Aletta Henriette Jacobs si rese protagonista, insieme a Jane Addams, di un’impresa compiuta nel lontano 1915 e quasi cancellata dalla storia. Nell’aprile di quell’anno si svolse a L’Aja il Congresso Internazionale delle donne in cui si riunirono 1136 delegate di dodici diverse nazionalità ed altre migliaia di donne provenienti da tutta Europa. Fu una manifestazione imponente se consideriamo costi e difficoltà oggettive degli spostamenti in quei tempi. Il Congresso era incentrato su due punti focali: il suffragio femminile e l’uso di arbitrati neutrali per risolvere le controversie internazionali. Aletta e Jane bussarono alle porte di tutti i capi di Stato e ministri europei per proporre la costituzione di una commissione di esperti con lo scopo primario di far cessare la Prima guerra mondiale non per armistizio ma per mutuo accordo. La storia ci ha poi raccontato come questa saggia richiesta non venne accolta. Aletta venne alla luce in una piccola cittadina dei Paesi Bassi, Sappeneer, il 9 febbraio del 1854, in seno ad una famiglia ebraica e fu l’ottava di ben undici tra figli e figlie. Fino a tredici anni frequentò la scuola del villaggio e, subito dopo, le fu imposto di apprendere l’arte del cucito e di iniziare a lavorare come apprendista sarta. Obbedì, ma dopo pochi giorni si rifiutò categoricamente affermando che lei non voleva frequentare una “scuola per signorine” ma voleva continuare a studiare al pari dei suoi coetanei maschi. Pur a malincuore i genitori acconsentirono a farle proseguire gli studi ma rigorosamente a casa. Sua madre le insegnò il francese ed il tedesco ed il padre il greco ed il latino. Fu proprio la professione medica paterna che le fece accendere la passione e l’interesse per la medicina. Il suo carattere indipendente le procurò molti fastidi anche nella quotidianità della vita: ad esempio era considerata scandalosa perché amava pattinare e questa era un’attività ritenuta inadatta ad una donna perché le permetteva di muoversi, da sola, in giro per la città. Un giorno fu molestata da un uomo, riuscì a fuggire e subito chiese aiuto al primo poliziotto incontrato: fu liquidata con l’ammonimento di rimanere a casa per evitare tali inconvenienti.
Nel 1870 conseguì un diploma in Farmacia e poi, contro il parere di tutti e di tutte, si iscrisse all’Università di Groningen, ovviamente nella facoltà di Medicina. Con questa scelta sfidò le convenzioni sociali dell’epoca. Proseguì il suo percorso universitario fino ad arrivare, nel 1878, alla laurea con la tesi Sulla locazione dei sintomi fisiologici e patologici del cervello. Non fu facile perché l’intero ambiente universitario le era ostile non accettandola in quanto donna ma Aletta diventò una “donna da primato”: fu infatti la prima olandese a laurearsi in Medicina. Lavorò in diversi ospedali di Londra dove incontrò un’altra prima donna: Elizabeth Garrett Anderson, la prima medica d’Inghilterra. Affrontando vari sacrifici riuscì ad aprire una propria clinica medica iniziando a curare le donne povere e bisognose di Amsterdam, le operaie ed in particolare le prostitute. Il contatto con quest’ultime le permise di conoscere e studiare le malattie a trasmissione sessuale e, al contempo, si sviluppò in lei una feroce avversione contro tale attività, che definiva una vergogna legalizzata. Quando i suoi colleghi medici sostenevano che le prostitute erano necessarie alla “salute fisica degli uomini”, lei prontamente ribatteva che allora avrebbero dovuto destinare le loro figlie a questa professione data la nobiltà del ruolo di custodi della salute maschile. Aletta si occupò del problema del controllo delle nascite distribuendo il ”mensinga pessary”, una sorta di diaframma per evitare le gravidanze indesiderate. Ovviamente la accusarono di interferire con “i piani di Dio” e di incoraggiare il sesso al di fuori del matrimonio ma lei non se ne curò. Nel 1903 abbandonò la professione medica per dedicarsi alla causa del diritto di voto alle donne, diventando presidente dell’Associazione delle suffragette olandesi. Fu una delle fondatrici della Women’s International League for Peace and Freedom ed una delle organizzatrici del Congresso internazionale del 1915.
Tra le sue pubblicazioni ricordiamo un testo che per la prima volta descriveva l’anatomia femminile e il suo apparato riproduttivo con tavole esplicative ed un altro in cui affrontava il tema dell’indipendenza economica delle donne e della pianificazione familiare Lottò anche contro le molestie e gli abusi sessuali che le lavoratrici subivano svolgendo le loro mansioni. Con pazienza certosina, durante la vita raccolse libri, pamphlet e giornali riguardanti il movimento femminista ed ancora oggi questa raccolta è considerata la più ricca ed interessante esistente su tale tematica. Pare di vederla raccogliere e assembleare con cura ed amore tutto quel materiale che rappresentava, passo dopo passo, il percorso dell’emancipazione femminile: la lotta di tutta la sua esistenza Venne a mancare a Baarn, nella provincia di Utrecht, il 10 agosto del 1929 quando in Olanda le donne avevano già ottenuto il diritto di voto da dieci anni. Porta il suo nome l’asteroide 69231 ed una targa apposta nella casa di Amsterdam dove visse la ricorda. Oggi, in Olanda, ogni due anni viene assegnato il premio Aletta Jacobs dall’Università di Groningen ad una donna contemporanea che abbia compiuto sforzi significativi per l’emancipazione femminile. «Sono sicura che non abbiamo vissuto per niente. Abbiamo svolto il nostro compito e possiamo andarcene da questo mondo nella convinzione che lo lasceremo in una forma migliore di quella in cui l’abbiamo trovato».
Traduzione francese Joelle Rampacci
Avec Jane Addams, Aletta Henriette Jacobs a réalisé en 1915 un exploit qui a presque été effacé de l'histoire. En avril de cette année-là, le Congrès international des femmes s'est tenu à La Haye, réunissant 1136 déléguées de douze nationalités différentes et des milliers d'autres femmes de toute l'Europe. C'était un événement impressionnant si l'on considère les coûts et les difficultés objectives du voyage à l'époque. Le congrès s'est concentré sur deux questions principales : le suffrage des femmes et le recours à l'arbitrage neutre pour résoudre les conflits internationaux. Aletta et Jane frappent à la porte de tous les chefs d'État et ministres européens pour proposer la création d'une commission d'experts dont le but premier est de mettre fin à la Première Guerre mondiale non pas par un armistice mais par un accord mutuel. L'histoire nous raconte comment cette sage requête n'a pas été accordée. Aletta est née dans une famille juive le 9 février 1854 à Sappeneer, une petite ville des Pays-Bas, et était la huitième de onze fils et filles. Jusqu'à l'âge de treize ans, elle a fréquenté l'école du village et, peu après, elle a dû apprendre l'art de la couture et commencer à travailler comme apprentie couturière. Elle a obéi, mais après quelques jours, elle a refusé catégoriquement, déclarant qu'elle ne voulait pas fréquenter une "école pour jeunes filles", mais voulait continuer à étudier comme ses camarades masculins. À contrecœur, ses parents ont accepté qu'elle poursuive ses études, mais strictement à la maison. Sa mère lui a enseigné le français et l'allemand et son père le grec et le latin. C'est la profession médicale de son père qui a éveillé sa passion et son intérêt pour la médecine. Son caractère indépendant lui a valu de nombreux désagréments, même dans la vie de tous les jours : par exemple, elle était considérée comme scandaleuse parce qu'elle aimait le patinage, une activité jugée inadaptée pour une femme car elle lui permettait de se déplacer seule dans la ville. Un jour, elle a été harcelée par un homme, a réussi à s'échapper et a immédiatement demandé de l'aide au premier policier qu'elle a rencontré : elle a été renvoyée avec un avertissement de rester à la maison pour éviter de tels désagréments.
En 1870, elle obtient un diplôme de pharmacie puis, contre l'avis de tous, s'inscrit à l'université de Groningue, à la faculté de médecine bien sûr. Par ce choix, elle a défié les conventions sociales de l'époque. Elle poursuit ses études jusqu'à l'obtention de son diplôme en 1878 avec sa thèse sur la localisation des symptômes physiologiques et pathologiques du cerveau. Ce n'était pas facile, car tout l'environnement universitaire lui était hostile et ne l'acceptait pas en tant que femme, mais Aletta est devenue une "femme à records" : elle a été la première Néerlandaise à obtenir un diplôme de médecine. Elle a travaillé dans plusieurs hôpitaux de Londres où elle a rencontré une autre première femme : Elizabeth Garrett Anderson, la première femme médecin d’Angleterre. Au prix de nombreux sacrifices, elle parvient à ouvrir sa propre clinique médicale et commence à soigner les femmes pauvres et nécessiteuses d'Amsterdam, les ouvrières et, en particulier, les prostituées. Son contact avec les prostituées lui a permis de connaître et d'étudier les maladies sexuellement transmissibles, tout en développant une aversion farouche pour cette activité, qu'elle qualifie de honte légalisée. Lorsque ses collègues médecins soutenaient que les prostituées étaient nécessaires à la "santé physique des hommes", elle s'empressait de rétorquer qu'ils devaient affecter leurs filles à cette profession en raison de leur noble rôle de gardiennes de la santé masculine. Aletta a abordé la question du contrôle des naissances en distribuant le "mensinga pessary", une sorte de diaphragme pour prévenir les grossesses non désirées. Naturellement, on l'a accusée d'interférer avec les "plans de Dieu" et d'encourager les relations sexuelles hors mariage, mais elle s'en moque. En 1903, elle abandonne son cabinet médical pour se consacrer à la cause du droit de vote des femmes et devient présidente de l'association néerlandaise des suffragettes. Elle est l'une des fondatrices de la Ligue internationale des femmes pour la paix et la liberté et l'une des organisatrices du Congrès international de 1915.
Ses publications comprennent un texte qui décrit pour la première fois l'anatomie féminine et le système reproducteur avec des tableaux explicatifs et un autre qui aborde la question de l'indépendance économique des femmes et du planning familial. Elle a également lutté contre le harcèlement et les abus sexuels dont sont victimes les travailleuses dans le cadre de leur travail. Avec une patience minutieuse, elle a rassemblé des livres, des brochures et des journaux sur le mouvement féministe au cours de sa vie, et aujourd'hui encore, cette collection est considérée comme la plus riche et la plus intéressante sur le sujet. C'est comme si on pouvait la voir collecter et assembler avec soin et amour tout le matériel qui représente, étape par étape, le chemin de l'émancipation des femmes : le combat de toute sa vie. Elle est morte à Baarn, dans la province d'Utrecht, le 10 août 1929, à une époque où les femmes aux Pays-Bas avaient déjà le droit de vote depuis dix ans. L'astéroïde 69231 porte son nom et une plaque dans la maison d'Amsterdam où elle a vécu la commémore. Aujourd'hui, tous les deux ans aux Pays-Bas, le prix Aletta Jacobs est décerné par l'université de Groningue à une femme contemporaine qui a fait des efforts significatifs pour l'émancipation des femmes. "Je suis sûre que nous n'avons pas vécu pour rien. Nous avons fait notre devoir et nous pouvons quitter ce monde avec la conviction que nous le laisserons dans un meilleur état que nous l'avons trouvé."
Traduzione inglese Chiara Celeste Ryan
In 1915, Aletta Henriette Jacobs, together with Jane Addams, was responsible for a feat that has now almost been erased from history. In April of that year, the International Women's Congress was held in The Hague, bringing together 1,136 delegates of twelve different nationalities and thousands of women from all over Europe. It was an impressive event considering the costs and the difficulties of travelling at the time. The Congress focussed on two issues: women’s suffrage and the use of neutral arbitration to resolve international disputes. Aletta and Jane knocked at the doors of all the European heads of state and ministers proposing the establishment of a commission of experts with the primary aim of ending the First World War, not with an armistice but by mutual agreement. Through the annals of history we know that this wise request was not granted. Aletta, the eighth of eleven children, was born into a Jewish family on 9 February 1854 in Sappeneer, a small town in the Netherlands. Until the age of thirteen she attended the village school and was then required to learn the art of needlework and to begin working as an apprentice seamstress. She obeyed, but after just a few days she categorically refused, stating that she did not want to attend a “school for young women”, but wanted to continue studying on an equal footing with her male peers. Reluctantly, her parents agreed to let her continue her studies, but strictly at home. Her mother taught her French and German and her father Greek and Latin. Her passion and interest in medicine had been sparked by her father’s profession as a doctor. Her independent character led to many inconveniences in her daily life: for example, the fact that she loved to skate was considered scandalous as this was an activity considered unsuitable for a woman and because it allowed her to move around the city on her own. One day a man harassed her, but she managed to escape. She immediately asked the first policeman she met for help, but was sent away with a warning to stay at home to avoid such troubles.
In 1870, she obtained a diploma in Pharmacy and then, against everyone’s advice, enrolled at the University of Groningen, in the Faculty of Medicine naturally. With this choice she defied the social conventions of the time. She continued her studies until she graduated in 1878 with her thesis On the Localization of Physiological and Pathological Symptoms in the Cerebrum. It was not easy because the entire university environment was hostile and did not accept her because she was female, but Aletta became a “record-breaking woman”: she was the first Dutch woman to graduate in medicine. She worked in several hospitals in London where she met another first lady: Elizabeth Garrett Anderson, England’s first female doctor. Overcoming many hurdles, she managed to open her own medical practice and began treating poor and needy women in Amsterdam, assisting workers and, in particular, prostitutes. Through her contact with the latter she learnt about and then studied sexually transmitted diseases. She developed a fierce aversion to this activity, which she called a legalised disgrace. When her medical colleagues argued that prostitutes were necessary for “men’s physical health”, she was quick to retort that they should have their daughters practice this profession given its noble role in protecting male health. Aletta addressed the issue of birth control by distributing the “Dutch pessary”, a kind of diaphragm, to prevent unwanted pregnancies. Naturally, she was accused of interfering with “God's plans” and of encouraging extramarital sex, but she did not take heed. In 1903 she gave up the medical profession to dedicate herself to the cause of women’s right to vote, becoming president of the Dutch Suffragette Association. She was one of the founders of the Women's International League for Peace and Freedom and one of the organisers of the 1915 International Congress.
Her publications include a book that, for the first time, described the female anatomy and reproductive system with illustrative plates and explanatory texts, and another in which she addressed the issue of women’s economic independence and family planning. She also fought against the sexual harassment and abuse women suffered while working. Throughout her life, she collected books, pamphlets and newspapers on the feminist movement with painstaking patience. Even today this collection is considered to be the richest and most interesting on the subject. It is as if one could see her carefully and lovingly collect and assemble all the material that represented, step by step, the path of women’s emancipation: her entire life’s struggle. She died in Baarn, in the province of Utrecht, on 10 August 1929, when women in the Netherlands had already had the right to vote for ten years. Asteroid 69231 is named after her and she is commemorated by a plaque in the house where she lived in Amsterdam. The Aletta Jacobs Prize is now awarded every two years by the Dutch University of Groningen to a contemporary woman who has made significant efforts for female emancipation. “I'm sure we did not live for nothing. We have accomplished our task and we can leave the world in the belief that we will leave it in better shape than we have found it”.
Traduzione spagnola Anastasia Grasso
Aletta Henriette Jacobs se convirtió en la protagonista, junto con Jane Addams, de una hazaña realizada en el lejano 1915 y casi borrada de la historia. En abril del mismo año se celebró en La Haya el Congreso Internacional de las Mujeres en el que se reunieron 1136 delegadas de doce nacionalidades distintas y miles de mujeres procedentes de toda Europa. Fue un evento impresionante si tenemos en cuenta los costes y las dificultades objetivas de viajar en aquellos tiempos. El Congreso se centró en dos puntos focales: el sufragio femenino y el uso del arbitraje neutral para resolver disputas internacionales. Aletta y Jane llamaron a las puertas de todos los Jefes de Estado y ministros europeos para proponer la constitución de una comisión de expertos con el objetivo primordial de poner fin a la Primera Guerra Mundial, no por armisticio sino por mutuo acuerdo. La historia nos ha demostrado cómo esta sabia solicitud no fue atendida. Aletta Jacobs nació en la pequeña localidad de Sappemer, al norte de los Países Bajos, el 9 de febrero de 1854, en el seno de una familia judía, y fue la octava de once entre hijos e hijas. Asistió a la escuela del pueblo hasta los trece años y todo seguido se le impuso que aprendiera el arte de coser y que empezara a trabajar como aprendiz de costurera. Ella obedeció, pero al cabo de pocos días se negó rotundamente, afirmando que no quería asistir a una "escuela para señoritas" sino que quería seguir estudiando como sus compañeros varones. Si bien a regañadientes, sus padres aceptaron que siguiera estudiando, pero estrictamente en casa. Su madre le enseñó francés y alemán y su padre latín y griego. Fue precisamente la profesión médica de su padre la que jugó un papel muy importante en su interés por la medicina. Su carácter independiente le causó muchas molestias incluso en la vida cotidiana: a saber, se la consideraba escandalosa porque le encantaba patinar y esta era una actividad considerada inadecuada para una mujer ya que le permitía moverse sola por la ciudad. Un día fue acosada por un hombre, logró escapar e inmediatamente pidió ayuda al primer policía que encontró: la liquidaron con la advertencia de que se quedara en casa para evitar semejantes inconvenientes.
En 1870 obtuvo un diploma en Farmacia y luego, contra la opinión de todas y todos, se matriculó en la Universidad de Groningen, obviamente en la Facultad de Medicina, desafiando las convenciones sociales de la época. Continuó su carrera universitaria hasta que, en 1878, se graduó con una tesis Sobre la localización de apariciones fisiológicas y patológicas del cerebro. No fue fácil porque todo el contexto universitario se mostró hostil con ella por ser mujer, pero Aletta se convirtió en una "mujer récord": de hecho, fue la primera holandesa en graduarse en medicina. Trabajó en varios hospitales de Londres, donde conoció a otra primera mujer: Elizabeth Garrett Anderson, la primera médica de Inglaterra. Tras muchos sacrificios, consiguió abrir su propia clínica médica donde empezó a atender a las mujeres pobres y necesitadas de Ámsterdam, a las trabajadoras y, sobre todo, a las prostitutas. El contacto con las prostitutas la llevó a conocer y estudiar las enfermedades de transmisión sexual y, al mismo tiempo, desarrolló una feroz aversión contra esa actividad, que calificó de vergüenza legalizada. Cuando sus colegas médicos argumentaban que las prostitutas eran necesarias para la "salud física de los hombres", ella se apresuraba a replicar rápidamente que entonces debían destinar a sus hijas a esta profesión por su noble papel de guardianas de la salud masculina. Aletta se encargó del problema del control de la natalidad distribuyendo el "mensinga pessary", una especie de diafragma para evitar los embarazos no deseados. Por supuesto, la acusaron de interferir en los "planes de Dios" y fomentar el sexo fuera del matrimonio, pero no le importó. En 1903 abandonó la profesión médica para dedicarse a la causa del derecho al voto de las mujeres, convirtiéndose en presidenta de la Asociación Sufragista Holandesa. Fue una de las fundadoras de la Liga Internacional de Mujeres por la Paz y la Libertad y una de las organizadoras del Congreso Internacional de 1915.
Entre sus publicaciones cabe destacar un texto que describe por primera vez la anatomía y el aparato reproductor femenino con tablas explicativas y otro que aborda la cuestión de la independencia económica de la mujer y la planificación familiar. También luchó contra el acoso y el abuso sexual que sufrían las trabajadoras en sus lugares de trabajo. Con muchísima paciencia, durante toda su vida recopiló libros, folletos y periódicos sobre el movimiento feminista, colección que se sigue considerando la más rica e interesante acerca de este tema. Casi la podemos ver recopilar y ensamblar con mimo y amor todo ese material que representó, paso a paso, el camino de la emancipación de la mujer: la lucha de toda su existencia. Murió en Baarn, en la provincia de Utrecht, el 10 de agosto de 1929, cuando las mujeres de los Países Bajos ya tenían derecho al voto desde hacía diez años. El asteroide 69231 lleva su nombre y una placa colocada en la casa donde vivía en Ámsterdam la recuerda. En la actualidad, en los Países Bajos, la Universidad de Groningen otorga el Premio Aletta Jacobs cada dos años a una mujer contemporánea que haya realizado importantes esfuerzos por la emancipación de las mujeres. «Estoy segura de que no vivimos en vano. Hemos conseguido nuestra tarea y podemos marcharnos de este mundo con la certeza de que lo dejamos mejor de como lo encontramos».
Agnodice Marta Vischi
Viola Gesmundo
Nonostante la scarsità delle fonti circa la storia di Agnodice, giovane ateniese del IV secolo a.C., la sua vita e le sue vicende sono arrivate fino a noi viaggiando su antichi manoscritti e libri per più di duemila anni. Ciò che sorprende di più di questa straordinaria donna dell’Antica Grecia è sicuramente la sua passione per la medicina che l’ha spinta a combattere le convenzioni sociali pur di poter esercitare la professione medica. Si narra infatti che Agnodice abbia deciso di travestirsi per mesi da uomo pur di frequentare la scuola di medicina di Atene. Una volta appresa l’arte medica, accade un episodio interessante. La giovane infatti è chiamata ad assistere una donna che rifiuta qualsiasi aiuto da parte della medica —in quanto la crede un uomo — e non vuole assolutamente farsi visitare per la vergogna. Di fronte a questa donna pudica e imbarazzata Agnodice compie la scelta di rivelare il suo segreto e confessa alla paziente di essere anche lei una donna, guadagnandosi in questo modo la sua totale fiducia e disponibilità. In città si sparge la voce e da quel momento tutte le donne vogliono farsi visitare da Agnodice, mantenendo ovviamente il segreto sull’identità della ragazza. I medici della città, sospettosi, notando che le donne non si rivolgono più a loro, accusano Agnodice pubblicamente di sedurre le pazienti. È questo secondo loro l'unico motivo per cui le ateniesi si rivolgono al medico così bravo. Il processo presso l’Aeropago di Atene è lungo e dibattuto ma alla fine la moltitudine dei medici riesce a far condannare la povera Agnodice per seduzione e infrazione al giuramento di Ippocrate. La giovane è pertanto con le spalle al muro e non può fare altro che confessare pubblicamente e svelare la sua femminilità a tutti. L’indignazione dei medici e dell’Aeropago è massima e, dopo averla inevitabilmente assolta dall’accusa di seduzione, la condannano comunque in quanto donna. Ed è qui che questa storia riserva un colpo di scena. Le ateniesi infatti, udita la sentenza, si rivoltano in massa e minacciano di uccidersi tutte se Agnodice non verrà rilasciata. Di fronte a questa insurrezione al femminile l’Aeropago e la democratica città di Atene non possono far altro che salvare la competente medica. È in tal modo che, secondo Gaio Giulio Igino, l’unico storico a raccontarci di lei, nascono la ginecologia e l’ostetricia, due scienze mediche esclusivamente destinate alle donne. E a fondarle è stata proprio lei, Agnodice di Atene nel IV secolo a.C.
Ma Agnodice non è solo, secondo alcune fonti, la prima ginecologa della storia; la giovane donna infatti è un primissimo esempio di quello che oggi modernamente chiamiamo crossdressing. Per chi non lo sapesse il crossdressing letteralmente significa "vestire in modo opposto", abitudine di indossare per svariati motivi abiti che in un determinato ambito socio-culturale sono comunemente associati al genere opposto al proprio. La medica si veste da uomo per accedere ad un qualcosa che le convenzioni sociali le negano in quanto donna. La letteratura, la filmografia e l’arte in genere sono ormai ricche di esempi di questo tipo, ma la storia di Agnodice risulta essere una delle prime attestazioni. È infatti sempre affascinante la storia di una di noi che sfida le regole della società per un obiettivo più grande. Realtà o leggenda, semplicità o retorica, questo è quello che raccontano della giovane ateniese, che sarà stata di ispirazione per molte giovani. La vita di Agnodice risulta tuttavia attuale anche per le donne di oggi e permette una riflessione più profonda. Quante di noi infatti, soprattutto in ambito accademico, scientifico o lavorativo, si nascondono dietro un nome al maschile per accedere ad un determinato ruolo? Quante preferiscono ‘vestirsi’ del nome di avvocato, magistrato, medico, architetto per poter dare la giusta importanza alle proprie mansioni? Sono passati 2400 anni ma siamo ancora in difficoltà nel metterci a nudo in quanto donne e a farci chiamare con i nostri ‘abiti’ al femminile: avvocata, magistrata, medica, architetta. Anche noi, un po' come Agnodice, ‘vestiamo’ abiti o nomi maschili per sentirci — forse inconsapevolmente — più sicure ed autorevoli. Pertanto, forse, non viviamo ancora in un’epoca in cui possiamo realmente ‘svestirci’ e sentirci noi stesse, libere e fiere di poter svolgere le nostre professioni al meglio. La strada verso la parità è molto lunga, ma la speranza è che non passino migliaia di anni.
Traduzione francese Piera Negri
Malgré la rareté des sources sur l'histoire d'Agnodice, un jeune Athénien du IVe siècle av., sa vie et ses événements nous sont parvenus en voyageant sur des manuscrits et des livres anciens depuis plus de deux mille ans. Ce qui surprend le plus chez cette femme extraordinaire de la Grèce antique, c'est certainement sa passion pour la médecine qui l'a amenée à combattre les conventions sociales afin de pouvoir pratiquer la médecine. En effet, on dit qu'Agnodice a décidé de se déguiser en homme pendant des mois afin de fréquenter la faculté de médecine d'Athènes. Une fois qu’elle avait appris l'art de la médecine, il se produit un épisode intéressant. La jeune femme est appelée au secours d'une femme qui refuse toute aide du médecin – car elle la croit un homme - et ne veut absolument pas se faire examiner pour honte. Face à cette femme modeste et embarrassée, Agnodice fait le choix de dévoiler son secret et avoue à la patiente qu'elle aussi est une femme, gagnant ainsi sa totale confiance et disponibilité.La nouvelle se répand dans la ville et à partir de ce moment, toutes les femmes veulent recevoir la visite d'Agnodice, gardant évidemment secrète l'identité de la jeune fille. Les médecins de la ville, méfiants, constatant que les femmes ne se tournent plus vers eux, accusent publiquement Agnodice de séduire les patientes. Selon eux, c'est la seule raison pour laquelle les Athéniennes se tournent vers un si bon médecin. Le procès à l'Aéropage d'Athènes est long et débattu, mais finalement la multitude de médecins a réussi à condamner la pauvre Agnodice pour séduction et violation du serment d'Hippocrate. La jeune femme est donc dos au mur et ne peut que se confesser publiquement et révéler sa féminité à tout le monde. L'indignation des médecins et de l'Aéropage est maximale et, après l'avoir inévitablement acquittée de l'accusation de séduction, ils la condamnent quand même en tant que femme. Et c'est là que cette histoire réserve un coup de théâtre. Les Athéniennes en effet, ayant entendu la sentence, se révoltent en masse et menacent de se tuer toutes si Agnodice n'est pas libérée. Face à cette insurrection féminine, l'Aéropage et la ville démocratique d'Athènes ne peuvent que sauver le femme-médecin- compétente. C’est ainsi que, selon Gaius Giulio Igino, le seul historien à nous parler d'elle, sont nées la gynécologie et l'obstétrique, deux sciences médicales exclusivement destinées aux femmes. Et c'est elle qui les a fondées, Agnodice d'Athènes au IVe siècle a.v.
Mais Agnodice n'est pas seulement, selon certaines sources, la première gynécologue de l'histoire ; la jeune femme est en effet un exemple très précoce de ce que nous appelons aujourd'hui le crossdressing. Pour les non-initiés, le crossdressing signifie littéralement « s'habiller à l'envers », habitude de porter des vêtements pour diverses raisons qui, dans un contexte socio-culturel spécifique, sont communément associées au genre opposé au sien. La femme-médecin s'habille en homme pour accéder à quelque chose que les conventions sociales lui refusent en tant que femme. La littérature, la filmographie et l'art en général regorgent aujourd'hui d'exemples de ce type, mais l'histoire d'Agnodice en est une des premières attestations. En effet, c’est toujours fascinante l'histoire de l'une d'entre nous qui défie les règles de la société pour un plus grand objectif. Réalité ou légende, simplicité ou rhétorique, voilà ce qu'ils racontent de la jeune Athénienne, qui aura été une inspiration pour de nombreuses jeunes. La vie d'Agnodice est également actuelle pour les femmes d'aujourd'hui et permet une réflexion plus approfondie. En effet, combien d'entre nous, notamment dans le monde universitaire, scientifique ou professionnel, se cachent derrière un nom masculin pour accéder à un certain rôle ? Combien préfèrent « s'habiller » au nom d'avocat, de magistrat, de médecin, d'architecte pour donner l'importance qu'il faut à leurs fonctions ? 2400 ans ont passé mais nous sommes toujours en difficulté à nous mettre nues en tant que femmes et à être appelées avec nos « habits » féminins : avocate, magistrate, femme médecin, architecte. Nous aussi, un peu comme Agnodice, « portons » des vêtements ou des noms d'hommes pour nous sentir - peut-être involontairement - plus confiants et autoritaires. C'est pourquoi, peut-être, nous ne vivons pas encore à une époque où nous pouvons vraiment nous « déshabiller » et nous sentir libres et fiers de pouvoir exercer pleinement nos métiers. La route vers l'égalité est très longue, mais l'espoir est qu’ils ne passeront pas des milliers d'années.
Traduzione inglese Syd Stapleton
Despite the scarcity of sources about the history of Agnodice, a young Athenian woman of the fourth century BC, her life and stories have come down to us, from more than two thousand years in the past, through ancient manuscripts and books. What is most surprising about this extraordinary woman from Ancient Greece is her overwhelming passion for medicine, a passion that led her to fight social conventions in order to be able to practice medicine. We learn, through this history, that Agnodice had decided to disguise herself as a man for months in order to attend the medical school in Athens. Once she had learned the arts of medicine, an interesting episode occurred. Agnodice (in her capacity as a “male” doctor) was called to assist a woman who had refused any medical help. Discovering that the modest and embarrassed woman had refused help because she was ashamed to be examined by a male doctor, Agnodice made the decision to reveal her secret, and confessed to the patient that she too was a woman, thus earning the woman’s total trust and acceptance. Word spread in the city, and from that moment the women of Athens wanted to be seen by Agnodice, while still having to keep her identity as a woman a secret. The doctors of the city, suspicious, noting that women no longer turned to them, publicly accused Agnodice of seducing patients. According to them, this could be the only reason why Athenian women would so uniformly turned to one particular doctor. A trial followed at the at the Aeropago, a high rock promontory in Athens that was the site of a court of the same name that dealt with serious crimes. The trial was long and contentious, but in the end the male doctors succeeded in having poor Agnodice condemned for seduction, and for violation of the Hippocratic oath. With her back to the wall, there was nothing the young woman could do except publicly confess to her deception and reveal her femininity. The indignation of the doctors and the Aeropago was intense and, despite having to acquit her of the charge of seduction, they condemned her as a woman. And this is where this story holds a twist. Athenian women, having heard the sentence, revolt en masse and threatened to kill themselves if Agnodice was not freed. Faced with this female insurrection, the Aeropago and the democratic city of Athens could not help but accept this competent doctor. In this way, according to Gaius Giulio Igino, the historian who relates her story, gynecology and obstetrics were born, two medical sciences exclusively intended for women. And it was Agnodice of Athens, in the 4th century BC, who founded them.
But Agnodice is not only, according to some sources, the first gynecologist in history – she was also a very early example of what we now call “crossdressing.” For the uninitiated, crossdressing literally means "to dress in the opposite way" – the practice of wearing clothes for various reasons that in a specific socio-cultural context are commonly associated with the opposite gender to one's own. Agnodice, as a doctor, dressed as a man to access something that social conventions denied to her as a woman. Literature, filmography and art in general are now full of such examples, but the story of Agnodice is one of the earliest. And the story of one of us who challenges the rules of society for a greater goal is always fascinating. Reality or legend, the dramatic story of this young Athenian woman would become an inspiration for many young people. However, Agnodice's life is also relevant for today's women and allows for deeper reflection. How many of us, especially in academia, science or work, hide behind a masculine name to access a certain role? How many women choose to “dress up” in the role of a lawyer, magistrate, doctor, or architect in order to give due importance to their presence? Two thousand four hundred years have passed, but we are still struggling to reveal ourselves as women, and to be called, with our feminine “clothes”, a lawyer, magistrate, doctor, or architect. We too, a bit like Agnodice, wear “men's clothes” or names to feel - perhaps unwittingly - more confident and authoritative. Therefore, perhaps, we do not yet live in an era in which we can really shed the “uniforms” and feel ourselves, free and proud to be able to carry out our professions to the fullest. The road to equality is very long, but the hope is that thousands more years will not have to pass.
Traduzione spagnola Federica Agosta
No obstante la escasez de fuentes acerca de la historia de Agnódice, joven ateniense del siglo IV a.C., su vida y sus vicisitudes han llegado hasta nuestros días viajando por medio de antiguos manuscritos y libros durante más de dos mil años. Lo más sorprendente de esta increíble mujer de la Grecia antigua es sin duda alguna su pasión por la medicina, que la empujó a luchar contra las convenciones sociales con tal de ejercer la profesión médica. Se narra que Agnódice decidió disfrazarse de hombre durante varios meses para poder asistir a la escuela de medicina de Atenas. Una vez aprendida el arte médica, ocurrió algo interesante. A la joven le pidieron que asistiera a una mujer pero esta que rechazaba su ayuda –en cuanto creía que era un hombre– y no dejaba visitar por la vergüenza. En presencia de esta mujer, púdica e incómoda, Agnódice tomó la decisión de revelar su secreto y le confesó a la paciente que también ella era una mujer, ganándose así su plena confianza y disponibilidad. En la ciudad corre la voz y a partir de aquel momento todas las mujeres quieren que las visite Agnódice, guardando por supuesto el secreto acerca de la identidad de la mujer. Los médicos de la ciudad, desconfiados, al notar que las mujeres ya no se dirigen a ellos, acusan públicamente a Agnódice de seducir a las pacientes. Esta es la razón, según ellos, por la cual las atenienses se dirigen a un médico tan competente. El proceso en el Areópago de Atenas es largo y muy controvertido, sin embargo, al final, la multitud de médicos consigue que condenen a la pobre Agnódice por seducción e infracción del juramento hipocrático. Por lo tanto la joven se ve entre la espada y la pared y no tiene más remedio que confesar públicamente y desvelar su feminidad a todos los presentes. La indignación de los médicos y del Areópago es máxima y, tras haberla ineludiblemente absuelto del cargo de seducción, de todas maneras la condenan en cuanto mujer. Y aquí donde su historia oculta un golpe de efecto. En efecto, tras haber escuchado la sentencia, las atenienses se rebelan en masa y todas ellas amenazan con quitarse la vida si no ponen en libertad a Agnódice. Frente a semejante insurrección de las mujeres, el Areópago y la democrática ciudad de Atenas no pueden sino salvar a la experta médica. De este modo, según Cayo Julio Higino, el único historiador que nos cuenta su vida, nacen la ginecología y la obstetricia, dos ciencias médicas destinadas exclusivamente a las mujeres. Y la fundadora de ambas ciencias fue la justamente ella, Agnódice de Atenas en el siglo IV a.C.
Sin embargo, según algunas fuentes, Agnódice no es meramente la primera ginecóloga de la historia; en efecto la joven fue precursora de lo que hoy en día se denomina crossdressing. Para quien desconozca este término, crossdressing significa literalmente “vestirse con lo opuesto”, es decir la costumbre de llevar, por diferentes razones, un vestuario que en un determinado ámbito socio-cultural se asocia comunemente al género opuesto respecto al propio. La médica lleva ropa masculina para acceder a algo que las convenciones sociales le niegan en cuanto mujer. La literatura, la filmografía y el arte en general ya están llenos de ejemplos semejantes, pero la historia de Agnódice resulta uno de los primeros testimonios en este sentido. En efecto, la historia de una de nosotras que desafía las normas sociales para alcanzar un objetivo más grande siempre suscita fascinación. Realidad o leyenda, sencillez o retórica, eso es lo que se cuenta acerca de la joven ateniense que sin duda habrá sido de inspiración para muchas jóvenes. Sin embargo, la vida de Agnódice sigue siendo actual para las mujeres de nuestros días y permite una reflexión más honda. ¿Cuántas de nosotras, efectivamente, sobre todo en ámbito académico, científico o laboral, se esconden tras un nombre masculino para acceder a una determinada posición? ¿Cuántas prefieren “vestirse” con el nombre de abogado, magistrado, médico o arquitecto para poder atribuir la adecuada importancia a su profesión? Han pasado 2400 años y todavía nos resulta difícil poner al descubierto nuestra identidad en cuanto mujeres y hacernos llamar con nuestro “vestuario” femenino: abogada, magistrada, médica, o arquitecta. Nosotras también, al igual que Agnódice, “llevamos” ropa o nombres masculinos para sentirnos –acaso incoscientemente– más seguras y autorizadas. Por lo tanto, quizás, todavía no vivimos en una época en que podamos de veras “desnudarnos” y sentirnos nosotras mismas, libres y orgullosas de poder ejercer nuestras profesiones del mejor modo. El camino por y para la igualdad es todavía muy largo, pero la esperanza es que no pasen miles de años.
Lydia Sklevicky Eleonora Camilli
Viola Gesmundo
Lydia Sklevicky è stata una storica, antropologa e sociologa, la prima studiosa croata ad affrontare la storia sociale delle donne da una prospettiva femminista. L’operato di Sklevicky è stato unico, per molti aspetti senza eguali, nonostante ancora oggi il suo contributo luminoso e generativo al femminismo, ma anche e soprattutto la sua analisi rivoluzionaria e ante litteram della storia, della sociologia e dell'antropologia, non abbia ottenuto un riconoscimento tale da farle occupare un posto di rilievo nella memoria collettiva e sociale. Nata il 7 maggio 1952 a Zagabria, quando ancora l’odierna Croazia si chiamava Jugoslavia, ha da subito mostrato interesse per le scienze umane e sociali, iniziando la sua attività scientifica presso l'Istituto per la Storia del Movimento operaio croato (Institut za historiju radničkog pokreta Hrvatske), oggi Istituto Croato di Storia, con un progetto dal titolo Aspetti socio-storici dell'attività organizzata e della posizione sociale delle donne in Croazia 1945-1980. Sklevicky è stata la prima nel Paese a svolgere una ricerca sulla storia sociale delle donne, compiendo un’analisi del movimento dalle sue origini fino all'emancipazione, intesa come parte integrante di un processo a lungo termine di cambiamento culturale. Ha conseguito la laurea in Sociologia della cultura presso la facoltà di Filosofia dell’Università di Zagabria, nel 1984, con una tesi dal titolo Donne e potere. La genesi storica di un interesse e, successivamente, ha intrapreso un dottorato di ricerca, con una tesi dedicata a Emancipazione e organizzazione. Il ruolo del Fronte femminile antifascista nei cambiamenti della società post-rivoluzionaria, senza completarla. Nei suoi studi ha analizzato le attività delle donne prima, durante e dopo la Seconda guerra mondiale e il divario tra l’emancipazione proclamata e le perduranti restrizioni ai diritti femminili nel Paese. Ha saputo interpretare con acume e intelligenza critica le dinamiche del cambiamento culturale post-rivoluzionario sviluppando inferenze con la categoria di genere, dalla trasformazione dei valori tradizionali in un mutato contesto sociale alla nascita di una nuova iconografia della femminilità.
I suoi interessi professionali si estendevano dallo studio della storia sociale, attraverso gli studi sulle donne e l'antropologia di genere, al costume e alla politica in generale. Secondo una sua testimonianza, infatti, uno studio più approfondito della cultura simbolica e la creazione di nuovi rituali basati sull’analisi della storia recente avrebbero fornito l’opportunità di approfondire i suoi interessi, raccogliendo materiale e creando una bibliografia antropologica su temi sui quali ha scritto un rito politico e un calendario di costumi, nell’ambito dei progetti del Dipartimento delle dogane dell'Istituto per la ricerca sul folklore, oggi Istituto di etnologia e ricerca sul folklore, in cui ha lavorato a partire dal 15 dicembre 1988 fino alla prematura morte, avvenuta il 21 gennaio 1990 vicino a Donja Dobra, Delnice, a causa di un incidente stradale. Accademica di fine intelletto e cultura, parlava diverse lingue straniere (inglese, tedesco, italiano, francese e spagnolo), faceva parte di associazioni professionali – in modo particolare della Sociological Society of Croatia e la Croatian Etnological Society; tra il 1982 e il 1983 ha coordinato la Sezione “Donne e società” della Società di sociologia della Croazia, di cui era stata socia fondatrice nel 1979, nonché la Sezione di ricerca sulla storia delle donne “Nada Klaić” presso la Società storica di Zagabria, fra il 1984 e il 1985. Ha partecipato regolarmente a convegni scientifici nazionali e internazionali, tenendo conferenze come docente ospite in rinomate università in Croazia e all'estero. Tra i seminari, ha coordinato quello post lauream Donne e lavoro presso il Centro interuniversitario di Dubrovnik (1983) e, nell'ambito del XII Congresso internazionale di Scienze Antropologiche ed Etnologiche-Iuaes (1988), ha co-organizzato il panel dedicato ai problemi recenti relativi all’antropologia di genere. Ha pubblicato numerosi articoli scientifici su testate nazionali ed estere e si è impegnata nell’attività giornalistica, divenendo una presenza costante in pubblico per più di dieci anni. Con Žarana Papić, ha curato il primo libro di antropologia femminista in Jugoslavia nel 1983, intitolato Verso un’antropologia della donna (Antropologija žene). Alla fine degli anni Ottanta è stata editorialista per la rivista femminile World (Svijet), affrontando numerosi argomenti tra cui l’aborto, il corpo femminile, le streghe e le femministe cosiddette “rispettabili”. Una raccolta postuma del suo lavoro, inclusa la tesi del suo dottorato di ricerca, la citata Emancipazione e organizzazione (Emancipacija i organizacija, Uloga Antifašističke fronte žena u postrevolucionarnim mijenama društva - NR Hrvatska 1945-1953), è stata pubblicata nel 1996 nel volume Cavalli, donne, guerre (Konji, žene, ratovi).
I suoi lavori e progetti sono ancora molto attuali e stimolanti poiché rileggono la storia, quella scritta dagli uomini, da una prospettiva diversa, quella delle donne, attraverso uno sguardo cancellato per troppo tempo dai libri, consegnandoci una prospettiva "altra" per guardare alla vita e al mondo, che ricorda quella teorizzata da Virginia Woolf in uno dei suoi due saggi politici, Tre ghinee, testo fondante la contemporanea riflessione su donne e società. Le donne, escluse dalla storia e dalla società, sono delle estranee – per questo auspicava la fondazione di una Società delle Estranee per aiutare l'umanità a prevenire la guerra – ma questo apparente di meno è in realtà la loro forza: solo l’outsider possiede una prospettiva veramente critica da cui guardare al mondo per migliorarlo, uno sguardo privilegiato che consente di vedere di più proprio perché ne è al di fuori, in ossequio a quel principio della woolfiana fabbrica della conoscenza secondo cui scrivere – ma anche pensare ‒ è un modo di contribuire a trasformare la vita. Con queste parole Virginia Woolf consegna al mondo il più grande dei suoi insegnamenti, ovvero la capacità di trasformare una mancanza, una discriminazione, nel più desiderabile dei valori, cioè la libertà. In questo testo la brillante scrittrice e pensatrice inglese aveva lasciato anche un’altra verità rivoluzionaria: l’oppressione del sesso maschile su quello femminile, il patriarcato, è il germe del fascismo, e più ampiamente di ogni forma di oppressione. Sotto questo profilo è possibile rileggere l’operato di Lydia Sklevicky, la quale aveva focalizzato i suoi studi sul cambiamento sociale innescato dalle donne a partire dalla loro coscienza antifascista. E forse mai come alle società attuali occorre recuperare il contributo di queste figure straordinarie per elaborare un nuovo modello di azione politica basato su un posizione da outsider che permetta di generare pensieri luminosi e differenti, ispirati ai principi di giustizia, uguaglianza e libertà, per tutti gli esseri umani.
Traduzione francese Joelle Rampacci
Lydia Sklevicky est une historienne, anthropologue et sociologue, la première chercheuse croate à aborder l'histoire sociale des femmes dans une perspective féministe. L'œuvre de Sklevicky est unique, à bien des égards inégalée, même si aujourd'hui encore sa contribution lumineuse et générative au féminisme, mais aussi et surtout son analyse révolutionnaire et ante litteram de l'histoire, de la sociologie et de l'anthropologie, n'a pas reçu une reconnaissance suffisante pour occuper une place de choix dans la mémoire collective et sociale. Née le 7 mai 1952 à Zagreb, à l'époque où ce qui est aujourd'hui la Croatie s'appelait encore la Yougoslavie, elle manifeste immédiatement son intérêt pour les sciences humaines et sociales, commençant son activité scientifique à l'Institut de l'Histoire du Mouvement Ouvrier Croate (Institut za historiju radničkog pokreta Hrvatske), aujourd'hui l'Institut croate d'histoire, avec un projet intitulé Aspects socio-historiques de l'activité organisée et de la position sociale des femmes en Croatie 1945-1980. Sklevicky a été la première du pays à mener des recherches sur l'histoire sociale des femmes, analysant le mouvement depuis ses origines jusqu'à l'émancipation des femmes dans le cadre d'un processus à long terme de changement culturel de la société. Sklevicky a obtenu un diplôme en sociologie de la culture à la faculté de philosophie de l'université de Zagreb en 1984, avec une thèse intitulée "Femmes et pouvoir". La genèse historique d'un intérêt, et a ensuite entrepris un doctorat, avec une thèse sur Émancipation et Organisation. Le rôle du Front des femmes antifascistes dans les changements de la société post-révolutionnaire, sans le compléter. Dans ses études, elle a analysé les activités des femmes avant, pendant et après la Seconde Guerre mondiale, ainsi que le décalage entre l'émancipation proclamée et les restrictions persistantes des droits des femmes en Yougoslavie. Elle a su interpréter avec acuité et intelligence critique la dynamique du changement culturel post-révolutionnaire en développant des inférences avec la catégorie du genre, de la transformation des valeurs traditionnelles dans un nouveau contexte social à l'émergence d'une nouvelle iconographie de la féminité.
Ses intérêts professionnels s’étendaient de l'étude de l'histoire sociale, en passant par les études sur les femmes et l'anthropologie du genre, jusqu'au costume et à la politique en général, Selon son témoignage, l'approfondissement de la culture symbolique et la création de nouveaux rituels basés sur l'analyse de l'histoire récente ont été l'occasion d'approfondir ses intérêts, de collecter du matériel et de créer une bibliographie anthropologique sur laquelle elle a écrit un rituel politique et un calendrier des coutumes, dans le cadre des projets du Département des Douanes de l'Institut de recherche sur le folklore, aujourd'hui Institut de recherche sur l'ethnologie et le folklore, dans lequel elle a travaillé du 15 décembre 1988 jusqu'à sa mort prématurée le 21 janvier 1990 près de Donja Dobra, Delnice, à la suite d'un accident de voiture. Universitaire d'une grande intelligence et culture, elle parlait plusieurs langues étrangères (anglais, allemand, italien, français et espagnol), était membre d'associations professionnelles - notamment la Sociological Society of Croatia (Société de sociologie de Croatie) et la Croatian Etnological Society (Société croate d’ethnologie) ; entre 1982 et 1983, elle a coordonné la section “Femmes et société” de la Société de sociologie de Croatie, dont elle était membre fondateur en 1979, ainsi que la section de recherche Nada Klaić sur l'histoire des femmes à la Société historique de Zagreb, entre 1984 et 1985. Elle a régulièrement participé à des conférences scientifiques nationales et internationales et a donné des cours en tant que conférencière invitée dans des universités renommées en Croatie et à l'étranger. Parmi les séminaires internationaux, elle a coordonné le séminaire post lauream ( postuniversitaire) Femmes et travail au Centre interuniversitaire de Dubrovnik (1983), et dans le cadre du douzième congrès international des sciences anthropologiques et ethnologiques - Iuaes (1988), elle a co-organisé le panel consacré aux problèmes récents liés à l'anthropologie du genre. Elle a publié de nombreux articles scientifiques dans des publications nationales et étrangères, et a exercé une activité journalistique, devenant ainsi une présence constante dans le public pendant plus de dix ans. Avec Žarana Papić, elle a codirigé le premier ouvrage d'anthropologie féministe en Yougoslavie en 1983, intitulé Une Antropolologie de la femme (Antropologija žene). À la fin des années 1980, elle est chroniqueuse pour le magazine féminin World - Svijet -, où elle aborde de nombreux sujets tels que l'avortement, le corps féminin, les sorcières et les féministes dites "respectables". Un recueil posthume de ses travaux, dont sa thèse de doctorat Émancipation et organisation : le front antifasciste des femmes et le changement social post-révolutionnaire (République populaire de Croatie 1945-1953) - Emancipacija i organizacija, Uloga Antifašističke fronte žena u postrevolucionarnim mijenama društva (NR Hrvatska 1945-1953), a été publié en 1996 dans le volume Chevaux, femmes, guerres (Konji, žene, ratovi).
Ses œuvres et projets sont toujours très actuels et stimulants, car ils réinterprètent l'histoire, celle écrite par les hommes, à partir d'une autre et différente perspective, celle des femmes, à travers un regard trop longtemps effacé des livres, nous donnant une autre et différente perspective pour regarder la vie dans le monde, rappelant celle que Virginia Woolf a théorisée dans l'un de ses deux essais politiques, Trois guinées, un texte fondateur de la réflexion contemporaine sur les femmes et la société. Les femmes, exclues de l'histoire et de la société, sont des outsiders - c'est pourquoi elle souhaite la fondation d'une société d'outsiders pour aider les hommes à prévenir la guerre - mais ce manque apparent est en fait leur force : seul l'outsider possède une position véritablement critique pour regarder le monde afin de l'améliorer, une perspective privilégiée qui permet de voir plus précisément parce qu'on est en dehors de lui, par respect pour ce principe de la fabrique woolfienne du savoir selon lequel écrire - mais aussi penser - est une manière de contribuer à transformer la vie. Avec ces mots, Virginia Woolf livre au monde le plus grand de ses enseignements, à savoir la capacité de transformer un manque, une discrimination, en la plus désirable des valeurs, à savoir la liberté. Dans ce texte, la brillante écrivaine et philosophe anglaise avait également livré au monde une autre vérité révolutionnaire : l'oppression du sexe masculin sur le sexe féminin, le patriarcat, est le germe du fascisme, et plus largement de toutes les formes d'oppression. À cet égard, il est possible de relire le travail de Lydia Sklevicky, qui a concentré ses études sur le changement social déclenché par les femmes à partir de leur position antifasciste. Et peut-être n'avons-nous jamais eu besoin, comme dans les sociétés modernes, de récupérer la contribution de ces femmes extraordinaires pour élaborer un nouveau modèle d'action politique fondé sur un positionnement extérieur qui nous permette de générer des pensées brillantes et différentes, inspirées par les principes de justice, d'égalité et de liberté, pour tous les êtres humains.
Traduzione inglese Syd Stapleton
Lydia Sklevicky was a historian, anthropologist and sociologist, and the first Croatian scholar to approach the social history of women from a feminist perspective. Sklevicky's work was unique, in many respects unparalleled. But even today her luminous and generative contribution to feminism, but also and above all her revolutionary and ante litteram analysis of history, sociology and anthropology, have not obtained such recognition that they are given a prominent place in collective and social memory. Born May 7, 1952 in Zagreb, when today's Croatia was still part of the former Yugoslavia, she immediately showed interest in the human and social sciences, starting her scientific activity at the Institute for the History of the Croatian Labor Movement (Institut za historiju radničkog pokreta Hrvatske), today the Croatian Institute of History, with a project entitled Socio-historical aspects of the organized activity and social position of women in Croatia 1945-1980. Sklevicky was the first in the country to carry out research on the social history of women, including an analysis of the movement from its origins to its emancipation, understood as an integral part of a long-term process of cultural change in society. Sklevicky graduated in Sociology of Culture from the Faculty of Philosophy of the University of Zagreb in 1984 with a thesis entitled Women and Power - The historical genesis of an interest. Subsequently, she embarked on a research doctorate, with a thesis on Emancipation and Organization -The role of the anti-fascist female front in the changes of post-revolutionary society, without completing it. In her studies she analyzed the activities of women before, during and after the Second World War and the gap between a proclaimed emancipation and the continuing restrictions on women's rights in Yugoslavia. She was able to interpret the dynamics of post-revolutionary cultural change with insight and critical intelligence, by developing inferences within gender categories, from the transformation of traditional values into a new social context, to the birth of a new iconography of femininity.
Her professional interests ranged from the study of social history, through studies of women and gender anthropology, to customs and politics in general. According to her testimony, a more in-depth study of symbolic culture and the creation of new rituals based on the analysis of recent history provided the opportunity to deepen her interests, gathering material and creating an anthropological bibliography on topics on which she wrote, on political customs and a calendar of costumes, as part of the projects of the Customs Department of the Institute for Folklore Research, today the Institute of Ethnology and Folklore Research, She worked there from December 15, 1988 until her untimely death, which occurred on January 21, 1990 near Donja Dobra, Delnice, due to a car accident. An academic of great intellect and culture, she spoke several foreign languages (English, German, Italian, French and Spanish), and she was part of several professional associations - in particular the Sociological Society of Croatia and the Croatian Ethnological Society. Between 1982 and 1983 she coordinated the "Women and Society" section of the Society of Sociology of Croatia, of which she was a founding member in 1979, as well as, between 1984 and 1985, leading the Research Section on the history of women "Nada Klaić" at the Historical Society of Zagreb. She regularly participated in national and international scientific conferences, giving guest lectures in renowned universities in Croatia and abroad. Among international seminars, she coordinated the postgraduate seminar Women and Work at the Interuniversity Center of Dubrovnik (1983), and as part of the 12th International Congress of Anthropological and Ethnological Sciences – ICAES - (1988) she co-organized the panel dedicated to recent problems relating to gender anthropology. She published numerous scientific articles in national and foreign newspapers, and engaged in journalistic activity, becoming a constant public presence for more than ten years. With Žarana Papić, she co-edited the first book on feminist anthropology in Yugoslavia in 1983, entitled Towards an Anthropology of Women (Antropologija žene). In the late 1980s she was a columnist for the women's magazine World (Svijet), addressing numerous topics including abortion, the female body, witches and so-called "respectable" feminists. A posthumous collection of her work, including her PhD thesis - Emancipation and Organization -The role of the anti-fascist female front in the changes of post-revolutionary society (Emancipacija i organizacija, Uloga Antifašističke Fronte žena u postrevolucionarnim mijenama društva - Hrvatska 1945–1953), was published in 1996 in the volume Horses, Women, Wars (Konji, žene, ratovi).
Her works and projects are still very current, and stimulating because they re-read history, the one written by men, from another and different perspective, that of women, through a view that has been erased from books for too long, giving us a different perspective and different look at life in the world, reminiscent of what Virginia Woolf had theorized in one of her two political essays, Three Guineas (1938), the founding text of contemporary reflection on women and society. Women, excluded from history and society, are aliens - this is why she hoped for the foundation of a Society of Strangers to help men prevent war - but this apparent loss is actually their strength - only the outsider possesses a truly critical position from which to look at the world to improve it, a privileged perspective that allows one to see more precisely because she is outside of it, in accordance with that principle of the “Woolfian” knowledge factory according to which writing - but also thinking - is a way to help transform life. With these words Virginia Woolf delivers to the world the greatest of her teachings, namely the ability to transform an exclusion, a discrimination, into the most desirable of values, that is, freedom. In this text, the brilliant English writer and thinker had also delivered to the world another revolutionary truth: the oppression of the male over the female sex, patriarchy, is the germ of fascism, and, more broadly, of every form of oppression. From this point of view it is possible to more deeply understand the work of Lydia Sklevicky, who had focused her studies on the social change triggered by women starting from their anti-fascist position. And perhaps it has never been so necessary as it now is in modern societies, to resurrect the contributions of these extraordinary women, to develop a new model of political action based on an “outsider” positioning that allows the generation of brilliant, diverse thoughts, inspired by the principles of justice, equality and freedom for all human beings.
Traduzione spagnola Daniela Leonardi
Lydia Sklevicky fue una histórica, antropóloga y socióloga, la primera estudiosa croata que abordó la historia social de las mujeres desde una perspectiva feminista. La obra de Sklevicky ha sido única, en muchos aspectos sin igual, y sin embargo su contribución luminosa y generadora al feminismo, y sobre todo su análisis revolucionario y ante litteram de la historia, de la sociología y de la antropología, todavía hoy no ha obtenido un reconocimiento que le permita ocupar un lugar destacado en la memoria colectiva y social. Nació el 7 de mayo de 1952 en Zagreb, cuando la actual Croacia todavía se llamaba Yugoslavia, inmediatamente mostró interés por las ciencias humanas y sociales, iniciando su actividad científica en el Instituto para la Historia del Movimiento obrero croata (Institut za historiju radničkog pokreta Hrvatske), hoy Instituto Croata de Historia, con un proyecto titulado Aspectos socio-históricos de la actividad organizada y la posición social de las mujeres en Croacia 1945-1980. Sklevicky fue la primera en su país en investigar sobre la historia social de las mujeres, realizando un análisis del movimiento desde sus orígenes hasta la emancipación de las mismas, que entendía como parte integrante de un proceso a largo plazo de cambio cultural de la sociedad. Sklevicky se graduó en Sociología de la Cultura en la Facultad de Filosofía de la Universidad de Zagreb en 1984, con una tesis titulada Mujeres y poder. La génesis histórica de un interés, y sucesivamente empezó su tesis de doctorado dedicada a Emancipación y organización. El papel del Frente Femenino Antifascista en los cambios de la sociedad post-revolucionaria, sin completarla. En sus estudios ha analizado las actividades de las mujeres antes, durante y después de la Segunda Guerra Mundial y la brecha entre la emancipación proclamada y las continuas restricciones de los derechos de las mujeres en Yugoslavia. Ha sabido interpretar con perspicacia e inteligencia crítica las dinámicas del cambio cultural post-revolucionario desarrollando inferencias con la categoría de género, desde la transformación de los valores tradicionales en un nuevo contexto social hasta el nacimiento de una nueva iconografía de la feminidad.
Sus intereses profesionales abarcaban desde el estudio de la historia social, a través de los estudios sobre las mujeres y la antropología de género, a las costumbres y a la política en general. En efecto, según su testimonio, un estudio más profundizado de la cultura simbólica y la creación de nuevos rituales basados en el análisis de la historia reciente podría ofrecer la oportunidad de profundizar sus intereses, recogiendo material y creando una bibliografía antropológica sobre temas en los que ha escrito un rito político y un calendario de costumbres, en el ámbito de los proyectos del Departamento de Aduanas del Instituto para la investigación sobre el folclore, actualmente Instituto de Etnología e Investigación del Folclore, en el que trabajó desde el 15 de diciembre de 1988 hasta su muerte prematura, el 21 de enero de 1990, cerca de Donja Dobra, Delnice, a causa de un accidente de coche. Académica de fino intelecto y cultura, hablaba varios idiomas (inglés, alemán, italiano, francés y español), formó parte de varias asociaciones profesionales –en particular de la Sociological Society of Croatia y de la Croatian Etnological Society; entre 1982 y 1983 coordinó la Sección “Mujeres y Sociedad” de la Sociedad de Sociología de Croacia, de la que había sido socia fundadora en 1979, así como la Sección de investigación sobre la historia de las mujeres “Nada Klaić” de la Sociedad histórica de Zagreb, entre 1984 y 1985–. Participó con regularidad a congresos científicos nacionales e internacionales, dictando conferencias como docente invitada en universidades de renombre tanto en Croacia como en el extranjero. Coordinó el seminario internacional Post lauream Mujeres y trabajo en el Centro Interuniversitario de Dubrovnik (1983), y en el ámbito del duodécimo Congreso Internacional de Ciencias Antropológicas y Etnológicas–Iuaes (1988) co-organizó el panel dedicado a los problemas recientes relacionados con la antropología de género. Publicó numerosos artículos científicos y en periódicos nacionales y extranjeros, y participó en la actividad periodística, convirtiéndose en una presencia pública constante durante más de diez años. Con Žarana Papić, coeditó el primer libro de antropología feminista en Yugoslavia en 1983, titulado Hacia una antropología de la mujer (Antropología žene). A finales de los años 80 fue editorialista para la revista femenina World –Svijet– tratando numerosos temas como el aborto, el cuerpo femenino, las brujas y las llamadas feministas “respetables”. Una recolección póstuma de su trabajo, incluyendo su tesis de doctorado Emancipación y organización: el frente antifascista de las mujeres y el cambio social post-revolucionario (República Popular de Croacia 1945-1953) - Emancipacija i organizacija, Uloga Antifašističke fronte žena u postrevolucionarnim mijenama društva (NR Hrvatska 1945-1953), se publicó en 1996 en el volumen Caballos, mujeres, guerras (Konji, žene, ratovi).
Sus publicaciones y proyectos siguen siendo actuales y estimulantes pues vuelven a leer la historia –la escrita por los hombres– desde una perspectiva diferente –la de las mujeres– a través de una mirada borrada de los libros durante demasiado tiempo, ofreciéndonos una perspectiva otra y distinta para mirar la vida en el mundo; recuerda lo que Virginia Woolf había teorizado en uno de sus dos ensayos políticos, Tres guineas, texto que funda la reflexión contemporánea sobre las mujeres y la sociedad. Las mujeres, excluidas de la historia y de la sociedad, son “extrañas” –por eso Wolf deseaba la fundación de una Sociedad de las Extrañas para ayudar a los hombres a prevenir la guerra– pero esto que aparentemente sería “una falta” es en realidad su fuerza: sólo quien es outsider posee un posicionamiento realmente crítico desde el cual mirar el mundo para mejorarlo, una perspectiva privilegiada que permite ver más precisamente porque está fuera, en conformidad con ese principio de la woolfiana fábrica del conocimiento según el cual escribir –pero también pensar– es un modo de ayudar a transformar la vida. Con estas palabras Virginia Woolf entrega al mundo la mayor de sus enseñanzas, es decir, la capacidad de transformar una falta, una discriminación, en el más deseable de los valores, es decir, la libertad. En este texto la brillante escritora y pensadora inglesa había entregado al mundo también otra verdad revolucionaria: la opresión del sexo masculino sobre el femenino, el patriarcado, es el germen del fascismo, y más ampliamente que cualquier forma de opresión. A este respecto, es posible releer el trabajo de Lydia Sklevicky, que había centrado sus estudios en el cambio social provocado por las mujeres desde su posición antifascista. Y quizás más que nunca en las sociedades modernas es necesario recuperar la contribución de estas mujeres extraordinarias para elaborar un nuevo modelo de acción política basado en un posicionamiento de outsider que permita generar pensamientos luminosos y diferentes, inspirados en los principios de justicia, igualdad y libertad para todos los seres humanos.
Marguerite Thomas-Clement Laura Coci
Viola Gesmundo
«Il giuramento è iniziato. Ora Madame Thomas si trova sul podio. La guardiamo intensamente. Il braccio alzato, la mano aperta, il giuramento solenne, gli sguardi indagatori e compresi dei colleghi maschi: tutto questo ci fa venire la pelle d’oca. Lei è scesa nell’arena, ha avuto il coraggio di essere la prima donna nella storia del Lussemburgo ad assumersi responsabilità politiche e ha solennemente promesso di fare del suo meglio. Il mondo scompare intorno a noi. Ci resta una sensazione di unicità, di irripetibilità».
Così, settant’anni dopo, Berthe Schmitz, che ne fu testimone oculare, ricorda l’insediamento della prima (e unica) donna eletta al Parlamento unicamerale del Granducato del Lussemburgo, in seguito alle elezioni politiche del 26 ottobre 1919: Marguerite Thomas-Clement. L’episodio è menzionato nella breve monografia dedicata a questa donna coraggiosa e caparbia dalla studiosa Renée Wagener (Marguerite Thomas-Clement. Sprecherin der Frauen: Die erste Luxemburger Abgeordnete, in Wenn nun wir Frauen auch das Wort ergreifen. 1880-1950, Luxembourg, Ministére de la Culture, 1997, pp. 99-112).
Ritratto fotografico di Marguerite Thomas-Clement, realizzato tra il 1924 e il 1931, quando la deputata militava nel Partito Socialista Radicale (http://fraendag.lu/personlichkeiten/marguerite-thomas-clement/)
Nell’ottobre 1919 la piccola nazione lussemburghese è scampata alla burrasca della Grande Guerra e dell’occupazione da parte del Reich, che ne ha violato la neutralità, forse con la condiscendenza dell’allora granduchessa Marie-Adélaïde; l’atteggiamento controverso della giovane regnante ha posto in pericolo l’indipendenza dello Stato (Francia e Belgio premono per l’annessione), poi riconosciuta dagli accordi di pace di Versailles del giugno dello stesso anno. Un anno cruciale: Marie-Adélaïde abdica in favore della sorella Charlotte, allora ventitreenne (che governerà con equilibrio il Lussemburgo per quarantacinque anni), mentre anche nel Granducato si avvertono le tensioni del cosiddetto Biennio Rosso europeo, le manifestazioni e gli scioperi di lavoratori e lavoratrici per ottenere migliori condizioni salariali e sociali. Mentre nel resto del continente le suffragette rivendicano, anche a costo della libertà personale e del sacrificio della vita, il diritto di voto alle donne, in riconoscimento della pari dignità dei due generi, in Lussemburgo tale diritto è concesso proprio nel 1919, nel quadro di un riassetto democratico dello Stato: le elezioni di ottobre, dunque, sono le prime a suffragio universale che si tengono nel Paese. Pure, come noto, le donne stentano ad affermarsi in politica, e ogni candidatura femminile significa una candidatura maschile (e un possibile deputato uomo) in meno: Marguerite è la sola donna aspirante al Parlamento del Partito Socialista, mentre la Lega Liberale, contraria al suffragio femminile, non ne presenta alcuna e il Partito della Destra, che ha inserito una donna nella propria lista, non riesce a farla eleggere (le donne non votano le donne), pur ottenendo la maggioranza dei seggi. Quando è eletta al Parlamento, nella circoscrizione Zentrum, Marguerite ha trentatré anni. Marie-Marguerite Caroline Clement è nata in Lussemburgo il 17 maggio 1886, da Carl Joseph e Maria Kolbach, è insegnante, vive nel quartiere della capitale denominato Limpertsberg, nel 1917 si è sposata a Stoccarda con Xavier Thomas, socialista e membro dell’Action Républicaine. Poco o nulla si sa della sua vita privata, poiché Renée Wagener ne privilegia la carriera politica e l’attività parlamentare.
Città del Lussemburgo, Lily Becker, esponente del Partito Socialista con Marguerite Thomas-Clement, parla a una manifestazione di lavoratori il 13 agosto 1919 (http://fraendag.lu/personlichkeiten/lily-becker-krier/)
Nel 1920, con Lily Becker, altra esponente di spicco del Partito Socialista, Marguerite è eletta componente della municipalità lussemburghese: è un anno denso di impegni, non tutti coronati da successi. In occasione delle manifestazioni del 1° maggio, prende la parola nella centralissima Place Glacis, davanti ad alcune migliaia di lavoratori e lavoratrici.
Città del Lussemburgo, Place Glacis, 1° maggio 1920: alla manifestazione partecipa anche Marguerite Thomas-Clement, che parla ad alcune migliaia di lavoratori (https://onsstad.vdl.lu/fileadmin/uploads/media/ons_stad_77-2004_6-11.pdf)
Il 24 settembre presenta una proposta di legge (la n. 48), poi letta al Parlamento il 5 ottobre, «tendant établir, après l’égalité politique, l’égalité civile et économique des deux sexes». Il testo consta di una breve premessa che giova riportare per intero: «I diritti dell’uomo – in quanto essere umano – comprendono e impongono i diritti della donna. Ma, per questa come per quello, tali diritti, anche se dichiarati, diventeranno realtà concreta soltanto nella società socialista. Intanto, è cosa immediatamente possibile e che ci è dato realizzare in breve tempo ottenere, dopo l’uguaglianza politica, l’uguaglianza civile ed economica dei due sessi». La proposta di legge, che non sarà approvata, consta di tre articoli di assoluta evidenza: «1. Tutte le disposizioni di legge che stabiliscono l’inferiorità della donna rispetto all’uomo sono e rimarranno abrogate. 2. Le donne sono ammesse al beneficio di tutte le leggi finora applicate soltanto agli uomini. 3. Tutte le leggi, in futuro, riguarderanno e dovranno riguardare l’essere umano senza distinzione di sesso». Dei diritti delle donne non può essere la sola Marguerite a farsi carico: negli anni successivi, è evidente come nel Parlamento lussemburghese manchi la volontà politica di realizzare la parità tra i due generi; degna di rilievo, d’altra parte, l’affermazione della deputata che soltanto la società socialista potrà rimuovere gli ostacoli che si frappongono al conseguimento dell’obiettivo.
Il testo originale della proposta di legge presentata da Marguerite Thomas-Clement il 24 settembre 1920, per l’uguaglianza politica, civile ed economica dei due sessi (Renée Wagener, Marguerite Thomas-Clement. Sprecherin der Frauen: Die erste Luxemburger Abgeordnete, in Wenn nun wir Frauen auch das Wort ergreifen. 1880-1950, Luxembourg, Ministére de la Culture, 1997, pp. 99-112, alla p. 106)
Nel clima di divisione interno al movimento socialista europeo seguito al fallimento del Biennio Rosso, Thomas-Clement entra a far parte del Partito Socialista Radicale: esclusa dal Parlamento tra il 1922 e il 1924, in questo anno è rieletta nella lista della nuova formazione, che si richiama alla sinistra liberale, e partecipa ai lavori parlamentari fino al 1931 (dal 1926 come deputata della maggioranza): dodici anni di attività politica intensissima, a livello sia nazionale sia municipale (è infatti componente del Consiglio comunale di Città del Lussemburgo dal 1920 al 1928). Dodici anni nei quali, unica donna in Parlamento, affronta con determinazione tematiche relative alla condizione sociale ed economica delle donne, talvolta venendo irrisa dagli uomini: celebre il fondo apparso il 26 febbraio 1929 sulla prima pagina del quotidiano lussemburghese Freie Presse, ove Die Dame (La Signora, ovvero Marguerite Thomas-Clement) è definita mediante l’espressione dispregiativa francese culot, vale a dire sfacciata. Una breve panoramica dei suoi interventi (in lingua francese) in Parlamento è illuminante e ne testimonia il coraggio e la lungimiranza nell’affrontare problematiche che la società lussemburghese del suo tempo volutamente ignora. Nel 1919 l’ampio settore del pubblico impiego si apre all’occupazione femminile (fino ad allora limitata all’insegnamento), ma con un distinguo: nel momento in cui la donna si sposa, è automaticamente licenziata, poiché il cosiddetto «doppio guadagno» è considerato immorale. Inutilmente, il 13 novembre, Thomas-Clement obietta che «la Granduchessa Charlotte si è appena sposata il 6 novembre, e a nessuno è venuto in mente di chiedere che abdicasse» e che se anche la donna lavora per rendere più agiata la propria condizione familiare e garantire un’educazione migliore ai propri figli non è da biasimare, perché «le mariage n’est pas un but pour la femme», il matrimonio non è l’obiettivo di una donna. La mozione, infatti, è respinta. Lo stesso 13 novembre 1919 lamenta le terribili condizioni in cui sono costrette a prestare la propria opera le donne operaie delle industrie minerarie e siderurgiche Gelsenkirchener Bergwerks-AG; il 18 dicembre, a proposito delle lavoratrici ausiliarie impiegate nello Stato, considera come il modesto stipendio da esse percepito, se sono sole, «permetta loro soltanto di pagare l’affitto della mansarda in cui vivono e di nutrirsi di pane secco e patate». Il 6 luglio 1920, facendosi «interprète des femmes», presenta una mozione per limitare il consumo di alcolici, che il Parlamento approva; il 20 luglio denuncia le pessime condizioni igienico-sanitarie del reparto di maternità sito nel quartiere Pfaffenthal, luogo di dolore fisico e morale, in poche parole «une étable», una stalla, ove le partorienti si trovano in ambienti miserabili; il 23 luglio parla a favore delle prostitute rinchiuse nel carcere femminile di Stadtgrund soltanto perché avevano contratto malattie veneree: «Abbiate il coraggio di dirlo, Signori, la società che voi sostenete e difendete, ha utilizzato queste povere sciagurate per tutelare le donne delle classi agiate, le donne ricche», ottenendo poi la fondazione di una clinica specializzata per la cura di tali malattie.
Il 15 marzo 1921, in seguito all’arresto di diverse donne che hanno partecipato alle manifestazioni per reclamare migliori condizioni lavorative, a un deputato conservatore che afferma che «les femmes» dovrebbero restare a casa, replica che le donne sono state costrette a lasciare le proprie case per entrare nel mondo del lavoro dalla società capitalista, perché gli uomini non guadagnavano a sufficienza per mantenere le proprie famiglie: «Ora le donne lavorano e sostengono la lotta del proletariato , e se voi dite loro di tornarsene a casa, beh, non lo faranno» (esclamazioni di approvazione a sinistra), e ancora: «Il giorno in cui le donne saranno al Governo, le cose andranno diversamente» (risate a destra). Quando, dopo aver lasciato il Partito Socialista per quello Socialista Radicale, Marguerite rientra in Parlamento, e soprattutto quando la sua formazione diviene maggioritaria, i suoi interventi si diradano: Renée Wagener ne spiega il minor attivismo con l’impegno parallelo nella municipalità, o, forse, con una posizione più subordinata nel nuovo gruppo politico rispetto al precedente. Sta di fatto che dopo il 1931, quando non è rieletta, nulla più si sa di lei. Ha quarantacinque anni, ne vivrà altri quarantasette. Non si sa, dunque, come abbia affrontato la seconda, feroce occupazione del suo Paese da parte del (Terzo) Reich, durante la Seconda guerra mondiale; se abbia sostenuto o preso parte alla Resistenza lussemburghese (nella quale si segnala un’altra donna straordinaria, Lily Unden); come abbia vissuto il dopoguerra e i suoi sviluppi: la fondazione dell’Unione Europea (1957), la rinuncia al trono della Granduchessa Charlotte in favore del figlio primogenito (1964) e, finalmente, la nuova elezione di una donna in Parlamento (1965) dopo che lei, tanti anni prima, aveva aperto la via ed era stata, in fondo, accettata proprio perché la sua presenza costituiva un’eccezione: una donna a fronte di quarantasette uomini. Marguerite Thomas-Clement muore l’11 aprile 1979 a Noerdingen, nei pressi di Beckerich (città lussemburghese al confine con il Belgio), dimenticata dagli stessi partiti nei quali ha militato. A lei è intitolata una piccola via del quartiere Belair di Città del Lussemburgo, nonché una di Strassen, nel Lussemburgo centrale, e una di Roeser, nel Lussemburgo meridionale.
Rue Marguerite Thomas-Clement a Roeser, Lussemburgo (https://commons.wikimedia.org/wiki/File:R%C3%A9iser,_Sch%C3%ABld_Rue_Marguerite-Thomas-Clement.jpg)
Traduzione francese Marie Blanchi
«Le serment a commencé. Maintenant, Madame Thomas se trouve sur l’estrade. Nous la regardons intensément. Le bras levé, la main ouverte, le serment solennel, les regards investigateurs et absorbés des collègues hommes: tout cela nous fait venir la chair de poule. Elle est entrée en lice, elle a eu le courage d'être la première femme dans l’histoire du Luxembourg à assumer des responsabilités politiques et elle a promis solennellement qu’elle ferait de son mieux. Le monde autour de nous disparaît. Il nous reste un sentiment de rareté, d’unicité».
Voilà comment, soixante-dix ans plus tard, Berthe Schmitz, qui en fut témoin oculaire, rappelle l’installation de la première (et unique) femme élue au Parlement monocaméral du Grand-Duché du Luxembourg, à la suite des élections politiques du 26 octobre 1919: Marguerite Thomas-Clement. L’épisode est raconté dans la brève biographie que la spécialiste Renée Wagener a consacrée à cette femme courageuse et obstinée (Marguerite Thomas-Clement. Sprecherin der Frauen: Die erste Luxemburger Abgeordnete, in Wenn nun wir Frauen auch das Wort ergreifen. 1880-1950, Luxembourg, Ministère de la Culture, 1997, pp. 99-112)
Portrait photographique de Marguerite Thomas-Clement, réalisé entre 1924 et 1931, quand la députée militait dans le Parti Socialiste Radical (http://fraendag.lu/personlichkeiten/marguerite-thomas-clement/)
En octobre 1919, le petit Luxembourg vient d’échapper à l’orage de la Grande Guerre et de l’occupation par le Reich, qui en avait violé la neutralité; occupation peut-être favorisée par la complaisance de la grande-Duchesse de l’époque, Marie-Adélaïde; le comportement controversé de la jeune Grande-Duchesse a mis en danger l’indépendance de l’état (France et Belgique faisaient pression pour l’annexer), qui avait été ensuite reconnue par les accords de paix de Versailles de juin de la même année. Une année cruciale: Marie-Adélaïde abdique en faveur de sa sœur Charlotte, âgée de 23 ans (qui régnera sur le Luxembourg avec équilibre pendant quarante-cinq ans), pendant que même le duché perçoit les tensions des deux années rouges sévissant en Europe, les manifestations et les grèves de travailleurs et de travailleuses pour obtenir de meilleurs conditions salariales et sociales. Pendant que dans le reste du continent, même au risque de leur liberté personnelle et du sacrifice de leur vie, les suffragettes revendiquent le droit de vote pour les femmes, en reconnaissance de la parité en dignité des deux genres, au Luxembourg, ce droit est accordé justement en 1919, dans le cadre d’une réorganisation démocratique de l’état: les élections d’octobre sont, donc, les premières à suffrage universel qui se tiennent dans le pays. Pourtant, cela est bien connu, les femmes ont du mal à s’imposer en politique, et toute candidature féminine signifie une candidature masculine (et un éventuel député homme) en moins: Marguerite est la seule femme du Parti Socialiste visant au Parlement, tandis que la Ligue Libérale, contraire au suffrage féminin, n’en présente aucune et que le Parti de la Droite, qui a inséré une femme dans sa liste, n’arrive pas à la faire élire (les femmes ne votent pas les femmes), tout en obtenant la majorité des voix. Quand elle est élue au Parlement, dans la circonscription Zentrum, Marguerite a trente-trois ans. Marie-Marguerite Caroline Clement, née au Luxembourg le 17 mai 1886, de Carl Joseph et Maria Kolbach, est institutrice, habite dans le quartier de la capitale appelé Limpertsberg; en 1917, à Stuttgart elle s’est mariée avec Xavier Thomas, socialiste et membre de l’Action Républicaine. On ne sait presque rien de sa vie privée, car Renée Wagener privilégie sa carrière politique et son activité parlementaire.
Luxembourg-Ville, Lily Becker, représentante du Parti Socialiste avec Marguerite Thomas-Clement, parle à une manifestation de travailleurs le 13 août 1919 (http://fraendag.lu/personlichkeiten/lily-becker-krier/)
En 1920, avec Lily Becker, autre représentante en vue du Parti Socialiste, Marguerite est élue membre de la municipalité Luxembourg-Ville: c’est une année riche en engagements, pas tous couronnés de succès. À l'occasion des manifestations du 1er mai, elle prend la parole dans la très centrale Place Glacis, devant des milliers de travailleurs.
Luxembourg-Ville, Place Glacis, le 1er mai 1920: Marguerite Thomas-Clement participe à la manifestation et parle à quelques milliers de travailleurs (https://onsstad.vdl.lu/fileadmin/uploads/media/ons_stad_77-2004_6-11.pdf)
Le 24 septembre, elle présente une proposition de loi (la n° 48), qui sera ensuite lue au Parlement le 5 octobre, «tendant à établir, après l’égalité politique, l’égalité civile et économique des deux sexes». Le texte présente un bref exposé des motifs qu’il convient de citer intégralement: «Les droits de l’homme impliquent et exigent les droits de la femme. Mais, pour celle-ci comme pour celui-là, ces droits, même proclamés, ne deviendront une réalité que par et dans la société socialiste. En attendant, ce qui est immédiatement possible, et ce qu’il nous faut réaliser au plus tôt, c’est, après l’égalité politique, l’égalité civile et économique des deux sexes». La proposition de loi, qui ne sera pas approuvée, se compose de trois articles d’une évidence absolue: «1. Toutes les dispositions législatives établissant l'infériorité de la femme vis-à-vis de l’homme sont et demeurent supprimées. 2. La femme est admise au bénéfice de toutes les lois ne s’appliquant jusqu’à présent qu’à l’homme. 3. Toutes les lois, à l’avenir, viseront et devront viser l'être humain sans distinction de sexe» Marguerite ne peut pas être la seule qui se charge des droits des femmes: dans les années suivantes, il est évident qu’au Parlement du Luxembourg il manque la volonté politique de réaliser la parité des deux genres; d’autre part, il est important de rappeler l’affirmation de la députée que seulement la société socialiste pourra enlever les obstacles qui entravent la réalisation de l’objectif.
Le texte original de la proposition de loi présentée par Marguerite Thomas-Clement le 24 septembre 1920, pour l’égalité politique, civile et économique des deux sexes (Renée Wagener, Marguerite Thomas-Clement. Sprecherin der Frauen: Die erste Luxemburger Abgeordnete, in Wenn nun wir Frauen auch das Wort ergreifen. 1880-1950, Luxembourg, Ministère de la Culture, 1997, pp. 99-112, alla p. 106)
Dans le climat de division à l’intérieur du mouvement socialiste européen suivant l’échec des deux années rouges, Thomas-Clement entre dans le Parti Socialiste Radical: exclue du Parlement entre 1922 et 1924, cette année-là, elle est réélue dans la liste de la nouvelle formation, qui se rapporte à la gauche libérale, et participe aux travaux du Parlement jusqu’à 1931 (depuis 1926 comme députée de la majorité): douze années d’activité politique très intense, à niveau national et municipal (elle est, en effet, membre du Conseil communal de la capitale de 1920 à 1928). Douze années pendant lesquelles, unique femme au Parlement, elle aborde avec détermination les problématiques relatives à la condition sociale et économique des femmes, et parfois les hommes se moquent d’elle: il reste célèbre la sous-tribune parue le 26 février 1929 dans la première page du quotidien luxembourgeois «Freie Presse» dans lequel Die Dame (Madame, à savoir Marguerite Thomas-Clement) est définie par l’expression méprisante française culot. Un bref rappel de ses interventions (en français) au Parlement est éclairant et témoigne de son courage et de sa clairvoyance à aborder des problématiques que la société luxembourgeoise de son temps ignore sciemment. En 1919, le vaste secteur de l’Administration s’ouvre au travail féminin (jusqu’alors limité à l’enseignement), mais avec des distinguos: à partir du moment où la femme se marie, elle est automatiquement renvoyée, puisque ledit double salaire est considéré comme immoral. En vain, le 13 novembre, Thomas-Clement objecte que «la Grande-Duchesse Charlotte vient de se marier le 6 novembre dernier. Il n’est venu l’idée de personne d’exiger son abdication comme suite inéluctable à son mariage» et que si une femme travaille pour rendre sa condition familiale plus aisée et pour garantir une éducation meilleure à ses enfants, elle n’est pas à blâmer, car «le mariage n’est pas un but pour la femme». La motion est, bien sûr, rejetée. Le même 13 novembre 1919 elle déplore les horribles conditions dans lesquelles sont obligées à travailler les ouvrières des industries minières et sidérurgiques Gelsenkirchener Bergwerks-AG; le 18 décembre, à propos des travailleuses auxiliaires employées par l’État, elle considère que, si elles sont seules, leur salaire «leur permet à peine de payer le loyer de leur mansarde la fin du mois et de se nourrir de pain sec et de pomme de terre». Le 6 juillet 1920, se faisant «l'interprète des femmes», elle présente une motion pour limiter la consommation des boissons alcooliques, que le Parlement approuve; le 20 juillet, elle dénonce les mauvaises conditions hygiénique-sanitaires du pavillon maternité sis dans le quartier Pfaffenthal, lieu de douleur physique et morale, bref «une étable», où les parturientes se trouvent dans des conditions misérables; le 23 juillet, elle parle en faveur des prostituées enfermées dans la prison féminine de Stadtgrund rien que pour avoir contracté des maladies vénériennes: «Ayez le courage de le dire, Messieurs, la société actuelle que vous soutenez et défendez, a utilisé ces pauvres malheureuses pour préserver les femmes mieux situées, les femmes riches», obtenant par la suite la fondation d’une clinique spécialisée dans les soins de ces maladies.
Le 15 mars 1921, à la suite de l’arrestation de plusieurs femmes qui avaient participé aux manifestations pour réclamer de meilleures conditions de travail, à un député conservateur qui affirme que les femmes devraient rester à la maison, elle riposte que les femmes ont été obligées par la société capitalistes à sortir de leurs maisons pour entrer dans le monde du travail, parce que les hommes ne gagnent pas suffisamment pour maintenir leurs familles: «Eh bien, maintenant les femmes travaillent, et soutiennent la lutte du prolétariat, et quand vous leur dites de rentrer chez elles, eh bien, elles n’y rentreront pas» (des exclamations d’approbation à gauche), et encore: «Le jour où les femmes se trouveront au Gouvernement, les choses se passeront autrement» (éclats de rire à droite). Quand, après avoir quitté le Parti Socialiste pour le Parti Socialiste Radical, Marguerite rentre au Parlement, et surtout quand sa formation devient majoritaire, ses interventions se font plus rares: Renée Wagener explique son peu d’activisme par l’engagement parallèle dans la municipalité, ou, peut-être, par une position plus subordonnée dans le nouveau groupe politique que dans le précédent. Toujours est-il qu’après 1931, quand elle n’est pas réélue, on ne sait plus rien d’elle. Elle a quarante-cinq ans, elle en vivra encore quarante-sept. On ne sait donc pas comment elle a affronté la deuxième, féroce occupation de son pays par le (troisième) Reich, pendant la seconde guerre mondiale; si elle a soutenu ou si elle a pris part à la Résistance luxembourgeoise (dans laquelle une autre femme extraordinaire, Lily Unden, se distingue;) ni comment elle a vécu l’après-guerre et ses événements: la fondation de l’Union Européenne (1957), la renonciation à la couronne de la Grande-Duchesse Charlotte en faveur de son fils aîné (1964) et, enfin, l’élection d’une autre femme au Parlement (1965), après qu’elle, bien avant, avait frayé la voie et qu’elle n’avait été acceptée que parce que sa présence représentait une exception: une femme face à quarante-sept hommes. Marguerite Thomas-Clement meurt le 11 avril 1979 à Noerdingen, près de Beckerich (ville luxembourgeoise de frontière avec la Belgique), oubliée des partis dans lesquels elle avait milité. On a donné son nom à une petite rue du quartier Belair de la capitale, à une rue à Strassen, dans le Luxembourg central, et à une autre à Roeser, dans le Luxembourg méridional.
Rue Marguerite Thomas-Clement à Roeser, Luxembourg (https://commons.wikimedia.org/wiki/File:R%C3%A9iser,_Sch%C3%ABld_Rue_Marguerite-Thomas-Clement.jpg)
Mes remerciements vont à Cecilia Cametti et à Marcello Campiotti de la Bibliothèque Communale de Lodi, pour avoir créé, encore une fois, un pont libraire avec le Luxembourg.
Traduzione inglese Emanuela Prandi
«The oath has begun. Madame Thomas is now standing on the podium. We are staring at her. Her arm raised, her hand open, the solemn oath, the prying eyes of her male colleagues: this gives us gooseflesh. She has stepped into the arena, she has had the courage to be the first woman in the history of Luxembourg to take political responsibility and she has solemnly sworn she will do her best. The world around us disappears. It’s a unique and unforgettable feeling».
With these words, seventy years later, Berthe Schmitz, who eye-witnessed that moment, remembers the swearing in of the very first (and only) woman elected to the unicameral Parliament of the Grand Duchy of Luxembourg, after the political elections on 26th October 1919: Marguerite Thomas-Clement. The episode is mentioned in a short biography dedicated to this brave and strong-willed woman by the scholar Renée Wagener (Marguerite Thomas-Clement.Sprecherin der Frauen: Die erste Luxemburger Abgeordnete, in Wenn nun wir Frauen auch das Wort ergreifen. 1880-1950, Luxembourg, Ministère de la Culture, 1997, p. 99-112).
Photographic portrait of Marguerite Thomas-Clement, taken between 1924 and 1931, when she was a member of the Radical Socialist Party (http://fraendag.lu/personlichkeiten/marguerite-thomas-clement/)
In October 1919, Luxembourg had just escaped from the storm of the Great War and of the Nazi occupation, which violated its neutrality, maybe with the Grand Duchess Marie-Adélaïde’s consent; the young sovereign’s controversial attitude had put the independence of the country in danger (France and Belgium supported annexation), which was later recognized by the peace treaties of Versailles in June that very same year. A crucial year indeed: Marie-Adélaïde abdicated in favour of her sister Charlotte, who was twenty-three at the time (and who would rule wisely over Luxembourg for forty-five years), while the tensions of the so called European Red Biennium reached the Granduchy with demonstrations and strikes in demand for fairer wages and better social conditions. While in the rest of the continent the suffragettes were fighting for women’s right to vote, risking their own personal freedom and life in the name of gender equality and dignity, Luxembourg women were granted suffrage in 1919 and in October of that year the first election by universal suffrage were held, while the country was going through a democratic process. However, as it is well known, women struggled for political participation and each woman standing as a candidate meant fewer men having the possibility of being elected: Marguerite was the only woman to run for Parliamentary election for the Socialist Party, while no woman was nominated by the Liberal League, against universal suffrage, and the only female candidate on the Right-Wing Party list was not elected (women do not vote for women), although the party won the most seats. When she was elected to Parliament, in the Zentrum constituency, Marguerite was thirty-three. Marie-Marguerite Caroline Clement was born in Luxembourg on the 17th May 1886 to Carl Joseph and Maria Kolbach. She was a teacher, living in Limpertsberg, a residential neighborhood in the capital and in 1917 she got married in Stuttgart to Xavier Thomas, a socialist member of the Action Républicaine. Hardly anything is known about her private life, since Renée Wagener mainly writes about her political career and her parliamentary activity.
Luxembourg City, Lily Becker, member of the Socialist Party, with Marguerite Thomas-Clement, speaking during a labourers demonstration on 13th August 1919 (http://fraendag.lu/personlichkeiten/lily-becker-krier/)
In 1920, with Lily Becker, another prominent member of the Socialist Party, Marguerite was elected member of the Municipal Council: it was a busy year, yet not always successful. On the occasion of 1st May festivities, she took the floor in Place Glacis, in front of thousand workers.
Luxembourg City, Place Glacis, 1st May 1920: Marguerite Thomas-Clement took part in the demonstration and spoke to thousands of workers (https://onsstad.vdl.lu/fileadmin/uploads/media/ons_stad_77-2004_6-11.pdf)
On the 24th September she submitted a bill (n. 48), first read in parliament on the 5th October, «tendant établir, après l’égalité politique, l’égalité civile et économique des deux sexes». The text included a short introduction, here entirely quoted: «Man’s rights– as human beings– include and impose woman’s rights. Yet, for them both, these rights, although declared, will become true only in a socialist society. In the meantime, it is immediately possible for us to gain, just after political equality, civil and economic equality between genders». The bill, which was not passed, included three absolutely obvious articles: «1. All the provisions of the law that establish the inferiority of women to men are and will remain repealed. 2. All women are admitted to the benefit of all the laws hitherto applied to men only. 3. All laws, in the future, will and must apply to any human beings, without distinction of gender». Marguerite could not be the only one to take women’s rights upon her shoulders: in the years to follow, the Luxembourg Parliament clearly showed it lacked the political will to achieve gender equality; Marguerite’s affirmation that only a socialist society would be able to remove the obstacles that hindered the achievement of such a goal is noteworthy.
Original text of the bill submitted by Marguerite Thomas-Clement on 24th September 1920 to gain political, civil and economic equality between men and women (Renée Wagener, Marguerite Thomas-Clement. Sprecherin der Frauen: Die erste Luxemburger Abgeordnete, in Wenn nun wir Frauen auch das Wort ergreifen. 1880-1950, Luxembourg, Ministère de la Culture, 1997, pp. 99-112, on p. 106)
In an atmosphere of internal division of the socialist movement following the failure of the Red Biennium, Thomas-Clement joined the Radical Socialist Party: excluded from Parliament between 1922 and 1924, she was then re-elected on the list of the new party , with left-liberal inspiration, and took part in parliamentary work until 1931 (from 1926 as member of the majority: twelve years of intense political activity, both on a national and municipal scale (she was indeed member of the Municipal Council of Luxembourg City from 1920 to 1928). Twelve years in which, as the only woman in Parliament, she seriously addressed issues related to the social and economic condition of women, at times being mocked by men: in one of the editorials published on the 26th February on the front page of the Luxembourg newspaper «Freie Presse», Die Dame (The Lady, that is Marguerite Thomas-Clement) was defined with the French derogatory term culot, which means bold. The following brief overview of her speeches in Parliament (in French) is illuminating and can testify to her courage and farsightedness in addressing some issues that the Luxembourg society deliberately ignored at that time. In 1919 State administration opened to female employment (until then limited to teaching), but with a distinction: when the woman got married, she was automatically dismissed, because the so called «double gain» was considered immoral. In vain, on 13th November, Thomas-Clement argued that «the Grand Duchess Charlotte has just got married on the 6th November, yet nobody has asked her to abdicate» and if a woman works to improve family stability and grant her children a better education, she must not be blamed, since «le mariage n’est pas un but pour la femme», marriage is not the goal of a woman. The motion was rejected. On the same day, she lamented the appalling conditions in which female labourers were forced to work in the mining, iron and steel company Gelsenkirchener Bergwerks-AG; on 18th December, referring to state auxiliary workers, she claimed that with their modest income, if they were single, «they can hardly pay the rent of the garret where they live, eating stale bread and potatoes». On 6th July 1920, acting as «interprète des femmes», she tabled a motion to limit alcohol consumption, then passed in Parliament; on 20th July she denounced the poor sanitary and hygienic conditions of the maternity ward in Pfaffenthal, a place of pain and suffering, in a few words «une étable», a cowshed, where women in labour gave birth in miserable conditions; on 23rd July she spoke on behalf of the prostitutes incarcerated in Stadtgrund female prison only for contracting venereal diseases: «Be brave enough to admit, Sirs, that the society you support and defend, has used these poor wretches to protect upper-class women, rich women», thus obtaining the foundation of a specialized clinic for the treatment of venereal diseases.
On 15th March 1921, following the detention of several women who had demonstrated for better working conditions, she replied to a conservative MP who had stated that «les femmes» should stay home, arguing that women were obliged to leave their homes to get a job in the capitalist world, because men did not earn enough to support their families: «Women now work and support the struggle of the proletariat, and if you tell them to go back home, well, they won’t» (exclamations of approval from the left), and: «The day when women are in government, things will be different» (laughter from the right). When, after leaving the Socialist Party to join the Social Radicals, Marguerite re-entered Parliament, and especially when her party gained the majority, her speeches became less and less frequent: Renée Wagener justifies her weaker activism with her parallel engagement in the Municipality or, maybe, with a more subordinate role in the new political group. The fact remains that, after 1931, when she was not re-elected, nothing was heard from her. She was forty-five, and she was to live until ninety-two. Nothing is therefore left to know about how she faced the second, ferocious occupation of her country by the (Third) Reich, during WWII; if she supported or took part in the Luxembourg Resistance (in this respect it is worth mentioning another extraordinary woman, Lily Unden); how she lived the aftermath of the war: the foundation of the European Union (1957),the abdication of the Grand Duchess Charlotte in favour of her eldest son and heir (1964) and, finally, the election of another woman to the Parliament (1965)after she had paved the way, many years before, and she had been accepted precisely because her presence was an exception: a woman among forty-seven men. Marguerite Thomas-Clement died on 11th April 1979 in Noerdingen, near Beckerich (a town in Luxembourg on the border with Belgium), forsaken even by the parties she had been a member of. A small street name in Belair, a quarter in the city of Luxembourg, one in Strassen, in central Luxembourg and one in Roeser, in the south of the country have been named after her.
Rue Marguerite Thomas-Clement in Roeser, Luxembourg (https://commons.wikimedia.org/wiki/File:R%C3%A9iser,_Sch%C3%ABld_Rue_Marguerite-Thomas-Clement.jpg)
Thanks, once again, to Cecilia Cametti and Marcello Campiotti of the Biblioteca Comunale Laudense, for helping me find books from Luxembourg.
Traduzione spagnola Roberta Delia
«El juramento ha empezado. Ahora Madame Thomas está en el podio. La miramos intensamente. El brazo levantado, la mano abierta, el juramento solemne, las miradas escrutadoras y contemplativas de los colegas varones: todo esto nos pone la piel de gallina. Ella entró en el campo, se atrevió a ser la primera mujer en la historia de Luxemburgo en asumir responsabilidades políticas y prometió solemnemente hacer todo lo posible. El mundo desaparece a nuestro alrededor. Nos queda una sensación de singularidad, de irrepetibilidad».
Así, setenta años después, Berthe Schmitz, que fue testigo ocular, recuerda la toma de posesión de la primera (y única) mujer elegida en el Parlamento unicameral del Gran Ducado de Luxemburgo, tras las elecciones políticas del 26 de octubre de 1919: Marguerite Thomas-Clement. El episodio se menciona en la breve monografía dedicada a esta mujer valiente y obstinada por la erudita Renée Wagener (Marguerite Thomas-Clement. Sprecherin der Frauen: Die erste Luxemburger Abgeordnete, en Wenn nun wir Frauen auch das Wort ergreifen. 1880-1950, Luxemburgo, Ministerio de Cultura, 1997, págs. 99-112).
Retrato fotográfico de Marguerite Thomas-Clement, realizado entre 1924 y 1931, cuando la diputada militaba en el Partido Socialista Radical (http://fraendag.lu/personlichkeiten/marguerite-thomas-clement/)
En octubre de 1919 la pequeña nación luxemburguesa se libró de la Gran Guerra y de la ocupación por parte del Reich, que violó su neutralidad, quizás con la condescendencia de la Gran Duquesa Marie-Adélaïde; la actitud controvertida de la joven gobernante puso en peligro la independencia del estado (Francia y Bélgica presionaban para la anexión), reconocida posteriormente por los acuerdos de paz de Versalles de junio del mismo año. Un año crucial: Marie-Adélaïde abdica en favor de su hermana Charlotte, entonces de veintitrés años (que gobernará Luxemburgo con equilibrio durante cuarenta y cinco años), cuando en el Gran Ducado se perciben las tensiones del llamado Bienio Rojo Europeo, las manifestaciones y huelgas de trabajadores y trabajadoras para obtener mejores condiciones salariales y sociales. Mientras en el resto del continente las sufragistas reclamaban, incluso a costa de la libertad personal y el sacrificio de la vida, el derecho al voto de las mujeres, en reconocimiento a la igualdad de derechos de los dos géneros, en Luxemburgo este derecho se concedió precisamente en 1919, en el marco de una reorganización democrática del Estado: las elecciones de octubre, por tanto, son las primeras con sufragio universal que se celebran en el país. Sin embargo, como es bien sabido, a las mujeres les cuesta afirmarse en la política, y cada candidatura femenina significa una candidatura masculina (y un posible diputado varón) menos: Marguerite es la única mujer del Partido Socialistaque aspira al Parlamento, mientras la Liga Liberal, contraria al sufragio femenino, no presenta ninguna y el Partido de la Derecha, que ha incluido a una mujer en su lista, no consigue que salga elegida (las mujeres no votan por las mujeres), pese a obtener la mayoría de escaños. Cuando fue elegida para el Parlamento, en la circunscripción de Zentrum, Marguerite tenía treinta y tres años. Marie-Marguerite Caroline Clement había nacido en Luxemburgo el 17 de mayo de 1886, hija de Carl Joseph y Maria Kolbach, era profesora, vivía en el distrito de Limpertsberg de la capital, en 1917 se había casado en Stuttgart con Xavier Thomas, socialista y miembro de la Acción Républicaine. Poco o nada se sabe de su vida privada, ya que Renée Wagener privilegia su carrera política y su actividad parlamentaria.
Ciudad de Luxemburgo, Lily Becker, exponente del Partido Socialista con Marguerite Thomas-Clement, habla en una manifestación de trabajadores el 13 de agosto de 1919 (http://fraendag.lu/personlichkeiten/lily-becker-krier/)
En 1920, con Lily Becker, otra destacada exponente del Partido Socialista, Marguerite fue elegida en el municipio luxemburgués: fue un año lleno de compromisos, no todos coronados por éxitos. Con motivo de las manifestaciones del 1 de mayo, toma la palabra en la céntrica Place Glacis, frente a algunos miles de trabajadores y trabajadoras.
Ciudad de Luxemburgo, Place Glacis, 1 de mayo de 1920: Marguerite Thomas-Clement también participa en el evento, hablando con varios miles de trabajadores (https://onsstad.vdl.lu/fileadmin/uploads/media/ons_stad_77-2004_6-11.pdf)
El 24 de septiembre presentó un proyecto de ley (la n° 48), que se leyó en el Parlamento el 5 de octubre, «tendant établir, après l'égalité politique, l'égalité civile et économique des deux sexes». Dicho texto consta de una breve premisa que es útil mencionar por entero: «Los derechos del hombre –como ser humano– incluyen e imponen los derechos de la mujer. Pero, tanto para esta como para aquel, estos derechos, aunque declarados, solo se convertirán en una realidad concreta en la sociedad socialista. Mientras tanto, después de la igualdad política, la igualdad civil y económica de ambos sexos es algo inmediatamente posible y que es podemos lograr en poco tiempo». El proyecto de ley, que no se aprobará, consta de tres artículos muy relevantes: «1. Todas las disposiciones de la ley que establecen la inferioridad de la mujer con respecto al hombre están y permanecerán derogadas. 2. Las mujeres pueden beneficiarse de todas las leyes hasta ahora aplicadas únicamente a los hombres. 3. Todas las leyes, en el futuro, afectarán y deberán afectar al ser humano sin distinción de sexo». Marguerite no podía ser la única en hacerse cargo de los derechos de las mujeres: es evidente que, en los años siguientes, el Parlamento de Luxemburgo careció de voluntad política para obtener la igualdad de géneros; por otro lado, hay que recordar la afirmación de la diputada respecto a que sólo la sociedad socialista podría eliminar los obstáculos que dificultaban el logro de dicho objetivo.
El texto original del proyecto de ley presentado por Marguerite Thomas-Clement el 24 de septiembre de 1920, por la igualdad política, civil y económica de los dos sexos (Renée Wagener, Marguerite Thomas-Clement. Sprecherin der Frauen: Die erste Luxemburger Abgeordnete, en Wenn nun wir Frauen auch das Wort ergreifen. 1880-1950, Luxemburgo, Ministerio de Cultura, 1997, págs. 99-112, en la pág. 106).
En el clima de división dentro del movimiento socialista europeo tras el fracaso del Bienio Rojo, Thomas-Clement se unió al Partido Socialista Radical: excluida del Parlamento entre 1922 y 1924, ese año fue reelegida en la lista de la nueva formación, que se inspiraba en la izquierda liberal, y participó en la labor parlamentaria hasta 1931 (desde 1926 como diputada de la mayoría): doce años de intensa actividad política, tanto a nivel nacional como municipal (de hecho formó parte del Consejo Municipal de la Ciudad de Luxemburgo de 1920 a 1928). Doce años en los que, única mujer en el Parlamento, aborda con determinación cuestiones relativas a la condición social y económica de las mujeres, en ocasiones siendo burlada por los hombres: célebre el fondo publicado el 26 de febrero de 1929 en la portada del diario luxemburgués Freie Presse, donde Die Dame (La Dama, es decir Marguerite Thomas-Clement) recibe el epíteto despectivo francés culot, descarada. Una breve panorámica de sus discursos (en francés) en el Parlamento esclarece y testimonia su coraje y previsión al abordar cuestiones que la sociedad luxemburguesa de su tiempo ignoró deliberadamente: en 1919 el amplio sector del empleo público se abría al empleo femenino (hasta entonces limitado a la docencia), pero con una distinción: cuando la mujer se casaba, automáticamente era despedida, ya que se consideraba inmoral la llamada “doble ganancia”. En vano, el 13 de noviembre, Thomas-Clement objetó que «la gran duquesa Charlotte acaba de casarse el 6 de noviembre, y a nadie se le se le ha ocurrido pedirle que abdicara» y que, aunque la mujer trabajara para acomodar su situación familiar y garantizar una mejor educación a los hijos, no había nada a criticar, pues «le mariage n’est pas un but pour la femme», el matrimonio no es el objetivo de una mujer. El hecho su moción fue rechazada. El mismo 13 de noviembre de 1919 se quejó de las pésimas condiciones en las que se veían obligadas a prestar su trabajo las trabajadoras de las industrias mineras y siderúrgicas Gelsenkirchener Bergwerks-AG; el 18 de diciembre, respecto a las trabajadoras auxiliares empleadas en el estado, señaló que el modesto salario que recibían, si estaban solas, «solo les permite pagar el alquiler del ático en el que viven y alimentarse de pan seco y patatas». El 6 de julio de 1920, haciéndose «interprète des femmes», presentó una moción para limitar el consumo de alcohol, que el Parlamento aprobó; el 20 de julio denunció las malas condiciones higiénico-sanitarias de la maternidad ubicada en el distrito de Pfaffenthal, un lugar de dolor físico y moral, en definitiva «une étable», un establo, donde las mujeres embarazadas se hallaban en ambientes miserables; el 23 de julio se pronunció a favor de las prostitutas encerradas en la prisión de mujeres de Stadtgrund solo por haber contraído enfermedades venéreas: «Tengan el valor de decirlo, señores, la sociedad a la que apoyan y defienden ha utilizado a estas pobres desgraciadas para proteger a las mujeres de la alta sociedad, las mujeres ricas», y obteniendo la fundación de una clínica especializada para el tratamiento de estas enfermedades.
El 15 de marzo de 1921, tras la detención de varias mujeres que se habían manifestado para exigir mejores condiciones laborales, respondió a un diputado conservador que sostenía que «les femmes» debían quedarse en casa, replicando que las mujeres se veían obligadas por la sociedad capitalista a abandonar sus hogares y entrar en el mundo laboral, porque los hombres no ganaban lo suficiente para mantener a sus familias: «Ahora las mujeres trabajan y apoyan la lucha del proletariado, y si les dices que se vayan a casa, pues no lo harán» (exclamaciones de aprobación de la izquierda), y nuevamente: «El día que las mujeres estén en el gobierno, las cosas serán diferentes» (risas de la derecha). Cuando, tras dejar el Partido Socialista por el Radical Socialista, Marguerite volvió al Parlamento, y sobre todo cuando su formación se convirtió en mayoritaria, sus intervenciones se redujeron: Renée Wagener explica su menor activismo con el compromiso paralelo en el municipio, o, quizás, con una posición más subordinada en el nuevo grupo político que el anterior. Cierto es que a partir de 1931, cuando no fue reelegida, no se sabe nada más de ella. Tenía cuarenta y cinco años, vivió otros cuarenta y siete. No se sabe, por tanto, cómo enfrentó la segunda, feroz ocupación de su país por el (Tercer) Reich, durante la Segunda Guerra Mundial; si apoyó la Resistencia de Luxemburgo o participó en ella (en la que se menciona a otra mujer extraordinaria, Lily Unden); cómo vivió la posguerra y sus consecuencias: la fundación de la Unión Europea (1957), la renuncia al trono de la Gran Duquesa Charlotte en favor de su hijo mayor (1964) y, finalmente, la nueva elección de una mujer al Parlamento (1965) después de que ella, muchos años antes, abriera el camino y, después de todo, fuera aceptada precisamente porque su presencia era una excepción: una mujer frente a cuarenta y siete hombres. Marguerite Thomas-Clement murió el 11 de abril de 1979 en Noerdingen, cerca de Beckerich (una ciudad de Luxemburgo en la frontera con Bélgica), olvidada por los mismos partidos en los que militó. Una pequeña calle en el distrito de Belair de la ciudad de Luxemburgo lleva su nombre, así como una en Strassen, en el centro de Luxemburgo, y otra en Roeser, en el sur de Luxemburgo.
Rue Marguerite Thomas-Clement en Roeser, Luxemburgo (https://commons.wikimedia.org/wiki/File:R%C3%A9iser,_Sch%C3%ABld_Rue_Marguerite-Thomas-Clement.jpg)
Gracias, como siempre, a Cecilia Cametti y Marcello Campiotti de la Biblioteca Municipal Laudense, por haber creado un puente bibliotecario con Luxemburgo.
Françoise d'Eaubonne Emma de Pasquale
Viola Gesmundo
Nata a Parigi il 12 marzo 1920, Françoise d'Eaubonne cresce in un ambiente profondamente caratterizzato dal conservatorismo religioso: il padre, Étienne Piston d'Eaubonne, è un membro del movimento progressista cristiano Le Sillon e la madre, Rosita Martinez Franco, è figlia di un rivoluzionario carlista.Trascorre l’infanzia nella città di Tolosa, cercando un clima più favorevole alla salute di suo padre, costantemente malato a causa dei gas tossici inalati durante la Prima guerra mondiale. Dal 1936 al ’39 segue con partecipazione gli eventi della Guerra civile spagnola e la sua famiglia accoglie esuli fuggiti alla dittatura di Franco. Il suo talento per la scrittura si rivela precocemente, quando vince il premio della casa editrice Denoël per il miglior racconto under 13. Dopo aver terminato gli studi universitari da autodidatta, aderisce alla Resistenza francese contro il nazifascismo e pubblica, durante la guerra, la prima raccolta di poesie: Colonnes de l'âme, edita da Lutétia nel 1942. Nel 1944 s’iscrive al Partito comunista, che lascerà pochi anni dopo per una forte dissonanza sulle tematiche dell’ecologismo, del femminismo e della differenza sessuale. Negli anni seguenti, persegue contemporaneamente la sua carriera letteraria e il suo attivismo politico: essendo rimasta sola con la figlia dopo il divorzio dal marito nel ’44, decide di affidare la bambina ai nonni, per potersi concentrare sulla costruzione di un percorso professionale. L’episodio mette in luce, nella vita privata di d’Eaubonne, quanto la maternità costituisca per i paradigmi sociali un ostacolo spesso insormontabile all’affermazione lavorativa della donna. Una vera rivoluzione interiore per d’Eaubonne è rappresentata dalla pubblicazione del saggio Il secondo sesso di Simone de Beauvoir: la lettura del libro le consente di osservare la sua esperienza di donna sotto una lente completamente diversa, e da quel momento la filosofa si assesta su un nuovo centro di gravità da cui analizzare l’esistenza. Ispirandosi proprio a de Beauvoir scrive il suo primo saggio femminista nel 1951, Le complexe de Diane: un’opera in cui, partendo dalla classicità, analizza le questioni storiche e culturali che hanno portato all’esclusione delle donne dalla politica e in cui introduce inoltre l’idea di una bisessualità originaria e del genere binario come costrutto sociale. La sua formazione politica di stampo marxista emerge chiaramente nel testo, dal momento in cui intreccia inesorabilmente la lotta femminista alla lotta di classe e il destino delle donne come parte di una rivoluzione collettiva.
Nel periodo successivo continua a scrivere romanzi, saggi e poesie, che arricchiscono una vastissima produzione, di oltre cento pubblicazioni. È nel 1971 che si avvicina definitivamente alla lotta per i diritti delle donne e delle persone omosessuali, partecipando alla fondazione del Mouvement de Libération des Femmes (Mlf) e Front Homosexuel d’Action Révolutionnaire (Fhar), il primo movimento rivoluzionario che unisce sotto la stessa sigla gay e lesbiche francesi, che, tra l’altro, dà anche un forte impulso alla nascita del Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano (F.u.o.r.i). Nello stesso anno prende parte al Manifeste de 343, una dichiarazione pubblicata sulla rivista Nouvel Observateur, in cui 343 donne ammettono di aver avuto un aborto, rischiando di andare incontro a dure conseguenze penali: il manifesto dà un’importante scossa al dibattito sulla legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza e sul diritto di scelta. Nel 1972, essendo sorto a livello globale il problema dello sfruttamento delle risorse del pianeta, d’Eaubonne comincia a dare una svolta ecologica al suo laboratorio di pensiero, pubblicando il libro Histoire et actualité du féminisme, nel quale analizza lo sviluppo della «fallocrazia» (termine di cui le si attribuisce la creazione) e aggiudica la responsabilità della crisi globale al sistema patriarcale, che impone il proprio potere tanto sul corpo delle donne quanto sulla Terra. Introduce così il nesso tra femminismo ed ecologismo, che caratterizzerà tutta la sua attività politica e letteraria successiva. Infatti, nel 1973 fonda il Fronte Femminista, diventato nel ’74 il Centro di Ecologia Femminista, un movimento che punta ad affrontare i problemi ecologici nell’ottica di una rivoluzione di genere. Elabora così il concetto di «ecofemminismo», introdotto nel saggio del ’74 Le féminisme ou la mort, in cui afferma che lo sviluppo del mondo contemporaneo è basato sull’abuso concomitante della natura e della donna procreatrice. «Da quando l’uomo si impadronì del suolo, quindi della fertilità (più tardi dell’industria) e del ventre della donna, quindi della fecondità, era logico che l’eccessivo sfruttamento dell’uno e dell’altra conducessero a questa doppia minaccia: eccesso delle nascite e distruzione dell’ambiente».(Le féminisme ou la mort, p. 221) La proposta chiede una redistribuzione del potere, affidando alle donne il controllo demografico e la gestione libera della propria fertilità, dal momento in cui a pagare le conseguenze della procreazione incontrollata sono fondamentalmente sia le donne che bambini e bambine.
«Il primo rapporto dell'ecologia con la liberazione delle donne è la ripresa demografica da parte loro [...]. Questa liberazione è già iniziata nei paesi altamente industrializzati che sono obbligati, per motivi di produttività, a concedere alle donne la contraccezione». (Tradotto dal libro collettivo di Michèle Dayras, Liberté, égalité et les femmes?, p. 177) D’Eaubonne sostiene, in sintesi, che le lotte non vadano affrontate separatamente, ma come un’unica missione rivoluzionaria e, inoltre, supporta la violenza come mezzo d’azione, esprimendo la sua posizione al riguardo nel saggio Contre-violence ou la Résistance à l’État, pubblicato nel 1978. In questo senso, collabora anche con gruppi di estrema sinistra come Fraction armée rouge e Action directe, con l’obiettivo di costruire una società egualitaria, ecologica, femminista e autorganizzata. L’utilizzo della «controviolenza» come mezzo rivoluzionario si manifesta soprattutto nella lotta al nucleare, quando, il 3 maggio 1975, commette un attentato alla centrale in costruzione a Fessenheim, in Alsazia, facendone esplodere il circuito idraulico e ritardandone l’apertura. Come risultato di questi anni di attivismo, nel 1978, fonda Ecologie-Feminisme, un movimento che, sebbene non riscuota grande successo in Francia, ottiene un buon riconoscimento internazionale. Perciò, dagli anni Ottanta fino alla morte, d’Eaubonne stabilisce contatti e collaborazioni con collettivi, centri di studio e università estere, continuando a militare per la soppressione del sistema patriarcale con il duplice e inestricabile obiettivo di una rivoluzione ecologica e femminista. Si spegne a Parigi il 3 agosto del 2005. Purtroppo, la figura di d’Eaubonne è stata progressivamente dimenticata e le sue parole illuminate hanno avuto una scarsa diffusione tanto in Francia quanto a livello globale: nonostante sia la pioniera del pensiero ecofemminista, gli sviluppi multidirezionali del movimento hanno oscurato la sua filosofia, che, per quanto sicuramente radicata in un contesto storico e sociale oramai lontano da noi, ha avuto la lucidità precoce di analizzare a collegare le varie sfaccettature dell’oppressione patriarcale.
Traduzione francese Joelle Rampacci
Née à Paris le 12 mars 1920, Françoise d'Eaubonne grandit dans un environnement profondément marqué par le conservatisme religieux : son père, Étienne Piston d'Eaubonne, était membre du mouvement chrétien progressiste Le Sillon et sa mère, Rosita Martinez Franco, était la fille d'un révolutionnaire carliste. Elle passe son enfance dans la ville de Toulouse, à la recherche d'un climat plus favorable à la santé de son père, constamment malade à cause des gaz toxiques inhalés pendant la Première Guerre mondiale. De 1936 à 1939, elle suit les événements de la guerre civile espagnole et sa famille accueille des exilés qui ont fui la dictature de Franco. Son talent d'écrivain se révèle très tôt lorsqu’elle remporte le prix des éditions Denoël pour la meilleure histoire des moins de 13 ans. Après avoir terminé ses études universitaires en autodidacte, elle s'engage dans la Résistance française contre le nazi-fascisme et publie son premier recueil de poèmes pendant la guerre : Colonnes de l'âme, publié par Lutétia en 1942. En 1944, elle adhère au Parti communiste, qu'elle quitte quelques années plus tard en raison d'une forte dissonance sur les thèmes de l'écologisme, du féminisme et de la différence sexuelle. Dans les années qui suivent, elle poursuit à la fois sa carrière littéraire et son militantisme politique : restée seule avec sa fille après son divorce avec son mari en 1944, elle décide de confier l'enfant à ses grands-parents afin de pouvoir se concentrer sur la construction d'une carrière professionnelle. Cet épisode met en évidence, dans la vie privée de d'Eaubonne, à quel point la maternité constitue, selon les paradigmes sociaux, un obstacle souvent insurmontable à l'affirmation professionnelle d'une femme. La publication de l'essai de Simone de Beauvoir, Le Deuxième Sexe, constitue une véritable révolution intérieure pour d'Eaubonne : la lecture de ce livre lui permet de voir son expérience de femme sous un angle complètement différent et, à partir de ce moment, la philosophe se fixe un nouveau centre de gravité pour analyser l'existence. Inspirée par de Beauvoir, elle écrit son premier essai féministe en 1951, Le complexe de Diane : un ouvrage dans lequel, partant du classicisme, elle analyse les questions historiques et culturelles qui ont conduit à l'exclusion des femmes de la politique et dans lequel elle introduit également l'idée d'une bisexualité originelle et du genre binaire comme construction sociale. Sa formation politique marxiste est évidente dans le texte, car elle entremêle inexorablement la lutte féministe avec la lutte des classes et le sort des femmes dans le cadre d'une révolution collective.
Au cours de la période suivante, elle continue à écrire des romans, des essais et des poèmes, qui enrichissent une vaste production de plus de cent publications. C'est en 1971 qu'elle aborde définitivement la lutte pour les droits des femmes et des homosexuels, en participant à la fondation du Mouvement de Libération des Femmes (Mlf) et du Front Homosexuel d'Action Révolutionnaire (Fhar), premier mouvement révolutionnaire à réunir les gays et les lesbiennes français sous un même emblème qui donnera également une forte impulsion à la naissance du Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano (F.u.o.r.i). La même année, elle participe au Manifeste de 343, une déclaration publiée dans le magazine Nouvel Observateur, dans laquelle 343 femmes avouent avoir eu recours à l'avortement, au risque de subir de lourdes conséquences pénales : le manifeste a donné une poussée importante au débat sur la légalisation de l'interruption volontaire de grossesse et le droit de choisir. En 1972, alors que le problème de l'exploitation des ressources de la planète se pose à l'échelle mondiale, d'Eaubonne commence à donner une tournure écologique à son laboratoire de pensée en publiant le livre Histoire et actualité du féminisme, dans lequel elle analyse le développement de la "phallocratie" (terme qui lui est attribué) et attribue la responsabilité de la crise mondiale au système patriarcal, qui impose son pouvoir tant sur le corps des femmes que sur la Terre. Elle introduit ainsi le lien entre féminisme et écologie, qui caractérisera toute son activité politique et littéraire ultérieure. En effet, en 1973, elle fonde le Front féministe, qui devient en 1974 le Centre d'écologie féministe, un mouvement qui vise à aborder les problèmes écologiques dans la perspective d'une révolution de genre. Elle élabore le concept d'"écoféminisme", introduit dans son essai de 1974 intitulé "Le féminisme ou la mort", dans lequel elle affirme que le développement du monde contemporain est fondé sur l'abus concomitant de la nature et de la femme qui procrée. "Puisque l'homme a pris possession du sol, puis de la fertilité (plus tard de l'industrie), et du ventre de la femme, puis de la fécondité, il était logique que la surexploitation de l'un et de l'autre conduise à cette double menace : excès de naissances et destruction de l'environnement. "(Le féminisme ou la mort, p. 221). La proposition appelle à une redistribution du pouvoir, en donnant aux femmes le contrôle démographique et la libre gestion de leur propre fertilité, puisque ce sont essentiellement les femmes, ainsi que les enfants garçons et filles, qui paient les conséquences d'une procréation non contrôlée.
"Le premier rapport de l'écologie à la libération des femmes est le redressement démographique de leurs mains[...]. Cette libération a déjà commencé dans les pays hautement industrialisés qui sont obligés, pour des raisons de productivité, d'autoriser les femmes à utiliser la contraception". (Traduit de l'ouvrage collectif de Michèle Dayras, Liberté, égalité et les femmes ?, p. 177) D'Eaubonne soutient, en résumé, que les luttes ne doivent pas être abordées séparément, mais comme une seule mission révolutionnaire et, en outre, soutient la violence comme moyen d'action, exprimant sa position à ce sujet dans l'essai Contre-violence ou la Résistance à l'État, publié en 1978. En ce sens, elle collabore également avec des groupes d'extrême-gauche tels que Fraction armée rouge et Action directe, dans le but de construire une société égalitaire, écologique, féministe et auto-organisée. Son utilisation de la "contre-violence" comme moyen révolutionnaire est particulièrement évidente dans la lutte contre l'énergie nucléaire, lorsque, le 3 mai 1975, elle commet un attentat contre la centrale en construction à Fessenheim, en Alsace, en faisant sauter son circuit hydraulique et retardant son ouverture. À la suite de ces années de militantisme, elle fonde en 1978 Écologie-Féminisme, un mouvement qui, bien qu'il n'ait pas eu beaucoup de succès en France, a obtenu une bonne reconnaissance internationale. Ainsi, des années 1980 jusqu'à sa mort, d'Eaubonne établit des contacts et des collaborations avec des collectifs, des centres d'études et des universités à l'étranger, continuant à militer pour la suppression du système patriarcal avec le double et inextricable objectif d'une révolution écologique et féministe. Elle décède à Paris le 3 août 2005. Malheureusement, la figure de d'Eaubonne a été peu à peu oubliée et ses propos éclairés ont peu circulé en France ou dans le monde : bien que pionnière de la pensée écoféministe, les développements multidirectionnels du mouvement ont occulté sa philosophie qui, certes, s'enracinait dans un contexte historique et social aujourd'hui éloigné de nous, mais avait la lucidité précoce d'analyser et de relier les différentes facettes de l'oppression patriarcale.
Traduzione inglese Syd Stapleton
Born in Paris on March 12, 1920, Françoise d'Eaubonne grew up in an environment deeply characterized by religious conservatism. Her father, Étienne Piston d'Eaubonne, was a member of the Christian progressive movement Le Sillon and her mother, Rosita Martinez Franco, was a daughter of a Carlist revolutionary. She spent her childhood in the city of Toulouse, where her parents sought a climate more favorable to the health of her father, who was constantly ill due to the poison gas inhaled during the First World War. From 1936 to 1939, she participated in the events of the Spanish Civil War, and her family welcomed exiles who fled the Franco dictatorship. Her talent for writing was revealed early, when she won the prize of the Denoël publishing house for the best short story under by someone under 13 years old. After finishing her university studies as an auto-didact, she joined the French Resistance against Nazi-fascism and published, during the war, her first collection of poems, Colonnes de l'âme, published by Lutétia in 1942. In 1944 she joined the Communist Party, which she left a few years later due to strong differences on the issues of ecology, feminism and gender. In the following years, she pursued her literary career and her political activism at the same time. Left alone with her daughter after being divorced from her husband in '44, she decided to entrust the child to her grandparents in order to concentrate on building a professional path. The episode highlights, in d Eaubonne's private life, how much a woman’s motherhood, a social paradigm, constitutes an often insurmountable obstacle to a woman's professional success. A real interior revolution for d'Eaubonne was represented by the publication of the book The Second Sex by Simone de Beauvoir. Reading the book allowed her to observe her experience as a woman under a completely different lens, and from that moment the philosopher settled on a new center of gravity from which to analyze existence. Inspired by de Beauvoir, she wrote her first feminist treatise in 1951, Le complexe de Diane, a work in which, starting from classicism, she analyzes the historical and cultural issues that led to the exclusion of women from politics and in which she also introduces the idea of an original bisexuality and of the binary gender as a social construct. Her Marxist-like political background emerges clearly in the text, from the moment in which she inexorably intertwines the feminist struggle with the class struggle and the fate of women as part of a collective revolution.
In the following period she continued to write novels, essays and poems, which enrich a vast production of over one hundred publications. It was in 1971 that she definitively approached the struggle for the rights of women and homosexuals, participating in the foundation of the Mouvement de Libération des Femmes (MLF) and Front Homosexuel d'Action Révolutionnaire (FHAR), the first revolutionary movement that united, under the same acronym, French gays and lesbians, which, among other things, also gave a strong impetus to the birth of the Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano (F.O.U.R.I.). In the same year she took part in the Manifeste de 343, a declaration published in the Nouvel Observateur magazine, in which 343 women admit to having had an abortion, facing the risk of harsh consequences under French law. The manifesto gave an important shock to the debate on the legalization of voluntary termination of pregnancy and the right to choose. In 1972, the problem of the exploitation of the planet's resources having risen on a global level, d'Eaubonne began to give an ecological turn to her laboratory of thought, publishing the book Histoire et actualité du féminisme, in which she analyzes the development of "phallocracy" (a term whose creation is attributed to her) and assigns responsibility for the global crisis to the patriarchal system, which imposes its power both on the bodies of women and on the earth. She thus introduced the link between feminism and environmentalism, which characterized all her subsequent political and literary activity. In 1973 she founded the Feminist Front, which in 1974 became the Center for Feminist Ecology, a movement that aims to tackle ecological problems with a view to a gender revolution. In this way she elaborated the concept of "ecofeminism", introduced in the essay of 1974, Le féminisme ou la mort, in which she declared that the development of the contemporary world is based on the concomitant abuse of nature and the procreative woman. "Since the man took possession of the soil, therefore of fertility (later on industry) and of the womb of the woman, therefore of her fertility, it was logical that the excessive exploitation of one, and of the other, led to this double threat: an excess of births and the destruction of the environment." (Le féminisme ou la mort, p. 221) The proposal calls for a redistribution of power, entrusting women with demographic control and the free management of their fertility, since we have reached the moment in which both women and their children pay the consequences of uncontrolled procreation.
“The first link between ecology and the liberation of women is the demographic recovery on their part [...]. This liberation has already begun in highly industrialized countries which are obliged, for reasons of productivity, to grant women contraception.” (Translated from Michèle Dayras' collective book, Liberté, égalité et les femmes? p. 177) In summary, D'Eaubonne argues that the struggles should not be addressed separately, but as a single revolutionary mission and, moreover, supports violence as a means of action, expressing her position on this in the essay Contre-violence ou la Résistance à l'État, published in 1978. In this sense, she also collaborated with far-left groups such as the Red Army Faction and Direct Action, with the aim of building an egalitarian, ecological, feminist and self-organized society. The use of "counterviolence" as a revolutionary means was manifested above all in the fight against nuclear power, when, on May 3, 1975, she undertook an attack on the plant under construction in Fessenheim, Alsace, causing the hydraulic system to explode and delaying its opening. As a result of these years of activism, in 1978, she founded Ecologie-Feminisme, a movement which, although not very successful in France, got good international recognition. Therefore, from the 1980s until her death, d 'Eaubonne established contacts and collaboration with foreign collectives, study centers and universities, continuing to fight for the suppression of the patriarchal system with the dual and inextricable objective of an ecological and feminist revolution. She died in Paris on August 3, 2005. Unfortunately, the figure of d'Eaubonne has been gradually forgotten and her enlightened words have had little diffusion either in France or globally. Despite being the pioneer of ecofeminist thought, the multidirectional developments of the movement have obscured her philosophy, which, although surely rooted in a historical and social context now far from us, had the precocious lucidity to analyze and connect the various facets of patriarchal oppression.
Traduzione spagnola Erika Incatasciato
Nacida en Paris el 12 de marzo 1920, François d’Eaubonne crece en un entorno profundamente caracterizado por el conservadurismo religioso. Su padre, Étienne Pistón d’Eaubonne, es miembro del movimiento progresista cristiano Le Sillon y su madre, Rosita Martinez Franco, es hija de un revolucionario carlista. Pasa la infancia en la ciudad de Tolosa, buscando un clima más favorable a la enfermedad de su padre, constantemente enfermo a causa de los gases tóxicos inhalados durante la Primera Guerra Mundial. Desde el 1936 hasta 1939 sigue con participación los eventos de la Guerra Civil Española y su familia les dio refugio a los exiliados que escapan de la dictatura de Franco. Su talento en la escritura se muestra temprano cuando gana el premio por el mejor relato under 13 de la editorial Denoël. Una vez terminados sus estudios universitarios como autodidacta, ingresa en la Resistencia Francesa contra el Nazi fascismo y publica, durante los años de guerra, su primer poemario: Colonnes de l’âme, editado por Lutétia en 1942. En 1944 se inscribe al Partido comunista, que dejará pocos años después debido a la importantes diferencias sobre los temas de ecología, feminismo y orientación sexual. En los años siguientes, sigue paralelamente su carrera literaria y de activismo político: al haberse quedado sola con su hija tras el divorcio de su marido en 1944, decide dejar a su hija con los abuelos, para poderse dedicar a la construcción de su recorrido profesional. El episodio de la vida privada de D’Eaubonne, según los paradigmas sociales, pone en relieve como la maternidad constituye un obstáculo a menudo insuperable para la afirmación profesional de la mujer. La auténtica revolución interior para d’Eaubonne la representó la publicación del ensayo Le Deuxième Sexe de Simone de Beauvoir: la lectura de este libro le permitió observar su experiencia de mujer bajo una perspectiva totalmente distinta, y desde aquel momento la filósofa encontró un nuevo centro de gravedad desde donde analizar la existencia. Inspirándose a de Beauvoir, escribió su primer ensayo feminista en 1951, Le complexe de Diane: una obra en la que, desde el clasicismo, analiza las cuestiones históricas y culturales que han llevado a la exclusión de las mujeres en la política; además, introduce la idea de la bisexualidad originaria y del género binario como construcción social. Su formación política marxista emerge claramente en el texto, desde el momento que se entrelaza inexorablemente la lucha feminista con la lucha de clases y el destino de las mujeres como parte de una revolución colectiva.
En el periodo siguiente sigue escribiendo novelas, ensayos y poemas, que enriquecen una enorme producción, de más de cien publicaciones. En 1971 se acerca definitivamente a la lucha por los derechos de las mujeres y las personas homosexuales, tomando parte en la fundación del Mouvement de Libération des Femmes (Mlf) y del Front Homosexuel d’Action Révolutionnaire (Fhar), el primer movimiento revolucionario que une bajo la misma sigla a los gais y lesbianas franceses; movimiento que da un fuerte impulso al nacimiento del Fronte Unitario Omossessuale Italiano (F. u. o. r. i). Ese mismo año toma parte en el Manifeste de 343, una declaración publicada en la revista Nouvel Observateur en que 343 mujeres admitieron haber abortado, arriesgándose a duras consecuencias penales: el manifiesto dio impulso al debate sobre la legalización de la interrupción voluntaria del embarazo y sobre el derecho de elección. En 1972, con el problema de la explotación de los recursos del planeta reconocido a nivel mundial, d’Eaubonne añade una perspectiva medioambiental a su pensamiento publicando Histoire et actualité du feminisme, libro en el que analiza el desarrollo de la “falocracia” (término cuya acuñación se le atribuye) y adjudica la responsabilidad de la crisis global al sistema patriarcal, que impone su poder tanto en los cuerpos de las mujeres como en la Tierra. Introduce así el nexo entre feminismo y ecologismo, que caracterizará toda su actividad política y literaria posterior. De hecho, en 1973 funda el Frente Feminista, que en 1974, se convertirá en el Centro de Ecología Feminista, un movimiento cuyo objetivo es abordar los problemas medioambientales en la perspectiva de una revolución de género. Formula así el concepto de “ecofeminismo”, introducido en el ensayo del 74 Le feminisme ou la mort, donde afirma que el desarrollo del mundo contemporáneo se basa en el abuso concurrente de la naturaleza y de la mujer procreadora. «Desde que el hombre se adueñó de la tierra, y por tanto de la fertilidad (más tarde de la industria) y del vientre de la mujer, por tanto de la fecundidad, era lógico que la excesiva explotación de ambos conduciría a esta doble amenaza: el exceso de nacimientos y la destrucción del medio ambiente» (Le féminisme ou la mort, pág. 221). La propuesta pide una redistribución del poder, confiando a las mujeres el control demográfico y la libre gestión de la propia fertilidad, ya que las consecuencias de la procreación incontrolada las pagan básicamente tanto las mujeres como niños y niñas.
«La primera relación entre la ecología y la liberación de las mujeres es la recuperación demográfica por su parte [...]. Dicha liberación ya ha empezado en los países altamente industrializados, que se ven obligados, por razones de productividad, a conceder la contracepción a las mujeres» (traducido del libro colectivo de Michèle Dayras, Liberté, égalité et les femmes? pág. 177). D’Eaubonne sostiene, en definitiva, que las luchas no deben abordarse por separado, sino como una única misión revolucionaria, y, además, apoya la violencia como medio de acción, expresando su posición respecto a esto en el ensayo Contre-violence ou la Résistance a l’État, publicado en 1978. En este sentido, colabora con grupos de extrema izquierda como Fraction Armée rouge y Action directe, con el objetivo de construir una sociedad igualitaria, ecológica, feminista y autogestionada. El uso de la «contra-violencia» como medio revolucionario, sobre todo, se manifiesta especialmente en la lucha contra la energía nuclear, cuando, el 3 de mayo de 1975, comete un ataque contra la central en construcción en Fessenheim, en Alsacia, haciendo explotar el circuito hidráulico y retrasando su apertura. Como resultado de esos años de activismo, en 1978, funda el movimiento Ecologie-feminisme que, aunque no haya tenido mucho éxito en Francia, obtuvo un buen reconocimiento internacional. Por lo tanto, desde los años ochenta hasta su muerte, d’Eaubonne establece contactos y colaboraciones con colectivos, centros de estudio y universidades extranjeras, luchando por la supresión del sistema patriarcal con el doble e inextricable objetivo de una revolución ecológica y feminista. Fallece en Paris el 3 de agosto de 2005. Lamentablemente, la figura de d’Eaubonne ha sido progresivamente olvidada y sus palabras iluminadas tuvieron poca difusión tanto en Francia como a nivel global: no obstante sea la pionera del pensamiento ecofeminista, las numerosas vertientes del movimiento han relegado en segundo plano a su filosofía que, si bien ciertamente arraigada en un contexto histórico y social lejos de nosotros, tuvo la lucidez temprana de analizar y conectar las distintas facetas de la opresión patriarcal.
Federica Montseny Daniela Fusari
Viola Gesmundo
Spagnola, o meglio catalana, anarchica, femminista (pur non volendosi definire tale), ministra, militante sempre. In queste parole è il senso della vita di Federica Montseny, una figura ancora non abbastanza conosciuta, ma la cui opera sulla scena politica europea è stata precorritrice di battaglie i cui obiettivi non sono compiutamente raggiunti oggi. Montseny nasce a Madrid il 12 febbraio 1905. «È nata morta! No, è viva» è il grido liberatorio che riempie la casa dove Teresa Mañé ha dato alla luce Federica, disperazione ed esultanza che ben si comprendono se si considera che tre precedenti gravidanze non avevano avuto lieto fine e che pure Blanquita, nata un anno dopo, non sopravviverà, destinando Federica a rimanere figlia unica. Teresa e il marito, Juan Montseny, sono entrambi militanti anarchici, catalani, impegnati in un’azione di divulgazione del credo libertario che si esprime sia con il pensiero sia con l’azione. Lei è una maestra che impronta la sua attività didattica ai principi libertari, lui un operaio capace di usare le parole per convincere e trascinare il suo pubblico, sia in comizi infuocati sia con articoli divulgativi e testi teatrali. In seguito a un attentato, opera di anarchici individualisti, cultori dell’azione, Juan è dapprima incarcerato e poi espulso dalla Spagna. Conosce così l’esilio. Londra, dove dopo qualche tempo lo raggiunge Teresa, e Parigi sono le tappe del loro peregrinare, ricco però di incontri e stimoli intellettuali. Nel 1898, dopo circa due anni, riescono a rientrare in Spagna e si stabiliscono a Madrid dove fondano un periodico, La Revista Blanca, che ospita articoli della migliore intellettualità spagnola e internazionale, da Miguel Unamuno a Lev Tolstoj e Piotr Kropotkin, fino a Teresa Claramont, ispiratrice delle lotte per l’emancipazione femminile in chiave anarchica. Anche marito e moglie scrivono sulla rivista, lei con lo pseudonimo di Gustavo Soledad e lui con il nome di battaglia di Federico Urales.
Più o meno negli stessi anni, nasce a Barcellona la “Escuela Moderna”, attraverso la quale Francisco Ferrer Guardia, il rivoluzionario catalano suo ideatore, si propone di condurre non solo una battaglia culturale e educativa, ma anche un’azione di lotta contro lo Stato capitalista e oppressore. L’anarchismo in Spagna, come in Italia, nei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento, è molto diffuso e ha messo radici profonde soprattutto in Catalogna. Questo è il contesto culturale in cui prende avvio l’avventura di vita di Federica Montseny ed era importante darne conto per comprendere i principi e i valori di cui si è nutrita la sua formazione. Sia La Revista Blanca, sia la “Escuela Moderna” sono costrette a chiudere proprio nello stesso periodo in cui Federica Montseny viene alla luce, ma non per questo si spengono i principi che le hanno ispirate.
Figura dominante nell’educazione di Federica è la madre Teresa che modella la propria pratica pedagogica sulle idee di Rousseau: un’educazione antidogmatica, creativa, libera da condizionamenti imposti in nome della Patria e di Dio. La famiglia, dopo anni di lontananza dalla nativa Catalogna, può infine tornare a vivere nei dintorni di Barcellona dove si mantiene grazie all’allevamento di galline e conigli, ma anche con il lavoro intellettuale: le traduzioni di Teresa, le collaborazioni giornalistiche di Juan che scrive pure testi teatrali. Sulla scena del mondo, intanto, mentre Federica cresce, accadono eventi di portata epocale: la Grande Guerra e la Rivoluzione russa, nei confronti dei quali la galassia anarchica assume posizioni non sempre concordi. Così, mentre Kropotnik e Malatesta, padri storici dell’anarchismo, si schierano per l'interventismo, Angelo Pestana, nel 1920, di ritorno da un viaggio in Russia per vedere come funziona lo Stato nato dalla Rivoluzione bolscevica, scettico e deluso, proclama: «bisogna cambiare la rivoluzione per farla davvero». L’adolescenza di Federica trascorre tra le faccende domestiche, lo studio sotto la guida della madre, la lettura vorace di saggistica e narrativa e la frequentazione, insieme ai genitori, di circoli operai e caffè letterari dove si svolge il dibattito politico-culturale più avanzato e si respira indipendentismo catalano. Ha ereditato dal padre e dalla madre la facilità di scrittura e scrive bene. Le sue prime prove sono novelle a sfondo sociale venate di romanticismo. Nel 1923, in risposta alla svolta autoritaria imposta manu militari dal generale Miguel Primo de Riveira, con tacito assenso della Monarchia e della Chiesa, Juan Monteseny prende posizione dando forma a un progetto di resistenza al direttorio militare, non con le armi da fuoco ma con le armi della cultura. È la rinascita di La Revista Blanca. Il progetto editoriale vuole dare largo spazio ad argomenti di carattere filosofico-letterario, ai temi dell’emancipazione femminile e dell’educazione. Il periodico pubblica articoli di autori prestigiosi che già avevano scritto sulle pagine della precedente edizione, ma anche contributi di nuove firme e trova largo consenso e diffusione. Tutta la famiglia è impegnata nella redazione: Juan si occupa della divulgazione del pensiero di Kropotkin, la madre, Teresa, cura la sezione di storia, Federica scrive storie che sappiano al contempo far sognare ed educare le giovani generazioni. Clara, protagonista di La Victoria, racconta e rende esemplare la vicenda di una giovane donna emancipata dalla sudditanza al maschio, padre o marito, un’eroina che rivendica il diritto a vivere una sessualità libera, andando ben oltre la richiesta del voto alla donne, cavallo di battaglia delle suffragiste in quegli anni. E quella per il libero amore è una campagna che Montseny conduce con determinazione non solo a livello teorico, ma anche nella propria esperienza di vita. Lavorando in redazione, incontra un giovane anarchico, Germinal Esgleas, e con lui si sposa nel 1930. In quell’anno cambia il contesto politico spagnolo: il regime dittatoriale si estingue e prendono piede le istanze repubblicane sostenute da un fronte composito di cui fanno parte ideologie liberali, repubblicane e radicali. Le elezioni sanciscono il nuovo assetto istituzionale. Gli anarchici, pur lasciati liberi di votare, in gran parte si astengono ed è quello che fanno anche gli Urales, cioè i Montseny. Ma questa nuova realtà apre nel fronte anarchico un dibattito acceso tra l’anima “possibilista, riformatrice”, che vede nella repubblica una tappa verso l’emancipazione definitiva e l’affermarsi di una società senza Stato, e quella definita “nichilista, oltranzista” sintetizzata così nelle parole del vecchio anarchico Errico Malatesta: «Se si stabilizza in Spagna la repubblica non c’è da farsi illusioni. […] Il popolo perderà di vista l’impeto delle azioni rivoluzionarie e si adatterà per comodità e senza sforzo a uno status quo basato su riforme e collaborazione di classe». Federica Montseny condivide questa linea politica dura e pura e affianca all’attività di pubblicista e scrittrice sulle pagine di La Revista Blanca e di El Luchador quella di “aratora obrera”, in giro per la Spagna a promuovere e sostenere le lotte operaie e contadine “verso una nuova aurora sociale”.
Il governo repubblicano è esitante nel varare le riforme e le proteste popolari si moltiplicano. Scioperi, manifestazioni, violente repressioni si susseguono. Federica non risparmia le energie che investe nella lotta, se non per il periodo della sua maternità. E, nel 1933, nasce una bambina, Vida, il cui nome è lo stesso della protagonista della novella La Indomabile. «Per legge naturale i figli appartengono alla madre», aveva affermato in un testo del 1927, rivendicando la necessità di sottrarre l’educazione della prole al volere/potere dei padri. Certo è che la maternità “emancipata”, così come Federica la intende, le impone la costante ricerca di un difficile equilibrio tra le necessità di cura e accudimento della bambina e la volontà indomabile di essere parte attiva nel processo politico in atto in Spagna. Le elezioni politiche del 1934 regalano il governo del Paese a una coalizione di nazionalisti e monarchici, il cui successo, ancora una volta, è dovuto all’astensionismo delle migliaia di iscritti alle organizzazioni anarchiche Cnt (Confederación Nacional del Trabajo) e Fai (Federación Anarquista Ibérica). A questa deriva reazionaria reagiscono i sindacati con scioperi e insorgenze violente in Aragona, nelle Asturie e in Catalogna, tutte represse nel sangue.
Federica Montseny è parte attiva nel dibattito seguìto alla sconfitta del movimento e si pone domande sull’efficacia dell’alleanza con i comunisti e i socialisti, compagni di lotta nelle insurrezioni appena fallite. Il suo ruolo politico all’interno dell’anarchismo spagnolo è in continua ascesa: a cavallo tra il 1934 e il ’35, la direzione di La Revista Blanca passa nelle sue mani, non senza attriti con il padre, che non accetta di buon grado di essere sostituito. Giorgio Cosmacini che ha recentemente pubblicato una biografia di Montseny, fonte preziosa di informazioni per la stesura di queste brevi note, così afferma: «Il vero significato della diatriba non è quello, banale, di una lite in famiglia, […]; è invece quello epocale, di una competizione generazionale e di genere, per cui una voce femminile si contrappone con pari vigoria argomentativa a una voce maschile e, al tempo stesso, una generazione di donne emancipate si affianca sempre più numerosa a una generazione di uomini nella lotta per il conseguimento dei comuni ideali». Le elezioni del 1936 vedono la vittoria del Fronte popolare di cui fanno parte i partiti Repubblicano, Socialista, Comunista, il Poum (Partido Obrero de Unificaciòn Marxista) e il Partido Sindacalista, la Ugt, ma non la Cnt. Questa volta, però, la maggioranza degli anarchici ha votato, contribuendo così al successo. Lo scarto è stato di soli quattrocentomila voti su otto milioni di votanti. Così Cosmacini descrive la situazione creatasi: «La Spagna è sul punto di spaccarsi in due: una è la Spagna che ha fede nella repubblica e che vuole rinnovarsi, con le riforme o con la rivoluzione; l’altra è la Spagna che alla repubblica democratica vuole sostituire la nazione autoritaria, ancorata alle istituzioni tradizionali – esercito e Chiesa…». Il 17 luglio 1936 la spaccatura si palesa nel colpo di Stato dei quattro generali, il cosiddetto alzamiento. Federica Montseny è tra coloro che ritengono indispensabile una immediata azione armata di popolo per superare i tentennamenti del governo, che pensa ancora di poter contare sulle forze dell’esercito rimaste fedeli alla Repubblica. Finalmente, il 19 luglio, Radio Barcellona trasmette il proclama che dà il via libera alla lotta armata. George Orwell, accorso in Spagna come osservatore e combattente, nel suo Omaggio alla Catalogna analizza e così descrive la situazione delle forze che si oppongono ai nemici della Repubblica: «… in Catalogna solo tre partiti contano veramente: il Psuc, il Poum e la Cnt insieme alla Fai». Il Partido Socialista Unificado de Cataluna rappresenta lo schieramento socialcomunista che aderisce alla Terza Internazionale; la Cnt e la Fai sono le organizzazioni del sindacalismo anarchico; il Poum è costituito da dissidenti antistalinisti di ispirazione trotzkista. Alla fine di luglio si conclude la parabola di La Revista Blanca. Federica Montseny depone la penna, ma continua a mettere la sua voce al servizio della difesa della Repubblica e per la causa rivoluzionaria: è infatti una delle voci più ascoltate della Emisora Cnt-Fai, l’emittente anarchica che affianca e spesso supera a sinistra Radio Barcellona. Nel 1936 prende anche avvio l’esperienza delle Mujeres Libres, un’associazione di donne anarchiche che danno vita dapprima alla rivista omonima e poco dopo a una rete di circoli radicati in diversi territori della penisola iberica. In Catalogna le Mujeres Libres arrivano ad avere 40 gruppi, a Madrid 13, 15 nel Centro, 28 nel Levante, 14 in Aragona, per un totale di 147 gruppi che affiliano circa 20.000 donne, per lo più appartenenti alla classe operaia. Il Casal de la Dona Treballadora e l'Instituto de Mujeres Libres a Barcellona organizzano corsi scolastici gratuiti, con un migliaio di iscritte nell'arco di pochi mesi. Tre i punti basilari dell’organizzazione: l’affermazione dell’esistenza di uno specifico problema femminile; l’adesione formale all’anarchismo come ideale rivoluzionario ugualitario per la costruzione del comunismo libertario; la denuncia di una palese contraddizione fra teoria e pratica in seno al movimento anarchico spagnolo. Federica Montseny tuttavia non aderisce alle Mujeres Libres, negando anzi la necessità di una simile organizzazione specifica femminile. La posizione viene più volte ribadita da Montseny, che scrive infatti: «Non siamo state, non siamo, non saremo femministe. Riteniamo che l’emancipazione della donna sia intimamente legata a quella dell’uomo. Per questo ci basta chiamarci anarchiche. Ma ci è sembrato che, sopratutto in Spagna, il nostro movimento soffriva di un eccesso di mascolinità; in generale all’uomo non piace che la donna lo rappresenti». E Montseny, a maggior ragione, respinge il femminismo borghese suffragista e individualista: pensa che non miri all’uguaglianza ma ad allineare la condizione delle donne a quella degli uomini, soprattutto negli aspetti negativi e senza farsi carico delle esigenze di una radicale trasformazione delle strutture sociali ed economiche. Intanto la Guerra civile esplode. A difesa della Repubblica si organizzano le Brigate internazionali, cui partecipano militanti e intellettuali antifascisti provenienti da diversi Paesi europei, visto che Francia e Inghilterra scelgono la linea del non intervento, mentre scende in campo l’Unione Sovietica inviando armi. Le forze ribelli hanno invece il pesante appoggio, in uomini e mezzi, dei regimi totalitari al potere in Italia e Germania. Il 4 settembre 1936 si insedia il Governo di unità nazionale, sostenuto da socialisti, comunisti e repubblicani, con a capo Largo Caballero. A Barcellona, il 26 settembre, entrano a far parte della Generalitat de Catalunya tre esponenti della Cnt. È la prima volta che degli anarchici partecipano a un’istituzione statale ed è il precedente che induce Caballero a rivolgere un analogo invito perché gli anarchici si prestino anche a condividere le responsabilità del governo centrale. Gli/le anarchici/che hanno piena consapevolezza del rischio di tradire l’Ideale, rinnegando l’assunto secondo cui lo Stato, qualunque forma assuma, non può che essere oppressivo e liberticida. Ma la situazione è drammatica, c’è in gioco la sopravvivenza della Repubblica. Quindi gli esponenti della Cnt-Fai accettano l’offerta di Caballero. Dei cinque ministeri richiesti ne ottengono quattro: il Ministero della Giustizia, quello del Commercio, quello dell’Industria e quello della Sanità. Proprio quest’ultimo, di nuova istituzione e di importanza cruciale, viene assegnato a Federica Montseny che diventa così la prima donna in Europa a ricoprire la carica di ministra.
Fa chi le chiede conto della scelta del movimento di farsi Stato, Montseny risponde che la mutevole realtà spagnola ha richiesto e richiede via via un adeguamento politico sociale dell’"anarchismo militante". Per combattere il fascismo e per vincerlo è necessario che sia il proletariato a porsi alla guida della lotta contro il nemico ed è altrettanto necessaria l’unità di tutte le forze, persino con i comunisti statalisti/stalinisti e con gli esponenti della borghesia rappresentati nel Governo di unità nazionale. «Il nostro ingresso nel Governo ebbe per noi il significato di un passaggio sofferto, ma che si imponeva perché indispensabile» dice Montseny nel Consuntivo Sanitario che redige a conclusione del suo mandato. E ancora: «al di sopra dei nostri stessi ideali, s’è pensato di porre una nuova ragione, una ragione di carattere generale, tale da non compromettere l’unità del fronte di lotta, da non rinunciare a dirigere la rivoluzione spagnola e con essa i destini della Spagna. Dovevamo stare sia nel mezzo del guado, sia al comando sul ponte». Le cose da fare sono molte. Innanzi tutto Montseny organizza il Ministero in due Consigli distinti, uno di Sanità e l’altro di Assistenza sociale e sceglie di svolgere la sua funzione in modo collegiale, nominando delle sottosegretarie competenti che sono donne e mediche: una è Mercedes Maestre per la Sanità, con il compito di organizzare il servizio emotrasfusionale per il pronto soccorso sia sui fronti di guerra che in ambito civile; l’altra è Amparo Poch Gascón, una delle fondatrici di Mujeres Libres, direttrice del già menzionato Casal de la Dona Treballadora, esperta di contraccezione e puericultura, cui affida il settore Assistenza sociale. Il Ministero di nuova istituzione deve far fronte a un gran numero di servizi assistenziali che sappiano dare risposte alle esigenze di mutilati e feriti, di malati e sfollati, di vecchi, donne e bambini/e. La Società delle Nazioni, cui Montseny si rivolge per ricevere aiuti, allineandosi con la politica internazionale del “non intervento”, non riconosce lo stato di estrema necessità sanitaria e sociale della Spagna e non concede l’aiuto richiesto. Intanto, nel governo si sta palesando in modo sempre più evidente l’egemonia comunista. Il peso delle armi inviate dall’Urss sposta l’asse verso le direttive inviate dal Comintern e dalla III Internazionale. Il malcontento popolare cresce a causa dell’inflazione, del rincaro dei prezzi dei generi di prima necessità, della forte presenza di immigrati e sfollati e le manifestazioni di piazza si susseguono. Il clima diventa incandescente. Le forze governative reprimono le rivolte, il Poum e gli anarchici, fedeli all’ideale rivoluzionario per il quale hanno accettato il compromesso dell’istituzionalizzazione, attaccano l’esercito e accusano il governo di tradimento. Ormai l’unità antifascista non c’è più e alla guerra contro il comune nemico si è sovrapposta quella interna al fronte repubblicano in cui gli stalinisti avranno il sopravvento, a costo dell’annientamento fisico di anarchici e trotzkisti.
Dopo otto mesi e mezzo, per le forti tensioni interne tra le diverse componenti, il governo di Caballero cade e finisce l’esperienza di Federica Montseny nel ruolo di ministra. Ciò che accade dopo in Spagna è noto. Anche se per tutto il 1937 le speranze di vittoria del fronte repubblicano sono ancora vive, nell’anno successivo l’arretramento e la perdita di posizioni, a tutto vantaggio delle forze italo-spagnole al servizio di Franco, è palese. La resa definitiva avviene nei primi mesi del 1939. Il regime franchista finirà solo nel 1977 con la morte del dittatore. E cosa ne è di Federica Montseny? I due anni che precedono la disfatta repubblicana la vedono prima impegnata nel ruolo di Secretaria de Propaganda della Cnt e poi occupata a prendersi cura della madre malata. Contemporaneamente affronta la seconda gravidanza e, seppur presa da queste incombenze, torna a dedicarsi alla scrittura con la stesura della biografia di Anselmo Lorenzo, padre dell’anarchismo iberico. Agli inizi del 1939, quando ormai le forze di Franco hanno vinto, comincia l’esodo di massa delle/dei combattenti che hanno difeso, fino all’ultimo, la Repubblica, per sottrarsi alla repressione del regime fascista. La famiglia di Federica Montseny, seppur separata e dispersa, riesce a mettersi in salvo in Francia. La madre, tanto importante nella sua formazione e presente anche nella sua vita adulta, muore poco dopo. In esilio Montseny conoscerà pure il carcere, ma la sua vita continuerà a scorrere dividendo il proprio tempo tra la dimensione domestica e quella pubblica, fatta di militanza, viaggi e scrittura.
Ritorna in Spagna nel 1977, dopo la morte di Franco, e partecipa da protagonista alla storica riunione della Cnt a Barcellona. Ma non va a vivere nella sua Catalogna. Muore infatti a Tolosa, a quasi novant’anni, il 14 gennaio del 1994. . «Il nostro mondo è diverso e migliore» aveva scritto allora Montseny. Noi diciamo oggi:«Un altro mondo è possibile», ma quanta strada c’è ancora da fare per renderlo reale.
Traduzione francese Daniela Fusari
Espagnole, ou plutôt catalane, anarchiste, féministe (bien que ne voulant pas se définir ainsi), ministre, militante toujours. Ce sont les mots qui résument la vie de Federica Montseny, une figure encore trop peu connue, mais dont le travail sur la scène politique européenne a été précurseur de batailles dont les objectifs ne sont pas encore totalement atteints aujourd'hui. Montseny naît à Madrid le 12 février 1905. "'Elle est née morte ! Non, elle est vivante", c'est le cri de libération qui remplit la maison où Teresa Mañé a donné naissance à Federica, un désespoir et une exultation compréhensibles quand on sait que trois grossesses précédentes n'avaient pas connu de fin heureuse et que Blanquita, née un an plus tard, ne survivra pas, condamnant Federica à rester une enfant unique. Teresa et son mari, Juan Montseny, sont tous deux des anarchistes militants, catalans, engagés dans une action de diffusion des convictions libertaires qui s'expriment tant en pensée qu'en action. Elle est une enseignante qui imprime ses activités pédagogiques aux principes libertaires, il est un travailleur capable d'utiliser les mots pour convaincre et entraîner son auditoire, tant dans des rassemblements enflammés qu'avec des articles populaires et des textes théâtraux. Suite à une tentative d'assassinat par des anarchistes individualistes, amateurs d'action, Juan est d'abord emprisonné puis expulsé d'Espagne. Il a ainsi connu l'exil. Londres, où Teresa le rejoint peu après, et Paris sont les étapes de leurs pérégrinations, mais elles sont riches en rencontres et en stimulations intellectuelles. En 1898, après environ deux ans, ils parviennent à rentrer en Espagne et s'installent à Madrid où ils fondent un périodique, La Revista Blanca, qui publie des articles des meilleurs intellectuels espagnols et internationaux, de Miguel Unamuno à Lev Tolstoï et Piotr Kropotkine, et de Teresa Claramont, qui inspire la lutte pour l'émancipation des femmes d'un point de vue anarchiste. Le mari et la femme écrivent également dans le magazine, elle sous le pseudonyme de Gustavo Soledad et lui sous le nom de guerre Federico Urales.
Plus ou moins dans les mêmes années, l'"Escuela Moderna" est née à Barcelone, à travers laquelle Francisco Ferrer Guardia, le révolutionnaire catalan qui l'a créée, se proposait de mener non seulement une bataille culturelle et éducative, mais aussi une action de lutte contre l'État capitaliste et oppresseur. L'anarchisme en Espagne, comme en Italie, dans les décennies entre le XIXe et le XXe siècle, est très répandu et s'est profondément enraciné surtout en Catalogne. C'est dans ce contexte culturel que commence l'aventure de vie de Federica Montseny, et il était important d'en rendre compte pour comprendre les principes et les valeurs qui ont nourri sa formation. La Revista Blanca et l'"Escuela Moderna" ont dû fermer leurs portes au moment où Federica Montseny est née, mais les principes qui les inspiraient ne se sont pas éteints.
La figure dominante de l'éducation de Federica est sa mère Teresa, qui a modelé sa propre pratique pédagogique sur les idées de Rousseau : une éducation anti-dogmatique, créative, libre de tout conditionnement imposé au nom de la patrie et de Dieu. Après des années passées loin de leur Catalogne natale, la famille a finalement pu revenir vivre dans la banlieue de Barcelone, où elle subvient à ses besoins en élevant des poulets et des lapins, mais aussi par le travail intellectuel : les traductions de Teresa, les collaborations journalistiques de Juan et l'écriture de pièces de théâtre. Pendant ce temps, sur la scène mondiale, alors que Federica grandit, des événements d'une importance capitale se produisent : la Grande Guerre et la Révolution russe, vis-à-vis desquelles la galaxie anarchiste prend des positions pas toujours en accord. Ainsi, alors que Kropotnik et Malatesta, pères historiques de l'anarchisme, se rangent du côté de l'interventionnisme, Angelo Pestana, en 1920, de retour d'un voyage en Russie pour voir comment fonctionne l'État né de la révolution bolchevique, sceptique et déçu, proclame : "il faut changer la révolution pour vraiment la faire.” L'adolescence de Federica se passe entre les tâches ménagères, les études sous la direction de sa mère, la lecture vorace d'ouvrages de fiction et de non-fiction et la fréquentation, avec ses parents, des clubs ouvriers et des cafés littéraires où se déroulent les débats politiques et culturels les plus pointus et où l'indépendance de la Catalogne est dans l'air. Elle a hérité des talents d'écrivain de son père et de sa mère et elle écrit bien. Ses premières œuvres sont des romans à caractère social, teintés de romantisme. En 1923, en réponse au tournant autoritaire imposé manu militari par le général Miguel Primo de Riveira, avec le consentement tacite de la monarchie et de l'Église, Juan Monteseny prend position en élaborant un projet de résistance au directoire militaire, non pas avec des armes à feu mais avec les armes de la culture. C'est la renaissance de La Revista Blanca. Le projet éditorial vise à donner une large place aux sujets philosophiques et littéraires, à l'émancipation féminine et à l'éducation. Le périodique publie des articles d'auteurs prestigieux qui avaient déjà écrit dans les pages de l'édition précédente, ainsi que des contributions de nouvelles signatures, et trouve une large approbation et diffusion. Toute la famille est impliquée dans la rédaction : Juan se charge de diffuser la pensée de Kropotkine, sa mère, Teresa, s'occupe de la section historique, et Federica écrit des histoires qui peuvent à la fois faire rêver et éduquer les jeunes générations. Clara, la protagoniste de La Victoria, raconte et illustre l'histoire d'une jeune femme émancipée de la sujétion au mâle, père ou mari, une héroïne qui revendique le droit de vivre une sexualité libre, allant bien au-delà de la revendication du vote des femmes, cheval de bataille des suffragettes de ces années-là. Et la campagne pour l'amour libre est une campagne que Montseny mène avec détermination non seulement sur le plan théorique, mais aussi dans sa propre expérience de vie. Alors qu'elle travaille à la rédaction, elle rencontre un jeune anarchiste, Germinal Esgleas, qu'elle épouse en 1930. Cette année-là, le contexte politique espagnol change : le régime dictatorial prend fin et les revendications républicaines s'imposent, soutenues par un front composite d'idéologies libérales, républicaines et radicales. Les élections ont sanctionné le nouveau dispositif institutionnel. Les anarchistes, bien que laissés libres de voter, s'abstinrent pour la plupart, de même que les Urales, c'est-à-dire les Montseny. Mais cette nouvelle réalité ouvre sur le front anarchiste un débat passionné entre l'âme "possibiliste, réformiste", qui voit dans la république un pas vers l'émancipation finale et l'instauration d'une société sans État, et celle définie comme "nihiliste, extrémiste" résumée dans les mots du vieil anarchiste Errico Malatesta : "Si on stabilise la république en Espagne, il n'y a pas d'illusion. [...] Le peuple perdra de vue l'élan des actions révolutionnaires et s'adaptera confortablement et sans effort à un statu quo basé sur les réformes et la collaboration de classe". Federica Montseny partage cette ligne politique dure et pure et combine son activité de publiciste et d'écrivain dans les pages de La Revista Blanca et El Luchador avec celle d'"aratora obrera", parcourant l'Espagne pour promouvoir et soutenir les luttes ouvrières et paysannes "vers une nouvelle aube sociale”.
Le gouvernement républicain hésite à adopter des réformes et les protestations populaires se multiplient. Grèves, manifestations et répressions violentes se succèdent. Federica ne ménage pas l'énergie qu'elle investit dans la lutte, sauf pendant la période de son congé de maternité. Et en 1933, une petite fille naît, Vida, dont le nom est le même que celui de la protagoniste du roman La Indomabile. "Par droit naturel, les enfants appartiennent à leur mère", affirme-t-elle dans un texte de 1927, revendiquant la nécessité de soustraire l'éducation de la progéniture à la volonté/au pouvoir des pères. Il est certain que la maternité "émancipée", telle que Federica la conçoit, lui impose la recherche constante d'un équilibre difficile entre la nécessité de s'occuper de l'enfant et de le soigner et le désir indomptable de prendre une part active au processus politique en cours en Espagne. Les élections générales de 1934 donnent le gouvernement du pays à une coalition de nationalistes et de monarchistes, dont le succès, une fois encore, est dû à l'abstentionnisme de milliers de membres des organisations anarchistes Cnt (Confederación Nacional del Trabajo) et Fai (Federación Anarquista Ibérica). Les syndicats réagissent à cette dérive réactionnaire par des grèves et des soulèvements violents en Aragon, dans les Asturies et en Catalogne, qui sont tous réprimés dans le sang.
Federica Montseny prend une part active au débat qui suit la défaite du mouvement et remet en question l'efficacité de l'alliance avec les communistes et les socialistes, qui ont lutté à leurs côtés lors des soulèvements qui venaient d’échouer. Son rôle politique au sein de l'anarchisme espagnol est en constante augmentation : entre 1934 et 35, la direction de La Revista Blanca passe entre ses mains, non sans friction avec son père, qui n'accepte pas volontiers d'être remplacé. Giorgio Cosmacini, qui a récemment publié une biographie de Montseny, une source d'information précieuse pour la rédaction de ces brèves notes, affirme : "Le véritable sens de la diatribe n'est pas celui, trivial, d'une querelle de famille, [...] ; c'est au contraire celui, d'époque, d'une compétition de génération et de genre, par laquelle une voix féminine s'oppose à une voix masculine avec une égale vigueur argumentative et, en même temps, une génération de femmes émancipées rejoint une génération d'hommes de plus en plus nombreuse dans la lutte pour la réalisation d'idéaux communs ". Les élections de 1936 voient la victoire du Front populaire, qui regroupe les partis républicain, socialiste et communiste, le Poum (Partido Obrero de Unificaciòn Marxista) et le Partido Sindacalista, l'UGT, mais pas la CNT. Cette fois, cependant, la majorité des anarchistes votent, contribuant ainsi au succès. La différence n'est que de quatre cent mille voix sur huit millions d'électeurs. Cosmacini décrit la situation comme suit : "L'Espagne est sur le point de se diviser en deux : l'une est l'Espagne qui a foi en la république et veut se renouveler, par des réformes ou une révolution ; l'autre est l'Espagne qui veut remplacer la république démocratique par la nation autoritaire, ancrée dans les institutions traditionnelles - armée et église...". Le 17 juillet 1936, la scission se manifeste par le coup d'État des quatre généraux, le fameux alzamiento. Federica Montseny est de ceux qui pensent qu'une action armée immédiate du peuple est indispensable pour vaincre les hésitations du gouvernement, qui pense encore pouvoir compter sur les forces armées restées fidèles à la République. Enfin, le 19 juillet, Radio Barcelona diffuse la proclamation donnant le feu vert à la lutte armée. George Orwell, venu en Espagne en tant qu'observateur et combattant, analyse et décrit la situation des forces opposées aux ennemis de la République dans son Hommage à la Catalogne : "... en Catalogne, seuls trois partis comptent vraiment : le Psuc, le Poum et le Cnt avec le Fai". Le Partido Socialista Unificado de Cataluna représente le camp social-communiste qui adhère à la Troisième Internationale ; la CNT et la Fai sont des organisations syndicales anarchistes ; le Poum est composé de dissidents anti-staliniens d'inspiration trotskiste. A la fin du mois de juillet, la parabole de La Revista Blanca se termine. Federica Montseny pose sa plume, mais continue à mettre sa voix au service de la défense de la République et de la cause révolutionnaire : elle est en effet l'une des voix les plus écoutées d'Emisora Cnt-Fai, la station anarchiste qui soutient et souvent dépasse Radio Barcelona sur la gauche. En 1936 commence également l'expérience des Mujeres Libres, une association de femmes anarchistes qui donne d'abord vie à la revue du même nom et peu après à un réseau de cercles enracinés dans différents territoires de la péninsule ibérique. En Catalogne, les Mujeres Libres comptent 40 groupes, à Madrid 13, 15 dans le Centre, 28 dans le Levante, 14 en Aragon, pour un total de 147 groupes qui affilient quelque 20 000 femmes, principalement de la classe ouvrière. Le Casal de la Dona Treballadora et l'Instituto de Mujeres Libres de Barcelone organisent des cours gratuits, avec un millier d'inscrits en l'espace de quelques mois. L'organisation repose sur trois points fondamentaux : l'affirmation de l'existence d'un problème féminin spécifique ; l'adhésion formelle à l'anarchisme en tant qu'idéal égalitaire révolutionnaire pour la construction du communisme libertaire ; la dénonciation d'une contradiction évidente entre la théorie et la pratique au sein du mouvement anarchiste espagnol. Federica Montseny, en revanche, n'adhère pas aux Mujeres Libres, niant même la nécessité d'une organisation féminine aussi spécifique. Cette position est réitérée à plusieurs reprises par Montseny, qui écrit : "Nous n'avons pas été, nous ne sommes pas, nous ne serons pas des féministes. Nous pensons que l'émancipation des femmes est intimement liée à celle des hommes. C'est pourquoi il nous suffit de nous appeler anarchistes. Mais il nous a semblé que, surtout en Espagne, notre mouvement souffrait d'un excès de masculinité ; en général, l'homme n'aime pas que la femme le représente". Et Montseny, à plus forte raison, rejette le féminisme bourgeois suffragiste et individualiste : elle pense qu'il ne vise pas l'égalité mais l'alignement de la condition des femmes sur celle des hommes, surtout dans ses aspects négatifs et sans prendre en compte les exigences d'une transformation radicale des structures sociales et économiques. Pendant ce temps, la guerre civile explose. Pour défendre la République, les Brigades internationales s’organisent, avec la participation de militants et d'intellectuels antifascistes de différents pays européens, étant donné que la France et l'Angleterre ont choisi la ligne de non-intervention, tandis que l'Union soviétique entre en scène en envoyant des armes. Les forces rebelles bénéficient du soutien massif, en hommes et en moyens, des régimes totalitaires au pouvoir en Italie et en Allemagne. Le 4 septembre 1936, le gouvernement d'unité nationale, soutenu par les socialistes, les communistes et les républicains, entre en fonction, avec à sa tête Largo Caballero. A Barcelone, le 26 septembre, trois exposants de la CNT rejoignent la Generalitat de Catalunya. C'est la première fois que des anarchistes participent à une institution étatique et c'est le précédent qui conduit Caballero à faire une invitation similaire pour que les anarchistes partagent les responsabilités du gouvernement central. Les anarchistes sont pleinement conscients du risque de trahir l'Idéal, en niant le postulat selon lequel l'État, quelle que soit sa forme, ne peut être qu'oppressif et liberticide. Mais la situation est dramatique, la survie de la République est en jeu. Par conséquent, les exposants du Cnt-Fai acceptent l'offre de Caballero. Sur les cinq ministères demandés, ils en obtiennent quatre : le ministère de la justice, le ministère du commerce, le ministère de l'industrie et le ministère de la santé. Ce dernier, nouvellement créé et d'une importance cruciale, est confié à Federica Montseny, qui devient ainsi la première femme en Europe à occuper le poste de ministre.
À ceux qui lui demandent de rendre compte du choix du mouvement de se transformer en État, Montseny répond que l'évolution de la réalité espagnole a exigé et exige une adaptation politique et sociale de "l'anarchisme militant". Afin de combattre le fascisme et de le vaincre, il est nécessaire que le prolétariat mène la lutte contre l'ennemi et il est également nécessaire d'avoir l'unité de toutes les forces, même avec les communistes étatiques/stalinistes et avec les représentants de la bourgeoisie représentés dans le gouvernement d'unité nationale. "Notre entrée au gouvernement a été pour nous une étape douloureuse mais nécessaire", déclare Montseny dans le rapport sur la santé qu'elle rédige à la fin de son mandat. Et encore : "au-dessus de nos propres idéaux, on a pensé placer une nouvelle raison, une raison d'ordre général, comme celle de ne pas compromettre l'unité du front de combat, de ne pas renoncer directement à la révolution espagnole et avec elle au destin de l'Espagne. Nous devions être à la fois au milieu du gué et aux commandes sur le pont". Il y avait beaucoup de choses à faire. Tout d'abord, Montseny organise le ministère en deux conseils distincts, l'un pour la santé et l'autre pour l'assistance sociale, et choisit d'exercer sa fonction de manière collégiale, en nommant des sous-secrétaires compétents qui sont des femmes et des médecins : L'une est Mercedes Maestre pour la Santé, chargée d'organiser le service d'hémotransfusion pour les premiers secours tant sur les fronts de guerre que dans la sphère civile ; l'autre est Amparo Poch Gascón, l'une des fondatrices de Mujeres Libres, directrice du déjà mentionné Casal de la Dona Treballadora, experte en contraception et en puériculture, à qui elle confie le secteur de l'Assistance sociale. Le ministère nouvellement créé devait fournir un grand nombre de services sociaux pour répondre aux besoins des mutilés et des blessés, des malades et des personnes évacuées, des personnes âgées, des femmes et des enfants. La Société des Nations, à laquelle Montseny s'adresse pour obtenir de l'aide, conformément à la politique internationale de "non-intervention", ne reconnaît pas l'état d'extrême nécessité sanitaire et sociale de l'Espagne et n'accorde pas l'aide demandée. Pendant ce temps, l'hégémonie communiste devient de plus en plus évidente au sein du gouvernement. Le poids des armes envoyées par l'URSS déplace l'axe vers les directives envoyées par le Comintern et la Troisième Internationale. Le mécontentement populaire s'accroît en raison de l'inflation, de la hausse des prix des produits de première nécessité, du grand nombre d'immigrants et de personnes déplacées, et les manifestations de rue se succèdent. Le climat devient incandescent. Les forces gouvernementales répriment les révoltes, le Poum et les anarchistes, fidèles à l'idéal révolutionnaire pour lequel ils avaient accepté le compromis de l'institutionnalisation, attaquent l'armée et accusent le gouvernement de trahison. A présent, l'unité antifasciste n'existe plus et à la guerre contre l'ennemi commun s'est superposée la guerre au sein du front républicain dans laquelle les staliniens auront le dessus, au prix de l'anéantissement physique des anarchistes et des trotskistes.
Après huit mois et demi, en raison des fortes tensions internes entre les différentes composantes, le gouvernement de Caballero tombe et l'expérience de Federica Montseny comme ministre prend fin. Ce qui se passe ensuite en Espagne est bien connu. Si, tout au long de l'année 1937, les espoirs de victoire du front républicain sont toujours présents, l'année suivante, le recul et la perte de positions, au profit des forces italo-espagnoles au service de Franco, sont évidents. La capitulation définitive a lieu dans les premiers mois de 1939. Le régime franquiste ne prendra fin qu'en 1977 avec la mort du dictateur. Et que dire de Federica Montseny ? Au cours des deux années précédant la défaite républicaine, elle a d'abord été employée à la Secretaria de Propaganda de la CTN, puis s'est occupée de sa mère malade. Dans le même temps, elle doit faire face à sa deuxième grossesse et, bien qu'elle soit occupée par ces tâches, elle revient à l'écriture avec la biographie d'Anselmo Lorenzo, père de l'anarchisme ibérique. Au début de 1939, lorsque les forces de Franco sont victorieuses, commence l'exode massif des combattants qui ont défendu la République jusqu'au bout, afin d'échapper à la répression du régime fasciste. La famille de Federica Montseny, bien que séparée et dispersée, réussit à trouver la sécurité en France. Sa mère, qui a été si importante dans son éducation et également présente dans sa vie d’adulte, décède peu après. Pendant son exil, Montseny connaîtra même la prison, mais sa vie continue de se dérouler, partageant son temps entre sa vie domestique et sa vie publique, faite de militantisme, de voyages et d'écriture.
Elle retourne en Espagne en 1977, après la mort de Franco, et joue un rôle de premier plan dans la réunion historique du CNT à Barcelone. Mais elle ne va pas vivre dans sa Catalogne natale. Elle meurt à Toulouse, à presque 90 ans, le 14 janvier 1994. "Notre monde est différent et meilleur", écrivait Montseny à l'époque. Nous disons aujourd'hui : "Un autre monde est possible", mais combien de chemin il nous reste à parcourir pour le rendre réel.
Traduzione inglese Daniela Fusari
Spanish, or rather Catalan, anarchist, feminist (although she didn’t want to define herself as such), minister, always militant. These words convey the core of the life of Federica Montseny, a figure still not sufficiently known, but whose work on the European political scene was a precursor to battles whose objectives are not fully achieved today. Montseny was born in Madrid on February 12, 1905. “She was born dead! No, she is alive!” was the liberating cry that filled the house where Teresa Mañé gave birth to Federica, desperation and exultation that are well understood if we consider that three previous pregnancies had not had a happy ending and that Blanquita too, born a year later, will not survive, destining Federica to remain an only child. Teresa and her husband, Juan Montseny, both anarchist militants and Catalans, engaged to spread the libertarian creed, expressed in both thought and action. She was a teacher who grounded her teaching in libertarian principles. He was a worker capable of using words to convince and motivate his audience, both in fiery speeches and with popular articles and theatrical texts. Following an attack launched by individualistic anarchists, lovers of action, Juan was first imprisoned and then expelled from Spain. He became an exile in London, where Teresa joined him after some time, and also in Paris, during the stages of their wanderings, full of encounters and intellectual stimuli. In 1898, after about two years, they managed to return to Spain and settle in Madrid. There they founded a periodical, La Revista Blanca, which hosted articles reflecting the best of Spanish and international intellectual life, from Miguel Unamuno to Leo Tolstoy and Piotr Kropotkin, to Teresa Claramont, an inspirer of struggles for women's emancipation in an anarchic key. Teresa and Juan also wrote in the magazine, she with the pseudonym of Gustavo Soledad and he with the nom de guerre of Federico Urales.
More or less in the same years, the "Escuela Moderna" was born in Barcelona, through which its creator, the Catalan revolutionary Francisco Ferrer Guardia, intended to wage not only a cultural and educational battle, but also an action to fight against the capitalist and oppressor state. Anarchism in Spain, as in Italy, in the decades at the end of the nineteenth and beginning of the twentieth centuries, was very widespread, and it had especially deep roots in Catalonia. This was the cultural context in which Federica Montseny's life adventure began and it is important to take this into account in order to understand the principles and values that nurtured her education. Both La Revista Blanca and the “Escuela Moderna” were forced to close just at the time Federica Montseny came into the world, but the principles that inspired them continued.
The dominant figure in Federica's education was her mother, Teresa, who modeled her pedagogical practice on Rousseau's ideas: an anti-dogmatic, creative education, free from conditioning imposed in the name of the Fatherland and of God. The family, after years of being away from their native Catalonia, finally was able to return to live in the surroundings of Barcelona. They supported themselves by the breeding of hens and rabbits, but also with intellectual work: the translations of Teresa and the journalistic work of Juan, who also wrote theatrical texts. Meanwhile, as Federica grew up, epochal events took place on the world stage. Among these were the World War I and the Russian Revolution, with regard to which the anarchist galaxy didn’t always agree on positions. Thus, while Kropotnik and Malatesta, historical fathers of anarchism, came out for interventionism, Angelo Pestana, returning, skeptical and disappointed, from 1920 a trip to Russia to see how the state born of the Bolshevik Revolution worked, proclaimed, "The revolution will have to change to become a true revolution.” Federica's adolescence was spent between household chores, studying under the guidance of her mother, voracious reading of non-fiction and fiction and frequenting, together with her parents, workers' circles and literary cafes where the most advanced political-cultural debates took place, and breathed in the spirit of Catalan independence. She inherited an ease of writing from her father and mother and wrote well. Her first efforts were stories with a social context, tinged with romance. In 1923, in response to the authoritarian regime imposed by General Miguel Primo de Riveira, with the tacit consent of the Monarchy and the Church, Juan Monteseny took a stand giving shape to a project of resistance to the military directorate, not with firearms but with the weapons of culture. It was the rebirth of La Revista Blanca. The editorial project intended to give ample space to philosophical-literary topics, to the themes of female emancipation and education. The periodical published articles by prestigious authors who had already written in the pages of the previous edition, but also contributions from new writers, and it was widely accepted and disseminated. The whole family was involved in the editing. Juan took care of the dissemination of Kropotkin's thought, and Federica’s mother, Teresa, took care of the history section. Federica herself wrote stories that knew how to make the younger generation dream while educating them at the same time. Clara, the protagonist of Federica Monteseny’s novel, La Victoria, tells and exemplifies the story of a young woman emancipated from subjection by males, father or husband, a heroine who claims the right to live a free sexuality, going well beyond the request for women’s right to vote, the workhorse demand of the suffragists in those years. And that campaign for free love was one that Montseny conducted with determination not only on a theoretical level, but also in her own life experience. Working in the editorial office, she met a young anarchist, Germinal Esgleas, and married him in 1930. That year saw a major change in Spanish political life. The dictatorial regime of Primo de Riveira was defeated by a republican composite front made up of supporters of liberal, republican and radical ideologies. The elections confirmed a new institutional structure. But the anarchists, even though free to vote, largely abstained and that’s what the Urales, that is, the Montseny, also did. But this new reality provoked a heated debate in the anarchist front, between the "possibilist, reformer" current, which saw in the new republic a step towards definitive emancipation and the affirmation of a society without a state, and another current, defined as "nihilist, extremist". The view of this latter group was summarized in the words of the old anarchist Errico Malatesta, “If the republic is stabilized in Spain, there is no need to have any illusions. [...] The people will lose sight of the impetus of revolutionary actions and will adapt comfortably and effortlessly to a status quo based on reforms and class collaboration." Federica Montseny shared this hard and pure political line, which became reflected in her activity as a publicist and writer on the pages of La Revista Blanca and El Luchador, and her work as an "aratora obrera" (workers’ knight), who traveled around Spain to promote and support workers' and peasant struggles "towards a new social dawn”.
The Republican government was hesitant to pass reforms and popular protests multiplied. Strikes, demonstrations, and violent repressions followed one after another. Federica poured great energy into this fight, despite her pregnancy. And, in 1933, she delivered a little girl, Vida, whose name is the same as the protagonist of her novel La Indomabile. "By natural law the children belong to the mother,” she had asserted in a text in 1927, claiming the need to remove the education of offspring from the power of their fathers. What is certain is that "emancipated" motherhood, as Federica understood it, required her to constantly search for the difficult balance between the needs of the child and the unquenchable desire to be an active part of the political process underway in Spain. The Spanish elections of 1934 won the government of the country for a coalition of nationalists and monarchists, whose success, once again, was at least partly due to the abstention of the thousands of members of the anarchist organizations, the CNT (Confederación Nacional del Trabajo) and the FAI (Federación Anarquista Ibérica). The trade unions reacted to this reactionary shift of power with strikes and violent insurgencies in Aragon, Asturias and Catalonia, all repressed in blood.
Federica Montseny was an active part in the debate following the defeats suffered by the movement and wondered about the effectiveness of the alliance with the Communists and Socialists, comrades in the recently failed uprisings. Her political role within Spanish anarchism was constantly growing - between 1934 and 1935, the direction of La Revista Blanca passed into her hands, not without friction with her father, who did not gracefully accept his replacement. Giorgio Cosmacini, who recently published a biography of Montseny, a precious source of information for the drafting of these brief notes, states, regarding the difficulty between father and daughter, “The true meaning of this conflict is not that of a banal family quarrel […]; it is, instead, an epochal one, of a generational and gender competition, whereby a female voice is counterposed, with equal argumentative force, to a male voice and, at the same time, a generation of emancipated women joins an increasingly numerous generation of men in the struggle for the achievement of common ideals.” The elections of 1936 saw the victory of the Popular Front which included the Republican, Socialist, Communist parties, the POUM (Partido Obrero de Unificaciòn Marxista) and the Partido Sindacalista, and the UGT, but not the CNT. This time, however, the majority of anarchists voted, thus contributing to the success. The difference was only four hundred thousand votes out of eight million voters. This is how Cosmacini describes the situation that arose: “Spain is on the point of splitting in two: one is a Spain which has faith in the republic and which wants to renew itself, with reforms or with the revolution; the other is a Spain which wants to replace the democratic republic with the authoritarian nation, anchored to traditional institutions – the army and Church ..." On July 17, 1936, the split was revealed in the coup d'état of four generals, the so-called alzamiento. Federica Montseny was among those who believed that immediate armed action by the people was essential to overcome the hesitations of the government, which she thinks could still count on the loyalty of the armed forces to the Republic. Finally, on July 19, Radio Barcelona broadcast the proclamation that gave the green light to an armed struggle. George Orwell, who rushed to Spain as an observer and fighter, in his Homage to Catalonia analyzes and describes the situation of the forces opposing the enemies of the Republic: "... in Catalonia only three parties really matter: the PSUC, the POUM and the CNT together with FAI.” The Partido Socialista Unificado de Cataluna represented the socialist-communist alignment that adheres to the Stalinist Third International, the CNT and the FAI were the organizations of anarcho-syndicalism, and the POUM was made up of Trotsky-inspired anti-Stalinist dissidents. The arc of La Revista Blanca comes to an end in late July. Federica Montseny lays down her pen, but continues to put her voice at the service of the defense of the Republic and for the revolutionary cause. She does this as one of the most listened-to voices of the Emisora CNT-FAI, the anarchist radio transmitter that paralleled and often surpassed the leftwing Radio Barcelona. 1936 saw the rise of the organization Mujeres Libres, an association of anarchist women who first gave life to a magazine of the same name, and shortly after to a network of clubs rooted in different territories of the Iberian peninsula. In Catalonia the Mujeres Libres came to have 40 groups, in Madrid 13, 15 in the Center, 28 in the East, 14 in Aragon, for a total of 147 groups that included about 20,000 women, mostly belonging to the working class. The Casal de la Dona Treballadora and the Instituto de Mujeres Libres in Barcelona organized free school courses, with a thousand enrolled within a few months. There were three key points to the organization’s program: affirmation of the existence of women as a specific segment of society with specific needs; formal adherence to anarchism as an egalitarian revolutionary ideal for the construction of libertarian communism; the denunciation of a clear contradiction between theory and practice within the Spanish anarchist movement. Federica Montseny, however, did not support the Mujeres Libres. To the contrary, she denied the need for such a specific female organization. This position is repeatedly reiterated by Montseny, who wrote, “We were not, we are not, we will not be feminists. We believe that the emancipation of women is intimately linked to that of men. For this we just need to call ourselves anarchists. But, it seemed to us that, especially in Spain, our movement suffered from an excess of masculinity. In general, men don't like women to represent them.” Montseny clearly rejected suffragist and individualist bourgeois feminism. She thought that it did not aim for real equality but for aligning the condition of women with that of men, especially in the negative aspects, and without taking on the demands for a radical transformation of social and economic structures. Meanwhile, the Civil War exploded. In defense of the Republic, the International Brigades were organized, in which anti-fascist militants and intellectuals from various European countries participated. The governments of France and England chose the line of non-intervention, while the Soviet Union took to the field by sending weapons. The rebel (Franco/fascist) forces, on the other hand, have the heavy support, in men and means, of the totalitarian regimes in power in Italy and Germany. On September 4, 1936 the Government of National Unity took office, supported by Socialists, Communists and Republicans, headed by Largo Caballero. In Barcelona, on September 26, three exponents of the CNT join the Generalitat de Catalunya. It is the first time that anarchists have participated in a state institution and it is the precedent that induces Caballero to issue a similar invitation for anarchists to also lend themselves to sharing the responsibilities of the central government. The anarchists (men and women) are fully aware of the risk of betraying their ideals - the assumption that the state, whatever form it takes, can only be oppressive and an enemy of liberty. But the situation is dramatic, the survival of the Republic is at stake. So, the members of the CNT-FAI accept Caballero's offer. Of the five ministries requested, they get four: the Ministry of Justice, that of Commerce, that of Industry and that of Health. The latter, newly established and of crucial importance, is assigned to Federica Montseny who thus becomes the first woman in Europe to hold the office of minister.
To those who asked her for an account of the movement's choice to join in a government, Montseny replied that the changing Spanish reality required and was gradually demanding a social and political adjustment of "militant anarchism". To fight fascism and to overcome it, the proletariat must lead the fight against the enemy, and the unity of all forces is utterly necessary, even with the statist/Stalinist communists and with the representatives of the bourgeoisie who were part of the government of national unity. "Our entry into the Government meant for us a painful transition, but one that was essential because it was indispensable," says Montseny in the Health Report that she drew up at the end of her mandate. And again, "above our own ideals, it was decided to place a new reason, a reason of a general nature, such as to not compromise the unity of the fighting front, to not renounce directing the Spanish revolution and with it the destinies of Spain. We had to be both in the middle of the river and in command on the bridge.” There were many things to do. First of all, Montseny organized the Ministry into two distinct Councils, one of Health and the other of Social Assistance, and chose to carry out its functions in a collegial way, appointing competent undersecretaries who were women and doctors. One is Mercedes Maestre for Health, with the task of organizing the blood transfusion service for first aid both on the war fronts and in the civil field. The other is Amparo Poch Gascón, one of the founders of Mujeres Libres, director of the aforementioned Casal de la Dona Treballadora, experts in contraception and childcare, to which she entrusted the Social Assistance sector. The newly established Ministry had to deal with a large number of welfare services, essential to respond to the needs of the mutilated and injured, the sick and displaced, the elderly, women and children. The League of Nations, to which Montseny turned to receive aid, aligned itself with the international policy of "non-intervention", did not recognize the state of extreme health and social need in Spain and did not grant the requested aid. Meanwhile, Communist hegemony was becoming more and more evident in the government. The weight of the weapons sent by the USSR shifted the axis towards the directives sent by the Comintern and the Third International. Popular discontent grew due to inflation, the rise in the prices of basic necessities, the strong presence of immigrants and displaced persons, and street demonstrations followed one another. The climate became incandescent. Government forces repressed the revolts, the POUM and the anarchists, faithful to the revolutionary ideal for which they accepted the compromise of institutionalization, attacked the army and accused the government of treason. By now anti-fascist unity was no longer there and the war against the common enemy was subordinated to the internal one on the republican front in which the Stalinists will have the upper hand, at the cost of the physical annihilation of anarchists and Trotskyists.
After eight and a half months, due to strong internal tensions between the various components of the coalition, Caballero's government falls and Federica Montseny's experience in the role of minister ends. What happened next in Spain is well known. Although the Republican front's hopes of victory were still alive throughout 1937, in the following year the retreat and loss of positions, to the benefit of the Italian-Spanish forces in Franco's service, is clear. The definitive surrender took place in the first months of 1939. The Franco regime would end only in 1977 with the death of the dictator. And what about Federica Montseny? The two years preceding the republican defeat saw her, first, engaged in the role of Secretaria de Propaganda of the CNT, and then busy taking care of her sick mother. At the same time, she faced a second pregnancy and, although taken up by these duties, she returned to devote herself to writing with the drafting of the biography of Anselmo Lorenzo, father of Iberian anarchism. At the beginning of 1939, when Franco's forces had already won, the mass exodus of the fighters who defended the Republic to the last began, to escape the brutal repression of the fascist regime. Federica Montseny's family, although separated and dispersed, managed to escape to safety in France. Her mother, so important in her education and also present in her adult life, died shortly after. In exile, Montseny also knew prison, but her life continued to flow, as she divided her time between domestic and public demands including militancy, travel and writing.
She returned to Spain in 1977, after Franco's death, and she participated as a protagonist in the historic reunion of the CNT in Barcelona. But she was not fated to live in her native Catalonia. She died instead in Toulouse, almost ninety years old, on January 14, 1994. "Our world is different and better," Montseny wrote then. These days we say, "Another world is possible," but there is still a long way to go to make it true.