soldati che combattevano in prima linea. La guerra arrivò molto più vicina a casa nel maggio 1915 quando il transatlantico Cunard, il Lusitania, fu silurato da un U-boot tedesco al largo della costa di Cork. Lei e la sua famiglia si unirono alle migliaia di persone accorse a Cobh per aiutare i sopravvissuti. Più tardi avrebbe detto ai propri figli che le scene strazianti alle quali aveva assistito sulla banchina quel giorno erano rimaste con lei per tutta la vita. Ebbe motivo anche di ricordare la Guerra d'indipendenza irlandese. Nel 1920, l'azienda di famiglia in Winthrop Street fu bruciata dalle forze britanniche. Nonostante il tumulto, Mary fu incoraggiata a viaggiare e a studiare. Quando finì la scuola trascorse un anno in Francia per poi tornare a casa con un francese quasi perfetto. Ha continuato a studiare lingue moderne (francese e spagnolo) al Trinity College di Dublino, dove primeggiava. Nel 1931 vinse una Medaglia d'Oro per l'eccellenza accademica e, dopo la laurea, una borsa di studio alla London School of Economics (Lse). Un suo ex-professore al Trinity College, T.B. Rudmose-Brown, si dichiarò entusiasta della «insolita intelligenza» e della «carriera accademica eccezionalmente brillante» di Mary. A Londra, i riconoscimenti continuarono ad arrivare. Nel 1936 vinse un'altra borsa di studio, questa volta per studiare relazioni internazionali a Ginevra. Nello stesso anno, quando scoppiò la Guerra civile spagnola, Mary, profondamente consapevole della situazione politica, non era affatto preparata alla sofferenza di cui fu testimone quando si offrì volontaria con il servizio di ambulanza di sir George Young. Nel febbraio del 1937 arrivò in Spagna e fu assegnata alla stazione di alimentazione di Almeria. Ben presto si guadagnò esperienza e fu reputata una amministratrice scaltra e abile, lucida ma non sentimentale, capace di gestire faccende pratiche anche nel caos di una guerra. Con l'avanzare dell'esercito fascista, Mary si spostò verso est, da Murcia ad Alicante e poi in montagna a Polop, dove allestì e diresse ospedali pediatrici. Quando suo padre morì inaspettatamente a Cork alla fine del 1937, perse il funerale perché si rifiutò di abbandonare il suo posto visto che non fu possibile trovare una sostituta. Lasciò la Spagna solo quando era diventato impossibile per gli operatori umanitari rimanere e decise di seguire i suoi amati rifugiati spagnoli oltre confine. Qui Mary creò laboratori, mense, scuole e ospedali nei villaggi-campo eretti in fretta nel sud-ovest della Francia.

 

 

Credeva che anche in situazioni di estrema emergenza fosse utile far fare qualcosa di pratico alle persone. Ma non si limitava a organizzare e a dare ordini, partecipava alle stesse attività che organizzava. Stabiliva degli obiettivi e cercava di raggiungerli. Il suo approccio si potrebbe definirne clinico, chirurgico. Era risoluta nel suo lavoro e presto fu scelta come direttrice della delegazione quacchera a Perpignan, pur non essendo di fede quacchera. Centinaia delle sue lettere che sono sopravvissute rivelano una donna determinata e intraprendente, ma anche molto diplomatica. Queste caratteristiche si sarebbero rivelate vitali quando gli ebrei nel sud-ovest della Francia furono ammassati per essere deportati dal campo di Rivesaltes dove Mary Elmes trascorreva la maggior parte del suo tempo. I documenti giunti a noi descrivono come abbia “rapito” nove bambini ebrei dal primo convoglio diretto ad Auschwitz l'11 agosto 1942, nascondendoli nel bagagliaio della sua auto e conducendoli negli orfanotrofi che aveva allestito ai piedi dei Pirenei e lungo la costa all'inizio della guerra. Tra l’agosto e l’ottobre del 1942, Mary Elmes e i suoi colleghi salvarono circa 427 bambini dal campo di Rivesaltes. Le sue attività sovversive la portarono all'attenzione della Gestapo e all'inizio del 1943 fu arrestata e imprigionata per sei mesi. Quando la guerra finì, sposò il francese Roger Danjou a Perpignan ed ebbero due figli, Caroline e Patrick. In seguito parlava poco della guerra o di ciò che aveva fatto, rifiutando tutti i riconoscimenti. Nel 2011, nove anni dopo la sua morte avvenuta all'età di 93 anni, uno dei bambini da lei salvati, il professor Ronald Friend, l'ha proposta per il più alto riconoscimento israeliano; nel 2013 è stata nominata Giusta tra le Nazioni. È l'unica irlandese a detenere tale onore.

Fonti:

Il libro di Clodagh Finn, A Time to Risk All, Gill Books, Dublin, Ireland

Il film documentario It Tolls for Thee, 2017

 

Traduzione francese

Mary Elmes, étudiante diplômée de la prestigieuse université de Trinity College de Dublin, refuse une brillante carrière d’académicienne pour se dédier au bénévolat pendant deux des plus durs conflits du XXème siècle. Pendant la Guerre civile espagnole (1936-1939), elle installe et gère des hôpitaux pour les enfants, en se déplaçant d’un lieu à l' autre quand les armées de Franco avancent. Lorsqu' il devient évident que l’Espagne n’est plus un endroit sûr pour y rester, elle suit les réfugié.e.s espagnol.e.s en se retrouvant bientôt au milieu d’une autre guerre: la Seconde Guerre mondiale. En France, elle continue à aider les réfugié.e.s en risquant sa vie pour sauver les enfants de la déportation. Marie Elisabeth Jean Elmes a vécu la turbulence de la guerre depuis son enfance. Elle est née à Ballintemple, dans la ville de Cork, le 5 mai 1908 au sein d' une prospère famille anglicane et progressiste. Son père Edward Elmes est pharmacien et sa mère Elisabeth s’est battue pour donner au femmes le droit de vote et a été la trésorière de la Munster Women’s Franchise League. Mary et son petit-frère John vont à la Rochelle School, une école moderne et bien organisée à Blackrock, à côté de Cork. L’école impose à ses élèves un “rigide rideau de censure” pour les protéger des chocs politiques du début du siècle.

 

Mary, très jeune, connait la Première Guerre mondiale et à l’âge de sept ans, elle confectionne des chaussettes pour les soldats qui combattent en première ligne. En mai 1915, la guerre arrive à proximité de chez elle, quand le bateau transatlantique Lusitanie (?) est torpillé et coulé par un U-boot allemand pas loin de la côte de Cork. Elle et sa famille rejoignent alors les milliers de gens précipités à Cobh pour aider les survivant-e-s. Plus tard, elle dira à ses enfants que les scènes terribles qu’elle a vues ce jour-là allaient la hanter toute sa vie. Elle a aussi gardé en mémoire la Guerre d’indépendance irlandaise. En 1920, l’agence de sa famille située à Winthrop Street est bombardée par l’armée anglaise. En dépit de la bagarre, Mary est encouragée à étudier et à voyager. Après avoir fini l’école, elle passe une année en France, et rentre chez sa famille avec une connaissance presque parfaite de la langue française. Elle continue à étudier les langues modernes (le français et l’espagnol) au Trinity College de Dublin, où elle excelle. En 1931, elle gagne une médaille d’or pour son excellence académique et, après sa licence, une bourse pour étudier à la London School of Economics. Monsieur T. B. Rudmose-Brown, son ex professeur au Trinity College, se déclare enthousiaste devant «l’intelligence inhabituelle» et «la brillante carrière académique» de Mary. À Londres, elle continue à recevoir des prix. En 1936, elle gagne une autre bourse, cette fois-ci pour étudier les relations internationales à Genève. Durant la même année, quand la Guerre civile espagnole éclate, Mary, au courant de la situation politique, n’est pas du tout préparée à la souffrance dont elle va être témoin à bord de l’ambulance de M. George Young. En février 1937, elle arrive en Espagne et elle est engagée au dépôt alimentaire d’Almeria. Bientôt, elle a davantage d ' expérience et elle est considérée comme une administratrice habile et lucide, capable de gérer les affaires pratiques même au milieu du chaos de la guerre. À mesure que l’armée fasciste avance, elle se déplace vers l’Est, de Murcia à Alicante, et après à Polop, sur la montagne, où elle installe et gère des hôpitaux pédiatriques. Quand son père meurt brusquement, en 1937, elle ne peut assister à ses funérailles car elle refuse de quitter sa place. Elle ne quitte l’Espagne que quand, pour les soignants, il devient impossibile d’y rester et ce n’est qu’alors qu’elle décide de suivre ses ami.e.s réfugié.e.s espagnol.e.s au-delà de la frontière. Là, Mary crée des labos, des cantines, des écoles et des hostos, construits à toute vitesse dans le Sud-Ouest de France.

 

 

Elle croit que, même dans des situations d’extreme urgence, il est utile que les gens fassent des choses pratiques. Mais, en plus d’organiser, elle participe elle-même aux activités organisées. Elle vise des objectifs et essaie de les atteindre. Sa méthode, on peut la definir comme clinique, parfois même un travail de chirurgien. Elle est résolue dans son travail. Elle est choisie comme directrice de la délégation quaker à Perpignan, même sans être quaker. Des centaines de ses lettres, qui sont parvenues jusqu'à nous démontrent qu’elle est une femme déterminée et entreprenante mais aussi très diplomate. Cette qualité-ci a été très importante quand les juifs du Sud-Ouest de France ont été rassemblés pour être déportés au champ de Rivesaltes, où Mary passait la plus part de son temps. D' après les papiers qui nous sont parvenus, elle aurait “enlevé” neuf enfants juifs du train à destination Auschwitz le 11 août 1942, en les cachant dans le coffre de sa voiture pour les conduire aux orphelinats qu’elle avait créés au pied des Pyrénées et à proximité de la mer. Entre août et octobre 1942, Mary Elmes et ses collègues ont sauvé environ 427 enfants du champ de Rivesaltes. Ses activités subversives l’ont conduite à attirer l’attention de la Gestapo. Au début de 1943 elle a été emprisonnée pendant six mois. Après la fin de la guerre, elle a épousé le français Roger Danjou à Perpignan et ils ont eu deux enfants, Caroline et Patrick. Au cours des années suivantes, elle a peu évoqué la guerre et ce qu’elle avait fait et elle a refusé tous les prix. En 2011, neuf ans après son décès, qui s'est produit à l’âge de 93 ans, un des enfants sauvés par elle, le professeur Ronald Friend, l’a proposé pour le plus haut prix israélien: en 2013 elle a été nommée Juste parmi les Nations. Elle est l’unique femme irlandaise qui a reçu cet honneur-ci.

 

Traduzione inglese

 

Mary Elmes, a scholar and graduate from Dublin’s prestigious university, Trinity College, turned her back on a distinguished academic career to volunteer during two of the XX century’s worst conflicts. During the Spanish Civil War (1936-1939), she established and operated children's hospitals, moving from site to site as Franco's troops advanced. When it was evident that Spain was no longer safe, she followed the Spanish refugees over the border into France only to find herself entangled in another war: World War II. In France, she continued to help refugees and in the midst of the war, she risked her life to save Jewish children from deportation. Marie Elisabeth Jean Elmes had experienced the turbulence of war from a very early age. She was born on the 5th of May, 1908 into a prosperous, progressive Anglican family in Ballintemple, in the city of Cork, in the south of Ireland. Her father, Edward Elmes, was a pharmacist, her mother Elisabeth Elmes had fought for women’s voting rights and had acted as treasurer to the Munster Women's Franchise League. Mary and her younger brother John attended Rochelle School, a modern, well-equipped institution in Blackrock, Cork. The school imposed a "strict curtain of censorship" on its pupils in an effort to protect them from the political upheavals of the early twentieth century… in vain.

 

 

While still a child, Mary had been aware of World War I and, at the age of seven, had knitted socks for the soldiers fighting on the front. War came much closer to home in May 1915 when the Cunard liner, the Lusitania, was torpedoed by a German U-boat off the coast of Cork. She and her family joined the thousands who flocked to Cobh to help the survivors. Later, she was to tell her children how the harrowing scenes she had witnessed on the quay that day had remained with her all her life. She also had reason to remember the Irish War of Independence. In 1920, the family business on Winthrop Street in Cork was burned down by British forces. Despite the turmoil, Mary was encouraged to travel and study. When she finished secondary school, she spent a year in France and when she returned home, she could speak almost perfect French. She went on to study modern languages ​​(French and Spanish) at Trinity College Dublin, where she excelled. In 1931, she won a Gold Medal for Academic Excellence and, after graduation, a scholarship to the London School of Economics (LSE). One of her former Trinity professors, T.B. Rudmose-Brown, spoke enthusiastically about Mary's "unusual intelligence" and her "exceptionally brilliant academic career". In London, the accolades continued. In 1936, she won another scholarship, this time to study international relations in Geneva. That same year, when the Spanish Civil War broke out, Mary, though deeply aware of the gravity of the political situation, was not at all prepared for the suffering she witnessed when she volunteered with Sir George Young's ambulance service. In February 1937, she arrived in Spain and was assigned to the station at Almeria. She quickly gained experience and soon won a reputation as a shrewd, skilled administrator, lucid not sentimental, capable of handling practical matters even during a war. As the Fascist army advanced, Mary moved eastwards, from Murcia to Alicante, then into the mountains and Polop, where she set up and ran children's hospitals. When her father died unexpectedly in Cork in late 1937, she missed his funeral because she refused to leave her post when a replacement could not be found. She left Spain only when it became impossible for those providing aid to stay. At that point, she decided to follow her beloved Spanish refugees across the border into France. Here she set up laboratories, canteens, schools and hospitals in the hastily erected camp-villages in southwestern France.

 

 

She believed that even in situations of extreme emergency it was useful to have people do something practical. She did not simply organise activities and give orders, she took an active part in the activities she set up. She set goals and strove to achieve them. Her approach might be defined as clinical, surgical. She was steadfast in her work and was soon chosen as director of the Quaker delegation in Perpignan, although not a Quaker by birth but an Anglican. Hundreds of the letters that have survived reveal a determined and enterprising woman who was also very diplomatic. These characteristics were to prove vital when Jews in southwestern France were being herded from the Rivesaltes camp where Mary Elmes spent most of her time, for deportation. The documents that have come down to us describe how she actually "kidnapped" nine Jewish children from the first convoy bound for Auschwitz on the 11th of August 1942, hiding them in the boot of her car and whisking them away to the orphanages she had set up at the foot of the Pyrenees and along the coast at the beginning of the war. Between August and October 1942, Mary Elmes and her colleagues rescued about 427 children from the Rivesaltes camp. Her subversive activities brought her to the attention of the Gestapo and, in early 1943, she was arrested and imprisoned for six months. When the war ended, she married the Frenchman Roger Danjou in Perpignan and they had two children, Caroline and Patrick. Afterwards, she spoke little of the war and what she had done, rejecting all accolades during her lifetime. In 2011, nine years after her death at the age of 93, one of the children she had rescued, Professor Ronald Friend, nominated her for the highest Israeli award. Two years later she was named Righteous Among the Nations, the only Irish person to hold this honour.

 

Traduzione spagnola
Federica Agosta

 

Mary Elmes, estudiosa y licenciada en la prestigiosa Universidad Trinity College en Dublín, dio la espalda a una carrera académica rutilante para llevar a cabo actividades de voluntariado en dos de los peores conflictos del siglo XX. Durante la Guerra Civil española (1936-1939), instituyó y administró hospitales pediátricos, desplazándose de un sitio a otro mientras las tropas de Franco avanzaban. Cuando quedó claro que España no estaba un lugar seguro, siguió a los refuguiados españoles y cruzó la frontera francesa con estos últimos, para encontrarse, demasiado temprano, involucrada en otra guerra: la Segunda Guerra mundial. En Francia siguió ayudando a los refugiados y en plena crisis bélica arriesgó su vida para salvar de la deportación niñas y niños judíos. Marie Elisabeth Jean Elmes había experimentado la agitación de la guerra desde su juventud. Nació el 5 de mayo de 1908 en una próspera familia anglicana y progresista en Ballintemple, en la ciudad de Cork. Su padre, Edward Elmes, era farmacéutico y su madre Elisabeth había luchado por el derecho de las mujeres al voto y había sido la tesorera de la Munster Women’s Franchise League. Mary y su hermano menor John iban a la Rochelle School, un instituto moderno y bien equipado en Blackrock, Cork. La escuela imponía una “rigurosa cortina de censura” a los alumnos con la intención, aunque vana, de protegerlos da los trastornos políticos de principios del siglo XX.

 

 

La jovencísima Mary era consciente de la Primera Guerra mundial, y, a los siete años, tricotaba calcetines para los soldados que luchaban al frente. La guerra se se acercó mucho a su hogar en mayo de 1915, cuando el transatlántico Cunard, el Lusitania, fue torpedeado por un U-boot alemán cerca de la costa de Cork. Ella y su familia se unieron a las miles de personas llegadas a Cobh para ayudar a los supervivientes. Más tarde, la misma Mary le contó a sus propios hijos que las espantosas escenas de las cuales había sido testigo en el muelle aquel día se habían quedado con ella durante toda su vida. También tenía motivos para recordar la Guerra de Independencia Irlandesa. En 1920, la empresa de familia en Winthrop Street fue quemada por las fuerzas británicas. No obstante el alboroto, Mary fue animada al viaje y al estudio. Cuando terminó la escuela, pasó un año en Francia para luego regresar a casa con un francés casi perfecto. Siguió estudiando lenguas modernas (francés y español) en el Trinity College de Dublín, donde primaba sobre todos. En 1931 ganó una Medalla de Oro por su excelencia académica y, después de su licenciatura, ganó una beca en la London School of Economics (LSE). Un ex-profesor suyo del Trinity College, T.b. Rudmose-Brown, se declaró entusiasta de la «insólita inteligencia» y de la «carrera académica excepcionalmente rutilante» de Mary. En Londres le seguían llegando reconocimientos . En 1936 ganó otra beca, esta vez para estudiar relaciones internacionales en Ginebra. En el mismo año, cuando estalló la Guerra Civil española, Mary, profundamente consciente de la situación política, noestaba preparada al sufrimiento del que fue testigo cuando se ofreció como voluntaria con el servicio de ambulancia de Sir George Young. En febrero de 1937 llegó a España y fue asignada a la estación de alimentación de Almería. Al poco tiempo ganó experiencia y fue reputada una administradora lista y hábil, lúcida pero no sentimental, capaz de gestionar asuntos prácticos incluso en el caos de una guerra. Con el avance del ejército fascista, Mary se desplazó hacia el este, desde Murcia hasta Alicante y luego hacia la montaña, a Polop, donde montó y administró hospitales pediátricos. Cuando su padre murió inesperadamente en Cork a finales de 1937, se perdió el rito fúnebre porque había rechazado abandonar su colocación dado que no había sido posible encontrar quien la sostituyera. Dejó España solamente cuando se había hecho imposible quedarse para los operadores humanitarios, y decidió seguir a sus queridos refugiados españoles más allá de la frontera. Ahí Mary instituyó laboratorios, comedores, escuelas y hospitales en los campos erigidos rápidamente en el sur-oeste de Francia.

 

 

Creía que incluso en situaciones de extrema emergencia resultaba útil hacer hacer algo práctico a las personas. Pero ella no se limitaba a organizar y dar órdenes, dado que tomaba parte en las mismas actividades que organizaba. Establecía unos objetivos y trataba de alcanzarlos. Podríamos definir su método como clínico, quirúrgico. Era una mujer determinada en su trabajo y temprano fue elegida como directora de la delegación cuáquera en Perpiñán, aunque no era de fe cuáquera. Cientos de sus cartas que se han conservado revelan una mujer determinada y audaz, pero también muy diplomática. Estas características se revelaron vitales cuando los judíos en el sur-oeste de Francia fueron amontonados para luego ser deportados al campo de Rivesaltes, donde Mary Elmes pasaba la mayor parte de su tiempo. Los documentos que han llegado hasta nosotros describen cómo “secuestró” a nueve niños judíos da la primera escolta con dirección a Auschwitz el 11 de agosto de 1942, ocultándolos en el maletero de su coche, llevándolos a los orfanatos que ella misma había organizado a los pies de los Pirineos y cerca de la costa al comienzo de la guerra. Entre los meses de agosto y octubre de 1942, Mary Elmes y sus colegas salvaron aproximadamente a 427 niños y niñas del campo de Rivesaltes. Sus actividades subversivas la llevaron a la atención de la Gestapo y a principios del año 1943 fue detenida y encarcelada durante seis meses. Cuando la guerra terminó, se casó con el francés Roger Danjou en Perpiñán y tuvieron dos hijos, Caroline y Patrick. Luego hablaba poco acerca de la guerra o de lo que había hecho, rechazando todos los reconocimientos. En 2011, nueve años después de su muerte, acontecida a los 93 años, uno de los niños que ella misma había salvado, el profesor Ronald Friend, la propuso para el más importante reconocimiento israelita; en 2013 fue designada Justa entre las Naciones. Mary Elmes sigue siendo la única irlandesa en merecer semejante honor.

Fuentes:

El libro de Clodagh Finn, A Time to Risk All, Gill Books, Dublín, Irlanda

La película documental It Tolls for Thee, 2017.

 

Alojzija Štebi
Marina Checchi



Rita Mota

 

Politica, insegnante, pubblicista, redattrice, combattente appassionata per i diritti delle donne, dell'infanzia e della gioventù, Alojzija Stebi è stata la forza trainante del movimento femminista sloveno e jugoslavo. La storia della Slovenia è da sempre intrecciata con quella delle potenze vicine, nel narrare il personaggio di Alojzija Štebi partiamo dunque dal periodo in cui quel territorio era ancora sotto il dominio asburgico. La situazione sociale era caratterizzata da una pessima condizione per quanto riguardava le donne, le lavoratrici e i lavoratori di ogni età, da una grande differenza di genere nei diritti individuali: civili, economici, politici. In un quadro di questo tipo si inserisce Alojzija Štebi, nata il 24 marzo 1883 a Lubiana. All’epoca in Slovenia il sistema educativo era suddiviso in scuole femminili e scuole maschili. Immaginiamo che Alojzija abbia percepito subito un’ingiusta differenza, una grave parzialità nell’impostazione della vita, delle possibilità e dei diritti fra uomini e donne. Frequentò naturalmente le scuole elementari e superiori femminili, poi decise di proseguire la propria formazione diventando insegnante e si diplomò alla scuola normale di Lubiana nel 1903. Erano gli anni della crescita, delle domande, del pensiero critico sul mondo e sulle ingiustizie. Il 1911 fu il tempo in cui iniziò a scrivere sui problemi delle donne, evidentemente sentiva forte il bisogno di essere parte attiva nella lotta per i diritti e di denunciare per poter sia rendere consapevole la popolazione sia proporre delle soluzioni, delle modifiche a ciò che riteneva palesemente ingiusto. La sua storia è caratterizzata da numerose attività, nel 1912 iniziò a scrivere per un giornale socialista, Zarja. Poi entrò nel giornale del sindacato polacco dei lavoratori di tabacco. Prese anche parte al Salone d'arte della famiglia Kessler in cui si riunivano giovani artisti, tra cui Ivan Cankar, scrittore e poeta, con cui ebbe una lunga amicizia. Lui stesso le dedicò una cartolina in cui la ritrasse come personaggio importante della potenza socialista e pure un sonetto intitolato Ten Years.

 

Ten Years… Lonely Years…

Ten Years, I believe, have past; / lonely years. I wandered to desolate places, / to slopes without rest or stopping; / all that is bitter – my heart has endured. // And what did my eyes behold as a glimpse of light in the dark? / It is you, whom I dreamt of in trepidation, / the autumn sweet light for the dead months of May, / a hundredfold return for my hundred times of pain! … // All this is but a memory from beyond a trench! / The patient can feel the oncoming of eternity’s shine / and before the Old Lady forever shuts his eyes // Our Lord uncovers before them heavenly paradise; / bright light shining onto the final pain - / another smile, no longer forever! //

For Lojzka from Ivan Cankar to remember me by

Nel 1915 divenne redattrice per la gazzetta socialista delle donne Ženski list, nel 1917 capo redattrice del quotidiano del Particoto socialdemocratico Naprej e nel 1918 capo redattrice della gazzetta Demokracija. Erano anni cruciali, in piena Prima guerra mondiale, si ragionava di opportunità e di alleanze. Štebi si dichiarò allora a favore della creazione di uno Stato jugoslavo e, finalmente, nel 1918, con la caduta dell’Impero austro-ungarico, la maggior parte della Slovenia entrò nel neonato Regno di Jugoslavia (regno dei popoli serbo, croato e sloveno). Secondo il suo pensiero, con uno Stato unitario si potevano apportare dei cambiamenti giusti per tutte le donne delle diverse culture. Uno dei suoi scritti più famosi: Demokratizem in ženstvo (Democrazia e femminilità), pubblicato nel 1918, tracciava un progetto a favore delle donne: per garantire il suffragio femminile, per migliorare le possibilità educative, per avere pari accesso, rispetto agli uomini, ai diritti civili, sociali e politici. Dunque, per il riconoscimento della parità di genere. Tutto questo non significa che lei ritenesse identici uomini e donne, bensì reputava che le differenze fossero un’opportunità per ottenere stessi diritti e stesse possibilità, stessi trattamenti economici e stesse facoltà, stessi privilegi anche riguardo a separazioni ed eredità. Pochi anni dopo pubblicò Protezione dei bambini e dei giovani trascurati. Era componente attiva di un certo numero di organizzazioni femminili jugoslave di rilievo, come l'Unione nazionale delle donne del SHS e l'Alleanza femminista del SHS.

 

Ci piace ricordare che nel 1923 fondò l’Alleanza femminista del Regno di serbi, croati e sloveni, un'organizzazione che si sforzava di elevare culturalmente le donne di tutti gli strati sociali e aveva l'obiettivo di unire le donne del nuovo Stato per sostenere la parità di retribuzione, il matrimonio civile e la protezione dei bambini, la custodia paritaria della prole e il riconoscimento di figli/e illegittimi/e. L’Alleanza fu ribattezzata nel 1926 Alleanza dei movimenti femminili della Jugoslavia e ne fu presidente fino al 1927. Nel 1925 organizzò una marcia per il diritto di voto femminile. Nel suo lavoro, Alojzija Štebi trovò sostegno principalmente in Angela Vode, Minka Govekar e sua cognata Cirila Plesko Stebi, un'altra famosa attivista. Da più fonti viene descritta come giornalista e redattrice esperta, brava oratrice, semplice nel suo aspetto pubblico e privato, gentile nella vita quotidiana, ferma nelle convinzioni e indipendente nel pensiero. Nel 1940 si ritirò e durante la Seconda guerra mondiale operò il più possibile con il movimento partigiano. Suo fratello Anton Stebi fu ucciso nel 1942 dai fascisti per le sue convinzioni politiche, mentre la moglie Cirila morì nel campo di concentramento di Auschwitz. Dopo aver perso il fratello e la cognata, visse con parenti lontani. Nel dopoguerra trovò una occupazione presso il Ministero degli Affari Sociali e per i Ministeri del Lavoro e dell'Istruzione. Nel 1950 si ritirò nuovamente, ma lavorò come dipendente part-time quasi fino alla morte avvenuta il 9 agosto 1956.

Fonti:

https://en.wikipedia.org/wiki/Alojzija_%C5%A0tebi

https://www.slovenska-biografija.si/oseba/sbi665283/

https://www.gov.si/en/news/2020-06-01-a-poem-by-ivan-cankar-dedicated-to-alojzija-stebi/

https://issuu.com/muzejnzs/docs/katalog_angl_www

https://www.zvab.com/Demokracija-Socijalisticna-revija-Democracy-Socialist-Magazine/30047662484/bd

 

 

Traduzione francese
Marina Cecchi

 

Politique, enseignante, publiciste, rédactrice, combattante passionnée des droits des femmes, de l’enfance et de la jeunesse, Alojzija Stebi a été la force motrice du mouvement féministe slovène et yougoslave. L’histoire de la Slovénie a toujours été tissée avec celle des puissances voisines, en racontant le personnage d’Alojzija Štebi nous partons donc de la période où ce territoire était encore sous la domination des Habsbourg. La situation sociale était caractérisée par une très mauvaise situation pour les femmes, les travailleuses et les travailleurs de tous âges, par une grande différence de genre dans les droits individuels : civils, économiques, politiques. Dans ce contexte Alojzija Štebi nait le 24 mars 1883 à Ljubljana. À l’époque, en Slovénie, le système éducatif était divisé en écoles pour filles et pour garçons. On peut imaginer qu’Alojzija ait tout de suite perçu une différence injuste, une grave partialité dans l’organisation de la vie, des possibilités et des droits entre hommes et femmes. Elle fréquente naturellement les écoles primaires et supérieures féminines, puis décide de poursuivre sa formation en devenant enseignante et obtient son diplôme à l’école normale de Ljubljana en 1903. C’étaient les années de la croissance, des questions, de la pensée critique sur le monde et sur les injustices. 1911 fut le moment où elle commença à écrire sur les problèmes des femmes, évidemment elle sentait fort le besoin d’être partie active dans la lutte pour les droits et de dénoncer pour pouvoir soit rendre consciente la population soit proposer des solutions, des modifications à ce qu’elle jugeait manifestement injuste. La sua storia è caratterizzata da numerose attività, nel 1912 iniziò a scrivere per un giornale socialista, Zarja. Poi entrò nel giornale del sindacato polacco dei lavoratori di tabacco. Prese anche parte al Salone d'arte della famiglia Kessler in cui si riunivano giovani artisti, tra cui Ivan Cankar, scrittore e poeta, con cui ebbe una lunga amicizia. Lui stesso le dedicò una cartolina in cui la ritrasse come personaggio importante della potenza socialista e pure un sonetto intitolato Ten Years.

 

Ten Years… Lonely Years…

Ten Years, I believe, have past; / lonely years. I wandered to desolate places, / to slopes without rest or stopping; / all that is bitter – my heart has endured. // And what did my eyes behold as a glimpse of light in the dark? / It is you, whom I dreamt of in trepidation, / the autumn sweet light for the dead months of May, / a hundredfold return for my hundred times of pain! … // All this is but a memory from beyond a trench! / The patient can feel the oncoming of eternity’s shine / and before the Old Lady forever shuts his eyes // Our Lord uncovers before them heavenly paradise; / bright light shining onto the final pain - / another smile, no longer forever! //

For Lojzka from Ivan Cankar to remember me by

En 1915, elle devient rédactrice du journal socialiste des femmes Ženski list, en 1917 rédactrice en chef du journal social-démocrate Particoto Naprej et en 1918 rédactrice en chef du journal Demokracija. C’étaient des années cruciales, en pleine Première Guerre mondiale, on raisonnait d’opportunités et d’alliances. Štebi se déclara alors en faveur de la création d’un État yougoslave et, finalement, en 1918, avec la chute de l’Empire austro-hongrois, la majeure partie de la Slovénie entra dans le nouveau Royaume de Yougoslavie (royaume des peuples serbe, croate et slovène). Elle pensait, avec un État unitaire, on pouvait apporter des changements justes pour toutes les femmes des différentes cultures. Un de ses écrits les plus célèbres : Demokratizem in ženstvo (Démocratie et féminité), publié en 1918, traçait un projet en faveur des femmes : pour garantir le suffrage féminin, pour améliorer les possibilités éducatives, pour avoir un accès égal, par rapport aux hommes, aux droits civils, sociaux et politiques. Donc, pour la reconnaissance de l’égalité des genres. Cela ne veut pas dire qu’elle considérait les hommes et les femmes identiques, mais elle voyait les différences comme une occasion pour obtenir les mêmes droits et les mêmes possibilités, les mêmes traitements économiques et les mêmes facultés, les mêmes privilèges en matière de séparation et d’héritage.Quelques années plus tard, elle publie Protection des enfants et des jeunes négligés. Elle était membre actif d’un certain nombre d’organisations féminines yougoslaves importantes, comme l’Union nationale des femmes du SHS et l’Alliance féministe du SHS.

 

Nous aimons rappeler qu’en 1923, elle a fondé l’Alliance féministe du Royaume des Serbes, Croates et Slovènes, une organisation qui s’efforçait d’élever culturellement les femmes de toutes les couches sociales et avait pour objectif d’unir les femmes du nouvel État pour soutenir l’égalité de rémunération, le mariage civil et la protection des enfants, la garde égale des enfants et la reconnaissance des fils et des filles illégitimes. L’Alliance fut rebaptisée en 1926 Alliance des mouvements féminins de Yougoslavie et elle en fut la présidente jusqu’en 1927. En 1925, elle organisa une marche pour le droit de vote des femmes. Dans son travail, Alojzija Štebi trouve son soutien principalement dans Angela Vode, Minka Govekar et sa belle-sœur Cirila Plesko Stebi, une autre célèbre militante. De plusieurs sources, elle est décrite comme journaliste et rédactrice experte, bonne oratrice, simple dans son aspect public et privé, gentille dans la vie quotidienne, ferme dans ses convictions et indépendante dans sa pensée. En 1940, elle se retira et pendant la Seconde Guerre mondiale, elle travailla le plus possible avec le mouvement partisan. Son frère Anton Stebi est tué en 1942 par les fascistes pour ses convictions politiques, tandis que son épouse Cyrila meurt dans le camp de concentration d’Auschwitz. Après avoir perdu son frère et sa belle-sœur, elle a vécu avec des parents éloignés. Après la guerre, elle a trouvé un emploi au Ministère des Affaires Sociales et au Ministère du Travail et de l’Éducation. En 1950, elle se retire, mais travaille comme employée part-time jusqu’à presque sa mort le 9 août 1956.

Sources:

https://en.wikipedia.org/wiki/Alojzija_%C5%A0tebi

https://www.slovenska-biografija.si/oseba/sbi665283/

https://www.gov.si/en/news/2020-06-01-a-poem-by-ivan-cankar-dedicated-to-alojzija-stebi/

https://issuu.com/muzejnzs/docs/katalog_angl_www

https://www.zvab.com/Demokracija-Socijalisticna-revija-Democracy-Socialist-Magazine/30047662484/bd

 

Traduzione inglese
Syd Stapleton

 

Politician, teacher, publicist, editor, and passionate fighter for the rights of women, children and youth, Alojzija Štebi was the driving force of the Slovenian and Yugoslav feminist movement. The history of Slovenia has always been intertwined with that of neighboring powers. In narrating the character of Alojzija Štebi we therefore start from the period in which that territory was still under Habsburg rule. The social situation was characterized by bad conditions for women, for workers of all ages, male or female, and by great gender differences in individual rights: civil, economic, and political. Alojzija Štebi was inserted into this environment when she was born on March 24, 1883 in Ljubljana. At the time, the education system in Slovenia was divided into girls’ schools and boys’ schools. Let's imagine that Alojzija immediately perceived an unjust difference, a serious partiality between men and women in the access to possibilities and rights. Naturally, she attended elementary and high schools for girls, then she decided to continue her education by becoming a teacher, and graduated from the Ljubljana regular school in 1903. These were the years of growth, of questions, and of critical thinking about the world and about injustices. In 1911 she began to write about women's problems. Evidently, she felt a strong need to be an active part in the struggle for rights and to speak out, to both make the population aware and to propose solutions - changes to things she believed to be patently unfair. Her history is characterized by many activities. In 1912 she began writing for a socialist newspaper, Zarja. Then she joined the newspaper of the Polish tobacco workers union. She also took part in the Kessler family art salon, where young artists gathered, including Ivan Cankar, writer and poet, with whom she had a long friendship. He dedicated a sketch in which he portrayed her as an important figure of socialist power and also a sonnet entitled Ten Years.

 

 

Ten Years… Lonely Years…

Ten Years, I believe, have past; / lonely years. I wandered to desolate places, / to slopes without rest or stopping; / all that is bitter – my heart has endured. // And what did my eyes behold as a glimpse of light in the dark? / It is you, whom I dreamt of in trepidation, / the autumn sweet light for the dead months of May, / a hundredfold return for my hundred times of pain! … // All this is but a memory from beyond a trench! / The patient can feel the oncoming of eternity’s shine / and before the Old Lady forever shuts his eyes // Our Lord uncovers before them heavenly paradise; / bright light shining onto the final pain - / another smile, no longer forever! //

For Lojzka from Ivan Cankar to remember me by

In 1915 she became editor for the socialist women's gazette Ženski list, in 1917 editor-in-chief of the newspaper of the social-democratic Particoto Naprej and in 1918 editor-in-chief of the gazette Demokracija. Those were crucial years, in the middle of the First World War. She was thinking about opportunities and alliances. Štebi then declared herself in favor of the creation of a Yugoslav state and, finally, in 1918, with the fall of the Austro-Hungarian Empire, most of Slovenia entered the newborn Kingdom of Yugoslavia (kingdom of the Serbian, Croatian and Slovenian peoples). According to her thought, it would be possible, with a unitary state, to bring about the right changes for women of all the different cultures. One of her most famous writings: Demokratizem in ženstvo (Democracy and femininity), published in 1918, outlined a program in favor of women: to guarantee women's suffrage, to improve educational possibilities, and to have equal access, with respect to men, to civil, social and political rights. Therefore, for the recognition of gender equality. All this does not mean that she considered men and women to be identical, but she believed that the differences were an opportunity to obtain the same rights and the same possibilities, the same economic treatments and the same capacities, and the same privileges also with regard to divorces and inheritances. A few years later she published Protection of Neglected Children and Youth. She was an active member of a number of prominent Yugoslav women's organizations, such as the National Women's Union of the SHS and the Feminist Alliance of the SHS. 

 

It is important to recall that in 1923 she founded the Feminist Alliance of the Kingdom of Serbs, Croats and Slovenes, an organization that strove to culturally uplift women of all social strata, and that had the goal of uniting the women of the new state to support equal pay, civil marriage, child protection, equal custody of children, and the recognition of illegitimate children. The Alliance was renamed the Alliance of Women's Movements of Yugoslavia in 1926 and she was its president until 1927. In 1925 she organized a march for women's right to vote. In her work, Alojzija Štebi found support from Angela Vode, Minka Govekar and her sister-in-law Cirila Plesko Štebi, another famous activist. From several sources she is described as an expert journalist and editor, a good speaker, simple in both her public and private aspects, kind in everyday life, firm in convictions and independent in thought. In 1940 she retired and during the Second World War she worked as much as possible with the partisan movement. Her brother Anton Štebi was killed in 1942 by the fascists for his political beliefs, while his wife Cirila died in the Auschwitz concentration camp. After losing her brother and sister-in-law, she lived with distant relatives. After the war she found a job with the Ministry of Social Affairs and the Ministries of Labor and Education. In 1950 she retired again, but worked as a part-time employee almost until her death on August 9, 1956.

Sources:

https://en.wikipedia.org/wiki/Alojzija_%C5%A0tebi

https://www.slovenska-biografija.si/oseba/sbi665283/

https://www.gov.si/en/news/2020-06-01-a-poem-by-ivan-cankar-dedicated-to-alojzija-stebi/

https://issuu.com/muzejnzs/docs/katalog_angl_www

https://www.zvab.com/Demokracija-Socijalisticna-revija-Democracy-Socialist-Magazine/30047662484/bd

 

Traduzione spagnola
Daniela Leonardi

 

Política, docente, publicista, redactora, luchadora apasionada por los derechos de las mujeres, de la infancia y de la juventud, Alojzija Stebi fue la fuerza motriz del movimiento feminista esloveno y yugoslavo. La historia de Eslovenia siempre ha estado entrelazada con la de las potencias vecinas, por lo tanto, al narrar el personaje de Alojzija Štebi partimos de la época en que ese territorio aún estaba bajo el dominio de los Habsburgo. La situación social se caracterizaba por una pésima situación para las mujeres, las trabajadoras y los trabajadores de todas las edades, por una gran diferencia de género en los derechos individuales: civiles, económicos, políticos. En un cuadro de este tipo se inserta Alojzija Štebi, nacida el 24 de marzo de 1883 en Liubliana. En aquel momento, en Eslovenia, el sistema educativo estaba dividido en escuelas femeninas y escuelas masculinas. Imaginemos que Alojzija percibiera enseguida una injusta diferencia, una grave parcialidad en el enfoque de la vida, de las posibilidades y de los derechos entre hombres y mujeres. Asistió naturalmente a la escuela primaria y superior femenina, luego decidió continuar su formación convirtiéndose en docente y se graduó en la escuela normal de Liubliana en 1903. Eran los años del crecimiento, de las preguntas, del pensamiento crítico sobre el mundo y sobre las injusticias. 1911 fue el año en que comenzó a escribir sobre los problemas de las mujeres, evidentemente sentía fuerte la necesidad de ser parte activa en la lucha por los derechos y de denunciar para poder sensibilizar a la población y proponer soluciones, modificaciones a lo que consideraba manifiestamente injusto. Su historia se caracteriza por numerosas actividades, en 1912 comenzó a escribir para un periódico socialista, Zarja. Luego entró en el periódico del sindicato polaco de trabajadores del tabaco. También participó en el Salón de arte de la familia Kessler, donde se reunían jóvenes artistas, entre ellos Ivan Cankar, escritor y poeta, con quien tuvo una larga amistad. Él mismo le dedicó una postal –en la que la retrataba como un personaje importante del poder socialista– y un soneto llamado Ten Years.

 

 

Ten Years… Lonely Years…

Ten Years, I believe, have past; / lonely years. I wandered to desolate places, / to slopes without rest or stopping; / all that is bitter – my heart has endured. // And what did my eyes behold as a glimpse of light in the dark? / It is you, whom I dreamt of in trepidation, / the autumn sweet light for the dead months of May, / a hundredfold return for my hundred times of pain! … // All this is but a memory from beyond a trench! / The patient can feel the oncoming of eternity’s shine / and before the Old Lady forever shuts his eyes // Our Lord uncovers before them heavenly paradise; / bright light shining onto the final pain - / another smile, no longer forever! //

For Lojzka from Ivan Cankar to remember me by

En 1915 se convirtió en redactora del diario socialista de las mujeres Ženski list, en 1917 redactora jefe del periódico del partido socialdemócrata Naprej y en 1918 redactora jefe del diario Demokracija. Eran años cruciales, en plena Primera Guerra Mundial, se hablaba de oportunidades y alianzas. Štebi se declaró entonces a favor de la creación de un Estado yugoslavo y, finalmente, en 1918, con la caída del Imperio austro-húngaro, la mayor parte de Eslovenia entró en el recién nacido Reino de Yugoslavia (reino de los pueblos serbio, croata y esloveno). En su opinión, con un Estado unitario se podían introducir cambios justos para todas las mujeres de las diferentes culturas. Uno de sus escritos más famosos: Demokratizem in ženstvo (Democracia y feminidad), publicado en 1918, trazaba un proyecto a favor de las mujeres: para garantizar el sufragio femenino, para mejorar las posibilidades educativas, para tener igual acceso a los derechos civiles, sociales y políticos que los hombres. Por lo tanto, para el reconocimiento de la igualdad de género. Todo esto no significa que ella considerara a hombres y mujeres idénticos, sino que consideraba que las diferencias eran una oportunidad para obtener los mismos derechos y las mismas posibilidades, los mismos tratamientos económicos y las mismas facultades, los mismos privilegios incluso en relación con separaciones y herencias. Pocos años después publicó Protección de los niños y de los jóvenes abandonados. Era componente activa de una serie de importantes organizaciones de mujeres yugoslavas, como la Unión Nacional de Mujeres del Reino Serbio, Croata y Esloveno (SHS) y la Alianza Feminista del SHS.

 

Nos gusta recordar que en 1923 fundó la Alianza feminista del Reino , una organización que se esforzaba por elevar culturalmente a las mujeres de todos los estratos sociales y tenía como objetivo unir a las mujeres del nuevo Estado para apoyar la igualdad de retribución, el matrimonio civil y la protección de los niños, la custodia paritaria de la descendencia y el reconocimiento de los/as hijos/as ilegítimos/as. La Alianza fue rebautizada en 1926 Alianza de los movimientos femeninos de Yugoslavia y fue presidente de ella hasta 1927. En 1925 organizó una marcha por el derecho de voto femenino. En su trabajo, Alojzija Štebi encontró apoyo principalmente en Angela Vode, Minka Govekar y su cuñada Cirila Plesko Stebi, otra famosa activista. Varias fuentes la describen como periodista y editora experta, buena oradora, sencilla en su aspecto público y privado, amable en la vida cotidiana, firme en las convicciones e independiente en el pensamiento. En 1940 se retiró y durante la Segunda Guerra Mundial trabajó lo más posible con el movimiento partisano. Su hermano Anton Stebi fue asesinado en 1942 por los fascistas por sus convicciones políticas, mientras que su esposa Cirila murió en el campo de concentración de Auschwitz. Después de perder a su hermano y a su cuñada, vivió con parientes lejanos. En la posguerra encontró trabajo en el Ministerio de Asuntos Sociales y en los Ministerios de Trabajo y Educación. En 1950 se retiró de nuevo, pero trabajó como empleada a tiempo parcial casi hasta su muerte el 9 de agosto de 1956.

Fuentes:

https://en.wikipedia.org/wiki/Alojzija_%C5%A0tebi

https://www.slovenska-biografija.si/oseba/sbi665283/

https://www.gov.si/en/news/2020-06-01-a-poem-by-ivan-cankar-dedicated-to-alojzija-stebi/

https://issuu.com/muzejnzs/docs/katalog_angl_www

https://www.zvab.com/Demokracija-Socijalisticna-revija-Democracy-Socialist-Magazine/30047662484/bd

 

Veronica Stolte-Hèiskanen
Fiorenza Taricone



Rita Mota

 

Veronica Stolte-Hèiskanen (1934-1994) rappresenta un moderno esempio di cosmopolitismo culturale. La sua biografia apolide s’intreccia con la storia internazionale e i suoi mutamenti; è nata a Budapest, ma dopo la Seconda guerra mondiale, la sua famiglia è fuggita prima in Germania, poi negli Stati Uniti; dopo aver studiato alle Università di Columbia e Chicago, si è trasferita in Finlandia, dove ha sposato un collega finlandese. È stata una vera ambasciatrice della sociologia finlandese, pioniera degli studi scientifici empirici e un'esperta riconosciuta a livello internazionale in studi sociali su scienza e tecnologia. Come studiosa, ha collezionato più di un primato: ha conseguito il dottorato nel 1967 come seconda sociologa presso l'Università di Helsinki, ed è poi diventata professoressa di Sociologia presso l'Università di Tamperèn ylìopisto nel 1982, e prima vicerettrice della stessa università nel 1990. Ha presieduto come prima donna l'associazione professionale dei sociologi finlandesi, la Società Westermarck, nel periodo 1974-1977 ed è stata eletta al Comitato esecutivo dell'Associazione Internazionale di Sociologia. Veronica Stolte-Hèiskanen ha influenzato in modo significativo e in molte sedi la nascita e l'ampliamento della ricerca scientifica e tecnologica in Finlandia; ha studiato infatti la valutazione della ricerca, l'utilizzo dei suoi risultati, l'etica della ricerca, i problemi rilevabili nei sistemi di ricerca dei piccoli Paesi e la posizione delle donne nella scienza. Pioniera e accanita sostenitrice dell’analisi scientifica, ha dedicato parte della sua riflessione sociologica alla potenziale ‘incompatibilità’ tra il ruolo della donna nella sua duplice funzione di scienziata e di moglie-madre cui compete il lavoro produttivo e riproduttivo. Nell’immaginario collettivo, infatti, prevaleva, e in gran parte prevale ancora oggi, la retorica della scelta dirimente per una donna che decide di intraprendere il percorso scientifico, ‘avulso’ da responsabilità familiari. Nel 1983 pubblica, con Terttu Luukkonen-Gronow, un fruttuoso lavoro dal titolo Myths and Realities of Role Incompatibility of Women Scientists (Acta Sociologica), in cui analizza la presunta incompatibilità dei ruoli nell’unire una carriera nel campo della scienza con quello di poter costituire una famiglia; ciò spiegherebbe la disuguale posizione femminile nella scienza. Attraverso dati empirici, analizza storie di vita di scienziate, le loro responsabilità familiari e la partecipazione professionale nella comunità scientifica. I dati sono il frutto dell’indagine su un campione di giovani ricercatrici dell'Accademia di Finlandia, che comprende sia donne che uomini da un lato, mentre dall’altro si giova delle risposte all'annuncio comparso su un giornale da parte di un eterogeneo spaccato di scienziate.

 

Le evidenze a cui lo studio giunge sono ben lontane dal dimostrare incompatibilità tra la ricerca scientifica e la famiglia: seppure il carico di lavoro risulti ovviamente maggiore, si dimostra che il matrimonio, ma anche una relazione affettiva stabile, sembra avere un effetto positivo sulla vita professionale delle scienziate. Sia nel caso delle donne che degli uomini, infatti, l’essere in relazione rappresenta un vantaggio. Questo approccio, come ricorda in dettaglio Alessandra Sannella, docente di Sociologia all’Università di Cassino e Lazio Meridionale, estimatrice della studiosa, ha riguardato anche molti degli studi di Veronica Stolte-Hèiskanen che nel 1991 ha svolto una straordinaria ricerca transnazionale; ha proposto, infatti, un’analisi sulla situazione delle donne nella scienza in 12 Paesi europei, tra cui quelli dell'Europa orientale ed ex comunisti, tra cui il suo luogo di nascita (Jugoslavia, Ungheria, Bulgaria ma anche Grecia e Turchia) di cui, alla fine del secolo scorso, poco si sapeva riguardo alla partecipazione femminile alla scienza. La sua attenzione è rivolta ad analizzare gli ostacoli e le opportunità che vengono proposte alle donne nell'accesso a posizioni di responsabilità. Il suo lavoro è stato condotto dal Centro di coordinamento europeo per la ricerca e la documentazione delle scienze sociali, quindi pubblicato con il titolo Women in science: token women or gender equality? in collaborazione con Rǔza Fürst-Dili for the European Coordination Centre for Research and Documentation in Social Sciences. Considerando le donne come preziose risorse scientifiche e tecnologiche nazionali, ogni articolo descrive la situazione in un particolare Paese, oltre a identificare le tendenze generali che si traducono in ostacoli che impediscono l'occupazione femminile e i programmi che in quelle società tendono invece a promuoverlo. Il percorso degli studi e l’originalità della sua ricerca sono andati di pari passo con le spinte femministe europee e americane, e i passi in avanti dell’Unione europea. Grazie anche all’impegno di Urho Kekkonen, eletto Presidente della repubblica nel 1956, schieratosi a favore della neutralità in campo internazionale, la Finlandia ha potuto ospitare infatti nel 1975 la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, mentre il nuovo Presidente, Mauno Koivisto, ha sviluppato la politica che ha consentito alla Finlandia di agganciarsi all'Europa, con l'ingresso nel Consiglio d'Europa nel 1989 e nell'Unione europea nel 1995, un anno dopo la morte della studiosa.

 

Il 1975, dichiarato l’anno internazionale della donna dall’Onu, è anche l’anno in cui inizia il ciclo delle Conferenze internazionali sulla donna che hanno stabilito un confronto fra la situazione nei Paesi europei, nord-americani e in quelli allora definiti in via di sviluppo; le Conferenze hanno offerto quindi uno scenario internazionale per affrontare i numerosi e diversi problemi legati alla questione femminile; dal 1975 è partito il decennio delle Nazioni Unite per la donna, «sembra su ispirazione di una parlamentare finlandese presidente di una associazione femminile non governativa» (Ginevra Conti Odorisio). La prima Conferenza si è svolta a Mexico City, purtroppo oggi ricordato come uno dei luoghi a più alta densità di femminicidi e violenza sulle donne, la seconda a Copenhagen nel 1980, la terza a Nairobi nel 1985, l’ultima, conclusiva, come è noto a Pechino nel 1995. L’azione dell’Onu s’intreccia con quella dell’Europa; nel quarto programma d’azione della Comunità europea, iniziato nel 1982, che va dal 1996, quindi subito dopo Pechino, al 2000, fra le asimmetrie inaccettabili per le democrazie, quali il persistere delle disparità salariali, la disoccupazione femminile, accentuatasi dopo la pandemia, la femminilizzazione della povertà, anch’essa una costante, le violenze contro le donne passate da emergenza a problema strutturale, vengono annoverati il persistere di stereotipi sessisti e la rigidità di ruoli fra vita pubblica e privata. Quella presunta incompatibilità dunque già sottolineata da Veronica Stolte-Hèiskanen nei suoi studi sulla struttura sociale, i modelli familiari, le influenze interpersonali in relazione ai gruppi di ricerca, la produttività e le problematiche di valutazione. In Italia, su equità e pari opportunità nell’apprendimento delle scienze e nella valutazione delle ricerche condotte da donne, abbiamo avuto fra le più attive rappresentanti Rossella Palomba, demografa sociale, direttrice di ricerca presso l’Irpps; si è occupata per più di trenta anni di pari opportunità, coordinando progetti di ricerca nazionali ed internazionali nel campo delle politiche sociali, equità e pari opportunità di genere nelle carriere scientifiche, per l’abbattimento degli stereotipi sulla scienza e le/gli scienziate/i. Nel suo libro Le figlie di Minerva (2003), anche in edizione inglese, ha esaminato la cooptazione maschile nei gruppi di ricerca diretti da uomini ampiamente finanziati e accreditati nei diversi settori scientifici. Durante la sua carriera al Cnr, è stata componente del gruppo di esperti Ec su Genere e Eccellenza scientifica e Ambasciatrice Eu per le pari opportunità nella scienza, ruolo analogo a quello rivestito da Veronica Stolte-Hèiskanen. In assenza di rimozione degli stereotipi e di politiche sociali adeguate, gli old boys network valutano con parametri che non tengono conto del lavoro familiare, di cura e di riproduzione svolto dalle donne, penalizzate nella quantità e nella costanza senza interruzioni della produttività, parametri vigenti anche in Italia nei sistemi di reclutamento universitari. La figura di Veronica Stolte-Hèiskanen ricorda il ruolo precorritore e fieramente autonomo di Ipazia, le cui vicende misurano anche il tempo trascorso: Ipazia muore tragicamente per mano di sicari nel rivendicare l’indipendenza delle scienze; nel film del regista cileno-spagnolo Alejandro Amenábar, Agorà, uscito nel 2009, la scienziata, per illustrare la sua differenza ad uno degli allievi più prestigiosi, raccoglieva un fazzoletto macchiato del mestruo e lo mostrava affermando che quella era la sua differenza, in definitiva pagata con la morte; la studiosa finlandese ha invece condotto egregiamente i suoi studi, lottando proprio per eliminare le differenze sociali e politiche fatte passare per differenze ontologiche, in cui la differenza sta non per 'diversità', ma per 'minorità'. Una delle madri in definitiva dei programmi cosiddetti Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics), di matrice europea, che mirano a eliminare lo stereotipo ancora presente nelle stesse giovani studenti, ovvero quello di avere minore inclinazione e capacità di un coetaneo, a parità di condizioni.

 

Traduzione francese
Joelle Rampacci

 

Veronica Stolte-Hèiskanen (1934-1994) est un exemple moderne de cosmopolitisme culturel. Sa biographie d'apatride est entrelacée avec l'histoire internationale et ses changements ; elle naît à Budapest, mais après la Seconde Guerre mondiale, sa famille fuit d'abord en Allemagne, puis aux États-Unis ; après avoir étudié aux universités de Columbia et de Chicago, elle s'installe en Finlande, où elle épouse un collègue finlandais. Elle est une véritable ambassadrice de la sociologie finlandaise, une pionnière des études scientifiques empiriques et une experte internationalement reconnue dans les études sociales des sciences et des technologies. En tant qu'universitaire, elle a plus d'un palmarès : elle obtient son doctorat en 1967 en tant que deuxième sociologue de l'université d'Helsinki, puis devient professeur de sociologie à l'université de Tamperèn ylìopisto en 1982, et la première vice-rectrice de cette même université en 1990. Elle est la première femme à présider l'association professionnelle des sociologues finlandais, la Westermarck Society, de 1974 à 1977, et elle est élue au comité exécutif de l'Association internationale de sociologie. Veronica Stolte-Hèiskanen a influencé de manière significative l'émergence et l'expansion de la recherche scientifique et technologique en Finlande ; elle a étudié l'évaluation de la recherche, l'utilisation de ses résultats, l'éthique de la recherche, les problèmes décelables dans les systèmes de recherche des petits pays et la position des femmes dans la science. Pionnière et fervente partisane de l'analyse scientifique, elle a consacré une partie de sa réflexion sociologique à l'"incompatibilité" potentielle entre le rôle des femmes dans leur double fonction de scientifiques et d'épouses-mères responsables du travail productif et reproductif. Dans l'imaginaire collectif, en effet, la rhétorique du choix décisif pour une femme qui décide de s'engager dans la voie scientifique, " détachée " des responsabilités familiales, a prévalu et prévaut encore aujourd'hui dans une large mesure. En 1983, elle publie, avec Terttu Luukkonen-Gronow, un ouvrage fructueux intitulé Myths and Realities of Role Incompatibility of Women Scientists (Acta Sociologica), dans lequel elle analyse l'incompatibilité présumée des rôles dans la combinaison d'une carrière scientifique et la possibilité de fonder une famille, ce qui expliquerait la position inégale des femmes dans les sciences. À l'aide de données empiriques, elle analyse les histoires de vie des femmes scientifiques, leurs responsabilités familiales et leur participation professionnelle à la communauté scientifique. Les données sont le résultat d'une enquête menée auprès d'un échantillon de jeunes femmes scientifiques de l'Académie de Finlande, qui comprend à la fois des femmes et des hommes, d'une part, et d'autre part, elles s'appuient sur les réponses à une annonce dans un journal provenant d'un échantillon représentatif de femmes scientifiques.

 

Les conclusions de l'étude sont loin de montrer que la recherche scientifique et la famille sont incompatibles : si la charge de travail est évidemment plus importante, elle montre que le mariage, mais aussi une relation affective stable, semblent avoir un effet positif sur la vie professionnelle des femmes scientifiques. Pour les femmes comme pour les hommes, être en couple est un avantage. Cette approche, comme le souligne en détail Alessandra Sannella, professeur de sociologie à l'université de Cassino et du Latium Meridionale, admiratrice de la chercheuse, a également couvert de nombreuses études de Veronica Stolte-Hèiskanen, qui a réalisé en 1991 une extraordinaire étude transnationale ; Elle propose une analyse de la situation des femmes dans le domaine des sciences dans 12 pays européens, y compris les pays d'Europe de l'Est et les anciens pays communistes, dont sa ville natale (Yougoslavie, Hongrie, Bulgarie, mais aussi Grèce et Turquie) où, à la fin du siècle dernier, on savait peu de choses sur la participation des femmes aux sciences. Elle se concentre sur l'analyse des obstacles et des opportunités auxquels les femmes sont confrontées pour accéder aux postes à responsabilité. Ses travaux ont été menés par le Centre européen de coordination pour la recherche et la documentation en sciences sociales, puis publiés sous le titre Women in science : token women or gender equality ? en collaboration avec Rǔza Fürst-Dili European Coordination Centre for Research and Documentation in Social Sciences. Considérant les femmes comme de précieuses ressources scientifiques et technologiques nationales, chaque article décrit la situation dans un pays particulier, tout en identifiant les tendances générales qui se traduisent par des obstacles à l'emploi des femmes et les programmes qui tendent à le promouvoir dans ces sociétés. Le déroulement de ses études et l'originalité de ses recherches vont de pair avec les mouvements féministes européens et américains et les progrès de l'Union européenne. Grâce également aux efforts d'Urho Kekkonen, élu président de la République en 1956, qui était favorable à la neutralité sur la scène internationale, la Finlande a pu accueillir la Conférence sur la sécurité et la coopération en Europe en 1975, tandis que le nouveau président, Mauno Koivisto, a développé la politique qui a permis à la Finlande de se rattacher à l'Europe, en adhérant au Conseil de l'Europe en 1989 et à l'Union européenne en 1995, un an après sa mort.

 

L'année 1975, déclarée Année Internationale de la Femme par les Nations unies, marque également le début du cycle des conférences internationales sur les femmes, qui comparent la situation dans les pays d'Europe et d'Amérique du Nord et dans ceux qui sont alors définis comme des pays en développement ; les conférences offrent ainsi un scénario international pour aborder les nombreux problèmes liés à la question des femmes ; 1975 marque le début de la Décennie des Nations unies pour les femmes, "apparemment inspirée par une parlementaire finlandaise qui était présidente d'une association non gouvernementale de femmes" (Ginevra Conti Odorisio). La première conférence se tient à Mexico, lieu connu malheureusement aujourd'hui comme l'un des endroits où la densité de féminicides et de violences à l'égard des femmes est la plus élevée, la deuxième à Copenhague en 1980, la troisième à Nairobi en 1985, et la dernière, concluante, comme nous le savons, à Pékin en 1995. L'action de l'ONU est imbriquée dans celle de l'Europe ; Dans le quatrième programme d'action de la Communauté européenne, qui débute en 1982 et s'étend de 1996, ainsi, immédiatement après Pékin, en 2000, les asymétries inacceptables pour les démocraties, telles que la persistance des inégalités salariales, le chômage des femmes, qui a augmenté après la pandémie, la féminisation de la pauvreté, qui est également une constante, et la violence à l'égard des femmes, qui est passée du statut d'urgence à celui de problème structurel, incluent la persistance des stéréotypes sexistes et la rigidité des rôles entre vie publique et vie privée. Cette prétendue incompatibilité a déjà été mise en évidence par Veronica Stolte-Hèiskanen dans ses études sur la structure sociale, les modèles familiaux, les influences interpersonnelles en relation avec les groupes de recherche, les questions de productivité et d'évaluation. En Italie, sur l'équité et l'égalité des chances dans l'apprentissage des sciences et dans l'évaluation des recherches menées par les femmes, nous avons eu parmi les représentants les plus actifs Rossella Palomba, démographe sociale, directrice de recherche à l'Irpps ; elle travaille depuis plus de trente ans sur l'égalité des chances, en coordonnant des projets de recherche nationaux et internationaux dans le domaine des politiques sociales, de l'équité et de l'égalité des chances dans les carrières scientifiques, pour l'élimination des stéréotypes sur la science et les femmes scientifiques. Dans son livre Le figlie di Minerva (2003), également en édition anglaise, elle examine la cooptation masculine dans des groupes de recherche dirigés par des hommes largement financés et accrédités dans différents domaines scientifiques. Au cours de sa carrière au CNR, elle a été membre du groupe d'experts de la Commission européenne sur le genre et l'excellence scientifique et ambassadrice de l'UE pour l'égalité des chances dans les sciences, un rôle similaire à celui tenu par Veronica Stolte-Hèiskanen. En l'absence de suppression des stéréotypes et de politiques sociales adéquates, le réseau des anciens évalue avec des paramètres qui ne tiennent pas compte du travail familial, de soin et de reproduction effectué par les femmes, pénalisé en termes de quantité et de constance sans interruption de la productivité, paramètres qui sont également en vigueur en Italie dans les systèmes de recrutement universitaire. La figure de Veronica Stolte-Hèiskanen rappelle le rôle pionnier et farouchement autonome d'Hypatie, dont l'histoire mesure aussi le temps : Hypatie est morte tragiquement par les mains d'assassins alors qu'elle revendiquait l'indépendance des sciences ; dans le film Agorà du réalisateur chilien et espagnol Alejandro Amenábar, sorti en 2009, la scientifique, pour illustrer sa différence à l'un de ses étudiants les plus prestigieux, ramasse un mouchoir souillé de menstruations et le montre, affirmant que c'est là sa différence, au final payée par sa mort ; D'autre part, l'universitaire finlandaise a très bien fait ses études, en luttant précisément pour éliminer les différences sociales et politiques qui passent pour des différences ontologiques, où la différence n'est pas "diversité" mais "minorité". L'une des mères ultimes des programmes dits Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics), de matrice européenne, qui visent à éliminer le stéréotype encore présent chez les jeunes étudiantes elles-mêmes, à savoir celui d'avoir moins d'inclination et de capacité qu'un pair, à égalité de condition.

 

Traduzione inglese
Joelle Rampacci

 

Veronica Stolte-Hèiskanen (1934-1994) represents a modern example of cultural cosmopolitanism. Her stateless biography is intertwined with international history and changes to her life. She was born in Budapest, but after the Second World War her family fled, first to Germany, then to the United States. After studying at Columbia University and the University of Chicago, she moved to Finland, where she married a Finnish colleague. She was a true ambassador of Finnish sociology, a pioneer of empirical scientific studies and an internationally recognized expert in social studies in science and technology. As a scholar, she passed more than one milestone. She received her doctorate in 1967 as only the second female sociologist to do so at the University of Helsinki, and then became a professor of Sociology at the University of Tamperèn in 1982, then first vice-rector of the same university in 1990. She became the first female president of the professional association of Finnish sociologists, the Westermarck Society, in the period 1974-1977 and was elected to the Executive Committee of the International Association of Sociology. Veronica Stolte-Hèiskanen has significantly influenced the birth and expansion of scientific and technological research in Finland in many ways. She studied the evaluation of research, the use of its results, the ethics of research, the problems that can be detected in the research systems of small countries, and the position of women in science. A pioneer and avid supporter of scientific analysis, she dedicated part of her sociological reflection to the potential “incompatibility” between the role of a women as a scientist and a wife-mother who is responsible for productive and reproductive work. This “incompatibility” prevailed in the collective imagination, and still prevails to a large extent today – the idea of a critical choice facing a woman who decides to undertake a scientific career, “detached” from family responsibilities. In 1983 she published, with Terttu Luukkonen-Gronow, an important work entitled Myths and Realities of Role Incompatibility of Women Scientists (Acta Sociologica), in which she analyzed the alleged incompatibility of roles in combining a career in science with that of being able to establish a family, that would explain the unequal position of women in science. Using empirical data, she analyzed life stories of female scientists, their family responsibilities and professional participation in the scientific community. The data are the result of the survey on a sample of young researchers from the Academy of Finland, which included both women and men on the one hand, while on the other hand it benefited from the responses to a newspaper ad by a heterogeneous cross-section of female scientists.

 

The evidence that the study provided is far from demonstrating incompatibility between scientific research and the family. Although the workload is obviously greater, it is shown that marriage, but also a stable emotional relationship, seems to have a positive effect on the life of professional scientists. In fact, both in the case of women and men, being in a relationship is an advantage. This approach, as an admirer of Stolte-Hèiskanen, Alessandra Sannella, professor of Sociology at the University of Cassino and Southern Lazio, recalls in detail, was also reflected in many of the studies by Veronica Stolte-Hèiskanen, who in 1991 carried out extraordinary transnational research. She proposed an analysis on the situation of women in science in 12 European countries, including those of Eastern Europe and other former communist countries (Yugoslavia, Hungary, Bulgaria but also Greece and Turkey), in addition to her place of birth. Places in which, at the end of the last century, little was known about female participation in science. Her attention was focused on analyzing the obstacles and opportunities that are women find in accessing positions of responsibility. Her work was conducted by the European Coordination Center for Research and Documentation of Social Sciences, then published under the title Women in Science: Token Women or Gender Equality? in collaboration with Rǔza Fürst-Dili for the European Coordination Center for Research and Documentation in Social Sciences. Considering women as valuable national scientific and technological resources, each article describes the situation in a particular country, as well as identifying the general trends that translate into obstacles that prevent female employment and the programs that in those societies tend to promote it. The course of her studies and the originality of her research went hand in hand with the European and American feminist drives, and the progress in the European Union. Thanks also to the commitment of Urho Kekkonen, elected President of the Republic of Finland in 1956, in favor of neutrality on an international level, Finland was able to host the Conference on Security and Cooperation in Europe in 1975, while the new President, Mauno Koivisto, developed the policy that allowed Finland to join Europe, with its entry into the Council of Europe in 1989 and into the European Union in 1995, a year after the scholar's death.

 

1975, which was declared the international year of the woman by the UN, was also the year in which the cycle of international conferences on women began, which established a comparison between the situation in European and North American countries and in those countries then defined as “developing.” The Conferences therefore offered an international way to address the numerous and diverse problems linked to the situation of women. The decade of the United Nations for women began in 1975, "it seems inspired by a Finnish parliamentarian, president of a non-governmental women's association" (Ginevra Conti Odorisio). The first Conference took place in Mexico City, unfortunately remembered today as one of the places with the highest density of femicide and violence against women, the second in Copenhagen in 1980, the third in Nairobi in 1985, the last, known as the conclusion of the series, in Beijing in 1995. The action of the UN was intertwined with that of Europe. In the fourth action program of the European Community, started in 1982, which ran from 1996, immediately after the Beijing conference, to 2000, among the asymmetries unacceptable for democracies, such as the persistence of wage disparities, female unemployment, which worsened after the pandemic, the feminization of poverty, also a constant, violence against women passed from individual emergencies to a structural problem, the persistence of sexist stereotypes and the rigidity of roles between public and private life were included. This reflected that presumed incompatibility, already underlined by Veronica Stolte-Hèiskanen in her studies on social structure, family models, interpersonal influences in relation to research groups, and the challenges of productivity and evaluations. In Italy, on fairness and equal opportunities in learning science, and evaluating research conducted by women, we had Rossella Palomba, social demographer, research director at IRPPS, among the most active representatives. She has dealt with equal opportunities for more than thirty years, coordinating national and international research projects in the field of social policies, equity and gender-equal opportunities in scientific careers, and for the elimination of stereotypes about science and male and female scientists. In her book Le figlie di Minerva (2003), also published in English, she examined male co-optation in research groups led by women, widely funded and accredited in various scientific fields. During her career at CNR, she was a member of the EC group of experts on Gender and Scientific Excellence and EU Ambassador for equal opportunities in science, a role similar to that played by Veronica Stolte-Hèiskanen. In the absence of the removal of stereotypes and adequate social policies, the “old boys” networks evaluated women with parameters that do not take into account the family care and reproductive work carried out by women, who are penalized for the quantity and constancy of work without interruptions of productivity, parameters in force also in Italy in university recruitment systems. The figure of Veronica Stolte-Hèiskanen reminds us of a precursor, the fiercely autonomous Hypatia, whose events also reflect the time elapsed. In the film by the Chilean-Spanish director Alejandro Amenábar, Agorà, released in 2009, Hypatia tragically dies at the hands of assassins while defending the independence of the sciences. The scientist, to illustrate her difference to one of the most prestigious students, showed a handkerchief stained with menstral blood, stating that that was her difference, and ultimately paid with her death. The Finnish scholar, on the other hand, conducted her studies very well, struggling to eliminate the social and political differences made to pass for ontological differences, in which the differences reflect not 'diversity', but 'diminution'. She became one of the mothers of the so-called STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics) programs of European origin, which aim to eliminate the stereotypes still present among young students, of those having less inclination and ability than a peer of the same age and circumstances.

 

Traduzione spagnola
Flavia Palumbo

 

Verónica Stolte-Hèiskanen (1934-1994) representa un moderno ejemplo de cosmopolitismo cultural. Su biografía apátrida está interconectada con la historia internacional y sus cambios: nació en Budapest pero, después de la segunda guerra mundial, su familia huyó primero a Alemania y luego a Estados Unidos; tras finalizar sus estudios en las universidades de Columbia y Chicago, se mudó a Finlandia, donde se casó con un colega finlandés. Fue una verdadera embajadora de la sociología finlandesa, pionera de los estudios científicos empíricos y una experta reconocida a nivel internacional en los estudios sociales en cuanto a ciencia y tecnología. Como estudiosa, coleccionó más de un éxito: obtuvo el doctorado en 1967 como segunda socióloga en la Universidad de Helsinki, y luego obtuvo la plaza de profesora de Sociología en la universidad de Tamperèn ylìopisto en 1982, donde fue la primera vicerrectora de la misma universidad en 1990. Fue la primera mujer en presidir la asociación profesional de los sociólogos finlandeses, la Sociedad Westermarck, entre 1974 y 1977, y fue elegida en el Comité ejecutivo de la Asociación Internacional de Sociología. Verónica Stolte-Hèiskanen influenció significativamente, y en muchos lugares, el nacimiento y la ampliación de la investigación científica y tecnológica en Finlandia. De hecho, estudió la evaluación de la investigación, el empleo de sus resultados, la ética de la investigación, los problemas detectables en los sistemas de investigación de los países pequeños y la posición de las mujeres en la ciencia. Pionera y gran defensora del análisis científico, dedicó parte de su reflexión sociológica a la potencial “incompatibilidad” entre el papel de la mujer en su doble función de científica y de esposa-madre responsable del trabajo productivo y reproductivo. Efectivamente, en la imaginación colectiva, prevalecía, y en gran medida prevale aún hoy en día, la retórica de la elección definitiva para toda mujer que decide emprender el camino científico, 'desvinculada' de las responsabilidades familiares. En 1983 publicó, con Terttu Luukkonen-Gronow, un trabajo fructuoso titulado Myths and Realities of Role Incompatibility of Women Scientists (Acta Sociológica), en el que analiza la supuesta incompatibilidad de los roles al juntar una carrera en el campo científico con el poder constituir una familia; esto explicaría la desigual posición femenina en la ciencia. A través de los datos empíricos, analiza historias de vida de científicas, sus responsabilidades familiares y la participación profesional en la comunidad científica. Los datos son el resultado de una encuesta a una muestra de jóvenes investigadoras de la Academia de Finlandia, que comprende, por un lado, hombres y mujeres y, por el otro, se beneficia de las respuestas –al anuncio publicado en un periódico– dadas por parte de un grupo heterogéneo de científicas.

 

Los resultados que alcanza el estudio están lejos de demostrar incompatibilidad entre la investigación científica y la familia: aunque la carga de trabajo sea obviamente mayor, se demuestra que el matrimonio, e incluso una relación afectiva estable, parece tener un efecto positivo en la vida profesional de las científicas. Tanto en el caso de mujeres como de hombres, vivir una relación parece ser una ventaja. Este enfoque, como recuerda en detalle Alessandra Sannella, profesora de Sociología en la Universidad de Cassino e Lazio Meridionale y admiradora de la estudiosa, también interesó muchos de los estudios de Verónica Stolte-Hèiskanen que, en 1991, realizó una extraordinaria investigación transnacional; de hecho, propuso un análisis acerca de la situación de las mujeres en la ciencia en 12 países europeos, incluidos los de Europa oriental y ex comunistas e incluido su lugar de nacimiento (Yugoslavia, Hungría, Bulgaria pero también Grecia y Turquía) de los cuales a finales del siglo pasado se sabía muy poco sobre la participación de las mujeres en la ciencia. Dicho estudio se centra en analizar los obstáculos y las oportunidades dirigidos a las mujeres al acceder a posiciones de responsabilidad. Su trabajo fue dirigido por el Centro de coordinamiento europeo para la investigación y la documentación de las ciencias sociales, y fue publicado con el título Women in science: token women or gender equality? en colaboración con Rǔza Fürst-Dili for the European Coordination Centre for Research and Documentation in Social Sciences. Considerando a las mujeres como fundamentales recursos científicos y tecnológicos, cada artículo describe la situación en un país particular, además de identificar las tendencias generales que se traducen en obstáculos que impiden la ocupación femenina así como los programas que en aquellas sociedades tienden a promoverla. El recorrido de sus estudios y la originalidad de su investigación fueron de la mano con los impulsos feministas europeos y estadounidenses y los pasos hacia delante de la unión Europea. Asimismo, gracias al compromiso de Urho Kekkonen, elegido Presidente de la República en 1956 y que asumió una posición neutral en campo internacional, Finlandia pudo acoger en 1975 la Conferencia sobre Seguridad y Cooperación en Europa, mientras que el nuevo presidente, Mauno Koivisto, desarrolló la política que permitió a Finlandia unirse a Europa, con la entrada en el Consejo de Europa en 1989 y en la Unión Europea en 1995, un año después del fallecimiento de la estudiosa.

 

El 1975, declarado el año internacional de la mujer por la ONU, fue también el año en el que empezó el ciclo de Conferencias internacionales sobre la mujer que favoreció una confrontación entre su situación en los países europeos, norteamericanos y en aquellos que en esa época se definían en vías desarrollo; las Conferencias ofrecieron un escenario internacional para enfrentarse con los numerosos y diferentes problemas relacionados con la cuestión femenina; desde 1975 empezó la década de las Naciones Unidas para la mujer, <> (Ginevra Conti Odorisio). La primera Conferencia tuvo lugar en México City, hoy en día recordado, lamentablemente, como uno de los lugares con mayor densidad de feminicidios y violencia contra las mujeres la segunda en Copenhague en 1980, la tercera en Nairobi en 1985, la última, concluyente, como es sabido en Pekín en 1995. La acción de la ONU se entrelaza con la de Europa; en el cuarto programa de acción de la Comunidad europea, iniciado en 1982, que va desde 1996, es decir inmediatamente después de Pekín, hasta 2000, entre las asimetrías inaceptables para las democracias (como la persistencia de las disparidades salariales, el desempleo femenino, que se agravó después de la pandemia, la feminización de la pobreza, que también es una constante, la violencia contra las mujeres que pasó de ser una emergencia a un problema estructural) se incluyen la persistencia de estereotipos sexistas y la rigidez de roles entre la vida pública y privada. Aquella supuesta incompatibilidad ya señalada por Verónica Stolte-Hèiskanen en sus estudios acerca de la estructura social, los modelos familiares, las influencias interpersonales en relación a los grupos de investigación, la productividad y las problemáticas de evaluación. En Italia, en cuanto a equidad e igualdad de oportunidades en el aprendizaje de las ciencias y la evaluación de la investigación realizada por mujeres, tuvimos a Rossella Palomba entre las representantes más activas, demógrafa social, directora de investigación en IRPPS, que se dedicó a la igualdad de oportunidades durante más de 30 años, coordinando proyectos de investigación nacionales e internacionales en el campo de las políticas sociales, equidad e igualdad de oportunidades de género en las carreras científicas, para la eliminación de los estereotipos sobre la ciencia y los/las científicos/as. En su libro Las hijas de Minerva (2003), también en edición inglesa, examinó la cooptación masculina en grupos de investigación dirigidos por hombres acreditados y financiados ampliamente en diversos campos científicos. Durante su carrera en el CNR, fue componente del grupo de expertos Ec en Género y Excelencia científica y embajadora Eu para la igualdad de oportunidades en la ciencia, papel similar al de Verónica Stolte-Hèiskanen. En ausencia de la eliminación de estereotipos y de políticas sociales adecuadas, los old boys network evalúan con parámetros que no cuentan con el trabajo familiar, de cuidado y de reproducción realizado por las mujeres, penalizadas en la cantidad y en la constancia sin interrupción de la productividad, parámetros también vigentes en Italia en los sistemas de reclutamiento universitario. La imagen de Verónica Stolte-Hèiskanen recuerda el papel de precursora y orgullosamente autónoma que tuvo Hipazia, cuyas travesías también miden el tiempo transcurrido: Hipazia muere trágicamente por mano de sicarios al reivindicar la independencia en las ciencias; en la película del director chileno-español Alejandro Amenábar, Ágora, estrenada en 2009, la científica, para mostrar su diferencia a uno de los estudiantes más prestigiosos, recogía un pañuelo manchado de sangre menstrual y lo mostraba afirmando que esa era su diferencia, al final pagada con la muerte; en cambio, la estudiosa finlandesa condujo brillantemente sus estudios, luchando precisamente para eliminar las diferencias sociales y políticas que se hacen pasar por diferencias ontológicas, donde diferencia no significa 'diversidad', sino 'inferioridad'. En definitiva, una de las madres de los llamados programas Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics), de origen europeo, que aspiran a eliminar el estereotipo aún presente en las mismas jóvenes estudiantes, es decir, creer que tienen menor inclinación y capacidad que sus coetáneos, en igualdad de condiciones.

 

Berta Pīpiņa
Rossana Laterza



Rita Mota

 

Nel 1939, Zeltene, una delle riviste femminili lettoni più seguite degli anni Trenta, affermò che non sarebbe stato possibile affrontare alcuna questione seria sulle donne lettoni in qualunque settore senza chiamare in causa Berta Pipina, esponente della Lega nazionale femminile e Presidente dell’Unione delle organizzazioni femminili lettoni. La vita di Berta Pipina, «donna energica intelligente e ambiziosa» (articolo del 1926 su Zeltene), figura pubblica di spicco nel periodo fra le due guerre, è strettamente connessa alla storia della Lettonia nella prima metà del Novecento. Incastonata tra mondo slavo e Occidente, la Lettonia, crocevia di culture e conflitti e oggetto di appetiti e spartizioni da parte delle potenze confinanti (Impero Russo, Svezia, Germania), aveva assunto una fisionomia etnicamente composita. Dalla fine del XIX secolo il Paese visse un risveglio culturale e identitario: era nata una nuova letteratura nazionale e, con le scrittrici e attiviste Aspazija e Īvande Kaija, si stava facendo strada una prima coscienza femminista. Berta Ziemele (Pipina da sposata) nacque nel 1883 a Codes Pagast, unità amministrativa di Bauska nella regione di Zemgale «…nel mezzo di una foresta verde, una collina di sabbia su un pendio, sotto un tetto di tegole rosse…» (idem) dove i genitori agricoltori gestivano una taverna. Della numerosa prole sopravvissero solo Berta e altri due fratelli «… forti come tre nostre grosse querce di campagna. La salute era il capitale più grande con cui siamo venuti al mondo».(idem) Si diplomò al liceo di Bauska e per mantenersi agli studi lavorò come insegnante ed educatrice presso una famiglia di Karchov, in Ucraina. Proseguì la formazione da logopedista nella clinica del dott. Liebman a Berlino e nei suoi viaggi in Svizzera e in Russia si applicò allo studio dei sistemi educativi locali da autodidatta e frequentando corsi serali.

Tornata in Lettonia nel 1910 sposò Ermanis Pipins, critico letterario, e dall’unione nacquero due femmine e un maschio. Intanto la Lettonia, coinvolta nella Prima guerra mondiale e poi nella Guerra civile russa, si avviava faticosamente verso l’indipendenza che venne proclamata nel 1918 e le donne lettoni, tra le prime in Europa, ottennero il diritto di voto. Tuttavia l’instabilità dello Stato in cui si scontravano sovietici, tedeschi e nazionalisti lettoni sfociò in una guerra civile che ebbe fine nel 1920 con la liberazione di Riga. Con una popolazione decimata dalle guerre e dalle deportazioni il governo democratico guidato da Ulmanis mise al primo posto il patriottismo e lo sviluppo di una comune identità con l’esaltazione della storia, della cultura, della lingua e delle tradizioni nazionali. Berta Pipina, da sempre interessata alle questioni educative e alle problematiche sociali, volle dare il suo contributo alla vita politica della Lettonia indipendente. Anni dopo in un’intervista, ricordando il sorriso sul volto di suo marito ogni volta che lei alzava la mano per dirgli cosa pensava o cosa la preoccupava, dichiarò che era entrata in politica per sfida: «Giurai che un giorno avrei parlato così bene che nessuno avrebbe mai riso di me» (Dizionario biografico). Un atto di coraggio nella consapevolezza che per una donna proporsi in un ruolo pubblico mettendo in campo il proprio talento sarebbe stato molto più rischioso ed impegnativo che per un uomo. Cofondatrice del Partito democratico di Centro, fu la prima donna eletta al Comitato centrale di un partito. Eletta nel Consiglio comunale di Riga, dal 1918 al 1931 introdusse restrizioni legali sul consumo di alcol nei luoghi pubblici, fu a capo del Dipartimento delle persone indigenti e componente della Commissione di controllo incaricata di monitorare il lavoro di tutti gli uffici della municipalità. Parallelamente tenne conferenze e scrisse articoli per numerosi giornali e riviste su temi quali la pedagogia infantile, la famiglia e il rapporto genitori-prole, l’educazione sessuale, la questione femminile in Lettonia. Nel Paese democratico non si poteva parlare di parità di genere. Disparità salariale e segregazione orizzontale e verticale caratterizzavano il lavoro. Nel diritto di famiglia perduravano leggi patriarcali che, insieme a radicati e diffusi pregiudizi, continuavano a relegare le donne nella sfera privata. Il governo, promuovendo il ritorno alle tradizioni contadine, esaltava la funzione riproduttiva delle donne − chiave per il futuro della nazione − votandole alla cura dell’ambiente domestico, all’accudimento della prole e del coniuge e all’educazione nazionale delle giovani generazioni. Berta Pipina condivise il programma di rinascita nazionale, ma si batté per le pari opportunità nel lavoro e per l’uguaglianza dei diritti. Entrata a far parte della Lega nazionale delle donne lettoni ne mantenne la presidenza dal 1925 al 1931.

«La questione femminile attraversa il mio lavoro pubblico come un filo rosso. Può essere affrontata con forza solo nelle organizzazioni femminili… le donne devono riconquistare le altezze della divina Madonna nella coscienza pubblica. Ma se ora una donna è cacciata fuori dalla sua famiglia per il pane grigio della sua giornata lavorativa possiamo difenderla e sostenerla solo con la nostra forza collettiva… Noi madri portiamo con noi la missione dell’eternità: continuare la vita dell’umanità che si trova sotto di noi e che continuerà all’infinito sopra di noi». (Zeltene, art. cit.) «La Lega provvedeva alle donne in difficoltà, organizzava asili e scuole domenicali per l’infanzia, biblioteche e corsi serali mirando «… a sostenere lo spirito stanco e disperato dei rifugiati… il popolo lettone sparso deve essere unito dalle donne attraverso ideali nazionali in diverse forme».(Dizionario biografico) Nel 1922 affiliatasi all’Icw (International Congress of Women) la Lega entrava nel contesto della politica internazionale di genere e Berta moltiplicò il suo attivismo. Cofondatrice dell’Organizzazione del Consiglio delle donne lettoni, ne fu leader fino al 1935 e l’anno dopo divenne Vice presidente dell’Icw partecipando ai congressi dell’organizzazione a Vienna, Stoccolma, Parigi, Dubrovnik, Edimburgo e ad incontri con gruppi di attiviste in Austria, Urss e Ungheria. Nel 1931, alla quarta legislatura, fu la prima donna a fare il suo ingresso nella Saeima (Parlamento lettone) dove sostenne leggi sociali e paritarie di fronte a colleghi ostili e talvolta sprezzanti come il Primo Ministro e futuro dittatore Ulmanis. La dittatura interruppe il percorso di emancipazione, ma non venne meno la coscienza delle donne: Pipina contribuì a fondare il periodico Latviete (Donna lettone) per combattere gli stereotipi patriarcali e promuovere l’uguaglianza delle donne e la coscienza nazionale e pubblicò il romanzo Lejaskrodzinieka meitas, significativo per i temi legati alla questione femminile e alla sorellanza. Dopo l’occupazione dell’Urss cominciò la persecuzione degli “elementi antisovietici”: nel giugno del 1941 Berta Pipina fu deportata in Siberia dove morì l’anno dopo in un campo di lavoro presso il fiume Ob. Doppiamente occultata come nemica politica e come donna, scomparve dalla memoria del suo Paese per riemergere nella storia politico-sociale e negli studi di genere solo dopo il crollo del regime sovietico. Oggi una lapide la ricorda nel cimitero Pirmie Meza di Riga.

 

FONTI


 

Traduzione francese
Piera Negri

 

En 1939, Zeltene, l'un des magazines féminins lettons les plus populaires des années 1930, déclarait qu'il n’aurait pas été possible d'aborder une question sérieuse sur les femmes lettones dans n'importe quel secteur sans remettre en cause Berta Pipina, représentante de la Ligue nationale des femmes et Présidente de l'Union des organisations féminines lettones. La vie de Berta Pipina, «femme énergique, intelligente et ambitieuse» (article de 1926 sur Zeltene), personnalité publique de premier plan dans la période de l'entre-deux-guerres, est étroitement liée à l'histoire de la Lettonie dans la première moitié du XXe siècle. Nichée entre le monde slave et l'Occident, la Lettonie, carrefour de cultures et de conflits, objet des appétits et des divisions des puissances voisines (Empire russe, Suède, Allemagne), avait pris une physionomie ethniquement composite. Dès la fin du XIXe siècle, le pays connaît un éveil culturel et identitaire : une nouvelle littérature nationale voit le jour et, avec les écrivaines et militantes Aspazija et Īvande Kaija, une première conscience féministe gagne du terrain. Berta Ziemele (Pipina nom d’épouse) est née en 1883 à Codes Pagast, unité administrative de Bauska dans la région de Zemgale «... au milieu d'une verte forêt, une colline de sable en pente, sous un toit de tuiles rouges...» où les parents agriculteurs tenaient une auberge. De la nombreuse progéniture, Berta et deux autres frères seulement ont survécu «… aussi forts que trois de nos grands chênes de campagne. La santé était le plus grand capital avec lequel nous sommes venus au monde.» Elle est diplômée au lycée de Bauska et pour soutenir ses études, elle a travaillé comme enseignante et éducatrice pour une famille à Karchov, en Ukraine. Elle poursuit sa formation d'orthophoniste dans la clinique du Dr. Liebman à Berlin et lors de ses voyages en Suisse et en Russie elle s'est appliquée à l'étude des systèmes éducatifs locaux en autodidacte et en suivant des cours du soir.

De retour en Lettonie en 1910, elle épouse Ermanis Pipins, un critique littéraire, et de l'union deux filles et un garçon sont nés. Pendant ce temps, la Lettonie, impliquée dans la Première Guerre mondiale puis dans la guerre civile russe, lutte pour l'indépendance qui est proclamée en 1918 et les femmes lettones, parmi les premières d'Europe, obtiennent le droit de vote. Cependant, l'instabilité de l'État dans lequel s'affrontaient Soviétiques, Allemands et nationalistes lettons a entraîné une guerre civile qui s'est terminée avec la libération de Riga en 1920. Avec une population décimée par les guerres et les déportations, le gouvernement démocratique dirigé par Ulmanis a mis la première place le patriotisme et le développement d'une identité commune avec l'exaltation de l'histoire, de la culture, de la langue et des traditions nationales. Berta Pipina, qui s'est toujours intéressée aux questions éducatives et sociales, a voulu apporter sa contribution à la vie politique de la Lettonie indépendante. Des années plus tard, dans une interview, rappelant le sourire sur le visage de son mari chaque fois qu'elle levait la main pour lui dire ce qu'elle pensait ou ce qui l'inquiétait, elle déclara qu'elle était entrée en politique par défi : «J'ai juré qu'un jour je parlerais si bien que personne ne se moquerait jamais de moi» (Dictionnaire biographique). Un acte de courage dans la conscience que pour une femme, assumer un rôle public en utilisant son talent aurait été beaucoup plus risqué et exigeant que pour un homme. Co-fondatrice du Parti démocrate du Centre, elle a été la première femme élue au Comité central d'un parti. Élue au conseil municipal de Riga, de 1918 à 1931, elle introduisit des restrictions légales à la consommation d'alcool dans les lieux publics, fut chef du département des pauvres et membre de la commission de contrôle chargée de surveiller le travail de tous les bureaux municipaux. Parallèlement, elle donna des conférences et écrit des articles pour de nombreux journaux et magazines sur des sujets tels que la pédagogie de l'enfant, la famille et les relations parents-enfants, l'éducation sexuelle, la question féminine en Lettonie. Dans le Pays démocratique, on ne pouvait pas parler d'égalité des sexes. L'inégalité des salaires et la ségrégation horizontale et verticale caractérisaient le travail. En droit de la famille, les lois patriarcales perdurent et, conjuguées à des préjugés profondément enracinés et répandus, elles continuent de reléguer les femmes dans la sphère privée. Le gouvernement, en favorisant le retour aux traditions paysannes, exaltait la fonction reproductrice des femmes - clé de l'avenir de la nation - en les consacrant au soin du milieu familial, aux soins des enfants et des conjoints et à l'éducation nationale des plus jeunes générations. Berta Pipina a partagé le programme national de renaissance, mais elle s'est battue pour l'égalité des chances dans le travail et pour l'égalité des droits. Elle a rejoint la Ligue nationale des femmes de Lettonie et en a gardé la présidence de 1925 à 1931.

«La question féminine traverse mon travail public comme un fil rouge. Elle ne peut être abordée avec force que dans les organisations féminines... les femmes doivent regagner les hauteurs de la Vierge dans la conscience publique. Mais si maintenant une femme est expulsée de sa famille pour le pain gris de sa journée de travail, nous ne pouvons la défendre et la soutenir qu'avec notre force collective... Nous, les mères, portons avec nous la mission d'éternité : continuer la vie de l'humanité qui se trouve au-dessous de nous et qui continuera indéfiniment au-dessus de nous ». (Zeltene, art. cit.) La Ligue pourvoyait aux femmes en difficulté, organisait des crèches et des écoles dominicales pour l’enfance, des bibliothèques et des cours du soir visant «... à soutenir l’esprit fatigué et désespéré des réfugiés... le peuple letton dispersé doit être uni par les femmes à travers des idéaux nationaux sous différentes formes ». (Dictionnaire biographique) En 1922, affiliée à l’ICW (International Congress of Women), la Ligue entre dans le contexte de la politique internationale de genre et Berta multiplie son activisme. Cofondatrice de l’Organisation du Conseil des femmes de Lettonie, elle en fut le chef jusqu’en 1935 et l’année suivante elle devint vice-présidente de l’ICW en participant aux congrès de l’organisation à Vienne, Stockholm, Paris, Dubrovnik, Edimbourg et à des réunions avec des groupes d’activistes en Autriche, URSS et Hongrie. En 1931, à la quatrième législature, elle fut la première femme à faire son entrée dans la Saeima (Parlement letton) où elle défendit des lois sociales et paritaires face à des collègues hostiles et parfois méprisants comme le Premier ministre et futur dictateur Ulmanis. La dictature a interrompu le parcours d'émancipation, mais la conscience des femmes ne faibilit pas : Pipina a aidé à fonder le périodique Latviete (Femme lettone) pour lutter contre les stéréotypes patriarcaux et promouvoir l'égalité des femmes et la conscience nationale. Elle a aussi publié le roman Lejaskrodzinieka meitas, important pour les questions liées à la question féminine et à la sororité. Après l'occupation de l'URSS, la persécution des "éléments anti-soviétiques" commence : en juin 1941, Berta Pipina est déportée en Sibérie où elle meurt l'année suivante dans un camp de travail près du fleuve Ob. Doublement dissimulée comme ennemie politique et comme femme, elle a disparu de la mémoire de son pays pour ne resurgir dans l'histoire socio-politique et dans les études de genre qu'après l'effondrement du régime soviétique. Aujourd'hui, une pierre tombale la commémore au cimetière Pirmie Meza à Riga.

 

Sources:

 

Traduzione inglese
Syd Stapleton

 

In 1939, Zeltene, one of the most popular Latvian women's magazines of the 1930s, stated that it would not be possible to address any serious question about Latvian women, on any subject, without including Berta Pipina, exponent of the National Women's League and President of the Union of Latvian women's organizations. The life of Berta Pipina, «an energetic, intelligent and ambitious woman» (from a 1926 article in Zeltene), a prominent public figure in the period between the two wars, is closely connected to the history of Latvia in the first half of the twentieth century. Nestled between the Slavic world and the West, Latvia, a crossroads of cultures and conflicts and the object of appetites and divisions among the neighboring powers (the Russian Empire, Sweden, Germany), had assumed an ethnically composite physiognomy. From the end of the nineteenth century, the country experienced a cultural and national awakening: a new national literature was born and, with the writers and activists Aspazija and Īvande Kaija, a first feminist consciousness began gaining ground. Berta Ziemele (Pipina was her married name) was born in 1883 in Codes Pagast, administrative unit of Bauska in the Zemgale region «... in the middle of a green forest, a sand hill on a slope, under a red tile roof...» (Zeltene) where her farming parents also ran a tavern. Of the numerous offspring only Berta and two other brothers survived, «…as strong as three of our large country oaks. Health was the greatest capital with which we came into the world.» (Zeltene) She graduated from the high school in Bauska, and to continue her studies she worked as a teacher and educator for a family in Karchov, Ukraine. She trained as a speech therapist with Dr. Liebman in Berlin, and on her travels to Switzerland and Russia she applied herself to the study of local education systems, self-taught and also attending evening classes.

Returning to Latvia in 1910, she married Ermanis Pipins, a literary critic, and from the union two girls and a boy were born. Meanwhile, Latvia, involved in the First World War and then in the Russian Civil War, was struggling towards independence - which was proclaimed in 1918 - and Latvian women, among the first in Europe, obtained the right to vote. However, the instability of the state in which the Soviets, Germans and Latvian nationalists clashed resulted in a civil war that ended in 1920 with the liberation of Riga. With a population decimated by wars and deportations, the democratic government led by Ulmanis put in first place patriotism and the development of a common identity, along with an exaltation of Latvian history, culture, language and national traditions. Berta Pipina, who was always interested in educational and social issues, wanted to make her contribution to the political life of independent Latvia. Years later in an interview, recalling the smile on her husband's face every time she raised her hand to tell him what she thought or what worried her, she declared that she had entered politics out of defiance: «I swore that one day I would speak so well that no one would ever laugh at me.» (Biographical Dictionary). It was an act of courage, given the fact that for a woman to take on a public role on the basis of her own talents was much more risky and demanding than for a man. As a co-founder of the Center Democratic Party, she was the first woman elected to the Central Committee of a party. Elected to the Riga City Council, from 1918 to 1931 she introduced legal restrictions on alcohol consumption in public places, was head of the Department of the Poor People and a member of the Control Commission in charge of monitoring the work of all the offices of the municipality. At the same time, she lectured and wrote articles for numerous newspapers and magazines on topics such as child pedagogy, the family and parent-offspring relationships, sex education, and the issue of women's status in Latvia. Despite Latvia being a democratic country at the time, there was no question of gender equality. Wage inequality and horizontal and vertical segregation characterized the workplace. In family law, patriarchal laws persisted which, together with deep-rooted and widespread prejudices, continued to regard women’s issues as private matters. The government, by promoting the return to peasant traditions, exalted the reproductive function of women – as a key to the future of the nation - by relegating them to the care of the home environment, the care of children and spouses and the national education of the younger generations. Berta Pipina shared in the national revival program, but she fought for equal opportunities for women in work and for equal rights. She joined the Latvian National Women's League and she held the presidency from 1925 to 1931.

«The women’s question runs through my public work like a red thread. It can only be dealt with forcefully in women's organizations… women must regain the heights of the divine Madonna in the public consciousness. But if now a woman is driven outside of her family to earn the gray bread of her working day, we can only defend and support her with our collective strength ... We mothers carry with us the mission of eternity: to continue the life of humanity that is found beneath us and which will continue to the infinity above us.» (Zeltene, op. cit.) The League provided for women in distress, organized Sunday kindergartens and preschools, libraries and evening classes aiming, «...to support the tired and desperate spirit of refugees... the scattered Latvian people must be united by women through national ideals in different forms.» (Biographical Dictionary) In 1922, by affiliating itself with the ICW (International Congress of Women), the League entered the context of international gender politics and Berta extended her activism. Co-founder of the Latvian Women's Council Organization, she was its leader until 1935, and the following year she became Vice President of the ICW, participating in the organization's congresses in Vienna, Stockholm, Paris, Dubrovnik, Edinburgh and in meetings with activist groups in Austria, the USSR and Hungary. In 1931, in the fourth legislature, she was the first woman to enter the Saeima (Latvian Parliament), where she advocated social and equality laws in the face of hostile and sometimes contemptuous colleagues such as the Prime Minister and future dictator Ulmanis. The dictatorship interrupted the path of emancipation, but the conscience of women did not fail. Pipina helped to found the periodical Latviete (Latvian woman) to combat patriarchal stereotypes and promote women's equality and the national consciousness, and published the novel Lejaskrodzinieka meitas, significant for issues related to the women’s question and sisterhood. After the occupation by the USSR she suffered persecution as an "anti-Soviet element." In June 1941 Berta Pipina was deported to Siberia, where she died the following year in a forced labor camp near the Ob River. Doubly marked as a political enemy and as a woman, she was erased from the memory of her country, to re-emerge in socio-political history and in gender studies only after the collapse of the Soviet regime. Today a tombstone commemorates her in the Pirmie Meza cemetery in Riga.

 

Traduzione spagnola
Daniela Leonardi

 

En 1939, Zeltene, una de las revistas femeninas más seguidas de Letonia en los años treinta, afirmó que no sería posible abordar ninguna cuestión seria sobre las mujeres letonas en cualquier sector sin tener en cuenta a Berta Pipina, Miembra de la Liga Nacional de Mujeres y Presidenta de la Unión de Organizaciones de Mujeres de Letonia. La vida de Berta Pipina, «mujer enérgica, inteligente y ambiciosa» (artículo de 1926 en Zeltene), figura pública destacada entre las dos guerras, está estrechamente relacionada con la historia de Letonia en la primera mitad del siglo XX. Enclavada entre el mundo eslavo y Occidente, Letonia, encrucijada de culturas y conflictos y ambicionada y desada por parte de las potencias vecinas (Imperio Ruso, Suecia, Alemania), había asumido una fisonomía étnicamente mixta. Desde finales del siglo XIX el país vivió un despertar cultural e identitario: había nacido una nueva literatura nacional y, con las escritoras y activistas Aspazija e Īvande Kaija, se estaba abriendo camino una primera conciencia feminista. Berta Ziemele (el apellido de casada fue Pipina) nació en 1883 en Codes Pagast, unidad administrativa de Bauska en la región de Zemgale «...en medio de un bosque verde, una colina de arena sobre una ladera, bajo un techo de tejas rojas...» (ídem) donde sus padres agricultores dirigían una taberna. De la numerosa prole sobrevivieron sólo Berta y otros dos hermanos «... fuertes como tres grandes robles de campo. La salud era el mayor capital con el que vinimos al mundo». (ídem) Se graduó en el instituto de Bauska y para mantenerse en los estudios trabajó como profesora y educadora en una familia de Karchov, en Ucrania. Continuó la formación de logopeda en la clínica del Dr. Liebman en Berlín y en sus viajes a Suiza y Rusia se aplicó al estudio de los sistemas educativos locales como autodidacta y asistiendo a cursos nocturnos.

Regresó a Letonia en 1910 y se casó con Ermanis Pipins, crítico literario, y de su unión nacieron dos chicas y un chico. Mientras tanto, Letonia, implicada en la Primera Guerra Mundial y después en la Guerra Civil Rusa, se dirigía con dificultades hacia la independencia proclamada en 1918 y las mujeres letonas, entre las primeras en Europa, obtuvieron el derecho de voto. Sin embargo, la inestabilidad del Estado donde se enfrentaban soviéticos, alemanes y nacionalistas letones condujo a una guerra civil que terminó en 1920 con la liberación de Riga. Con una población diezmada por las guerras y las deportaciones, el gobierno democrático dirigido por Ulmanis puso en primer lugar el patriotismo y el desarrollo de una identidad común con la exaltación de la historia, la cultura, la lengua y las tradiciones nacionales. Berta Pipina, desde siempre interesada en las cuestiones educativas y sociales, quiso aportar su contribución a la vida política de la Letonia independiente. Años después, en una entrevista, recordando la sonrisa en la cara de su marido cada vez que levantaba la mano para decirle lo que pensaba o lo que la preocupaba, declaró que había entrado en política por desafío: «Juré que un día iba a hablar tan bien que nadie se reiría de mí» (Diccionario biográfico). Un acto de valentía sabiendo que para una mujer proponerse en un papel público poniendo en práctica su talento habría sido mucho más arriesgado y complicado que para un hombre. Cofundadora del Partido Democrático de Centro, fue la primera mujer elegida en el Comité Central de un partido. Elegida en el Ayuntamiento de Riga, de 1918 a 1931 introdujo restricciones legales al consumo de alcohol en lugares públicos, fue jefe del Departamento de personas indigentes y miembra del Comité de Auditoría encargado de supervisar el trabajo de todas las oficinas del municipio. Paralelamente, dictó conferencias y escribió artículos para numerosos periódicos y revistas sobre temas como la pedagogía infantil, la familia y la relación entre padres y hijos, la educación sexual, la cuestión femenina en Letonia. En el país democrático no se podía hablar de igualdad de género. La desigualdad salarial y la segregación horizontal y vertical caracterizaban el trabajo. En el derecho de familia persistían las leyes patriarcales que, junto con arraigados y difundidos prejuicios, seguían relegando a las mujeres a la esfera privada. El gobierno, promoviendo el regreso a las tradiciones campesinas, exaltaba la función reproductiva de las mujeres –clave para el futuro de la nación–, al tiempo que las sometía al cuidado del ambiente doméstico, de los hijos y del cónyuge y a la educación nacional de las jóvenes generaciones. Berta Pipina compartió el programa de renacimiento nacional, pero luchó por la igualdad de oportunidades en el trabajo y por la igualdad de derechos. Ingresó en la Liga Nacional de Mujeres Letonas y ocupó la Presidencia desde 1925 hasta 1931.

«La cuestión femenina atraviesa mi trabajo público como un hilo rojo. Sólo se puede abordar con fuerza en las organizaciones femeninas... las mujeres deben reconquistar las alturas de la divina Virgen en la conciencia pública. Pero si ahora una mujer es expulsada de su familia por el pan gris de su jornada laboral, sólo podemos defenderla y sostenerla con nuestra fuerza colectiva... Las madres llevamos con nosotras la misión de la eternidad: continuar la vida de la humanidad que se encuentra debajo de nosotras y que continuará hasta el infinito sobre nosotras». (Zeltene, art. cit.). La Liga proveía a las mujeres en dificultades, organizaba guarderías y escuelas dominicales para la infancia, bibliotecas y cursos nocturnos apuntando «... a sostener el espíritu cansado y desesperado de los refugiados... el pueblo letón disperso debe ser unido por las mujeres a través de ideales nacionales en diferentes formas». (Diccionario biográfico) En 1922, afiliada al ICW (International Congress of Women) la Liga entraba en el contexto de la política internacional de género y Berta multiplicó su activismo. Cofundadora de la Organización del Consejo de Mujeres Letonas, fue su líder hasta 1935 y al año siguiente se convirtió en vicepresidente de ICW, participando en los congresos de la organización en Viena, Estocolmo, París, Dubrovnik, Edimburgo y en reuniones con grupos de activistas en Austria, la URSS y Hungría. En 1931, en la cuarta legislatura, fue la primera mujer que entró en el Saeima (Parlamento letón) donde apoyó leyes sociales y paritarias frente a colegas hostiles y a veces despectivos como el Primer Ministro y futuro dictador Ulmanis. La dictadura interrumpió el camino de la emancipación, pero no se perdió la conciencia de las mujeres: Pipina contribuyó a fundar la revista Latviete (Mujer letona) para luchar contra los estereotipos patriarcales y promover la igualdad de las mujeres y la conciencia nacional, y publicó la novela Lejaskrodzinieka meitas, importante por los temas relacionados con la mujer y la hermandad. Después de la ocupación de la URSS comenzó la persecución de los "elementos antisoviéticos": en junio de 1941 Berta Pipina fue deportada a Siberia donde murió al año siguiente en un campo de trabajo cerca del río Ob. Doblemente ocultada como enemiga política y como mujer, desapareció de la memoria de su país para resurgir en la historia político-social y en los estudios de género sólo después del hundimiento del régimen soviético. Hoy una lápida la recuerda en el cementerio Pirmie Meza de Riga.

Concepción Arenal
Ina Macina



Rita Mota

 

Concepción Arenal è stata una scrittrice, saggista e femminista spagnola, nonché giurista e sociologa ante litteram. Nata a Ferrol nel 1820, fece esperienza della dissidenza in tenera età e crebbe rivelando al mondo le ingiustizie derivanti da rigidi costrutti sociali intorno al genere, facendo della sua vita un fulgido esempio di indomita rivendicazione di uno spazio di azione per le donne. A nove anni perde il padre – dissidente contro il regime di Fernando VII – segnato dal carcere cui fui condannato per vendetta dal re. Comincia a studiare da sola francese e italiano ma anche filosofia, attingendo dalle biblioteche di famiglia. Per tre volte cela la sua identità per accedere ad ambiti negati alle donne. A ventuno anni, vestita da uomo, inizia a frequentare le lezioni di Diritto all’Università Centrale di Madrid. Scoperta, patteggia col rettore la frequenza dei corsi previo il superamento di un esame, che supera brillantemente. L’università non può dunque impedire che l’infinita curiosità intellettuale e la bravura vengano coltivate, ma impone a Concepción diverse restrizioni per la frequenza; in primis, non potrà immatricolarsi o sostenere esami. Sarà la prima donna in Spagna ad accedere ai corsi universitari, diventando poi un’intellettuale e pensatrice preparata e acclamata in tutta Europa, pur senza riconoscimento accademico ufficiale.

Collabora con il giornale La Iberia fianco a fianco col marito, con cui instaura un matrimonio genuinamente paritario e che la supporta e stimola nella sue attività di ricerca e scrittura; dopo la morte di lui, il periodico la licenzia a seguito di una legge del 1857 con la quale si impose la firma dell’autore per ogni articolo. In quanto donna, era sconveniente che firmasse ufficialmente i propri testi. In seguito, risulta vincitrice di un premio letterario che però le viene negato. In quanto donna. Nel 1860 aveva infatti scritto La beneficenza, la filantropia e la carità usando inizialmente il nome del figlio Fernando. Avendo sorpreso la commissione per la profondità di indagine sui temi trattati, solidamente ancorata a un’osservazione partecipata ma lucida della realtà, la scrittrice riesce a farsi riconoscere il premio, diventando la prima donna a essere premiata dalla Real Academia de ciencias morales y politicas. Affranta dalla morte del marito, si rifugia in Cantabria e sotto la benefica influenza dell’amicizia con Jesús de Monasterio si dedica a un’intensa attività umanitaria. Tra il 1863 e il 1865 è la prima donna a visitare le carceri femminili in qualità di osservatrice. Questa esperienza confluirà in una serie di scritti a sostegno della revisione del codice penale e del sistema carcerario a favore di un modello che mettesse al centro la ri-educazione del soggetto e non la punizione strictu sensu. Autrice di Oda a la esclavitud, in cui caldeggia la fine della schiavitù nelle colonie spagnole, si avvicina col tempo a posizioni krausiste, mentre si espande il suo anelito umanitarista e solidale, nutrito di fede tanto quanto di fiducia nella scienza quale strumento di ricerca e miglioramento della condizione umana.

Elabora teorie sulla povertà derivanti dall’osservazione diretta, riflette sull’educazione e in particolare sull’educazione femminile. Nel 1869 pubblica La mujer del porvenir (opera scritta otto anni prima, seguìta da una serie di libri di carattere femminista), in cui contesta la subalternità della posizione della donna attaccando gli argomenti a favore della superiorità dell’uomo su basi biologiche. Pioniera del femminismo, accese dibattiti su argomenti incontestabili per quei tempi (come la disparità salariale, il diritto delle donne a ricevere un’educazione adeguata allo sviluppo delle proprie capacità), lavorando in solitario e senza affiliazioni politiche, ispirata da un genuino senso di solidarietà umana. Muore a Vigo nel 1893.

 

Traduzione francese
Joelle Rampacci

 

Concepción Arenal était un écrivain, essayiste et féministe espagnol, ainsi qu'une juriste et sociologue ante litteram. Née à Ferrol en 1820, elle connaît la dissidence dès son plus jeune âge et grandit en révélant au monde les injustices découlant des concepts sociaux rigides autour du genre, faisant de sa vie un exemple éclatant de revendication indomptée d'un espace d'action pour les femmes. À l'âge de neuf ans, elle perd son père - un dissident contre le régime de Fernando VII - marqué par l'emprisonnement auquel il est condamné par vengeance par le roi. Elle commence à étudier le français et l'italien en autodidacte, mais aussi la philosophie, en puisant dans les bibliothèques familiales. À trois reprises, elle cache son identité pour avoir accès à des zones interdites aux femmes. À l'âge de 21 ans, habillée en homme, elle commence à suivre des cours de droit à l'université centrale de Madrid. Découverte, elle négocie avec le recteur de pouvoir suivre les cours après avoir passé un examen, qu'elle réussit avec brio. L'université ne peut l’empêcher de cultiver son infinie curiosité intellectuelle et son talent, mais impose diverses restrictions à la fréquentation de Concepción ; tout d'abord, elle ne peut s'inscrire ni passer d'examens. Elle sera la première femme en Espagne à accéder aux cours universitaires, et deviendra une intellectuelle et une penseuse reconnue dans toute l'Europe, bien que sans reconnaissance académique officielle.

Elle travaille au journal La Iberia aux côtés de son mari, avec lequel elle établit un mariage véritablement égalitaire et qui la soutient et l’encourage dans ses activités de recherche et d'écriture ; après la mort de celui-ci, le journal la licencie suite à une loi de 1857 exigeant la signature de l'auteur sur chaque article. En tant que femme, il était inapproprié pour elle de signer officiellement ses textes. Elle remporte ensuite un prix littéraire, mais on le lui refuse parce que femme. En 1860, elle écrit, en effet, La beneficenza, la filantropia e la carità, en utilisant initialement le nom de son fils Fernando. Ayant surpris la commission par la profondeur de son investigation sur les thèmes traités, solidement ancrée dans une observation participative mais lucide de la réalité, l'écrivain réussit à remporter le prix, devenant ainsi la première femme à être récompensée par la Real Academia de ciencias morales y politicas. Désemparée par la mort de son mari, elle se réfugie en Cantabrie et, sous l'influence bénéfique de son amitié avec Jesús de Monasterio, se consacre à une intense activité humanitaire. Entre 1863 et 1865, elle est la première femme à visiter les prisons pour femmes comme observatrice. Cette expérience donnera lieu à une série d'écrits soutenant la révision du code pénal et du système pénitentiaire en faveur d'un modèle axé sur la rééducation du sujet et non sur la punition stricto sensu. Auteure de Oda a la esclavitud, dans lequel elle prône la fin de l'esclavage dans les colonies espagnoles, elle se rapproche au fil du temps des positions krausistes, tandis que grandit son aspiration humanitaire et solidaire, nourrie par la foi autant que par la foi en la science comme instrument de recherche et d'amélioration de la condition humaine.

Elle élabore des théories sur la pauvreté issues de l'observation directe, réfléchit à l'éducation et en particulier à l'éducation des femmes. En 1869, elle publie La mujer del porvenir (écrit huit ans plus tôt, suivi d'une série de livres féministes), dans lequel elle conteste la subordination de la position des femmes, attaquant les arguments en faveur de la supériorité des hommes pour des raisons biologiques. Pionnière du féminisme, elle suscite des débats sur des sujets indiscutables pour l'époque (tels que l'inégalité des salaires, le droit des femmes à recevoir une éducation adaptée au développement de leurs capacités), travaillant seule et sans affiliation politique, inspirée par un véritable sens de la solidarité humaine. Elle meurt à Vigo en 1893.

 

Traduzione inglese
Chiara Celeste Ryan

 

Concepción Arenal was a Spanish writer, essayist and feminist, as well as a pioneering jurist and sociologist. Born in Ferrol in 1820, she experienced the world of dissidence at an early age and grew up revealing the injustices arising from rigid social constructs around gender, making her life a shining example of the indomitable demand for a women’s action space. At the age of nine, she lost her father - a dissident against the regime of Fernando VII - broken by the prison time to which he was condemned by the king. She studying French and Italian and also philosophy on her own, using the books in her family’s libraries. She hid her identity three times in order to gain access to areas denied to women. At the age of 21, dressed as a man, she began to attend law classes at Madrid’s Central University. Once discovered, she negotiated with the Dean to attend classes provided she pass an exam, which she did with flying colours. The university could not prevent cultivation of her boundless intellectual curiosity and skill, but it did impose several restrictions on Concepción's attendance; first and foremost, she was denied the opportunity to enrol or take exams. She was the first woman in Spain to attend university courses, and went on to become a learned intellectual and thinker, acclaimed throughout Europe, without however any official academic recognition.

She worked with the newspaper La Iberia side by side with her husband, with whom she established a genuinely equal marriage and who supported and stimulated her in her research and writing activities. After his death, the periodical fired her following a law of 1857 which required the authors to sign each article. As a woman, it was improper for her to officially put her name to her writings. Later she won a literary prize, but it was denied to her as she was a woman. In 1860, she wrote Caridad, filantropía y beneficencia, initially using the name of her son Fernando. The depth of her investigation into the themes covered, solidly anchored in a participatory but lucid observation of reality, amazed the commission, which awarded her the prize. She thus became the first woman to be recognised by the Real Academia de ciencias morales y politicas. Distraught by the death of her husband, she took refuge in Cantabria and here, under the beneficial influence of her friendship with Jesús de Monasterio, she devoted herself to humanitarian activities. Between 1863 and 1865, she was the first woman to visit women’s prisons as an observer. This experience would lead to a series of writings which supporting the revision of the penal code and the prison system, proposing a model that focused on re-education and not in the strict sense. Author of Oda a la esclavitud, in which she advocated the end of slavery in the Spanish colonies, over time she came closer to Krausist positions, while her humanitarian and solidarity-based yearning grew, nourished by her Christian faith as much as faith in science as an instrument of research and improvement of the human condition.

Her theories on poverty were based on direct observation, and reflect upon education and, in particular, on female education. In 1869 she published La mujer del porvenir (written eight years earlier, followed by a series of feminist books), in which she contested the subordination of the female position, attacking the arguments in favour of the superiority of men on biological grounds. A feminist pioneer, she sparked off debates on subjects that were unbroachable at the time (such as unequal pay, the right of women to receive an education appropriate to the development of their abilities), working alone and without political affiliations, inspired by a genuine sense of human solidarity. She died in Vigo in 1893.

 

Traduzione spagnola
Anastasia Grasso

 

Concepción Arenal fue una escritora, ensayista y feminista española, además de jurista y socióloga ante litteram. Nacida en Ferrol en 1820, vivió la disidencia en tierna edad y creció revelando al mundo las injusticias procedentes de las rígidas construcciones sociales en torno al género, haciendo de su vida un fúlgido ejemplo de indómita reivindicación de un espacio de acción para las mujeres. A los nueve años, pierde a su padre –disidente contra el régimen de Fernando VII– marcado por el encarcelamiento al que fue condenado por venganza del rey. Comienza a estudiar francés e italiano por su cuenta, pero también filosofía, recurriendo a las bibliotecas familiares. En tres ocasiones oculta su identidad para acceder a zonas negadas a las mujeres. A los veintiún años, vestida de hombre, empieza a asistir a clases de derecho en la Universidad de Madrid. Descubierta, oacta con el rector la asististencia a las clases si aprueba un examen que supera brillantemente. La universidad no puede impedir que cultive su infinita curiosidad intelectual y su talento, pero impone varias restricciones a la asistencia de Concepción; en primer lugar, no podrá matricularse ni rendir exámenes. Será la primera mujer en España en acceder a estudios universitarios, convirtiéndose después en una intelectual y pensadora formada y aclamada en toda Europa, incluso sin reconocimiento académico oficial.

Colabora en el periódico La Iberia al lado de su marido, con el que establece un matrimonio realmente igualitario y que la apoya y anima en sus actividades de investigación y escritura; tras su muerte, el periódico la despide aplicando una ley de 1857 que exigía la firma del autor en cada artículo. En calidad de mujer, resultaba inconveniente que firmara oficialmente sus propios textos. Más tarde, resultó ganadora de un premio literario, pero se lo negaron. Por ser mujer. En efecto en 1860 había escrito El beneficio, la filantropía y la caridad utilizando inicialmente el nombre de su hijo Fernando. Puesto que había sorprendido al juzgado por la profundidad de la investigación sobre los temas tratados, sólidamente anclada en una observación participativa pero lúcida de la realidad, la escritora consiguió que se le reconociera el galardón, convirtiéndose en la primera mujer en ser galardonada por la Real Academia de Ciencias Morales y Políticas. Quebrantada por la muerte de su marido, se refugia en Cantabria y bajo la influencia benéfica de su amistad con Jesús de Monasterio se dedica a una intensa actividad humanitaria. Entre 1863 y 1865 es la primera mujer en visitar las cárceles de mujeres como observadora. Esta experiencia se concentra en una serie de escritos que apoyan la revisión del código penal y del sistema penitenciario a favor de un modelo centrado en la reeducación del sujeto y no en el castigo strictu sensu. Autora de Oda a la esclavitud, en la que aboga por el fin de la esclavitud en las colonias españolas, se fue acercando a las posiciones krausistas, al tiempo que crecían sus aspiraciones humanitarias y solidarias, alimentadas tanto por la fe como por la fe en la ciencia como herramienta de investigación y mejora de la condición humana.

Desarrolla teorías sobre la pobreza basadas en la observación directa, reflexiona sobre la educación y, en particular, sobre la educación femenina. En 1869 publica La mujer del porvenir (obra escrita ocho años antes, a la que siguieron una serie de libros feministas), en la que impugna la subalternidad de la posición de la mujer atacando los argumentos a favor de la superioridad del hombre por motivos biológicos. Pionera del feminismo, suscita debates sobre temas incuestionables en su época (como la desigualdad salarial, el derecho de las mujeres a recibir una educación adecuada al desarrollo de sus capacidades), trabajando sola y sin filiaciones políticas, inspirada por un auténtico sentido de la solidaridad humana. Muere en Vigo en 1893.

 

Charlotte Perriand
Donatella Caione



Rita Mota

 

Architetta, pioniera della modernità e della sostenibilità, innovatrice degli spazi urbani, personalità di spicco nel design del XX secolo, Charlotte Perriand è nata a Parigi, figlia di due sarti savoiardi con atelier in Place du Marché Saint-Honoré, il 24 ottobre 1903 ed a Parigi è morta il 27 ottobre 1999. Charlotte infatti ha vissuto pienamente i grandi eventi dello scorso secolo e ha partecipato in prima persona alla rivoluzione del design e dell'architettura d'interni immaginando un nuovo modo di vivere la quotidianità all'interno della quale anche la donna avesse un nuovo ruolo. Pur essendo stata una persona libera ha pagato però il costo di essere donna in un ambito ed in un tempo in cui le donne avevano poco spazio e soprattutto poca visibilità. L'aver promosso un profondo rinnovamento dei valori estetici e aver dato vita a una sensibilità moderna dell'esistenza quotidiana a partire dagli spazi dell’architettura d’interni da lei concepiti come motore di un nuovo modo di abitare la rendono perfetta per rappresentare su Calendaria 2022 l'obiettivo 11 dell'Agenda 2030: città e comunità sostenibili. Per lei sicuramente i mobili dovevano avere un ruolo estetico dato dalla loro semplicità: contenere poco più del necessario per adempiere al loro scopo, ma al contempo riuscire ad evocare la profondità della funzione sociale per la quale erano stati creati, pur avendo una loro utilità. Sosteneva che i designer fossero degli artisti e fu tra i primi promotori della loro responsabilità di far progredire la cultura, anticipando l’inevitabile necessità di cambiamento.

Charlotte Perriand si diploma all’École de l'Union Centrale des Arts Décoratifs di Parigi nel 1925 e in quello stesso anno presenta una prima collezione di oggetti e arredi all’Esposizione parigina di Arti Decorative. Nel 1927 entra nello studio di Le Corbusier dove si occupa della ricerca e dello sviluppo sugli interni. Con il famoso architetto e con Pierre Jeanneret condivide la visione dell’arredo come parte di un sistema che sfrutta le grandi potenzialità di nuovi materiali e tecniche di lavorazione e produzione in serie. Tale collaborazione è perfettamente rappresentata dai pezzi realizzati per il Salon d’Automne del 1929, tra cui spiccano la celebre chaise-longue basculante, la sedia a schienale basculante e la poltrona grand comfort, tutte con struttura in tubolare d’acciaio inossidabile. La loro collaborazione intensiva durerà fino al 1937. Nel frattempo comincia a viaggiare e ad allargare i suoi orizzonti. Il primo viaggio importante è a Mosca ma è la permanenza in Giappone, per alcuni anni, oltre che in Vietnam, che è determinante nello sviluppo della sua creatività. Partita per l'Asia per tenere un seminario sul nuovo design mentre la Germania stava invadendo la Francia, vi ebbe occasione di realizzare prototipi con un gruppo di studenti e, successivamente, un'importante esposizione. Dopo l'entrata in guerra del Giappone con gli Stati Uniti, vi rimase bloccata ma con avventurose vicende, raccontate nella sua autobiografia, riuscì a sopravvivere al catastrofico conflitto e ritornò in Francia nel 1946, con il secondo marito Jacques Martin (il primo era stato Percy Scholefield, un inglese flemmatico e più vecchio di lei, mercante di tessuti e amico dei genitori, da lei sposato giovanissima per uscire di casa ed essere libera) e la figlia Pernette avuta in quegli anni (che porta il cognome della madre).

La cultura e la produzione artigianale giapponese influenzarono moltissimo il suo lavoro soprattutto attraverso l'uso dei materiali tradizionali quali bambù, legno, lacca, ceramica, ferro che unì ad altri materiali che aveva cominciato ad apprezzare ed utilizzare in Francia: acciaio, alluminio, vetro. Negli anni Cinquanta torna a lavorare con Le Corbusier per progettare gli interni dell’Unité d’Habitation di Marsiglia; qui introdusse una cucina integrata nel soggiorno, separata solo da un alto bancone, che, come scrisse nell'autobiografia, era rivoluzionaria perché «permetteva alla padrona di casa di stare con la famiglia e gli amici mentre cucinava. Sono finiti i tempi in cui una donna era completamente isolata come una schiava all'estremità settentrionale di un corridoio». Con altri due grandi nomi per gli arredi progetta due edifici presso la Cité Universitaire di Parigi: la Maison du Brésil, con Lucio Costa, e la Maison de la Tunisie, con Jean Prouvé. Riceve molteplici commesse, private e pubbliche, tra cui gli uffici di Air France nel mondo, le residenze diplomatiche franco-nipponiche, la riprogettazione degli interni del Palazzo delle Nazioni Unite a Ginevra nel 1961. Il suo amore per la montagna si riflette nelle residenze turistiche da lei progettate in Alta Savoia. Una delle sue ultime opere è la Maison du Thé realizzata nel 1993 all’interno del Festival Culturale del Giappone organizzato a Parigi dall’Unesco. Nella parte finale della vita rallentò l'attività ma mantenne sempre aperto il suo atelier. Ricevette molteplici onorificenze e le furono dedicate diverse mostre retrospettive, fino all'età di 96 anni.

Ma nonostante il contributo che ha dato al design moderno sia stato enorme, non si può non riflettere sul fatto che in quanto donna sia stata in qualche modo relegata al design d'interni, proprio da Le Corbusier. L'architetto infatti, seppure immediatamente colpito dal suo essere una visionaria tanto da sceglierla, solo ventiquattrenne, come collaboratrice per il proprio studio dopo aver visto il suo Bar sous le toit esposto al Salon d’Automne, interamente costruito in rame nichelato e alluminio anodizzato, poi non la coinvolse nella progettazione di edifici considerando il design d'interni più adatto ad una donna! Allo stesso tempo però, proprio perché lui riteneva di doversi occupare di ben altro che progettare mobili, pochi sanno che la vera autrice del divano LC3 e dell'ancor più celebre chaise-longue LC4 è lei! Insomma Le Corbusier da una parte considerava meno rilevante progettare arredi ma dall'altra non ha esitato a far passare alla storia del design questi capolavori con il suo nome. E non solo, dai racconti della figlia Pernette scopriamo il motivo per cui Charlotte si allontanò dal celebre architetto negli anni Trenta, quando si unì all'Association des Ecrivains et Artistes Révolutionnaires: la simpatia di Le Corbusier per il fascismo e l'antisemitismo, mentre lei si avvicinava ai gruppi di intellettuali antifascisti. Comunque, nel panorama della storia del design e dell’architettura Charlotte Perriand è una figura femminile che si è potuta emancipare ed affermare tanto come professionista quanto come personalità individuale, in un ambiente all’epoca quasi esclusivamente maschile, come lei stessa racconta nell' autobiografia: Une vie de création, del 1998, uscita in Italia come Io Charlotte, tra Le Corbusier, Léger e Jeanneret. Le sue scelte e il suo stile di vita hanno sempre accompagnato l'attività progettuale, includendo provocazioni come i capelli tagliati a zero e i gioielli di cuscinetti a sfera così come la passione per lo sport e i viaggi; la mansarda-studio realizzata per sé a Montparnasse nel 1937, con gli anelli da ginnastica al centro di un living multifunzionale, parla di lei nella concretezza di uno spazio abitato.

È bello immaginarla come una ragazza dal sorriso contagioso, occhi azzurri impertinenti, capelli biondi cortissimi, stampati sulla testa alla maschietta, che andava in giro vestita in stile Charleston con abitini a disegni geometrici. Una ragazza che non faceva altro che disegnare e che un bel giorno portò i suoi schizzi da un artigiano di genio con laboratorio al Faubourg Saint-Antoine, dal quale apprese la meccanica dei congegni più strani. Fu da lui che si farà montare un girocollo con biglie di rame cromate, il Collier roulement à billes ispirato a una natura morta di Fernand Léger (Le Mouvement à billes, 1926), che diventerà il manifesto della sua libertà e di quella delle donne della sua generazione, oltre che «un simbolo e una provocazione che segnavano la mia appartenenza all’epoca meccanica del XX secolo», come lei stessa scriverà. In una cosa forse si sbagliava, infatti affermò che «Tutto cambia molto velocemente, e ciò che è arte oggi, non lo sarà domani. L’adattamento deve essere un processo costante, è qualcosa che dobbiamo riconoscere ed accettare. Viviamo in un tempo di transizione». Si sbagliava perché invece, sebbene sia passato quasi un secolo, i mobili da lei progettati sono ancora oggi arte e lo saranno a lungo, essendo diventati delle icone. La sua affermazione, peraltro corretta in generale, trova l'eccezione nelle creazioni delle menti geniali.

 

Traduzione francese
Joelle Rampacci

 

Architecte, pionnière de la modernité et de la soutenabilité, innovatrice des espaces urbains, figure de proue du design du XXe siècle, Charlotte Perriand naît à Paris le 24 octobre 1903, fille de deux tailleurs savoyards ayant un atelier place du Marché Saint-Honoré, et meurt à Paris le 27 octobre 1999. Charlotte vit les grands événements du siècle dernier et participe à la révolution du design et de l'architecture d'intérieur, imaginant une nouvelle façon de vivre le quotidien dans laquelle les femmes ont également un nouveau rôle. Bien qu'elle soit une personne libre, elle paye le prix d'être une femme dans un domaine et à une époque où les femmes ont peu d'espace et surtout peu de visibilité. Le fait qu'elle soutienne un profond renouvellement des valeurs esthétiques et crée une sensibilité moderne de la vie quotidienne à partir des espaces de l'architecture intérieure, qu'elle conçoit comme le moteur d'un nouveau mode de vie, fait d'elle la personne idéale pour représenter dans le cadre de Calendaria 2022, l’objectif 11 de l'Agenda 2030 : Villes et communautés durables. Pour elle, les meubles doivent certainement avoir un rôle esthétique grâce à leur simplicité : ils ne doivent pas contenir plus que ce qui est nécessaire pour remplir leur fonction, mais doivent en même temps être capables d'évoquer la profondeur de la fonction sociale pour laquelle ils ont été créés, tout en gardant leur propre utilité. Elle fait valoir que les designers sont des artistes et est l'une des premières à promouvoir leur responsabilité dans l'avancement de la culture en anticipant l'inévitable nécessité de changement.

Charlotte Perriand s’est diplômée de l'École de l'Union Centrale des Arts Décoratifs de Paris en 1925 et présente la même année sa première collection d'objets et de meubles à l'Exposition des Arts Décoratifs de Paris. En 1927, elle rejoint l'atelier de Le Corbusier où elle s’occupe de la recherche et du développement des intérieurs. Avec le célèbre architecte Pierre Jeanneret, elle partage une vision du mobilier comme élément d'un système exploitant le grand potentiel des nouveaux matériaux et des nouvelles techniques de fabrication et de production en série. Cette collaboration est parfaitement représentée par les pièces créées pour le Salon d'Automne de 1929, dont la célèbre chaise-longue basculante, le fauteuil à dossier basculant et le fauteuil grand confort, tous dotés d'une structure tubulaire en acier inoxydable. Leur collaboration intensive dure jusqu'en 1937. Entre-temps, elle commence à voyager et à élargir ses horizons. Son premier voyage important est à Moscou, mais c'est son séjour au Japon pendant quelques années, ainsi qu'au Vietnam, qui est décisif dans le développement de sa créativité. Elle part en Asie pour tenir un séminaire sur le nouveau design alors que l'Allemagne envahit la France, où elle a l'occasion de réaliser des prototypes avec un groupe d'étudiants et, par la suite, une importante exposition. Après l'entrée en guerre du Japon contre les États-Unis, elle y est bloquée, mais grâce à des péripéties, racontées dans son autobiographie, elle parvient à survivre à ce conflit catastrophique et rentre en France en 1946, avec son second mari Jacques Martin (le premier était Percy Scholefield, un Anglais flegmatique, plus âgé qu'elle, marchand de tissus et ami de ses parents, qu'elle a épousé très jeune pour sortir de la maison et être libre) et sa fille Pernette, née dans ces années-là (qui porte le nom de famille de sa mère).

La culture et l'artisanat japonais influencent fortement son travail, notamment par l'utilisation de matériaux traditionnels tels que le bambou, le bois, la laque, la céramique et le fer, qu'elle combine avec d'autres matériaux qu’elle commence à apprécier et à utiliser en France : l'acier, l'aluminium et le verre. Dans les années 1950, elle retourne travailler avec Le Corbusier pour concevoir l'intérieur de l'Unité d'Habitation de Marseille ; elle y introduit une cuisine intégrée au salon, séparée seulement par un haut comptoir, qui, comme elle l'écrit dans son autobiographie, est révolutionnaire car "elle permet à la maîtresse de maison d'être avec sa famille et ses amis pendant qu'elle cuisine". Fini le temps où une femme était complètement isolée comme une esclave à l'extrémité nord d'un couloir". Avec deux autres grands noms du mobilier, elle conçoit deux bâtiments à la Cité universitaire de Paris : la Maison du Brésil, avec Lucio Costa, et la Maison de la Tunisie, avec Jean Prouvé. Elle reçoit de nombreuses commandes privées et publiques, notamment les bureaux d'Air France dans le monde entier, les résidences diplomatiques franco-japonaises et le réaménagement de l'intérieur du bâtiment des Nations unies à Genève en 1961. Son amour de la montagne se reflète dans les résidences de tourisme conçues par elle en Haute-Savoie. L'une de ses dernières œuvres est la Maison du Thé, créée en 1993 dans le cadre du Festival culturel du Japon organisé par l'UNESCO à Paris. Vers la fin de sa vie, elle ralentit son activité mais garde toujours son studio ouvert. Elle reçoit de nombreux honneurs et plusieurs expositions rétrospectives lui sont consacrées jusqu'à l'âge de 96 ans.

Mais bien que sa contribution au design moderne soit énorme, on ne peut s'empêcher de réfléchir au fait qu'en tant que femme, elle est en quelque sorte reléguée à la décoration intérieure, par Le Corbusier lui-même. Si l'architecte est immédiatement frappé par son caractère visionnaire et la choisit, à 24 ans seulement, pour travailler avec lui dans son atelier après avoir vu son Bar sous le toit exposé au Salon d'Automne, entièrement réalisé en cuivre nickelé et en aluminium anodisé, il ne l' associe pas à la conception des bâtiments, estimant que la décoration intérieure convenait mieux à une femme ! En même temps, cependant, précisément parce qu'elle estime devoir faire beaucoup plus que concevoir des meubles, peu de gens savent qu'elle est le véritable auteur du canapé LC3 et de la chaise-longue LC4, encore plus célèbre ! En bref, Le Corbusier considére d'une part qu'il est moins important de concevoir des meubles, mais d'autre part il n'hésite pas à laisser ces chefs-d'œuvre entrer dans l'histoire du design sous son nom. Et ce n'est pas tout, les récits de sa fille Pernette nous font découvrir la raison pour laquelle Charlotte s'éloigne du célèbre architecte dans les années 1930, lorsqu'elle rejoint l'Association des Écrivains et Artistes Révolutionnaires : la sympathie de Le Corbusier pour le fascisme et l'antisémitisme, alors qu'elle se rapproche de groupes intellectuels antifascistes. Cependant, dans le panorama de l'histoire du design et de l'architecture, Charlotte Perriand est une figure féminine qui a su s'émanciper et s'affirmer à la fois comme professionnelle et comme personnalité individuelle, dans un milieu alors presque exclusivement masculin, comme elle le raconte elle-même dans son autobiographie : Une vie de création (1998), publiée en Italie sous le titre Io Charlotte, tra Le Corbusier, Léger et Jeanneret. Ses choix et son style de vie ont toujours accompagné son travail de conception, y compris les provocations telles que ses cheveux coupés à zéro et ses bijoux à roulements à billes, ainsi que sa passion pour le sport et les voyages. Le grenier-atelier qu'elle s'est construit à Montparnasse en 1937, avec des anneaux de gymnastique au centre d'un salon multifonctionnel, parle d'elle dans le concret d'un espace habité.

Il est bon de l'imaginer comme une jeune fille au sourire contagieux, aux yeux bleus effrontés, aux cheveux blonds très courts, imprimés sur une tête de garçon, qui se promène habillée à la Charleston avec des robes à motifs géométriques. Une fille qui ne fait que dessiner et qui, un beau jour, apporte ses croquis à un artisan de génie dont l'atelier se trouve dans le Faubourg Saint-Antoine et qui lui apprend la mécanique des appareils les plus étranges. C'est à lui qu'elle doit un collier composé de boules de cuivre chromé, le Collier roulement à billes inspiré d'une nature morte de Fernand Léger (Le Mouvement à billes, 1926), qui deviendra le manifeste de sa liberté et de celle des femmes de sa génération, ainsi qu'"un symbole et une provocation marquant mon appartenance à l'âge mécanique du XXe siècle", comme elle l'écrira elle-même. Elle s'est peut-être trompée sur un point : "Tout change très vite, et ce qui est de l'art aujourd'hui ne le sera plus demain. L'adaptation doit être un processus constant, c'est quelque chose que nous devons reconnaître et accepter. Nous vivons une période de transition. Elle avait tort car, bien que près d'un siècle se soit écoulé, les meubles qu'elle a conçus sont encore de l'art aujourd'hui et le seront encore longtemps, étant devenus des icônes. Son affirmation, qui est correcte en général, trouve une exception dans les créations des esprits brillants.

 

Traduzione inglese
Syd Stapleton

 

Architect, pioneer of modernity and sustainability, innovator of urban spaces, leading personality in 20th century design, Charlotte Perriand was born in Paris on October 24, 1903, the daughter of two Savoyard tailors with atelier in Place du Marché Saint-Honoré. She died in Paris on October 27, 1999. Charlotte fully experienced the great events of the last century and directly participated in the revolution of interior design and architecture, imagining a new way of living everyday life in which women had a new role. Despite her having been a free person, she paid the price of being a woman in time and place where women had little space and above all little visibility. Charlotte Perriand is a perfect fit for the goals of the 2030 agenda for the Calendaria 2022 – especially Goal 11- Sustainable Cities and Communities. She promoted a profound renewal of aesthetic values, giving life to a modern sensibility of everyday existence. This started from the interior architecture spaces she conceived as the engine of a new way of living. For her, for example, furnishings had to have an aesthetic role based on simplicity. They should contain little more than that necessary to fulfill their purpose, but at the same time they should be able to evoke the depth of the social function for which they were created. She asserted that designers were artists, and she was among the first promoters of their responsibility to advance culture, anticipating the inevitable need for change.

She graduated from the École de l'Union Centrale des Arts Décoratifs in Paris in 1925, and that same year presented a first collection of objects and furnishings at the Parisian Exhibition of Decorative Arts. In 1927 she joined Le Corbusier's studio where she was in charge of interior research and development. She shared the vision of the famous architect and Pierre Jeanneret, of furnishings as part of a system to exploit the great potential of new materials and new techniques of processing and mass production. This collaboration was perfectly represented by the pieces created for the 1929 Salon d’Automne, among which are the famous tilting chaise-longue, the tilting backrest chair and the grand comfort armchair, all with a stainless steel tubular structure. Their intensive collaboration lasted until 1937. In the following period, she began to travel and to broaden her horizons. Her first important trip was to Moscow, but it was her years-long stay in Japan, as well as in Vietnam, which was decisive in the development of her creativity. She left for Asia during the German invasion of France, to give a seminar on new design. She had the opportunity to make prototypes with a group of students and, subsequently, an important exhibition. After Japan entered the war with the United States, she was unable to leave during the fighting. As told in her autobiography, she and her second husband Jacques Martin had some dramatic adventures, but managed to survive the catastrophic conflict and finally returned to France in 1946 with her young daughter Pernette, who bears her mother's surname. (Charlotte’s first husband had been Percy Scholefield, a phlegmatic Englishman, older than her and a textile merchant and friend of her parents, whom she married very young to be able to leave home and be free.)

Japanese culture and craftsmanship greatly influenced her work, especially through the use of traditional materials such as bamboo, wood, lacquer, ceramic, and iron which she combined with other materials that she had begun to appreciate and use in France: steel, aluminum, and glass. In the 1950s she returned to work with Le Corbusier to design the interiors of the Unité d’Habitation in Marseille. There she introduced a kitchen integrated into the living room, separated only by a high counter, which, as she wrote in her autobiography, was revolutionary because it “…allowed the hostess to be with her family and friends while she cooked. Gone are the days when a woman was completely isolated like a slave at the north end of a corridor.” With two other big names in interior design, she designed two buildings at the Cité Universitaire in Paris - the Maison du Brésil, with Lucio Costa, and the Maison de la Tunisie, with Jean Prouvé. She was awarded many contracts, private and public, including Air France offices around the world, the Franco-Japanese diplomatic residences, and the redesign of the interiors of the United Nations Building in Geneva in 1961. Her love of the mountains is reflected in the tourist residences designed by her in Haute-Savoie. One of her later works is the Maison du Thé created in 1993 as part of the Japan Cultural Festival organized in Paris by UNESCO. In the final years of her life her activity slowed, but she always kept her atelier open. Up to the age of 96 she continued to receive many honors, and several retrospective exhibitions were dedicated to her and her work.

But despite the enormous contribution she has made to modern design, one cannot fail to reflect on the fact that, as a woman, she was somehow relegated to interior design only. Even Le Corbusier, the architect, although he was immediately struck by her being a visionary, enough to choose her, only twenty-four, as a collaborator, then didn't involve her in the design of buildings - considering interior design the most suitable for a woman! This was despite his seeing her Bar sous le toit exhibited at the Salon d'Automne, entirely built in nickel-plated copper and anodized aluminum. Few people know that the true author of the “LC3” sofa and the even more famous “LC4” chaise-longue was Charlotte Perriand! On one hand, Le Corbusier considered designing furniture less worthy, but on the other hand he didn’t hesitate to have these masterpieces go down in the history of design with his name on them. And not only that, from the stories of her daughter Pernette we discover why Charlotte moved away from the famous architect in the 1930s, when she joined the Association des Ecrivains et Artistes Révolutionnaires. The reason was Le Corbusier's growing sympathy for fascism and anti-Semitism, while she was drawn towards groups of anti-fascist intellectuals. However, in the panorama of the history of design and architecture Charlotte Perriand is a female figure who was able to emancipate and affirm herself both as a professional and as an individual personality. And this was in an environment that was almost exclusively male, as she relates in her autobiography, Une vie de création, 1998, released in Italy as Io Charlotte tra Le Corbusier, Léger e Jeanneret. Her choices and her lifestyle were as innovative and independent as her design work, including provocations such as her buzz-cut hair and ball-bearing jewelry, as well as her passion for sports and travel. The attic-studio she built for herself in Montparnasse in 1937, with gymnastic rings in the center of a multifunctional living room, speaks of her with the concreteness of an inhabited space.

It's a pleasure to imagine her as a young woman with a contagious smile, sassy blue eyes, very short blond hair - “tomboyish” - who went around in Charleston style with dresses with geometric designs. That she drew and drew, and that one day she took her sketches to a genius craftsman with a laboratory at the Faubourg Saint-Antoine, from whom she learned the workings of the strangest devices. It was she who had a choker with chromed copper marbles assembled, the Collier roulement à billes inspired by a still life by Fernand Léger (Le Mouvement à billes, 1926), which became the manifesto of her freedom and that of the women of her generation, as well as "a symbol and a provocation that marked my belonging to the mechanistic era of the twentieth century", as she herself will write. Perhaps she was wrong in one thing, when she stated that, “Everything changes very quickly, and what is art today will not be tomorrow. Adaptation must be a constant process - it is something we must recognize and accept. We live in a time of transition.” She was wrong because, instead, although almost a century has passed, the furniture she designed is still art today and will be so for a long time. It has become iconic. Her statement, however correct in general, finds the exception in the creations of brilliant minds.

 

Traduzione spagnola
Daniela Leonardi

 

Arquitecta, pionera de la modernidad y de la sostenibilidad, innovadora de los espacios urbanos, personalidad destacada en el diseño del siglo XX, Charlotte Perriand nació en París, hija de dos sastres saboyardos con atelier en la Place du Marché Saint-Honoré, el 24 de octubre de 1903 y en París murió el 27 de octubre de 1999. En efecto, Charlotte vivió plenamente los grandes acontecimientos del siglo pasado y participó en primera persona en la revolución del diseño y de la arquitectura de interiores imaginando una nueva forma de vivir la vida cotidiana en la que también la mujer tuviera un nuevo papel. A pesar de haber sido una persona libre, pagó el coste de ser mujer en un ámbito y en un tiempo en que las mujeres tenían poco espacio y sobre todo poca visibilidad. El haber promovido una profunda renovación de los valores estéticos y haber dado vida a una sensibilidad moderna de la existencia cotidiana a partir de los espacios de la arquitectura de interiores concebidos por ella como motor de una nueva forma de vivir la hacen perfecta para representar en Calendaria 2022 el objetivo 11 de la Agenda 2030: ciudades y comunidades sostenibles. Para ella sin duda alguna los muebles debían tener un papel estético dado por su sencillez: contener poco más de lo necesario para cumplir su objetivo, pero al mismo tiempo tenían que evocar la profundidad de la función social para la cual fueron creados, a pesar de su utilidad. Afirmaba que los diseñadores eran artistas y fue una de las primeras promotoras de su responsabilidad en hacer avanzar la cultura, anticipando la inevitable necesidad de cambio.

Charlotte Perriand se gradúa en la École de l’unión Centrale des Arts Décoratifs de París en 1925 y en ese mismo año presenta una primera colección de objetos y muebles en la Exposición parisina de Artes Decorativas. En 1927 entra en el estudio de Le Corbusier donde se ocupa de la investigación y del desarrollo de los interiores. Con el famoso arquitecto y con Pierre Jeanneret comparte la visión del mobiliario como parte de un sistema que aprovecha las grandes potencialidades de nuevos materiales y técnicas de elaboración y producción en serie. Esta colaboración está perfectamente representada por las piezas realizadas para el Salon d'Automne de 1929, entre las que destacan la célebre chaise-longue basculante, la silla de respaldo basculante y el sillón gran confort, todas ellas con estructura en tubular de acero inoxidable. La cooperación entre ellos durará hasta 1937. Mientras tanto, empieza a viajar y a expandir sus horizontes. El primer viaje importante es a Moscú, pero su permanencia en Japón durante algunos años, y también en Vietnam, es determinante en el desarrollo de su creatividad. Partida hacia Asia para celebrar un seminario sobre el nuevo diseño mientras Alemania estaba invadiendo Francia, allí tuvo la ocasión de realizar prototipos con un grupo de estudiantes y, sucesivamente, una importante exposición. Después de la entrada en guerra de Japón con los Estados Unidos, se quedó bloqueada allí aunque con una serie de peripecias , relatadas en su autobiografía, logró sobrevivir al catastrófico conflicto y regresó a Francia en 1946, con su segundo marido Jacques Martin (el primer había sido Percy Scholefield, un inglés flemático y mayor que ella, comerciante de tejidos y amigo de sus padres, con el que se casó en la adolescencia para salir de casa y ser libre) y su hija Pernette nacida en aquellos años (y que lleva el apellido de la madre).

La cultura y la producción artesanal japonesa influyeron mucho en su trabajo sobre todo mediante el uso de materiales tradicionales como bambú, madera, laca, cerámica, hierro que unió a otros materiales que había empezado a apreciar y a utilizar en Francia: acero, aluminio, vidrio. En los años cincuenta vuelve a trabajar con Le Corbusier para diseñar los interiores de la Unité d'Habitation de Marsella; aquí introdujo una cocina integrada en el salón, separada sólo por un alto mostrador, que, como escribió en su autobiografía, era revolucionaria porque «permitía a la señora de la casa estar con la familia y los amigos mientras cocinaba. Se acabaron los tiempos en que una mujer estaba completamente aislada como una esclava en el extremo norte de un pasillo». Con otros dos grandes nombres para los muebles proyecta dos edificios en la Cité Universitaire de París: la Maison du Brésil, con Lucio Costa, y la Maison de la Tunisie, con Jean Prouvé. Recibe múltiples pedidos, privados y públicos, entre ellos las oficinas de Air France en el mundo, las residencias diplomáticas franco-japonesas, el diseño del interior del Palacio de las Naciones Unidas en Ginebra en 1961. Su amor por la montaña se refleja en las residencias turísticas diseñadas por ella en Alta Saboya. Una de sus últimas obras es la Maison du Thé realizada en 1993 dentro del Festival Cultural de Japón organizado en París por la Unesco. En la parte final de su vida redujo la actividad pero mantuvo siempre abierto su taller. Recibió múltiples honores y sobre ella se hicieron varias exposiciones retrospectivas, hasta los 96 años de edad.

A pesar de su enorme contribución al diseño moderno, no se puede dejar de pensar en que, como mujer, fue relegada de algún modo al diseño de interiores, justamente por Le Corbusier. El arquitecto,en efecto, aunque inmediatamente impresionado por su ser una visionaria hasta el punto de elegirla, con solo veinticuatro años, como colaboradora para su estudio después de haber visto su Bar sous le toit expuesto en el Salon d'Automne, totalmente construido en cobre niquelado y aluminio anodizado, ¡luego no la implicó en el diseño de edificios considerando el diseño de interiores más adecuado para una mujer! Pero al mismo tiempo, precisamente porque él creía que debía ocuparse de algo más que diseñar muebles, ¡pocos saben que la verdadera autora del sofá LC3 y de la aún más famosa chaise-longue LC4 es ella! En resumen, Le Corbusier, por un lado, consideraba menos relevante diseñar muebles pero, por otro, no dudó en hacer pasar a la historia del diseño estas obras maestras con su nombre. Y no sólo , gracias a los relatos de su hija Pernette descubrimos por qué Charlotte se alejó del famoso arquitecto en los años treinta, cuando se unió a la Association des Ecrivains et Artistes Révolutionnaires: la simpatía de Le Corbusier por el fascismo y el antisemitismo, mientras ella se acercaba a los grupos de intelectuales antifascistas. Sin embargo, en el panorama de la historia del diseño y la arquitectura Charlotte Perriand es una figura femenina que se ha podido emancipar y afirmar tanto como profesional como en cuanto personalidad individual, en un ambiente en esa época casi exclusivamente masculino, como ella misma cuenta en su autobiografía: Una vida de creación, de 1998. Sus opciones y su estilo de vida siempre acompañaron la actividad de diseño, incluyendo provocaciones como el pelo cortado a cero y las joyas de rodamientos de bolas, así como su pasión por el deporte y los viajes; el ático-estudio realizado para sí misma en Montparnasse en 1937, con los anillos de gimnasia en el centro de un salón multifuncional, habla de ella en la concreción de un espacio habitado.

Es bonito imaginarla como una chica con una sonrisa contagiosa, ojos azules impertinentes, pelo rubio muy corto, pegado a la cabeza en un estilo masculino, que iba por ahí vestida al estilo Charleston con vestiditos de dibujos geométricos. Una chica que no hacía más que dibujar y que un día llevó sus bocetos a un artesano ingenioso con taller en Faubourg Saint-Antoine, del que aprendió la mecánica de los aparatos más extraños. Fue por él que se hizo montar un collar con canicas de cobre cromadas, el Collier roulement à billes inspirado en una naturaleza muerta de Fernand Léger (Le Mouvement à billes, 1926), que se convirtió en el manifiesto de su libertad y de la de las mujeres de su generación, además de ser «un símbolo y una provocación que marcaban mi pertenencia a la época mecánica del siglo XX», como ella misma escribió. En una cosa quizás se equivocaba, en efecto afirmó que «Todo cambia muy rápidamente, y lo que es arte hoy, no lo será mañana. La adaptación debe ser un proceso constante, es algo que debemos reconocer y aceptar. Vivimos en un tiempo de transición». Se equivocaba porque, a pesar de que haya pasado casi un siglo, los muebles diseñados por ella siguen siendo arte y lo serán durante mucho tiempo, ya que se han convertido en iconos. Su afirmación, por otra parte correcta en general, encuentra la excepción en las creaciones de las mentes brillantes.

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