Elena Lagadinova

Angela Scozzafava


Eleonora Nascimbeni

«Devi combattere per ciò in cui credi.» (da un'intervista a Kristen Ghodsee)

LA PARTIGIANA

Nome di battaglia: Amazzone! Di chi parliamo? Di una bambina che già a 11 anni è staffetta partigiana e a 14 – siamo nel 1944: la Bulgaria è in guerra a fianco delle potenze dell’Asse –fugge dalla sua casa data alle fiamme dalla gendarmeria; si salva e segue in montagna i suoi due fratelli maggiori. È la più giovane partigiana bulgara. Uno dei fratelli, Assen Lagadinov, cadrà in un’imboscata; Elena continuerà a combattere guadagnandosi con il suo coraggio il soprannome di Amazzone. «Portavo la mia pistola al collo. Così, se ci avessero attaccati, non avrei potuto dimenticarla» ricorderà in seguito. Si racconta, inoltre, che nel settembre del 1944 Elena guidò, cavalcando uno stallone bianco, i partigiani che scendevano dalle montagne. La sua foto era su tutti i giornali e periodici per la gioventù, da Belgrado a Mosca; divenne un esempio, un mito: «Sii coraggioso come l’Amazzone!», si diceva.

Elena Lagadinova en 1944.

LA RICERCATRICE

Finita la guerra la Bulgaria, governata da Georgi Dimitrov, entra a far parte del blocco sovietico. Elena studia in Urss, conseguendo un dottorato in agrobiologia. Tornata in patria, lavora per tredici anni come ricercatrice presso l'Accademia delle Scienze del suo Paese e contribuisce alla creazione di un ibrido di grano più robusto (il triticale) che permetterà un aumento della produzione agricola. Per il suo lavoro in genetica vegetale, il governo le attribuirà nel 1959 l’Ordine nazionale di Cirillo e Metodio. Ma Elena è critica nei riguardi dei controlli esercitati sulla ricerca nel mondo comunista. Nel maggio del 1967 scrive una lettera al premier sovietico Leonid Brezhnev in cui si mostra preoccupata per la mancanza di competenze tecniche dei quadri del Partito, che condizionano pesantemente l’attività di ricerca; la lettera viene intercettata dal governo bulgaro ed Elena teme per la sua libertà: «Un giorno mi hanno mandato un'auto mentre ero all'Accademia. Ero in laboratorio, con indosso il camice, nel bel mezzo di un esperimento. Ho chiesto loro di aspettare ma mi hanno detto di venire immediatamente. Pensavo di essere arrestata». Lagadinova viene invece “promossa” (o rimossa?) e nominata Presidente del Comitato del movimento femminile bulgaro (Cbwm) e membro del Comitato centrale del Partito comunista nel 1971. Sarà Presidente del Comitato delle donne per ventidue anni, fino al 1990, nonché una delle personalità più influenti nel panorama internazionale e in Bulgaria, dove contribuirà in maniera decisiva a quella che Maria Dinkova definisce «la grande rivoluzione delle donne» bulgare.

Lagadinova Amazone, copertina giornale.

 

LA POLITICA

Dal 1968, lasciata a malincuore la ricerca, Elena si occuperà, sia in patria che a livello internazionale, di politica e segnatamente di “politiche per le donne”. Prima di analizzare più in dettaglio le sue azioni è opportuno fare due considerazioni. Nel mondo della guerra fredda anche la politica nei confronti delle donne fu terreno di scontro ideologico: da un lato i Paesi occidentali cercavano il loro consenso sostenendo che solo al di qua della cortina di ferro, dove si rispettavano le libertà individuali, esse avrebbero potuto trovare il loro spazio; dall’altro i Paesi socialisti si proponevano come la sola realtà in cui si superavano le differenze tra i sessi, si concretizzavano misure (istruzione, lavoro) in loro favore. L’altra considerazione riguarda invece l’autonomia delle organizzazioni femminili statali; a Ovest venivano guardate con sospetto, considerate mere cinghie di trasmissione degli ordini del partito, strumenti di controllo autoritario: Kristen Ghodsee invece (e con lei altre studiose dopo il 1990) osserva che le donne di questi movimenti utilizzarono le relazioni privilegiate con il Partito per promuovere politiche efficaci e che si batterono contro i privilegi patriarcali maschili facendo appello agli ideali comunisti di eguaglianza. In questo contesto il caso della Bulgaria è particolarmente significativo, per quanto riguarda sia l’organizzazione del Comitato sia la strategia di approccio ai problemi e il rapporto col governo centrale. Riguardo al primo punto va detto che il Comitato si reggeva in gran parte sul volontariato (c’erano organismi di livello nazionale e locale ma solo le donne dei livelli più alti erano impiegate dello Stato); era un organismo aperto a tutte le donne, che fossero o no iscritte al Partito comunista, come testimonia Pavlina Popova ma anche Anna Durcheva: «a Elena Lagadinova non importava chi tu fossi […], le importava che fossi una buona lavoratrice». Aveva inoltre una certa autonomia finanziaria in quanto i proventi del mensile "Zhenata dne" (Donna Oggi), diretto da Sonia Bakish, altra figura importante del movimento femminile bulgaro, entravano direttamente nel bilancio del Cbwm.

Elena Lagadinova, la giovane partigiana.

Relativamente al secondo aspetto Elena Lagadinova e il Comitato non rinunceranno mai ad incalzare il politburo facendosi portatrici dei bisogni e degli interessi delle donne, raccogliendone le istanze e ottenendo conquiste significative. Vediamo un po’ meglio con un esempio come si articolò l’azione di Lagadinova e del Cbwm. Con la Costituzione del 1947 la condizione delle donne era migliorata. Dagli anni Cinquanta ai Settanta del Novecento la Bulgaria conosce un periodo di rapida industrializzazione che vede un importante contributo della forza-lavoro femminile; si registra però una decrescita preoccupante della natalità e la nomina di Elena Lagadinova alla presidenza del Cbwm può essere considerata una prima risposta: si sceglie una scienziata perché il problema va affrontato con un’ottica scientifica. E ascoltando le donne, dando loro voce, pensa Lagadinova. Infatti, con la collaborazione dell’Istituto centrale di Statistica, viene svolta una ricerca per comprendere meglio la situazione; vengono poste domande sulla distribuzione del lavoro e delle responsabilità familiari ed emerge che il peso maggiore della gestione familiare grava come sempre sulle donne. Insomma vorrebbero più figli ma sono trattenute dalla scarsità di tempo, di aiuti, di risorse. E se non c’era abbastanza tempo per i figli figuriamoci per altre attività: studio, svago, lettura, partecipazione politica; insomma l’emancipazione “comunista” realizzata nei posti di lavoro, non aveva affatto liberato le donne. Per risolvere il problema la proposta più semplice ed economica, avanzata da alcuni politici, è quella di limitare l’accesso delle donne all’aborto come aveva fatto la Romania. Il Cbwm suggerisce invece un insieme di misure alternative: congedi per maternità con mantenimento del posto di lavoro, assegni familiari, creazione di asili nido e servizi. Nel 1973, nonostante l’importante impegno di bilancio che comportavano, queste misure vengono approvate. «La Bulgaria è stata il Paese più progressista in termini di congedo di maternità e politica familiare tra i paesi socialisti» sostiene Popova, collaboratrice di Elena. Sulla questione dell’aborto si arriva, invece, ad un compromesso: viene negato alle donne sposate con meno di due figli. Anche dopo l’approvazione della legge, Lagadinova non smette di incalzare uffici, aziende, governo, ministeri per ottenerne l’attuazione, dando voce ai reclami, alle richieste – le più varie: scarsa disponibilità di pannolini, di calzature, di alloggi – che moltissime donne facevano per lettera al Comitato.

Elena Lagadinova e Angela Davis, nel 1972.

A partire dagli Ottanta il Cbwm si impegna in campagne volte a modificare la distribuzione del lavoro domestico: il mensile "Donna Oggi" comincia a pubblicare foto di uomini che lavorano a maglia, cambiano pannolini o portano la prole a spasso nel marsupio. Un altro capitolo importante dell’attività di Elena Lagadinova riguarda le questioni internazionali. Durante il Decennio delle Nazioni Unite per le Donne (1975-1985), Lagadinova viaggia molto tessendo una fitta rete di relazioni bilaterali con centinaia di organizzazioni femminili dell’Est, dell’Ovest e del Terzo Mondo. Viene nominata relatrice generale alla Conferenza mondiale sulle Donne a Nairobi nel 1985 ed entra poi a far parte dell’Istituto delle Nazioni Unite per la formazione delle donne Nel 1991, la Claremont Graduate School degli Stati Uniti le assegna la medaglia presidenziale per meriti eccezionali.

Per il bene di tutte le nazioni, lei ha preso […] la scena mondiale […]
Molto prima che un nuovo ordine mondiale emergesse, Lei ne aveva già immaginato uno.
Lei si comportava come se già esistesse, e attraverso le sue azioni ne ha contribuito alla nascita.
Lei è andata oltre gli stretti confini di partito e nazionalità per creare una rete internazionale di studiosi e politici
impegnati per il miglioramento della vita delle donne.
Attraverso il suo lavoro con le Nazioni Unite, ha influenzato la vita delle donne in tutto il mondo e,
attraverso di loro, i destini delle loro famiglie.

Si può veramente parlare con M. Dinkova di «grande rivoluzione delle donne»? la loro è stata «un’emancipazione dall’alto»? Indubbiamente ci sono dei limiti: controlli di uno Stato autoritario, divieto di organizzazioni autonome, limitazioni dei diritti civili (pensiamo all’assenza del tema dell’omosessualità ad esempio), una tardiva e limitata messa in discussione del ruolo della donna come madre e lavoratrice. Ma si può affermare che, nonostante questi limiti, Elena Lagadinova e tutto il Cbwm hanno fatto fare notevoli passi in avanti alle donne bulgare, contribuendo alla loro autonomia e autorealizzazione. Dopo la caduta del muro di Berlino la Cbwm fu sciolta e Elena Lagadinova si ritira dalla vita pubblica. Muore a Sofia nel sonno il 29 ottobre del 2017.

Per saperne di più:

● Ghodsee K., Pressuring the Politburo: The Committee of the Bulgarian Women’s Movement and State Socialist Feminism, Slavic Review, vol. 73.Cambridge Univ. Press, 2014
● Ghodsee K., Second World, Second Sex, Socialist Women's Activism and Global Solidarity during the Cold War, Duke Univ. Press, 2019

 

Traduzione francese
Joelle Rampacci

LA PARTISANE

«Vous devez vous battre pour ce en quoi vous croyez.» (d'après une interview avec Kristen Ghodsee)

Nom de bataille: Amazone! De qui parle-t-on? D'une fille qui, à 11 ans, était déjà un relais partisan et à 14 ans - nous sommes en 1944: la Bulgarie est en guerre aux côtés des puissances de l'Axe - elle s'échappe de sa maison incendiée par la gendarmerie; elle est sauve et suit ses deux frères aînés dans les montagnes. Elle est la plus jeune partisane bulgare. L'un des frères, Assen Lagadinov, tombera dans une embuscade; Elena continuera à se battre, se gagnant le surnom d'Amazone grâce à son courage. «Je portais mon arme autour du cou. Ainsi, s'ils nous avaient attaqués, je n'aurais pas pu l'oublier », se souvient-elle plus tard. On raconte aussi qu'en septembre 1944, Elena à cheval sur un étalon blanc guidait les partisans qui descendaient des montagnes. Sa photo a été dans tous les journaux et magazines pour la jeunesse, de Belgrade à Moscou; elle était devenue un exemple, un mythe: "Soyez courageux comme l’Amazone!" On disait.

Elena Lagadinova en 1944.

LA SCIENTIFIQUE

Après la guerre, la Bulgarie, dirigée par Georgi Dimitrov, rejoint le bloc soviétique. Elena étudie en URSS et obtient un doctorat en agrobiologie.De retour au pays, elle travaille pendant treize ans comme chercheuse à l'Académie des sciences de son pays et contribue à la création d'un hybride de blé plus robuste (le triticale) qui permettra une augmentation de la production agricole. Pour ses travaux en génétique végétale, le gouvernement lui a décerné l'Ordre national de Cyrille et Méthode en 1959. Mais Elena critique les contrôles exercés sur la recherche dans le monde communiste. En mai 1967, elle écrit une lettre au Premier ministre soviétique Leonid Brejnev dans laquelle elle s'inquiéte du manque de compétences techniques des cadres du Parti, qui conditionnait fortement sur les activités de recherche; la lettre est interceptée par le gouvernement bulgare et Elena craint pour sa liberté: «Un jour, ils m'ont envoyé une voiture alors que j'étais à l'Académie. J'étais au laboratoire, en blouse, au milieu d'une expérience. Je leur ai demandé d'attendre mais ils m'ont dit de venir immédiatement. Je pensais qu’ils m’arrêtaient. Au lieu de cela, Lagadinova a été "promue" (ou révoquée?) et nommée présidente du Comité du mouvement des femmes bulgares (Cbwm) et membre du Comité central du Parti communiste en 1971. Elle a été présidente du Comité des femmes pendant vingt-deux ans, jusqu'en 1990, ainsi qu’une des personnalités les plus influentes de la scène internationale et en Bulgarie, où elle apportera une contribution décisive à ce que Maria Dinkova définit comme "la grande révolution des femmes” bulgare.

Lagadinova Amazone, couverture de journal.

LA POLITIQUE

A partir de 1968, quittant à contrecœur la recherche, Elena s’occupera, tant au niveau national qu'international, de politique et en particulier de «politique pour les femmes». Avant d'analyser ses actions plus en détail, deux considérations doivent être faites. Dans le monde de la guerre froide, la politique à l'égard des femmes était aussi un terrain de conflit idéologique: d'une part, les pays occidentaux cherchaient leur consensus, arguant que ce n'était que de ce côté du rideau de fer, que les libertés individuelles étaient respectées, qu’elles pouvaient trouver leur espace; de l’autre côté, les pays socialistes se proposaient comme la seule réalité dans laquelle les différences entre les sexes étaient surmontées, des mesures (éducation, travail) étaient mises en œuvre en leur faveur. L'autre considération concerne l'autonomie des organisations de femmes étatiques; en Occident, elles étaient considérées avec suspicion, considérées comme de simples courroies de transmission des ordres du parti, des instruments de contrôle autoritaire: Kristen Ghodsee au contraire (et avec les autres savantes après 1990) observe que les femmes de ces mouvements ont utilisé leurs relations privilégiées avec le Parti pour promouvoir des politiques efficaces qui luttent contre les privilèges patriarcaux masculins en faisant appel aux idéaux communistes d'égalité. Dans ce contexte, le cas de la Bulgarie est particulièrement significatif, tant en ce qui concerne l'organisation du Comité que la stratégie pour aborder les problèmes et les relations avec le gouvernement central. En ce qui concerne le premier point, il faut dire que le Comité reposait en grande partie sur le volontariat (il y avait des organes nationaux et locaux mais seules les femmes des plus hauts niveaux étaient employées d’'Etat); c'était un organisme ouvert à toutes les femmes, qu'elles soient ou non membres du Parti communiste, comme en témoigne Pavlina Popova mais aussi Anna Durcheva: «Elena Lagadinova se fichait de qui vous étiez […], elle se souciait seulement que vous soyez une bonne travailleuse». Elle disposait également d'une certaine autonomie financière puisque le produit du mensuel "Zhenata dne" (La femme aujourd'hui), dirigé par Sonia Bakish, autre figure importante du mouvement des femmes bulgares, allait directement dans le budget du CBWM.

Elena Lagadinova, la jeune partisane.

Avec la Constitution de 1947, la condition des femmes s'est améliorée. Des années 50 aux années 70 du XXe siècle, la Bulgarie a connu une période d'industrialisation rapide qui a vu une contribution importante de la main-d'œuvre féminine; cependant, il y eut une baisse inquiétante de la natalité et la nomination d'Elena Lagadinova à la présidence du CBWM peut être considérée comme une première réponse: une femme de science est choisie parce que le problème doit être abordé dans une perspective scientifique. Et écouter les femmes, leur donner une voix, pense Lagadinova. En effet, avec la collaboration de l'Institut central de statistique, des recherches sont menées pour mieux comprendre la situation; des questions sont posées sur la répartition du travail et des responsabilités familiales et il apparaît que le plus gros fardeau de la gestion familiale pèse sur les femmes comme toujours. Bref, elles aimeraient plus d'enfants mais elles sont freinés par le manque de temps, d'aide, de ressources. Et s'il n'y avait pas assez de temps pour les enfants, encore moins pour d'autres activités: étude, loisirs, lecture, participation politique; bref, l'émancipation «communiste» obtenue sur le lieu de travail n'a pas du tout libéré les femmes. Pour résoudre le problème, la proposition la plus simple et la moins chère avancée par certains politiciens était de limiter l'accès des femmes à l'avortement comme l'avait fait la Roumanie. La CBWM propose plutôt un ensemble de mesures alternatives: congé de maternité avec maintien de l'emploi, allocations familiales, création de crèches et de services. En 1973, malgré l'important engagement budgétaire qu'elles impliquaient, ces mesures ont été approuvées. «La Bulgarie était le pays le plus progressiste en matière de congé de maternité et de politique familiale parmi les pays socialistes», déclare Popova, collaboratrice d'Elena. Sur la question de l'avortement, cependant, un compromis est atteint: il est refusé aux femmes mariées avec moins de deux enfants. Même après l'approbation de la loi, Lagadinova ne cesse de faire pression sur les bureaux, les entreprises, le gouvernement, les ministères pour obtenir sa mise en œuvre, en donnant la parole aux plaintes, aux demandes - les plus variées: faible disponibilité des couches, des chaussures, de logement - que de très nombreuses femmes ont faites par lettre adressée au Comité.

Elena Lagadinova et Angela Davis, en 1972.

Depuis les années 1980, Cbwm s'est engagé dans des campagnes visant à changer la répartition du travail domestique: le mensuel «Femme Aujourd'hui» commence à publier des photos d'hommes tricotant, changeant des couches ou portant leur progéniture dans un porte-bébé. Un autre volet important de l'activité d'Elena Lagadinova concerne les questions internationales. Au cours de la Décennie des Nations Unies pour la femme (1975-1985), Lagadinova a beaucoup voyagé, tissant un réseau dense de relations bilatérales avec des centaines d'organisations de femmes de l'Est, de l'Ouest et du tiers monde. Elle a été nommée oratrice générale à la Conférence mondiale sur les femmes à Nairobi en 1985, puis elle a rejoint l’Institut des Nations Unies pour l’éducation des femmes. En 1991, la Claremont Graduate School des États-Unis lui a décerné la médaille présidentielle pour mérites exceptionnels.

Dans l'intérêt de toutes les nations, vous avez pris […] la scène mondiale […]
Bien avant qu'un nouvel ordre mondial n'émerge, vous en aviez déjà imaginé un.
Vous vous êtes comportée comme si elle existait déjà, et par vos actions vous avez contribué à sa naissance.
Vous avez dépassé les frontières étroites du parti et de la nationalité pour créer un réseau international d'universitaires et de politiciens engagés dans l'amélioration de la vie des femmes.
Grâce à votre travail avec les Nations Unies, vous avez influencé la vie des femmes du monde entier et,
à travers elles, le sort de leurs familles.

Peut-on vraiment parler à M. Dinkova de la "grande révolution des femmes"? La leur a été "une émancipation d'en haut"? Il y a sans doute des limites: des contrôles par un État autoritaire, une interdiction des organisations autonomes, des limitations des droits civils (pensez à l'absence du thème de l'homosexualité par exemple),une remise en question tardive et limitée du rôle de la femme en tant que mère et travailleuse . Mais on peut dire qu'en dépit de ces limitations, Elena Lagadinova et l'ensemble de la Cbwm ont poussé les femmes bulgares à faire des pas en avant considérables, contribuant à leur autonomie et à leur épanouissement personnel. Après la chute du mur de Berlin, le CBWM a été dissous et Elena Lagadinova s'est retirée de la vie publique. Elle est morte à Sofia dans son sommeil le 29 octobre 2017.

En savoir plus:

  • Ghodsee K., Pressuring the Politburo: The Committee of the Bulgarian Women’s Movement and State Socialist Feminism, Slavic Review, vol. 73 Cambridge Univ. Press, 2014
  • Ghodsee K., Second World, Second Sex, Socialist Women's Activism and Global Solidarity during the Cold War, Duke Univ. Press, 2019

 

Traduzione inglese
Syd Stapleton

«You have to fight for what you believe in.» (from an interview with Kristen Ghodsee)

THE PARTISAN Nom de guerre: Amazon! Who are we talking about? About a girl who was already a partisan courier at 11 years old. In 1944, at 14, when Bulgaria was at war on the side of the Axis powers, she escaped from her burning home - set on fire by the police - and followed her two older brothers into the mountains. She became the youngest Bulgarian partisan. One of the two brothers, Assen Lagadinov, fell as the result of an ambush. But Elena continued to fight, earning the nickname “Amazon” for her courage. “I wore my pistol on a cord around my neck. This way, if we were attacked, I would not have forgotten it somewhere," she later recalled. It is also said that in September 1944, Elena, riding a white stallion, guided the partisans who were coming down from the mountains. Her photo was in all the newspapers and periodicals for young people, from Belgrade to Moscow. She became an example, a myth - "Be as brave as the Amazon!"

Elena Lagadinova in 1944.

THE RESEARCHER

After the war Bulgaria, governed by Georgi Dimitrov, joined the Soviet bloc. Elena studied in the USSR, earning a doctorate in agrobiology. Returning to her homeland, she worked for thirteen years as a researcher at the Academy of Sciences of her country and contributed to the creation of a more robust wheat hybrid (triticale) that allowed an increase in agricultural production. For her work in plant genetics, the government awarded her the National Order of Cyril and Methodio in 1959. But Elena was critical of the controls exercised on research in the Soviet world. In May, 1967, she wrote a letter to Soviet Prime Minister Leonid Brezhnev in which she expressed concern about the lack of technical skills of the Party cadres, who heavily influenced research activities. The letter was intercepted by the Bulgarian government, leading Elena to fear for her freedom. “One day, while I was at the Academy, they sent a car for me. I was in the lab, wearing the lab coat, in the middle of an experiment. I asked them to wait but they told me to come immediately. I thought I was being arrested.” Lagadinova was instead "promoted" (or displaced?), and appointed President of the Committee of the Bulgarian Women's Movement (CBWM) and, in 1971, became a member of the Central Committee of the Communist Party. She was President of the Women's Committee for twenty-two years, until 1990. She was also one of the most influential personalities on the international scene and in Bulgaria, where she made a decisive contribution to what Maria Dinkova defines as "the great Bulgarian women's revolution".

Lagadinova Amazone, newspaper cover.

POLITICS

From 1968, reluctantly leaving the field of research, Elena dealt, both at home and internationally, with politics in general, and in particular with “politics for women”. Before analyzing her actions in more detail, two things should be taken into consideration. One is that in the “Cold War” world, politics regarding women were also a field of ideological conflict. On one side, Western countries sought women’s approval, arguing that only outside the Iron Curtain, where individual freedoms were respected, could they find their liberty. On the other side, the socialist countries proposed themselves as the only places where the differences between the sexes were overcome, and where measures (in education and work) were implemented in women’s favor. The other consideration concerns the autonomy of state women's organizations. In the West, the organizations in socialist countries were viewed with suspicion, considered mere transmission belts of party orders - instruments of authoritarian control. Kristen Ghodsee (and other scholars after 1990), observed instead that the women of these organizations used their privileged relations with the Party to promoting effective policies that fought against male patriarchal privileges by appealing to the communist ideals of equality. In this context, the case of Bulgaria is particularly significant, as regards both the organization of the CBWM its strategy for approaching the problems, and its relationship with the central government. It must be said that the CBWM was largely based on voluntary work. There were both national and local bodies, but only women on the highest levels were employed by the state. It was an organization open to all women, whether or not they were members of the Communist Party. Pavlina Popova and also Anna Durcheva reported, “Elena Lagadinova didn't care who you were […], she cared that you were a good worker.” The CBWM also had a certain financial autonomy, as the proceeds of the monthly "Zhenata Dne" (Woman Today), led by Sonia Bakish, another important figure in the Bulgarian women's movement, went directly into the budget of the CBWM.

Elena Lagadinova, the youngest partisan.

Regarding the CBWM’s relationship with the central government, Elena Lagadinova and the Committee never gave up pressing the politburo by making themselves the representatives of the needs and interests of women, taking up their requests and obtaining significant results. Let's see a little better with an example how the activity of Lagadinova and CBWM was carried out… With the Constitution of 1947, the condition of women had been improved. From the 1950s to the 1970s, Bulgaria experienced a period of rapid industrialization which saw an important contribution from the female workforce. However, there was a worrying decrease in the birth rate, and the appointment of Elena Lagadinova to the presidency of the CBWM can be considered a first response. A scientist was chosen because the problem had to be tackled from a scientific perspective, and, Lagadinova thought, by listening to women and giving them a voice. In fact, with the collaboration of the Central Statistical Institute, research was carried out to better understand the situation. Questions were asked about the distribution of work and family responsibilities, and it emerged that the greatest burden of family management weighed on women, as always. In short, many of them would like more children, but were held back by the lack of time, aid, and resources. And the truth was that there was not enough time for children, let alone for other activities like study, leisure, reading, and political participation. In short, the "communist" emancipation achieved in the workplace had not liberated women at all. To solve the problem, the simplest and cheapest proposal put forward by some politicians was to limit women's access to abortion as Romania had done. The CBWM instead suggested a set of alternative measures, such as maternity leave with job maintenance, family allowances, creation of crèches and services. In 1973, despite the important budgetary commitments they involved, these measures were approved. "Bulgaria was the most progressive country in terms of maternity leave and family policy among the socialist countries," says Popova, Elena's collaborator. On the question of abortion, however, a compromise was reached: abortion was denied to married women with less than two children. Even after the approval of the law, Lagadinova did not stop pressing offices, companies, government, ministries to obtain its implementation, giving voice to complaints, and many varied requests regarding the scarce availability of diapers, footwear, and housing – points made by many women in letters sent to the Committee.

Elena Lagadinova with Angela Davis, nel 1972.

Beginning in the 1980s, the CBWM became involved in campaigns aimed at changing the distribution of domestic work. The monthly "Women Today" began to publish photos of men knitting, changing diapers or carrying their offspring in a sling. Another important chapter of Elena Lagadinova's activity concerns international issues. During the United Nations Decade for Women (1975-1985), Lagadinova traveled extensively, weaving a dense network of bilateral relations with hundreds of women's organizations from the East, West and the Third World. She was appointed General Speaker at the World Conference on Women in Nairobi in 1985 and then joined the United Nations Institute for the Education of Women. In 1991, the Claremont Graduate School of the United States awarded her the presidential medal for outstanding merit.

The award statement included this praise:

[…] the world stage […] Long before a new world order emerged, you had already imagined one.
You behaved as if it already existed, and through your actions you contributed to its birth.
You have gone beyond the narrow borders of party and nationality to create an international network of scholars and politicians committed to the improvement of women's lives.
Through your work with the United Nations, you have influenced the lives of women around the world and,
through them, the fates of their families.”

Can we really talk, as does Maria Dinkova, about the "great revolution of women"? Or was theirs "an emancipation from above"? Undoubtedly there were limitations - controls by an authoritarian state, prohibition of autonomous organizations, limitations on civil rights (think of the absence of the theme of homosexuality, for example), and a belated and limited questioning of the role of women as mothers and workers. But it can be said that, despite these limitations, Elena Lagadinova and the entire CBWM helped Bulgarian women take considerable steps forward, and contributed to their autonomy and self-realization. Following the fall of the Berlin Wall in 1989, the CBWM was dissolved and Elena Lagadinova retired from public life. He died in her sleep in Sofia, on October 29, 2017.

 More info:

  • Ghodsee K., Pressuring the Politburo: The Committee of the Bulgarian Women’s Movement and State Socialist Feminism, Slavic Review, vol. 73 Cambridge Univ. Press, 2014
  • Ghodsee K., Second World, Second Sex, Socialist Women's Activism and Global Solidarity during the Cold War, Duke Univ. Press, 2019

 

Traduzione bulgara
Violeta Atanassova

«Трябва да се борите за това, в което вярвате.» (откъси от интервю с Kristen Ghodsee)

ПАРТИЗАНИНЪТ

Партизанско име: Амазонка! За кого говорим? За момиче, което едва на 11 годишна възраст е вече куриер за партизаните. През 1944 г., на 14 годишна възраст., когато България участва във войната на страната на съюзниците на нацистка Германия, тя бяга от горящия си дом — подпален от полицията — и се присъединява към двамата си по-големи братя, които вече са в планината. Така тя става най-младият български партизанин. Един от двамата й братя, Асен Лагадинов, е убит в следствие на засада. Елена обаче продължава да се бори, като печели прякора „Амазонка“ заради смелостта си.„Носих пистолета на връв около врата си. По този начин, ако ни нападнехаи, нямаше да се окаже, че съм го забравила някъде“, спомня си тя по-късно. Също така се говори, че през септември 1944 г. Елена, яхнала бял жребец, упътва партизаните, идващи от планините. Нейната снимка е във всички вестници и списания за младите хора от Белград до Москва. Тя се превръща в пример, дори мит — „Бъди толкова смела, колкото Амазонка!“

Елена Лагадинова през 1944г.

ИЗСЛЕДОВАТЕЛЯТ

След войната България, управлявана от Георги Димитров, се присъединява към съветския блок. Елена учи в СССР и завършва с докторска степен по агробиология. Завръщайки се в родината си, тя работи тринадесет години като изследовател в Академията на науките на своята страна и допринася за създаването на по-здрав пшеничен хибрид (тритикале/ triticale), който позволява увеличаване на селскостопанското производство. За работата си в областта на растителната генетика правителството ѝ връчва наградата Национален орден на Кирил и Методио през 1959 г. Елена обаче критикува контрола, упражняван върху научните изследвания в Съветския свят. През май 1967 г. тя пише писмо до съветския министър-председател Леонид Брежнев, в което изразява загриженост относно липсата на технически умения на партийните кадри, които оказват силно влияние върху научноизследователската дейност. Писмото е задържано от българското правителство, в резултат на което Елена се страхува за свободата си.„Един ден, докато бях в Академията, те изпратиха кола за мен. Бях в лабораторията, с лабораторната престилка, и работех върху един експеримент. Помолих ги да изчакат, но ми казаха да дойда веднага. Мислех, че съм арестувана. Вместо това Лагадинова е „повишена“ (или по-скор разселена) и назначена за председател на Комисията на Българското женско движение (КБЖД), а през 1971 г. става член на Централния комитет на Комунистическата партия. Тя е председател на КБЖД в продължение на двадесет и две години, до 1990 г. Тя е и една от най-влиятелните личности на международната сцена и в България, където има решаващ принос към това, което Мария Динкова определя като „великата женска революция в България“.

Лагадинова Амазоне, корица на вестник.

ПОЛИТИКЪТ

От 1968 г., когато напуска сферата на научните изследвания, Елена се занимава, както у дома, така и в международен план, с политика като цяло, и по-специално с „политиката за жените“.Преди да се анализират по-подробно нейните действия, следва да се вземат предвид две неща. Първото е, че в света на Студената война политиката по отношение на жените също е и област на идеологически конфликт. От една страна, западните държави търсят одобрението на жените, изтъквайки, че те могат да намерят своята свобода само отвъд пределите на Желязната завеса. От друга страна, социалистическите страни представят самите себе си като единствените места, където различията между половете са вече преодолени и където се прилагат мерки (в областта на образованието и труда) в полза на жените. Второто съображение се отнася до автономията на държавните организации на жените. На Запада на организациите в социалистическите страни се гледа с подозрение, и се счита, че те са просто едно от звената за предаване на партийни заповеди, т.е. използват се като инструменти за авторитарен контрол. Kristen Ghodsee (и други учени след 1990 г.) обаче отбеляза, че жените от тези организации са използвали привилегированите си отношения с партията, за да насърчават ефективни политики, които се борят срещу мъжките патриархални привилегии, като се обръщат към комунистическите идеали за равенство. В този контекст случаят на България е особено важен, както по отношение на организацията на стратегията на КБЖД за справяне с проблемите, така и по отношение на отношенията ѝ с централното правителство. Трябва да се отбележи, че КБЖД до голяма степен се основава на доброволческа дейност. Съществуват както национални, така и местни органи, но само жените на най-високо равнище са държавни служители. Това е организация, отворена за всички жени, независимо дали са членове на комунистическата партия или не. Павлина Попова, както и Анна Дърчева, казват, че „Елена Лагадинова не се е интересувала от това кои са жените в организацията [...], а само от това дали са добри работници. „ КБЖД притежава и известна финансова самостоятелност, тъй като приходите от месечното издание „Жената днес“, ръводено от Соня Бакиш, друга важна фигура в движението на българските жени, постъпват директно в бюджета на организацията. Що се отнася до отношенията на КБЖД с централното правителство, Елена Лагадинова и Комисията никога не се отказват да оказват натиск върху политбюро, като се превъръщат в представители на нуждите и интересите на жените, приемайки техните искания, и постигат значителни резултати. Примерът по-долу показва по-подробно как в действителност е била осъществявана дейността на Лагадинова и КБЖД...

Елена Лагадинова, младата партизанка.

С Конституцията от 1947 г. положението на жените е подобрено. Между 1950 г. и 1970 г. на миналия век в България се наблюдава период на бърза индустриализация, в който жените имат важен принос. Наблюдава се обаче тревожно намаляване на раждаемостта и назначаването на Елена Лагадинова за председател на КБЖД може да се счита като опит за решаване на този проблем. На поста е избран учен, защото проблемът трябва да бъде решен от научна гледна точка, а Лагадинова мисли, като се вслушва в жените и им дава глас. Всъщност в сътрудничество с Централния статистически институт са проведени изследвания за по-добро разбиране на ситуацията. Проведени са анкети относно разпределението на работата и семейните отговорности и става ясно, че най-голямата тежест от управлението на семейството пада върху жените, както винаги. Накратко, много от тях биха искали повече деца, но са възпрепятствани от липсата на време, помощ и ресурси. Истината е, че нямат достатъчно време за децата, а още по-малко за други дейности като обучение, хобита, четене и участие в политиката. С други думи, „комунистическата“ еманципация, постигната на работното място, изобщо не освобождава жените. За да се реши проблемът, най-простото и евтино предложение на някои политици е да се ограничи достъпът на жените до аборт, както е направено в Румъния. Вместо това КБЖД предлага набор от алтернативни мерки, като например отпуск по майчинство със запазване на работното място, семейни надбавки, създаване на детски ясли и услуги. През 1973 г., въпреки значителните бюджетни задължения, свързани с тях, тези мерки са одобрени.„България е най-прогресивната страна по отношение на отпуска по майчинство и семейната политика сред социалистическите страни“, казва Попова, сътрудник на Елена. По въпроса за абортите също се стига до компромис: на омъжени жени с по-малко от две деца се отказва аборт. Дори и след одобряването на закона Лагадинова не сприра да оказва натиск върху съответните служби, фирми, правителства и министерства за неговото прилаган, като дава гласност на оплакванията, както и много различни искания във връзка с недостатъчната наличност на пелени, обувки и жилища — въпроси, повдигнати от много жени в писма, изпратени до Комисията.

Елена Лагадинова и Анджела Дейвис, през 1972г.

От 1980-те години на миналия век КБЖД участва в кампании, насочени към промяна на разпределението на домашните задължения. Месечното издание „Жената днес“ започва да публикува снимки на мъже, които плетат, сменят пелени или разхождат децата си в количка. Друга важна глава от дейността на Елена Лагадинова се отнася до международните въпроси. По време на Десетилетието на ООН на жените (1975—1985 г.) Лагадинова пътува много, като изгражда гъста мрежа от двустранни отношения със стотици женски организации от Изтока, Запада и Третия свят. Тя е назначена за главен председател на Световната конференция за жените в Найроби през 1985 г. и след това се присъединява към Института на ООН за образование на жените. През 1991 г. Университетъ в Кларемон в Съединените щати ѝ връчва президентски медал за изключителни заслуги.

Декларацията при присъждане на наградата включва следната похвала:

В името на всички нации Вие застанахте на [...] световната сцена [...].
Дълго преди да се появи нов световен ред, Вие вече си го бяхте представили.
Вие действахте все едно този световен ред вече съществува и чрез действията си допринесохте за неговото появяване. Надхвърлихте тесните граници на партия и националност, за да създадете международна мрежа от учени и политици, ангажирани с подобряването на живота на жените.
Чрез работата си с Организацията на обединените нации вие повлияхте на живота на жените по света и чрез тях на съдбата на техните семейства

Можем ли наистина да говорим, както го прави Мария Динкова, за „голямата революция на жените“? Или това е била „спусната отгоре еманципация“? Несъмнено съществуват ограничения — контрол от страна на авторитарна държава, забрана на независими организации, ограничения на гражданските права, например отсъствието на темата за хомосексуалността, и закъсняло и ограничено поставяне под въпрос на ролята на жените като майки и работници. Може обаче да се каже, че въпреки тези ограничения Елена Лагадинова и цялата КБЖД помогнаха на българските жени да постигнат значителен напредък и допринесоха за тяхната независимост и самореализация. След падането на Берлинската стена през 1989 г. КБЖД е разпусната и Елена Лагадинова се оттегля от обществения живот. Почива в съня си в София на 29-ти октомври 2017 г.

Inge Lehmann

Valeria Pilone


Eleonora Nascimbeni

Chiunque abbia studiato scienze naturali a scuola, sa che la Terra ha una struttura complessa che vede la presenza di due nuclei, uno esterno più liquido e uno interno più solido, e che tra i due nuclei è presente la cosiddetta “discontinuità di Lehmann”. Nei libri è ricordato al massimo che la discontinuità prende il nome dalla geofisica e sismologa danese Inge Lehmann. Ma il suo merito è veramente grande: se conosciamo meglio il centro della Terra lo dobbiamo soprattutto agli studi di questa scienziata. Prima delle ricerche e intuizioni di Inge, la scienza credeva che il nucleo del nostro pianeta, posizionato a migliaia di chilometri di profondità sotto la crosta terrestre e i vari strati del mantello, fosse una sfera di materiale completamente liquido. Lehmann ha scoperto che, in realtà, è liquida solo la parte esterna del nucleo, mentre quella interna è composta prevalentemente di ferro allo stato solido. Per compiere i suoi studi e le sue osservazioni, la scienziata ha raccolto per anni informazioni sulle variazioni di velocità delle onde sismiche, rilevate dai sismografi durante i terremoti. Ancora oggi si studiano i terremoti come strumento per interpretare l’andamento delle onde sismiche, dal momento che non è possibile osservare direttamente l’interno della Terra.

In modo particolare, il 17 giugno 1929 un forte terremoto di magnitudo 7.3 della scala Richter aveva colpito la Nuova Zelanda. La scienziata analizzò le onde P, quelle che per prime vengono rilevate da una stazione sismica, e riscontrò alcune anomalie nel modo in cui si propagavano attraverso il pianeta. Tali onde, secondo l’ipotesi di Inge, sembravano ad un certo punto incontrare un ostacolo che ne modificava traiettoria e velocità. In uno studio pubblicato nel 1936 e intitolato P, Lehmann spiegò che le anomalie nella propagazione delle onde erano l’effetto della presenza di un nucleo interno solido. Ipotizzò, quindi, che il centro della Terra fosse costituito da una parte esterna liquida e una interna solida. La separazione tra le due parti avviene a circa cinquemila chilometri di profondità, in quella che ora è conosciuta, appunto, come “discontinuità di Lehmann”. La teoria di Inge fu subito accolta dai sismologi del suo tempo, ma sarà validata definitivamente solo all’inizio degli anni Settanta, quando attrezzature sismografiche maggiormente sensibili e precise riusciranno a rilevare in modo diretto la deviazione delle onde P per effetto della presenza di un nucleo interno solido. Un contributo, dunque, assai importante per il mondo della scienza, quel mondo in cui – ci fanno sapere Sara Sesti e Liliana Moro nel loro bel volume Scienziate nel tempo – «per ottenere promozioni pari a quelle di un ricercatore, una ricercatrice deve essere 2,6 volte più brava», secondo un calcolo compiuto dalle microbiologhe svedesi Christine Wenneras e Agnes Wold. E Inge Lehmann deve essere stata particolarmente brava, perché negli anni in cui ha indefessamente lavorato, non disponeva certo della capacità di calcolo dei nostri moderni computer, o di tutti i sofisticati strumenti scientifico-tecnologici che oggi danno una grossa mano a scienziati e scienziate nei loro percorsi di ricerca. Pare che facesse i suoi calcoli annotando quanto osservava su pezzi di scatole per cereali. Essi erano talmente meticolosi che nel 1971, in occasione del conferimento a Inge della medaglia Bowie, Francis Birch, geofisico che aveva preso parte al “Progetto Manhattan” (quello, per intenderci, che portò alla realizzazione delle prime bombe atomiche durante la Seconda guerra mondiale), disse che «la discontinuità di Lehmann fu scoperta attraverso un attento e minuzioso esame delle registrazioni sismiche fatta da un maestro di arte nera, senza nessun apporto di computerizzazione» (tradotto da Bertha Swirles, Quarterly Journal of the Royal Astronomical Society, 1994, in https://www.famousscientists.org/).

Del resto, Inge era proprio nata sotto una buona stella il 13 maggio 1888 a Copenaghen. Suo padre era lo psicologo Alfred Georg Ludvik Lehmann che nel 1886 aveva aperto il primo laboratorio sperimentale di psicologia all’Università cittadina. Da ragazza aveva frequentato la scuola superiore ad indirizzo pedagogico-progressista diretta da Hanna Adler, pioniera dell’educazione mista in Danimarca e una delle prime due donne danesi ad avere la laurea in fisica, nonché zia di Niels Bohr, futuro fisico nucleare e premio Nobel per la Fisica nel 1922. In questa scuola maschi e femmine studiavano insieme le stesse materie, senza discriminazioni. Suo padre e Hanna Adler rappresentarono, dunque, due figure fondamentali nella sua formazione. Appassionatasi alle materie scientifiche, si iscrisse alla facoltà di matematica dell’Università di Copenaghen e trascorse un anno a Cambridge, dove ebbe non poche difficoltà ad adattarsi alle severe restrizioni imposte alle ragazze. Dopo un periodo di discontinuità negli studi a causa di diversi problemi di salute, nel 1920, all’età di 32 anni, Inge si laureò in matematica e trovò impiego come assistente amministrativa nel dipartimento di scienze dell’Università di Copenaghen. Nel 1925 diventò assistente del prof. Niels Erik Nørlund, matematico appassionato di geodesia, la scienza che studia la forma della Terra e le sue dimensioni. Questo ramo scientifico la affascinò a tal punto che Lehmann vi si specializzò nel 1928, a 40 anni, diventando geodeta di Stato e direttrice del dipartimento di sismologia dell’Istituto Geodetico di Danimarca, presieduto da Nørlund.

Inge Lehmann. Foto di Peter Elfelt, American Geophysical Union (AGU), per concessione dall'archivio visivo Emilio Segrè dell'AIP.

Con l’inizio della Seconda guerra mondiale e l’occupazione nazista del Paese, Inge non riuscì a lavorare come voleva. Dopo la guerra i suoi rapporti con l’Istituto Geodetico si incrinarono, sia perché non fu per lei facile affermarsi in un ambiente fortemente maschilista e ostile alle donne quale quello scientifico della prima metà del XX secolo, sia perché probabilmente Inge Lehmann non doveva essere molto diplomatica. Lei stessa ebbe ad affermare: «Sapessi con quanti uomini incompetenti ho dovuto competere, invano». Nel 1953 si pensionò dall’Istituto e si recò negli Stati Uniti per continuare i suoi studi, appassionati fino alla fine: pubblicò il suo ultimo articolo, Seismology in the Days of Old, nel 1987, all’incredibile età di 99 anni. Numerosi sono stati i premi, i dottorati honoris causa e i riconoscimenti ricevuti: tra questi, l’elezione a componente della Royal Society nel 1969, la medaglia William Bowie nel 1971 (fu la prima donna a riceverla) e la medaglia della Società Sismologica Americana nel 1977. Sono a lei intitolati l’asteroide 5632, chiamato Ingelehmann, un luogo lungo la U.S. Route 1 e un ponte ad Aventura, entrambi in Florida, oltre ad alcune strade in Germania.Nel 1997 la American Geophysical Union ha istituito la “Inge Lehmann Medal” per premiare «notevoli contributi resi per la comprensione della struttura, composizione e dinamica del mantello e del nucleo della Terra». Inge si è spenta a Copenaghen il 21 febbraio 1993, alla veneranda e feconda età di 105 anni. È stata una grande studiosa, una donna intelligente, amante della montagna, che si è fatta strada in un mondo da sempre maschile per (distorta) antonomasia, una straordinaria scienziata che nel panorama delle Stem (Science, Technology, Engineering, Math) brilla come astro luminoso nella storia europea della scienza. Sui nostri libri di scuola meriterebbe ben più che una menzione.

 

Traduzione francese
Joelle Rampacci

Quiconque a étudié les sciences naturelles à l'école sait que la Terre a une structure complexe qui voit la présence de deux noyaux, un plus liquide à l'extérieur et un autre plus solide à l'intérieur, et qu'entre les deux noyaux il y a la ainsi nommée «discontinuité de Lehmann». Dans les livres, on se souvient au maximum que la discontinuité porte le nom de la géophysicienne et sismologue danoise Inge Lehmann. Mais son mérite est vraiment grand: si nous connaissons mieux le centre de la Terre, nous le devons avant tout aux études de cette scientifique. Avant les recherches et les idées d'Inge, la science croyait que le noyau de notre planète, situé à des milliers de kilomètres de profondeur sous la croûte terrestre et les différentes couches du manteau, était une sphère de matière complètement liquide. Lehmann a constaté qu'en réalité, seule la partie externe du noyau est liquide, tandis que la partie interne est principalement composée de fer à l'état solide. Pour mener à bien ses études et observations, la scientifique a collecté pendant des années des informations sur les variations de vitesse des ondes sismiques, détectées par des sismographes lors de tremblements de terre. Les tremblements de terre sont encore étudiés aujourd'hui comme un outil pour interpréter la tendance des ondes sismiques, car il n'est pas possible d'observer directement l'intérieur de la Terre.

En particulier, le 17 juin 1929, un fort tremblement de terre de 7,3 sur l'échelle de Richter a frappé la Nouvelle-Zélande. La scientifique a analysé les ondes P, celles qui sont détectées en premier par une station sismique, et a trouvé des anomalies dans la façon dont elles se sont propagées à travers la planète. Ces ondes, selon l'hypothèse d'Inge, semblaient à un moment donné rencontrer un obstacle qui changeait leur trajectoire et leur vitesse. Dans une étude publiée en 1936 et intitulée P, Lehmann expliquait que les anomalies de propagation des ondes étaient l'effet de la présence d'un noyau interne solide. Elle a donc émis l'hypothèse que le centre de la Terre était composé d'une partie externe liquide et d'une partie interne solide. La séparation entre les deux parties se produit à une profondeur d'environ cinq mille kilomètres, dans ce que l'on appelle maintenant précisément la «discontinuité de Lehmann». La théorie d'Inge a été immédiatement acceptée par les sismologues de son temps, mais elle ne sera définitivement validée qu'au début des années 1970, lorsque des équipements sismographiques plus sensibles et précis pourront détecter directement la déviation des ondes P due à la présence d'un noyau intérieur solide. Une contribution très importante, donc, pour le monde de la science, ce monde dans lequel - Sara Sesti et Liliana Moro nous informent dans leur beau volume Scientifiques femmes dans le temps - "pour obtenir des promotions égales à celles d'un chercheur, une chercheuse doit être 2,6 fois meilleure », selon un calcul effectué par les microbiologistes suédoises Christine Wenneras et Agnes Wold. Et Inge Lehmann a dû être particulièrement excellente, car dans les années pendant lesquelles elle a travaillé sans relâche, elle ne pouvait certainement pas compter sur la capacité de calcul de nos ordinateurs modernes, ni de tous les outils scientifiques et technologiques sophistiqués qui donnent aujourd'hui un grand coup de main aux scientifiques dans leurs parcours de recherche. Apparemment, elle a fait ses calculs en notant ce qu'elle a observé sur des morceaux de boîtes de céréales. Ils étaient si méticuleux qu'en 1971, à l'occasion de la remise de la médaille Bowie à Inge, Francis Birch, géophysicien ayant participé au «Manhattan Project» (celui, pour ainsi dire, qui a conduit à la création des premières bombes atomiques pendant la Seconde Guerre mondiale ), a déclaré que "la discontinuité de Lehmann a été découverte grâce à un examen attentif et méticuleux des enregistrements sismiques réalisés par un maître de l'art noir, sans aucune contribution de l'informatisation" (traduit par Bertha Swirles, Quarterly Journal of the Royal Astronomical Society, 1994, dans https://www.famousscientists.org/)https://www.famousscientists.org/

Après tout, Inge est née sous une bonne étoile le 13 mai 1888 à Copenhague. Son père était le psychologue Alfred Georg Ludvik Lehmann qui, en 1886, avait ouvert le premier laboratoire de psychologie expérimentale à l'Université de la ville. En tant que jeune fille, elle avait fréquenté le lycée avec un discours pédagogique progressif dirigé par Hanna Adler, une pionnière de l'éducation mixte au Danemark et l'une des deux premières femmes danoises à avoir un diplôme en physique, ainsi que la tante de Niels Bohr, future physicienne nucléaire et lauréate du prix Nobel. pour la physique en 1922. Dans cette école, garçons et filles étudiaient ensemble les mêmes matières, sans discrimination. Son père et Hanna Adler représentaient donc deux figures fondamentales de sa formation. Passionnée par les matières scientifiques, elle s'inscrit à la faculté de mathématiques de l'Université de Copenhague et passe un an à Cambridge, où elle a de nombreuses difficultés à s'adapter aux sévères restrictions imposées aux filles. Après une période de discontinuité dans les études en raison de divers problèmes de santé, en 1920, à l'âge de 32 ans, Inge obtient son diplôme en mathématiques et trouve un emploi en tant qu'assistante administrative au département des sciences de l'Université de Copenhague. En 1925, elle devient assistante du prof. Niels Erik Nørlund, mathématicien passionné par la géodésie, la science qui étudie la forme de la Terre et ses dimensions. Cette branche scientifique la fascinait à tel point que Lehmann s'y spécialisa en 1928, à l'âge de 40 ans, devenant géodésiste d'État et directeur du département de sismologie de l'Institut géodésique du Danemark, présidé par Nørlund.

Inge Lehmann. Inge Lehmann. Photo de Peter Elfelt, American Geophysical Union (AGU), avec l'aimable autorisation de l'AIP des archives visuelles Emilio Segrè.

Avec le début de la Seconde Guerre mondiale et l'occupation nazie du pays, Inge était incapable de travailler comme elle le souhaitait. Après la guerre, ses relations avec l'Institut géodésique se sont rompues, à la fois parce qu'il n'était pas facile pour elle de s'établir dans un environnement fortement dominé par les hommes et hostile comme celui scientifique de la première moitié du XXe siècle, et parce que probablement Inge Lehmann ne devait pas être vraiment très diplomatique. Elle a dit: “si vous saviez combien d'hommes incompétents avec lesquels j’ai dû concourir, en vain." En 1953, elle se retire de l'Institut et part aux États-Unis pour continuer ses études, passionnées jusqu'au bout: elle publie son dernier article, Seismology in the Days of Old, en 1987, à l'âge incroyable de 99 ans. Elle a reçu de nombreux prix, doctorats honorifiques et reconnaissances: parmi eux, l'élection en tant que membre de la Royal Society en 1969, la médaille William Bowie en 1971 (elle a été la première femme à la recevoir) et la médaille de l'American Seismological Society en 1977. On donne son nom à l'astéroïde 5632, Ingelehmann, à un endroit le long de la U.S Route 1 et à un pont à Aventura, tous deux en Floride, ainsi qu'à quelques routes en Allemagne. En 1997, l'American Geophysical Union a créé la «Médaille Inge Lehmann» pour récompenser «les contributions notables apportées à la compréhension de la structure, de la composition et de la dynamique du manteau et du noyau de la Terre». Inge décède à Copenaghen le 21 février 1993, à l'âge vénérable et fécond de 105 ans. C'était une grande érudite, une femme intelligente, une amoureuse des montagnes, qui s'est frayée un chemin dans un monde qui a toujours été masculin par antonomasie (déformée), une scientifique extraordinaire qui brille comme un étoile lumineuse dans l'histoire européenne de la science. Dans nos manuels scolaires, elle mériterait bien plus qu'une simple mention.

 

Traduzione inglese
Cettina Callea

Anyone who has studied natural sciences at school knows that the Earth has a complex structure with a two-layer nucleus. The external layer is more liquid, and the internal one, more solid. Between the layers there is the so-called "Lehmann discontinuity.” Books remind us that the discontinuity takes its name from the great Danish geophysicist and seismologist Inge Lehmann. What we know about the complexity of the centre of the Earth, we owe, above all, to the studies conducted by this female scientist. Before Inge's research and insights, science believed that the core of our planet, lying thousands of kilometers beneath the earth's crust and the various layers of the mantle, was a sphere of completely liquid material. Lehmann discovered that, in reality, only the external part of the core is liquid, while the internal part is mainly made of iron in a solid state. In order to carry out her studies and observations, Lehman spent years collecting information on speed variations in seismic waves, detected by seismographs during earthquakes. Earthquakes and their seismic waves are still studied today as a tool for interpreting the structure of the earth, since it is not possible to directly observe the interior of the earth.

On June 17, 1929, a strong earthquake measuring 7.3 on the Richter scale struck New Zealand. Lehmann analyzed the P waves, the ones that are first detected by seismic instruments, and found some anomalies in the way they propagated across the planet. These waves, according to Inge's hypothesis, seemed at one point to encounter an obstacle that changed their trajectory and speed. In a study published in 1936 and entitled “P,” Lehmann explained that the anomalies in wave propagation were the effect of the presence of a solid inner core. She hypothesized, therefore, that the centre of the Earth was made up of a liquid external part and a solid internal part. The separation between the two parts takes place at a depth of about five thousand kilometers, in what is now known as the "Lehmann discontinuity. Inge's theory was immediately accepted by the seismologists of her time, but it was definitively validated only at the beginning of the 1970s, when more sensitive and precise seismographic instruments were able to directly detect the deviation of P waves due to the presence of the solid interior of the nucleus. She made a very important contribution to the world of science. As Sara Sesti and Liliana Moro write in their beautiful volume "Scientists in Time" - "to obtain promotions equal to those of a male researcher, a woman must be 2 to 6 times better," according to a calculation made by Swedish microbiologists Christine Wenneras and Agnes Wold. And Inge Lehmann must have been particularly good, because in the years in which she worked tirelessly, she certainly did not have our modern computing capacity, or access to all the sophisticated scientific-technological tools that today provide huge help to scientists in their research and analysis. Apparently, she made her calculations by noting what she observed on pieces of cereal boxes. The observations were so meticulous that in 1971, on the occasion of the awarding of the Bowie medal to Inge, Francis Birch, a geophysicist who had taken part in the "Manhattan Project" (the one, to be clear, which led to the creation of the first atomic bombs during the Second World War ), said that "Lehmann's discontinuity was discovered through a careful and meticulous examination of the seismic records made by a master of black art, without any contribution of computerization" (translated by Bertha Swirles, Quarterly Journal of the Royal Astronomical Society, 1994, in https://www.famousscientists.org/).https://www.famousscientists.org/

After all, Inge was born under a lucky star on May 13, 1888 in Copenhagen. Her father was the psychologist Alfred Georg Ludvik Lehmann who in 1886 had opened the first experimental psychology laboratory at the city’s university. As a young girl she had attended high school with a pedagogical-progressive orientation, directed by Hanna Adler, a pioneer of mixed education in Denmark and one of the first two Danish women to have a degree in physics, as well as aunt of Niels Bohr, future nuclear physicist and Nobel laureate for Physics in 1922. In this school, boys and girls studied the same subjects together, without discrimination. Her father and Hanna Adler therefore represented two fundamental figures in her training. Passionate about scientific subjects, she enrolled in the mathematics faculty of the University of Copenhagen and spent a year in Cambridge, where she had many difficulties in adapting to the severe restrictions imposed on girls. After a period of discontinuity in her studies due to various health problems, in 1920, at the age of 32, Inge graduated in mathematics and found employment as an administrative assistant in the science department of the University of Copenhagen. In 1925 she became an assistant to Prof. Niels Erik Nørlund, a mathematician passionate about geodesy, the science that studies the shape of the Earth and its dimensions. This scientific branch fascinated her to such an extent that Lehmann specialized there in 1928, at the age of 40, becoming a state geodesist and director of the seismology department of the Geodetic Institute of Denmark, chaired by Nørlund.

Inge Lehmann. Inge Lehmann. Photo by Peter Elfelt, American Geophysical Union (AGU), courtesy of the AIP Emilio Segrè visual archive.

With the onset of World War II and the Nazi occupation of the country, Inge was unable to work as she wanted. After the war her relations with the Geodetic Institute broke down, both because it was not easy for her to establish herself in a strongly male-dominated and hostile environment such as the scientific one of the first half of the twentieth century, and maybe since Inge Lehmann was probably not very diplomatic. She said: "If you only knew how many incompetent men I had to compete with, in vain." In 1953 she retired from the Institute and went to the United States to continue her studies, passionate to the end. She published her last article, “Seismology in the Days of Old,” in 1987, at the incredible age of 99. She received numerous awards, honorary doctorates and acknowledgments, among them, election as a member of the Royal Society in 1969, the William Bowie medal in 1971 (she was the first woman to receive it) and the American Seismological Society medal in 1977. Asteroid 5632 was called Inge Lehmann after her, as were a place along the U.S. Route 1 a bridge in Aventura, both in Florida, and some roads in Germany. In 1997 American Geophysical Union instituted the "Inge Lehmann Medal,” a reward for notable contributions made to the understanding of the structure, composition and dynamics of the Earth's mantle and core. Inge passed away in Copenhagen on February 21, 1993, at the venerable and fruitful age of 105. She was a great scholar, an intelligent woman and a lover of the mountains, who made her way in a world that has always (unfairly) been dominated by men. She was an extraordinary scientist who, in the panorama of STEM (Science, Technology, Engineering, Math), shines as bright star in the European history of science. In our school books she deserves much more than just a mention.

 

Traduzione danese
Anne Marie Østergard

Enhver, der har studeret naturvidenskab i skolen ved, at Jorden har en kompleks struktur med en to-lags kerne. Det udvendige lag er mere flydende, og det interne er mere fast. Mellem lagene er der den såkaldte "Lehmann diskontinuitet”. Bøger minder os om, at diskontinuiteten har sit navn fra den store danske geofysiker og seismolog Inge Lehmann. Det, vi ved om kompleksiteten i jordens centrum, skyldes frem for alt de undersøgelser, som denne kvindelige videnskabsmand har foretaget. Før Inges forskning og indsigt mente videnskaben, at kernen i vores planet, der ligger tusindvis af kilometer under jordskorpen og de forskellige lag af kappen, var en sfære af helt flydende materiale. Lehmann opdagede, at i virkeligheden er det kun den ydre del af kernen, der er flydende, mens den indre del hovedsageligt består af jern i fast tilstand. For at kunne gennemføre sine undersøgelser og observationer brugte Lehman år på at indsamle oplysninger om hastighedsvariationer i seismiske bølger, som blev opdaget af seismografer under jordskælv. Jordskælv og deres seismiske bølger bliver stadig undersøgt i dag som et redskab til at fortolke strukturen af jorden, da det ikke er muligt direkte at observere det indre af planeten.

Den 17. juni 1929 ramte et kraftigt jordskælv New Zealand, og der blev målt 7,3 på Richter-skalaen. Lehmann analyserede P bølgerne, som er dem, der først opdages af seismiske instrumenter, og fandt nogle anomalier i den måde, de formerer over hele planeten. Disse bølger, ifølge Inge's hypotese, syntes på et tidspunkt at støde på en hindring, der ændrede deres bane og hastighed. I en undersøgelse offentliggjort i 1936 med titlen "P" forklarede Lehmann, at anomalierne i bølgeformering var effekten af tilstedeværelsen af en fast indre kerne. Hun antager derfor, at jordens centrum består af en flydende ydre del og en fast indvendig del. Adskillelsen mellem de to dele finder sted i en dybde på omkring fem tusinde kilometer, i det, der nu er kendt som "Lehmann diskontinuitet”. Inge's teori blev straks accepteret af seismologer af hendes tid, men det blev først endeligt valideret først i begyndelsen af 1970'erne, da mere følsomme og præcise seismografiske instrumenter var i stand til direkte at opdage afvigelsen af P bølger på grund af tilstedeværelsen af det faste indre af kernen. Hun ydede et meget vigtigt bidrag til videnskabens verden. Som Sara Sesti og Liliana Moro skriver i deres smukke bind "Scientists in Time": "for at opnå forfremmelser svarende til en mandlig forsker, skal en kvinde være 2 til 6 gange bedre" ifølge en beregning foretaget af de svenske mikrobiologer Christine Wenneras og Agnes Wold. Og Inge Lehmann må have været særlig god, for i de år, hvor hun arbejdede utrætteligt, havde hun bestemt ikke vores moderne computerkapacitet eller adgang til alle de avancerede videnskabelige-teknologiske værktøjer, der i dag giver stor hjælp til forskere i deres forskning og analyse. Tilsyneladende lavede hun sine beregninger ved at bemærke, hvad hun observerede på stykker af korn-kasser. Observationerne var så omhyggelige, at i 1971 i anledning af tildelingen af Bowie-medaljen til Inge, sagde Francis Birch, en geofysiker, der havde deltaget i "Manhattan Project" (den ene, at være klar, hvilket førte til oprettelsen af den første atombomber under Anden Verdenskrig ) at "Lehmanns diskontinuitet blev opdaget gennem en meget omhyggelig undersøgelse af de seismiske optegnelser foretaget af en mester i sort kunst, uden bidrag til datamatisering" (oversat af Bertha Swirles, Quarterly Journal of The Royal Astronomical Society, 1994, i https://www.famousscientists.org/).https://www.famousscientists.org/

Inge blev trods alt født under en heldig stjerne den 13. maj 1888 i København. Hendes far var psykologen Alfred Georg Ludvik Lehmann, som i 1886 havde åbnet det første eksperimentelle psykologilaboratoriumpå byens universitet. Som ung pige havde hun gået i gymnasiet med en pædagogisk-progressiv orientering, instrueret af Hanna Adler, en pioner inden for blandet uddannelse i Danmark og en af de to første danske kvinder, der havde en grad i fysik. H.Adler var tante til Niels Bohr, der var atomfysiker og fik nobelprisen i fysik i 1922. I denne skole studerede drenge og piger sammen uden forskelsbehandling. Hendes far og Hanna Adler repræsenterede derfor to grundlæggende personer i hendes uddannelse. Lidenskabeligt optaget af naturvidenskabelige emner, blev hun indskrevet ved matematisk fakultet på Københavns Universitet og tilbragte et år i Cambridge, hvor hun havde mange problemer med at tilpasse sig de alvorlige restriktioner for piger. Efter en periode med afbrydelser i studierne på grund af forskellige helbredsproblemer, dimitterede Inge i 1920 i matematik i en alder af 32 og fandt beskæftigelse som administrativ assistent ved København universitets naturvidenskabelige afdeling. I 1925 blev hun assistent for Prof. Niels Erik Nørlund, en matematiker, der brændte for geodæsi, den videnskab, der studerer jordens form og dens dimensioner. Denne videnskabelige gren fascinerede hende i en sådan grad, at Lehmann specialiserede sig der i 1928, i en alder af 40, og blev statsgeodesist og direktør for seismologiafdelingen ved Geodætisk Institut i Danmark, ledet af Nørlund.

Inge Lehmann. Foto af Peter Elfelt, American Geophysical Union (AGU), takket være AIP Emilio Segrès visuelle arkiv.

Med udbruddet af 2. Verdenskrig og den nazistiske besættelse af landet var Inge ude af stand til at arbejde, som hun ønskede. Efter krigen brød hendes forhold til Geodætisk Institut sammen, både fordi det ikke var let for hende at etablere sig i et stærkt mandsdomineret og fjendtligt miljø, som det videnskabelige miljø var i første halvdel af det tyvende århundrede, men også fordi Inge Lehmann sandsynligvis ikke var særlig diplomatisk. Hun sagde: "Hvis du bare vidste, hvor mange inkompetente mænd, jeg var nødt til at konkurrere med, forgæves." I 1953 hun trak sig tilbage fra instituttet og tog til USA for at fortsætte sine undersøgelser, lidenskabelig til det sidste. Hun udgav sin sidste artikel i 1987 ”Seismology in the Days of Old” , i en utrolig alder af 99 år. Hun modtog adskillige priser, æresdoktoraterog anerkendelser, blandt dem kan især nævnes - valgt som medlem af Royal Society i 1969, William Bowie medalje i 1971 (hun var den første kvinde til at modtage den) og American Seismological Society medalje i 1977 Asteroide 5632 blev kaldt Inge Lehmann efter hende, ligesom et sted langs den amerikanske Route 1, en bro i Aventura, både i Florida, og nogle veje i Tyskland. I 1997 indførte American Geophysical Union "Inge Lehmann Medal",en belønning for bemærkelsesværdige bidrag til forståelsen af strukturen, sammensætningen og dynamikken i Jordens kappe og kerne. Inge døde i København den 21. februar 1993 i en alder af 105 år Hun var en stor lærd, en intelligent kvinde og en elsker af bjergene, der skabte sin vej i en verden, der altid har (uretfærdigt) været domineret af mænd. Hun var en ekstraordinær videnskabsmand , der i panorama af STEM (Videnskab, Teknologi, Teknik, Matematik), skinner som en lysende stjerne i den europæiske videnskabshistorie. I vores skolebøger fortjener hun meget mere end blot en omtale.

Lise Meitner

Alice Vergnaghi


Eleonora Nascimbeni

Raccontare la storia di Lise Meitner (Vienna, 7 novembre 1878 – Cambridge, 27 ottobre 1968), significa addentrarsi nei meandri misteriosi della fisica, impararne il linguaggio fatto di teorie, sperimentazioni ed equazioni; fare i conti con l’ambiente scientifico europeo, dominato da stereotipi e discriminazioni di genere; ripercorrere uno dei periodi più cupi della storia europea: l’affermazione del nazismo e il dramma della Seconda guerra mondiale. Elise Meitner, soprannominata Lise, nasce nella Vienna laica, colta e viva di fine secolo da genitori ebrei non praticanti pienamente inseriti nell’ambiente multietnico e multiculturale dell’Impero austro-ungarico. La riforma universitaria, consentendo a tutti i sudditi maschi di frequentare le università, aveva permesso al padre di Lise di diventare avvocato. La famiglia Meitner, molto numerosa, colta e progressista, attribuisce poca importanza alla dimensione religiosa, puntando invece sulla centralità della libertà individuale, e considera la cultura come un valore da coltivare attraverso lo studio.

Lise mostra subito capacità sorprendenti nello studio della matematica e della fisica, apprende da autodidatta la lingua francese e ha anche una certa attitudine nei confronti della musica, soprattutto per il pianoforte. I genitori non ostacolano il desiderio della figlia di studiare, ma alle donne dell’epoca era negata la carriera accademica: dovevano accontentarsi di essere mogli, madri e, se proprio volevano, insegnanti. Essendole negato l’accesso al Ginnasio, Lise si iscrive al Magistero e ipotizza di dedicarsi all’insegnamento del francese. Proprio nel 1899 però si apre anche per lei una porta per l’università quando viene concessa alle donne la possibilità di iscriversi e Lise opta per la Facoltà di Scienze dell’Università di Vienna: partecipa a tutte le lezioni possibili; adora la matematica, ma le lezioni di termodinamica del prof. Boltzmann la portano verso la fisica, disciplina in cui si laurea nel 1906. La svolta per lei ha luogo quando giunge a Vienna per una serie di conferenze Max Planck, il padre della teoria dei quanti secondo cui l’energia associata alla radiazione elettromagnetica è trasmessa in pacchetti discreti (detti quanti) che successivamente verranno identificati da Albert Einstein nei fotoni e gli serviranno per spiegare la doppia natura della luce: corpuscolare e ondulatoria. Affascinata dalla teoria dei quanti, Lise chiede e ottiene dal padre il permesso di recarsi a Berlino per seguire le lezioni di Planck. Non può iscriversi all’università, ma chiede di poter ascoltare le lezioni come uditrice e Planck, pur essendo un conservatore e non ammettendo la presenza delle donne in università, accetta che lei frequenti il suo corso. Nonostante l’entusiasmo, a Lise manca la ricerca e chiede prima a Marie Curie e poi al docente tedesco di Fisica sperimentale, Heinrich Rubens, la possibilità di lavorare nei loro laboratori: entrambi le rispondono che non c’è posto per lei. Però il docente tedesco le permette di conoscere Otto Hahn, un giovane chimico, praticamente suo coetaneo, che come lei è appassionato di radioattività: il sodalizio fra i due durerà trent’anni e sarà caratterizzato da una solida amicizia in grado di resistere anche alle incrinature di tipo professionale che seguiranno le scoperte della seconda metà degli anni Trenta.

A Otto e Lise viene concesso uno scantinato attiguo al laboratorio di chimica dell’Università di Berlino e lì cominciano i loro esperimenti sugli atomi radioattivi. I due pubblicano insieme articoli di notevole rilevanza scientifica, ma, nonostante ciò, Lise non ottiene nessun incarico universitario, mentre Hahn diventa membro della Facoltà di Chimica e ottiene il ruolo di Privatdozent. Lei continua ad essere ignorata dalla comunità dei chimici e considerata una semplice assistente, dovrà attendere il 1912 per vedersi riconosciuto un piccolo stipendio e il 1921 per diventare anche lei Privatdozent, non certo nella Facoltà di Chimica, ma in quella di Fisica. L’interesse dei due si concentra poi sugli esperimenti sul radio: sia Lise che Otto fanno parte di una nuova generazione di scienziati/e che stanno raggiungendo una conoscenza della natura impensabile fino a pochi anni prima, una generazione aperta alle moderne frontiere e genuinamente convinta del proprio cosmopolitismo scientifico. La partecipazione ad un convegno a Salisburgo consente a Lise di conoscere un altro outsider, Albert Einstein, che propone una teoria rivoluzionaria con la quale mette in relazione l’energia e la massa di un sistema fisico e che avrà un ruolo fondamentale per l’evoluzione scientifica di Lise. L’improvvisa morte del padre pone a Lise il problema del proprio mantenimento, visto che la famiglia non può più permettersi l’assegno mensile che le versava, in parte risolto dall’offerta di Planck di diventare la sua assistente nel Dipartimento di Fisica: è la prima donna in Prussia a ricoprire tale incarico; seguirà poi nel 1913 l’incarico di associata del medesimo dipartimento e la possibilità di accedere al nuovo laboratorio chimico specializzato in radioattività che viene affidato ad Hahn, diventato ormai professore del Dipartimento di Chimica. Otto e Lise di fatto cogestiscono il laboratorio, sono colleghi alla pari, ma il peso economico del loro lavoro è misurato sulla base del genere. Un esempio? Quando un’industria tedesca, la Knöfler, propone loro di produrre radio per il mercato a lui vengono riconosciuti 66.000 marchi a lei 6.600.

Nel frattempo, un evento improvviso e inaspettato sconvolge l’Europa: lo scoppio della Prima guerra mondiale e il mondo scientifico si divide. Di fronte al nazionalismo di molti suoi colleghi che firmano il Manifesto dei ’93, difendendo l’azione dell’esercito tedesco con l’invasione del Belgio neutrale, lei si riconosce in un'altra proposta, che avrà solo due firmatari, Einstein e Nicolai, e cioè il Manifesto degli europei con il quale chiedono la cessazione immediata delle ostilità e l’unità politica dell’Europa. Lise si arruola come infermiera nell’esercito austriaco, specializzandosi nell’applicazione in campo medico dei raggi X che erano stati protagonisti dei suoi ultimi esperimenti. Sul fronte russo, in mezzo alla morte e ai corpi devastati di giovani soldati, Lise matura il suo più totale e radicale rifiuto della guerra. Ritornata a Berlino, prima della fine del conflitto, scopre con raccapriccio che il Dipartimento di Chimica è stato trasformato in un laboratorio militare in cui si costruiscono armi di distruzione di massa e, all’offerta di prendere parte agli esperimenti, lei oppone un netto rifiuto. Sono gli anni in cui Lise rafforza il suo rapporto scientifico con Albert Einstein, che il 25 novembre 1915 aveva annunciato la sua teoria sulla relatività ristretta, e dirige la sezione fisica del laboratorio di chimica. Importanti risultano gli esperimenti sull’attinio, con isolamento della sostanza madre e la scoperta di un nuovo elemento radioattivo, il protoattinio, con numero atomico 91. Le prove in laboratorio, il lavoro di analisi e di verifica sono suoi, anche se Hahn dal fronte vi contribuisce. Nonostante questi presupposti, quando esce l’articolo scientifico del nuovo elemento, il primo firmatario è Otto Hahn perché è lui il ricercatore (uomo) con la posizione di professore del Dipartimento di Chimica. Gli anni Venti sono per Lise un periodo di grandi riconoscimenti: il sodalizio con il fisico danese Niels Bohr che la porta in Danimarca nell’Istituto di Fisica Teorica da lui gestito per tenere un seminario sulla fisica sperimentale della radioattività; poi l’invito in Svezia in quanto pioniera nello studio della radioattività per trasmettere alla gioventù svedese le sue conoscenze sulla spettroscopia dei raggi X. Ritornata in Germania nel 1922, Lise diventa la prima donna a insegnare in una università della Prussia e la seconda in Germania: il riconoscimento a livello personale e professionale è enorme, ma ad esso non corrisponde un’effettiva accettazione sociale di questa conquista come dimostra un giornale tedesco che, riportando la notizia della lezione inaugurale della prof. Meitner, le attribuisce l’insegnamento di “fisica cosmetica”. Le pubblicazioni e gli esperimenti che si concentrano sia sulla radioattività che sulla struttura del nucleo dell’atomo le danno grande visibilità: nel 1924 ottiene il premio dell’American Association to Aid Women in Scienze; poi il secondo posto al Premio Leibniz e, infine, inizia per lei una lunga serie di candidature al Premio Nobel che però non le permetteranno mai di ottenerlo.

Lise Meitner e la fissione nucleare - spettro della scienza

La presa del potere e l’affermazione del nazismo è un duro colpo per la scienza dal momento che un patrimonio di sapere senza pari nella storia dell’umanità viene disperso: il 20% dei matematici, dei chimici e dei/delle biologi/ghe presenti nelle università tedesche sono infatti di origine ebrea. Lise si illude fino all’ultimo che la situazione possa migliorare, si sente protetta dalla sua cittadinanza austriaca, ma prima l’approvazione delle Leggi di Norimberga, che le tappano letteralmente la bocca, impedendole di scrivere anche semplici note, e poi l’Anschluss, che la priva della cittadinanza austriaca, non riconoscendole quella tedesca in quanto ebrea, la convincono ad abbandonare il Paese. L’intero mondo scientifico europeo si attiva per aiutarla: in modo rocambolesco raggiunge l’Olanda e da lì la Svezia, Paese con cui avrà sempre un rapporto difficile e controverso poiché si sentirà scientificamente ostracizzata dal direttore dell’Istituto di Fisica di Stoccolma di cui avrebbe dovuto dirigere il laboratorio. Lise scriverà in merito in una lettera: «qui essere donna è già un mezzo crimine […] e avere una propria opinione, poi, è completamente proibito». La fuga da Berlino la allontana dagli esperimenti sul bombardamento del nucleo dell’uranio che un gruppo di giovani fisici, guidati da Enrico Fermi, in via Panisperna a Roma, aveva verificato comportasse la formazione di due elementi che erano stati chiamati transuranici. Otto continua la sperimentazione a Berlino, scrive a Lise e clandestinamente la raggiunge per renderla partecipe dei risultati. Lei diventa sempre più scettica rispetto alla teoria italiana degli elementi transuranici e, coinvolgendo il nipote Otto Frisch, anche lui fisico, giunge a formulare il principio esatto della fissione nucleare: il nucleo dell’uranio, bombardato con neutroni, non produce elementi transuranici, ma si divide in due frammenti, uno è il bario, come dimostrano gli esperimenti di Otto, l’altro Lise ipotizza possa essere il krypton. La scoperta è rivoluzionaria, ma i suoi artefici, Otto e Lise, sono subito fuori dai giochi: non hanno gli strumenti adatti per verificare le implicazioni della scoperta. Li ha però Enrico Fermi, emigrato negli Stati Uniti, che ipotizza e verifica una reazione a catena dei frammenti del nucleo e la liberazione di una quantità enorme di energia e materiali radioattivi. Segue immediatamente l’idea di utilizzare questa scoperta per la realizzazione della bomba atomica con il progetto Manhattan e viene chiesto a Lise di partecipare, ma lei rifiuta con sdegno. Da sempre convinta del valore di progresso civile e spirituale della scienza e della conoscenza, teme l’impiego del nucleare nel settore militare e il fatto che la fisica diventi appannaggio della politica. Lo scoppio della Seconda guerra mondiale, il genocidio del popolo ebraico gettano Lise in un profondo sconforto accentuato anche dall’atteggiamento di Otto che la esclude dalla scoperta della fissione e se l’attribuisce totalmente tanto da ottenere anche il Nobel per la Chimica nel 1944, poi ritirato nel 1946. Ironia della sorte, il giorno dopo lo scoppio della prima bomba atomica, i giornali americani la contattano e la chiamano nei loro articoli: «la madre ebrea della bomba», romanzando la sua fuga dalla Germania e attribuendovi il tentativo di evitare che la scoperta cadesse nelle mani di Hitler: non le viene riconosciuta la maternità della fissione nucleare, ma quella della bomba atomica sì, proprio a lei che da sempre aveva dichiarato la sua avversione alla guerra e alle armi di distruzioni di massa!

Negli anni Cinquanta, Lise continua il suo lavoro di ricerca in Svezia dedicandosi alla scoperta dei diversi tipi di fissione, contribuisce alla realizzazione del primo reattore nucleare svedese e, dopo il pensionamento, si ritira a vita privata. Morirà nel 1968, pochi mesi dopo l’amico e il collega Otto Hahn, a Cambridge dove si era stabilita per vivere vicino al nipote Otto Friesch, disponendo che i suoi funerali vengano celebrati in forma privata, sulle note della musica dell’amato Bach, e chiedendo che sulla sua lapide venga scritto: «una fisica che non ha mai perduto la sua umanità.»

Fribourg, rue du nom de Lise Meitner. Photo de Filippo Altobelli La nouvelle voie romaine, Via Lise Meitner.

 

Traduzione francese
Joelle Rampacci

Raconter l'histoire de Lise Meitner, (Vienne, 7 novembre 1878 – Cambridge, 27 octobre 1968) c'est se plonger dans les mystérieux méandres de la physique, apprendre son langage fait de théories, d'expériences et d'équations; traiter de l'environnement scientifique européen, dominé par les stéréotypes et la discrimination fondée sur le sexe; retracez l'une des périodes les plus sombres de l'histoire européenne: l'affirmation du nazisme et le drame de la Seconde Guerre mondiale. Elise Meitner, surnommée Lise, est née dans la Vienne laïque, cultivée et vive de la fin du siècle de parents juifs non pratiquants pleinement intégrés dans l'environnement pluriethnique et multiculturel de l'empire austro-hongrois. La réforme universitaire, permettant à tous les hommes de fréquenter l'université, avait permis au père de Lise de devenir avocat. La famille Meitner, très nombreuse, cultivée et progressiste, attache peu d'importance à la dimension religieuse, se concentrant plutôt sur la base de la liberté individuelle, et considère la culture comme une valeur à cultiver par l'étude.

Lise montre immédiatement des capacités surprenantes dans l'étude des mathématiques et de la physique, elle apprend la langue française en autodidacte et a également une certaine aptitude pour la musique, notamment pour le piano. Les parents n'entravent pas le désir d'étudier de leur fille, mais les femmes de l'époque se voient refuser une carrière académique: elles doivent se contenter d'être épouses, mères et, si elles le veulent vraiment, enseignantes. Ayant été refusé l'accès au gymnase, Lise s'est inscrite à l’Ecole Normale et a émis l'hypothèse de se consacrer à l'enseignement du français. En 1899, cependant, une porte de l'université lui fut également ouverte lorsque les femmes eurent la possibilité de s’y inscrire et Lise opta pour la faculté des sciences de l'université de Vienne: elle participa à toutes les leçons possibles; elle aime les mathématiques, mais les cours de thermodynamique du prof. Boltzmann l'amena à la physique, discipline dans laquelle elle obtint son diplôme en 1906. Le tournant pour elle a lieu lorsque Max Planck arrive à Vienne pour une série de conférences, le père de la théorie quantique selon laquelle l'énergie associée au rayonnement électromagnétique est transmise en paquets discrets (appelés quanta) qui seront plus tard identifiés par Albert Einstein dans le photons et servira à expliquer la double nature de la lumière: corpusculaire et ondulatoire. Fascinée par la théorie quantique, Lise demande et obtient la permission de son père de se rendre à Berlin pour suivre les cours de Planck. Elle ne peut pas s'inscrire à l'université, mais demande à pouvoir écouter les conférences en tant qu'auditeur et Planck, bien que conservateur et n'admettant pas la présence de femmes à l'université, accepte qu'elle suive ses cours. Malgré l'enthousiasme, Lise manque de recherche et demande à Marie Curie puis au professeur allemand de physique expérimentale, Heinrich Rubens, l'opportunité de travailler dans leurs laboratoires: tous deux ont répondu qu'il n'y avait pas de place pour elle. Cependant, le professeur allemand lui permet de rencontrer Otto Hahn, un jeune chimiste, pratiquement de son âge, passionné comme elle par la radioactivité: le partenariat entre les deux durera trente ans et se caractérisera par une solide amitié capable de résister même aux divergences de type professionnel qui suivront les découvertes de la seconde moitié des années 30.

Otto et Lise se voient octroyer un sous-sol adjacent au laboratoire de chimie de l'Université de Berlin et y commencent leurs expériences sur les atomes radioactifs. Les deux publient ensemble des articles d'une importance scientifique considérable, mais malgré cela, Lise n'obtient aucun poste universitaire, tandis que Hahn devient membre de la Faculté de Chimie et obtient le rôle de Privatdozent. Elle continue d'être ignorée par la communauté des chimistes et considérée comme une simple assistante, elle devra attendre 1912 pour recevoir un petit salaire et 1921 pour devenir aussi Privatdozent, certainement pas à la Faculté de Chimie, mais à celle de physique. L'intérêt des deux se concentre alors sur les expériences sur le radium: Lise et Otto font partie d'une nouvelle génération de scientifiques qui atteignent une connaissance de la nature impensable jusqu'à quelques années plus tôt, une génération ouverte aux frontières modernes et véritablement convaincue. de son propre cosmopolitisme scientifique. La participation à une conférence à Salzbourg permet à Lise de rencontrer un autre outsider, Albert Einstein, qui propose une théorie révolutionnaire avec laquelle il met en relation l'énergie et la masse d'un système physique et qui jouera un rôle fondamental dans l’évolution scientifique de Lise. La mort subite de son père pose pour Lise le problème de son propre soutien économique, car la famille n'a plus les moyens de payer l'allocation mensuelle qu'elle lui versait, en partie résolu par l'offre de Planck de devenir son assistante au Département de Physique: c'est la première femme en Prusse à occuper ce poste; Puis, en 1913, elle est nommé associée du même département et a la possibilité d'accéder au nouveau laboratoire de chimie spécialisé en radioactivité qui a été confié à Hahn, devenu désormais professeur du Département de Chimie. Otto et Lise codirigent en fait le laboratoire, ce sont des collègues à égalité, mais le poids économique de leur travail est mesuré en fonction du sexe. Un exemple? Lorsqu'une entreprise allemande, Knöfler, leur propose de produire du radium pour le marché, 66000 marks sont reconnus à lui et à elle 6600.

Pendant ce temps, un événement soudain et inattendu bouleverse l'Europe: le déclenchement de la Première Guerre mondiale et le monde scientifique est divisé. Face au nationalisme de nombreux de ses collègues qui ont signé le Manifeste de 93, défendant l'action de l'armée allemande avec l'invasion de la Belgique neutre, elle se reconnait dans une autre proposition, qui n'aura que deux signataires, Einstein et Nicolai, c'est-à-dire le Manifeste des Européens avec lequel ils exigent la cessation immédiate des hostilités et l'unité politique de l'Europe. Lise s'est enrôlée comme infirmière dans l'armée autrichienne, spécialisée dans l'application médicale des rayons X qui avaient été les protagonistes de ses dernières expériences. Sur le front russe, au milieu de la mort et des corps dévastés de jeunes soldats, Lise mûrit son rejet le plus total et le plus radical de la guerre. De retour à Berlin, avant la fin du conflit, elle découvre avec horreur que le Département de Chimie a été transformé en laboratoire militaire où sont construites des armes de destruction de masse et, à l'offre de participer aux expériences, elle oppose un refus catégorique. Ce sont les années où Lise renforce sa relation scientifique avec Albert Einstein qui, le 25 novembre 1915, avait annoncé sa théorie de la relativité restreinte, et dirige la section de physique du laboratoire de chimie. Les expériences sur l'actinium sont importantes, avec l'isolement de la substance mère et la découverte d'un nouvel élément radioactif, le protactinium, avec le numéro atomique 91. Les tests en laboratoire, les travaux d'analyse et de vérification sont les siens, même si Hahn, au front, y contribue. Malgré ces conjectures, lorsque l'article scientifique du nouvel élément sort, le premier signataire est Otto Hahn car c'est lui le chercheur (homme) avec le poste de professeur au Département de Chimie. Les années 1920 furent une période de grande reconnaissance pour Lise: le partenariat avec le physicien danois Niels Bohr qui l'emmena au Danemark à l'Institut de Physique Théorique qu’il dirige, pour tenir un séminaire sur la physique expérimentale de la radioactivité; puis l'invitation en Suède en tant que pionnière de l'étude de la radioactivité pour transmettre ses connaissances en spectroscopie aux rayons X à la jeunesse suédoise. De retour en Allemagne en 1922, Lise devient la première femme à enseigner dans une université en Prusse et la seconde en Allemagne : la reconnaissance sur le plan personnel et professionnel est énorme, mais à cette réalisation ne correspond pas une acceptation sociale effective, comme l'a démontré un journal allemand qui, rapportant la nouvelle de la conférence inaugurale du prof. Meitner, lui attribue l'enseignement de la "physique cosmétique". Les publications et expériences qui portent à la fois sur la radioactivité et sur la structure du noyau de l'atome lui donnent une grande visibilité: en 1924, elle obtient le prix de l'American Association to Aid Women in Sciences; puis la deuxième place au prix Leibniz et, enfin, une longue série de nominations pour le prix Nobel commence pour elle mais on ne lui permettra jamais de l'obtenir.

Lise Meitner et la fission nucléaire - Spectre de la science

La prise de pouvoir et l'affirmation du nazisme est un coup dur pour la science parce que un patrimoine de connaissances sans précédent dans l'histoire de l'humanité est dispersé: 20% des mathématiciens, chimistes et biologistes présents dans les universités allemandes sont en fait d'origine juive. Lise a l’illusion jusqu'à la fin que la situation pourrait s'améliorer, elle se sent protégée par sa citoyenneté autrichienne, mais d'abord l'approbation des lois de Nuremberg qui lui ont littéralement fermé la bouche, l'empêchant d'écrire même de simples notes, puis l'Anschluss qui l'a privée de la citoyenneté autrichienne, ne lui reconnaissant pas sa citoyenneté allemande en tant que juive, l'a convaincue à quitter le pays. Le monde scientifique européen tout entier s'active pour l'aider: de manière audacieuse, elle atteint la Hollande et de là, la Suède, un pays avec lequel elle aura toujours une relation difficile et controversée car elle se sentira scientifiquement ostracisée par le directeur de l'Institut de physique de Stockholm, elle était censé en diriger le laboratoire. Lise écrira à ce sujet dans une lettre: «ici être femme est déjà un demi-crime […] et avoir sa propre opinion est totalement interdit». La fuite de Berlin l'éloigne des expériences sur le bombardement du noyau d'uranium qu'un groupe de jeunes physiciens, dirigé par Enrico Fermi, via Panisperna à Rome, avait vérifié qu’il impliquait la formation de deux éléments qui avaient été appelés transuraniques. Otto poursuit l'expérimentation à Berlin, écrit à Lise et la rejoint clandestinement pour partager les résultats avec elle. Elle devient de plus en plus sceptique face à la théorie italienne des éléments transuraniens et, impliquant son neveu Otto Frisch, également physicien, en vient à formuler le principe exact de la fission nucléaire: le noyau d'uranium, bombardé de neutrons, ne produit pas d'éléments transuraniens, mais il se divise en deux fragments, l'un est du baryum, comme le montrent les expériences d'Otto, l’autre, Lise pense qu'il pourrait s'agir de krypton. La découverte est révolutionnaire, mais ses créateurs, Otto et Lise, sont immédiatement hors du jeu: ils n'ont pas les bons outils pour vérifier les implications de la découverte. Cependant, Enrico Fermi, qui a émigré aux États-Unis, les a, en émettant l'hypothèse et en vérifie une réaction en chaîne des fragments du noyau et la libération d'une énorme quantité d'énergie et de matières radioactives. L'idée d'utiliser cette découverte pour la réalisation de la bombe atomique avec le projet Manhattan suit immédiatement et Lise est invitée à y participer, mais elle refuse avec dédain. Toujours convaincue de la valeur du progrès civil et spirituel de la science et du savoir, elle craint l'utilisation du nucléaire dans le secteur militaire et le fait que la physique devienne l'apanage de la politique. Le déclenchement de la Seconde Guerre mondiale, le génocide du peuple juif jettent Lise dans un profond désespoir également accentué par l'attitude d'Otto qui l'exclut de la découverte de la fission et se l'attribue totalement pour obtenir le prix Nobel de chimie en 1944, puis retiré en 1946. Ironiquement, le lendemain de l'explosion de la première bombe atomique, les journaux américains l'ont contactée et l'ont appelée dans leurs articles "la mère juive de la bombe", romançant son évasion d'Allemagne et lui attribuant la tentative d'empêcher la découverte de tomber entre les mains d'Hitler: la maternité de la fission nucléaire ne lui est pas reconnue, mais celle de la bombe atomique oui, à elle alors qu’elle a toujours déclaré son aversion pour la guerre et les armes de destruction de masse!

Dans les années cinquante, Lise poursuit ses travaux de recherche en Suède en se consacrant à la découverte de différents types de fission, contribuant à la construction du premier réacteur nucléaire suédois et, après sa retraite, elle se retire à vie privée. Elle mourut en 1968, quelques mois après son ami et collègue Otto Hahn, à Cambridge où elle s'était installée près de son neveu Otto Friesch, laissant les dispositions pour célébrer ses funérailles en privé, sur les notes de la musique de son bien-aimé Bach et demandant que sur sa pierre tombale soit écrit: «une physicienne qui n'a jamais perdu son humanité».

Fribourg, rue du nom de Lise Meitner. Photo de Filippo Altobelli La nouvelle voie romaine, Rue Lise Meitner.

 

Traduzione inglese
Cettina Callea

Telling the story of Lise Meitner (Vienna, november 7,1878 – Cambridge, october 27, 1968) means delving into the mysterious realm of physics, learning its language - made up of theories, experiments and equations; dealing with the European scientific environment, dominated by stereotypes and gender discrimination; and retracing one of the darkest periods in European history: the rise of Nazism and the horror of the Second World War. Elise Meitner, nicknamed Lise, was born in Vienna, which was secular, cultured and very much alive at the turn of the century. Her parents were non-practicing Jews, fully integrated into the multi-ethnic and multicultural environment of the Austro-Hungarian Empire. University reform, allowing all male citizens, including Jews, to attend universities, had allowed Lise's father to become a lawyer. The Meitner family, very numerous, cultured and progressive, gave little importance to the religious dimension, focusing instead on the centrality of individual freedom and considering culture as a value to be cultivated through study.

Lise showed surprising abilities in the study of mathematics and physics, she taught herself the French language, and also showed a certain aptitude for music, especially for the piano. Her parents did not hinder their daughter's desire to study, but women of the time were denied an academic career: they had to be content with being wives, mothers and, if they really wanted, teachers. Lise was denied access to the gymnasium, so she enrolled in the Magisterium and imagined devoting herself to teaching French. In 1899, however, a door to the university was also opened for her when women were given the opportunity to enroll. Lise chose the Faculty of Sciences of the University of Vienna. She took part in as many classes as possible. She was fond of mathematics, but the thermodynamics lessons of prof. Boltzmann led her to physics, a discipline in which she graduated in 1906. For Lise, Max Planck’s arrival in Vienna for a series of lectures was a turning point. Planck was the father of quantum theory, which claimed that energy associated with electromagnetic radiation is transmitted in discrete packets (called quanta). These would later be identified by Albert Einstein in photons and would serve to explain the double nature of light – both particle and wave. Fascinated by quantum theory, Lise asked and obtained permission from her father to travel to Berlin to study under Planck. She wasn’t permitted to enroll in the university, but asked to be able to attend the lectures as an auditor. Planck allowed her to attend his course, despite being a conservative who did not accept the presence of women in the university. Despite her enthusiasm, Lise missed working as a researcher and asked Marie Curie and then the German professor of experimental physics, Heinrich Rubens, for the opportunity to work in their laboratories. Both replied that there was no place for her. However, Rubens introduced her to Otto Hahn, a young chemist, practically her same age, who, like Lise, was passionate about radioactivity. The partnership between the two lasted thirty years, and was characterized by a solid friendship capable of resisting even cracks that followed the events of the later 1930s.

Otto and Lise were granted a basement adjacent to the chemistry laboratory of the University of Berlin and there they began their experiments on radioactive atoms. Together, the two published articles of considerable scientific importance, but, despite this, Lise did not get any university position, while Hahn became a member of the Faculty of Chemistry as a “Privatdozent.” She continued to be ignored by the community of chemists, considered by many to be simply an assistant. She had to wait until 1912 to receive a small salary and 1921 to also become a Privatdozent, not in the Faculty of Chemistry, but in that of Physics. Their interest then focused on experiments related to radio waves. Both Lise and Otto were part of a new generation of scientists who were achieving a knowledge of nature which was unthinkable until a few years before, a generation genuinely convinced in its scientific cosmopolitanism. When attending a conference in Salzburg, Lise met another outsider, Albert Einstein, who proposed a revolutionary theory in which he connected the energy and mass of a physical system (which led to the famous E=mc2). This theory played a fundamental role in Lise's later scientific evolution. The sudden death of Lise’s father raised the problem of her own maintenance, since her family could no longer afford the monthly stipend they had previously given her. She was helped by Planck's offer to become his assistant in the Physics Department. She was the first woman in Prussia to hold this position. In 1913 she assumed the position of associate in the same department and as such had access to the new chemical laboratory specialized in radioactivity led by Hahn, by then a professor of the Department of Chemistry. Otto and Lise actually co-ran the lab as peers, but the economic weight of their contributions was measured on the basis of gender. An example? When a German industry, Knöfler, offered them a contract to produce radios for the market, Otto was awarded 66,000 marks to her 6,600.

Meanwhile, a sudden and unexpected event roiled Europe - the outbreak of the First World War. The scientific world became divided. In the face of the nationalism of many of her colleagues who signed the “'93 Manifesto”, defending the German army’s invasion of neutral Belgium, she aligned with an opposite proposal, which only had only two signatories, Einstein and Berlin professor Nicolai, namely the “Manifesto to Europeans” calling for an immediate cessation of hostilities and the political unity of Europe. Lise enlisted as a nurse in the Austrian army, specializing in the medical application of X-rays, which had been the focus of her recent experiments. On the Russian front, amid the deaths and the shattered bodies of young soldiers, Lise matured in her total and radical rejection of war. Returning to Berlin before the end of the conflict, she discovered with horror that the Department of Chemistry had been transformed into a military laboratory where weapons of mass destruction were being devised. Given an offer to take part in the experiments, she replied with a clear refusal. In those years Lise strengthened her scientific relationship with Albert Einstein, who on November 25, 1915 announced his theory of special relativity. She directed the physics section of the chemistry laboratory. She carried out experiments on actinium, isolating the substance, and worked on the discovery of a new radioactive element, protactinium, with atomic number 91. The tests in the laboratory, the analysis and verification work are hers, and finally, in 1949, she and Hahn were officially recognized as its co-discoverers. Nevertheless, when the first scientific article about the new element came out, the first signatory was Otto Hahn - because he was the researcher (man) with the position of professor in the Department of Chemistry. The 1920s were years of great recognition for Lise. One was her partnership with the Danish physicist Niels Bohr, who brought her to Denmark to the Institute of Theoretical Physics to hold a seminar on the experimental physics of radioactivity. And she was also invited to Sweden, as a pioneer in the study of radioactivity, to pass on her knowledge on X-ray spectroscopy to Swedish youth. Going back to Germany in 1922, Lise became the first woman to teach at a university in Prussia and only the second in all Germany. The recognition on a personal and professional level was enormous, but it did not result in actual social acceptance of her outstanding work, as shown by a German newspaper that, reporting the news of Prof. Meitner's inaugural lecture, referred to her as teaching "cosmetic physics" (the actual title of the lecture was “Cosmic Physics). The publications and experiments that focused on both radioactivity and the structure of the nucleus of the atom gave her great visibility. In 1924 she obtained the award of the American Association to Aid Women in Science, then she took the second place Leibniz Prize and, finally, she was nominated many times for the Nobel Prize, but she was never awarded the prize herself.

Lise Meitner and nuclear fission - specter of science

The rise to power of Nazism in Germany was a terrible blow to science and to academia in the nation. A significant part the historical knowledge of mankind was tossed aside: 20% of the mathematicians, chemists and biologists present in German universities were of Jewish origin. Lise believed strongly that the situation could improve, and she felt protected by her Austrian citizenship. But, first, came the approval of the Nuremberg Laws, which gagged her and prevented her from writing even simple texts, and, second, came the Anschluss, which deprived her of Austrian citizenship. She was not recognized as a German citizen, because of her Jewish heritage, and she became convinced that she had to leave the country. Most of the European scientific world worked to help her. She made a daring escape to the Netherlands and from there to Sweden, a country with which she always had a difficult and controversial relationship, since she was scientifically ostracized by the director of the Stockholm Institute of Physics, where she was supposed to direct the laboratory. Lise wrote about it in a letter. "Here,” she said, “being a woman is already a half-crime ... and having your own opinion, then, is completely forbidden.” The escape from Berlin distanced her from the experiments on the neutron bombardment of the uranium nucleus carried out by a group of young physicists. The initial experiments, led by Enrico Fermi in Rome, had postulated that the bombardment led to the formation of two elements that were called transuraniums. Otto continued the experimentation in Berlin, corresponded with Lise and clandestinely reached out to her to make her a participant in the results. She became increasingly skeptical of the Italian theory of transuranic elements and, involving her nephew Otto Frisch, also a physicist, came to formulate the principle of nuclear fission: the nucleus of uranium, bombarded with neutrons, does not produce transuranic elements, but is divided into two fragments, one is barium, as evidenced by Otto's experiments, the other Lise hypothesized, could be krypton. The discovery is revolutionary, but its creators, Otto and Lise, were immediately out of the game. They didn't have the right tools to verify the implications of the discovery. However, Enrico Fermi, who emigrated to the United States, hypothesized and verified a chain reaction of the fragments of the nucleus and the release of an enormous amount of energy and radioactive materials. There was an immediate drive, the “Manhattan Project”, to use this discovery to make an atomic bomb. Lise was asked to participate, but she refused with disdain. Deeply convinced of the value of civil and spiritual progress in science and knowledge, she greatly feared the use of nuclear power in the military sector, and the fact that physics was becoming the preserve of politics. The outbreak of World War II, and the genocide against the Jewish people threw Lise into a deep despondency, accentuated also by Otto's attitude that excluded her from the discovery of fission. He attributed it totally to his research and was awarded the 1944 Nobel Prize in Chemistry alone. It was finally presented to him in 1946. Ironically, the day after the first atomic bomb exploded, American newspapers contacted her and called her in their articles: 'the Jewish mother of the bomb', fictionalized her escape from Germany and attributed to her the effort to prevent the discovery from falling into Hitler's hands. Still, she was not recognized as the mother of nuclear fission, but as that of the atomic bomb – she, who had always declared her aversion to war and weapons of mass destruction!

In the 1950s, Lise continued her research work in Sweden, devoted herself to the discovery of the different types of fission, contributed to the construction of Sweden's first nuclear reactor and, in 1960, retired to private life, although she continued to lecture and work part time. She settled in Cambridge, where she lived next to her nephew Otto Friesch, and died there in 1968 at the age of 89, a few months after the death of her lifelong friend and colleague Otto Hahn. Her funeral was held privately, with the music of her beloved Bach. The inscription on her tombstones reads:«A physicist who never lost her humanity»

Freiburg, street named after Lise Meitner. Photo by Filippo Altobelli The new Roman's road, Via Lise Meitner.

 

Traduzione tedesca
Elisabeth Grundmann

Die Geschichte von Lise Meitner zu erzählen, (Wien 7 november 1878 - Cambridge, 27 oktober 1968) bedeutet in die rätselhaften Gefilde der Physik einzutauchen, eine Sprache zu erlernen, die sich aus Theorien, Experimenten und Gleichungen zusammensetzt, sich mit dem europäischen wissenschaftlichen Umfeld auseinanderzusetzen, welches von Stereotypen und geschlechtsspezifischer Diskriminierung beherrscht wird und eine der dunkelsten Zeiten der europäischen Geschichte zurückzuverfolgen: Die Behauptung des Nazismus und das Drama des Zweiten Weltkriegs. Elise Meitner, auch Lise genannt, wird im säkularen, gebildeten und lebendigen Wien der Jahrhundertwende geboren. Ihre nicht praktizierenden, jüdischen Eltern waren in der multiethnischen und multikulturellen Umgebung des österreichisch-ungarischen Reiches voll integriert. Die Universitätsreform, die es allen männlichen Untertanen erlaubte, zu studieren, hatte es Lises Vater ermöglicht, Anwalt zu werden. Die sehr große, gebildete und fortschrittliche Familie Meitner misst der religiösen Dimension wenig Bedeutung bei, sie legt den Schwerpunkt auf die individuelle Freiheit und betrachtet die Kultur als einen durch das Studium zu pflegenden Wert.

Lise zeigt sofort verblüffende Fähigkeiten im Studium der Mathematik und Physik, sie lernt autodidaktisch Französisch und hat auch ein Gespür für Musik, besonders für das Klavier. Die Eltern hindern den Wunsch ihrer Tochter, zu studieren nicht aber den Frauen der damaligen Zeit war eine akademische Karriere verwehrt. Sie mussten sich damit begnügen, Ehefrauen und Mütter zu sein oder, wenn sie es unbedingt wollten, Lehrerinnen. Da Lise der Zugang zum Gymnasium verwehrt war, meldete sie sich an der Bürgerschule an und erwog, Französisch-Lehrerin zu werden. Doch im Jahr 1899 öffnet sich auch für Lise eine Tür zur Universität, als den Frauen erlaubt wird, sich an den Universitäten einzuschreiben. Lise entscheidet sich für die wissenschaftliche Fakultät der Universität Wien: Sie nimmt möglichst an allen Lektionen teil; sie liebt Mathematik aber der Thermodynamik-Unterricht von Professor Boltzmann führt sie zur Physik, in der sie sich 1906 als zweite Frau in Deutschland promoviert. Die Wende erfährt Lise in Wien, als sie einer Reihe von Max-Plancks Konferenzen folgt, dem Vater der Quantentheorie, nach der Energie in Zusammenhang mit elektromagnetischer Strahlung in diskreten Paketen übertragen wird (sog. Quanten). Albert Einstein identifizierte sie später auf den Photonen, sie dienten ihm dann als Erklärung für die doppelte Natur des Lichts: Körper- und Wellenleiter. Fasziniert von der Quantentheorie bittet Lise ihren Vater, nach Berlin gehen zu dürfen, um Plancks Unterricht zu besuchen. Sie kann sich nicht an der Universität einschreiben, aber sie erhält die Erlaubnis als Gast-Hörerin den Vorlesungen Plancks zu folgen, obwohl dieser sehr konservativ ist und die Anwesenheit von Frauen an der Universität ablehnt, akzeptiert er, dass Lise seinen Kurs besucht. Trotz ihrer Begeisterung fehlt Lise die Forschung und sie bittet Marie Curie und dann den deutschen Professor für Experimental-Physik, Heinrich Rubens, in ihren Labors zu arbeiten: Beide lehnen ab. Aber der deutsche Professor ermöglicht ihr die Bekanntschaft mit Otto Hahn, einem jungen, gleichaltrigen Chemiker, der genau wie Lise von der Radioaktivität fasziniert ist: Die 30 jährige Partnerschaft der beiden, die daraus folgt ist von einer festen Freundschaft gekennzeichnet, die auch den professionellen Reißproben standhält, die den Entdeckungen der zweiten Hälfte der 30er Jahre folgen werden.

 

Otto und Lise wird ein Keller gewährt, der an das Chemielabor der Universität Berlin angrenzt, dort beginnen sie mit ihren Experimenten mit radioaktiven Atomen. Die beiden veröffentlichen gemeinsam Artikel von großer wissenschaftlicher Bedeutung, aber trotzdem bekommt Lise keine Hochschulstelle, während Hahn Mitglied der Chemie-Fakultät und Privatdozent wird. Lise wird weiterhin von der Chemie-Fachwelt ignoriert und als eine einfache Assistentin betrachtet, erst 1912 wird ihr ein kleines Gehalt anerkannt. 1921 wird auch ihr eine Stelle als Privatdozentin gewährt, jedoch nicht an der Chemie-, sondern an der Physik-Fakultät. Das Interesse der beiden konzentriert sich auf Radium-Experimente. Sowohl Lise als auch Otto sind Teil einer neuen Generation von Wissenschaftlern, die ein Verständnis der Natur erlangt haben, die wenige Jahre zuvor unvorstellbar war. Eine Generation, die den modernen Grenzen offen begegnet und aufrichtig überzeugt ist von ihrem eigenen wissenschaftlichen Kosmopolitismus. Die Teilnahme an einer Konferenz in Salzburg ermöglicht es Lise, einen weiteren Außenseiter kennenzulernen, Albert Einstein, mit seiner bahnbrechenden Theorie, die Energie und Masse eines physikalischen Systems miteinander verbindet und eine entscheidende Rolle für Lises wissenschaftliche Evolution spielen wird. Der plötzliche Tod ihres Vaters stellt Lise vor das Problem ihres Unterhaltes, da die Familie sich die monatlichen Unterhaltszahlungen an sie nicht mehr leisten kann. Planck bietet ihr an, seine Assistentin an der Physik-Fakultät zu werden: Sie ist die erste Frau in Preußen, die diesen Posten bekleidet. 1913 folgt der Auftrag zur Zusammenarbeit mit derselben Abteilung und damit der Zugang zu dem neuen, auf Radioaktivität spezialisierten chemischen Labor, das Hahn anvertraut wird, der inzwischen Professor für Chemie ist. Otto und Lise verwalten das Labor als gleichberechtigte Partner aber der ökonomische Wert ihrer Arbeit wird nach Geschlechtern bemessen. Ein Beispiel: Als die deutsche Industriegesellschaft Knöfler ihnen vorschlägt, Radium für den Markt zu produzieren, werden Otto 66.000DM zugestanden und Lise Meisner nur 6.600 DM.

In der Zwischenzeit wird Europa von einem plötzlichen und unerwarteten Ereignis erschüttert: Der Beginn des Ersten Weltkriegs, die Welt der Wissenschaft bricht auseinander. Angesichts des Nationalismus vieler ihrer Kollegen, die das ‘Manifest der 93’ unterzeichnen und die Invasion des neutralen Belgiens durch die deutsche Armee verteidigen, bekennt sich Lise zu einem anderen Vorschlag, der nur zwei Unterzeichner haben wird, Einstein und Nicolai. Es ist das Manifest der Europäer, mit dem sie die sofortige Einstellung der Feindseligkeiten und die politische Einheit Europas fordern. Lise meldet sich freiwillig als Krankenschwester in der österreichischen Armee und wendet die Ergebnisse ihrer letzten Experimente im medizinischen Bereich an, indem sie sich auf die Anwendung der Röntgenstrahlen spezialisiert. An der russischen Front, inmitten des Todes und der verwüsteten Körper junger Soldaten, reift in Lise ihre totale und radikale Ablehnung des Krieges. Als sie vor dem Kriegsende nach Berlin zurückkehrt, stellt sie mit Entsetzen fest, dass die Chemieabteilung in ein militärisches Labor umgewandelt wurde, in dem Massenvernichtungswaffen hergestellt werden. Als man ihr anbietet, an den Experimenten teilzunehmen, lehnt sie entschieden ab. Es sind die Jahre, in denen Lise ihre wissenschaftliche Beziehung zu Albert Einstein intensiviert, der am 25. November 1915 seine Relativitäts-Theorie veröffentlicht und den physikalischen Teil des Chemielabors leitet. Wichtig sind die Experimente mit Aktivkohle, mit Isolierung der Ausgangssubstanz und der Entdeckung eines neuen radioaktiven Elements, Proattinium, mit der Atomnummer 91. Die Labortests, Analyse- und Verifizierungsarbeiten führt Lise aus, auch wenn Hahn von der Front aus seinen Beitrag leistet. Trotzdem ist Otto Hahn der erste Unterzeichner, als der wissenschaftliche Artikel des neuen Elements erscheint, denn er ist der Forscher (Mann) und Professor der Abteilung für Chemie. In den 20er Jahren erfährt Lise eine Reihe großer Anerkennungen: Die Partnerschaft mit dem dänischen Physiker Niels Bohr, der sie nach Dänemark in das von ihm geleitete Institut für Theoretische Physik führt, wo sie ein Seminar über die sperimentale Physik der Radioaktivität leitet. Darauf folgt eine Einladung nach Schweden, als Pionierin in der Forschung der Radioaktivität, soll sie ihr Wissen über die Spektroskopie von Röntgenstrahlen an die schwedische Jugend weitergeben. Nach ihrer Rückkehr nach Deutschland im Jahr 1922 wird Lise die erste Frau, die an einer Universität in Preußen unterrichtet und die zweite Frau in ganz Deutschland: Die persönliche und berufliche Anerkennung ist enorm aber dem entspricht keine tatsächliche, gesellschaftliche Akzeptanz dieser Errungenschaft. Eine deutsche Zeitung, die eine Meldung über die Eröffnungslektion von Lise Meitner bringt, bezeichnet sie Lehrerin der "kosmetischen Physik". Publikationen und Experimente, die sich sowohl auf die Radioaktivität als auch auf die Struktur des Atomkerns konzentrieren, verleihen ihr große Sichtbarkeit in der Öffentlichkeit. 1924 wird ihr die Auszeichnung des American Association to Aid Women Award für Wissenschaften verliehen. Sie gewinnt den zweiten Platz des Leibniz-Preises und schließlich beginnt für Sie eine lange Reihe von Nobelpreisnominierungen, den sie aber nie erhalten wird.

Lise Meitner und Kernspaltung - Gespenst der Wissenschaft

Die Übernahme der Macht und die Bekräftigung des Nationalsozialismus sind ein schwerer Schlag für die Wissenschaft, es folgt ein in der Geschichte der Menschheit beispielloser Verlust eines Wissens-Vermögens, denn 20 % der Mathematiker-innen, Chemiker-innen und Biolog-innen an deutschen Universitäten sind jüdisch. Lise macht sich bis zum Schluss Illusionen, dass sich die Situation verbessern könnte, sie fühlt sich durch ihre österreichische Staatsbürgerschaft geschützt. Doch die Annahme der Nürnberger Gesetze, bringen sie buchstäblich zum Schweigen und erlauben ihr nicht einmal mehr, auch nur einfache Notizen zu schreiben, Der Anschluss beraubt sie ihrer österreichischen Staatsbürgerschaft und die deutsche Staatsbürgerschaft bringt Lise als gebürtige Jüdin in große Gefahr. Lise begreift, dass sie Deutschland verlassen muss. Die gesamte wissenschaftliche, europäische Welt aktiviert sich, um ihr zu helfen. Auf einer heimlichen Flucht erreicht sie die Niederlande und von dort aus Schweden, ein Land, zu dem sie immer eine schwierige und kontroverse Beziehung haben wird. Sie fühlt sich vom Direktor des Stockholmer Instituts für Physik, dessen Labor Sie leiten sollte, wissenschaftlich geächtet. Lise schreibt darüber in einem Brief: «Frau zu sein, ist hier schon ein halbes Verbrechen [...] und es ist völlig verboten, seine eigene Meinung zu haben.». Die Flucht aus Berlin schließt sie von den Experimenten zur Kernspaltung aus, eine Gruppe junger Physiker unter der Führung von Enrico Fermi in der Panisperna-Straße in Rom hatte herausgefunden, dass bei der Spaltung zwei sogenannten Transuran-Elemente gebildet werden. Otto setzt die Experimente in Berlin fort, schreibt an Lise und besucht sie heimlich, um mit ihr die Fortschritte der Berliner Ergebnisse zu teilen. Lise wird immer skeptischer gegenüber der italienischen Theorie der Transurane und unter Einbeziehung ihres Neffen Otto Frisch, auch Physiker, gelingt ihr eine erste physikalisch-theoretische Deutung der Kernspaltung: Der mit Neutronen bombardierte Urankern produziert keine transuranen Elemente, sondern teilt sich in zwei Fragmente. Eines davon ist Barium, wie Ottos Experimente zeigen und Lise vermutet, dass das andere Krypton ist. Die Entdeckung ist bahnbrechend aber ihre Urheber, Otto und Lise, sind sofort aus dem Geschäft, denn sie haben nicht die Werkzeuge, um die Auswirkungen der Entdeckung zu untersuchen. Die aber hat Enrico Fermi, der in die Vereinigten Staaten ausgewandert ist, er vermutet und verifiziert eine Kettenreaktion von Kernfragmenten und die Freisetzung einer enormen Energiemenge und radioaktiver Materialien. Dem folgt sofort der Idee, diese Entdeckung für die Entwicklung der Atombombe zu nutzen, Lise wird die Mitarbeit an dem ‘Manhattan-Projekt’ angeboten aber sie lehnt mit Empörung ab. Stets überzeugt von dem Wert des zivilen und geistigen Fortschritts der Wissenschaft und des Wissens, befürchtet sie den Einsatz der Kernenergie im militärischen Bereich und die Tatsache, dass die Physik zur politischen Domäne wird. Der Ausbruch des Zweiten Weltkriegs, der Völkermord am jüdischen Volk hat Lise in tiefe Verzweiflung gestürzt, verstärkt auch durch die Haltung von Otto, der sie von der Entdeckung der Spaltung ausschließt und das geht so weit, dass er 1944 den Nobelpreis für Chemie erhält, der ihm 1946 wieder entzogen wird. Die Ironie des Schicksaal will es, dass amerikanische Zeitungen Lise am Tag der Explosion der Atombombe kontaktieren und sie in ihren Artikeln als «die jüdische Mutter der Bombe» bezeichnen, ihre Flucht aus Deutschland romantisierend, unterstellen sie ihr, die Entdeckung vor Hitlers Händen geschützt haben zu wollen. Sie wird nicht als Mutter der Kernspaltung anerkannt, sondern als Mutter der Atombombe, ausgerechnet sie, die immer ihre Ablehnung von Krieg und Massenvernichtungswaffen erklärt hat!

In den 50er Jahren setzt Lise ihre Forschungsarbeit in Schweden fort, sie erforscht die verschiedenen Arten der Spaltung und trägt zum Bau des ersten schwedischen Kernreaktors bei. Nach ihrem Ruhestand zieht sie sich in ihr Privatleben zurück. 1968, wenige Monate nach ihrem Freund und Kollegen Otto Hahn, stirbt Lise Meitner in Cambridge, wo sie sich niedergelassen hatte, um in der Nähe ihres Neffen Otto Frisch zu leben. Nach ihrem Wunsch wird Lise in privater Form und mit der von ihr geliebten Bachmusik beigesetzt. Auf ihrem Grabstein steht geschrieben:
«Eine Physikerin, die nie ihre Menschlichkeit verlor.»

Freiburg, Straße nach Lise Meitner benannt. Photo von Filippo Altobelli Die neue Römerstraße, Via Lise Meitner.

Ľudmila Pajdušáková

Antonina Algeri e Laura Candiani


Eleonora Nascimbeni

«Le stelle sono illuminate perché ognuno un giorno possa trovare la sua»

Ipotizzava Saint-Exupery, ed in effetti questa “signora delle stelle” che da insegnante divenne la prima astronoma della moderna astronomia slovacca, di stelle ne ha trovate tante.

Ľudmila Pajdušáková nacque il 29 giugno 1916 a Radošovce in una famiglia di commercianti; a sedici anni rimase orfana e dovette occuparsi dei fratelli. Dal 1929 al '35 studiò alla Real Grammar School di Kláštor pod Znievom, quindi in un istituto privato ottenendo la qualifica di insegnante. Dal 1936 al '44 fu docente in varie scuole, ma poi avvenne la svolta determinante, con la scelta di diventare astronoma. Maturò le sue prime esperienze scientifiche presso l'Osservatorio statale di Skalnaté Pleso, dove ha lavorato dal 1944 al 1953, svolgendo all'inizio mansioni tecniche. Lì conobbe il climatologo e astronomo dilettante Antonín Bečvář con cui ci fu una proficua intesa professionale e sentimentale, che tuttavia non portò al matrimonio. Nel frattempo studiava astronomia presso la facoltà di Scienze dell'Università Comenius di Bratislava. Già nel maggio del 1946 la bella, giovane, intelligente astronoma scopre la sua prima cometa. Da quel momento spesso le sarà attribuito il soprannome "Kometa". Le sue osservazioni sugli sciami di meteore pubblicate nello stesso anno si riferiscono a 11.000 meteore raffigurate in 10.000 immagini, con una media di una ogni 30 ore: si tratta della raccolta più numerosa al mondo dopo quella di Harvard. Il 7 marzo 1948 si iscrisse al Partito comunista e intanto andava avanti con le scoperte e gli studi. Nel 1950 ha conseguito il titolo di Rndr (equivalente alla laurea magistrale in Scienze naturali) e nel 1966 la laurea Csc (Candidata delle Scienze). Dal 1953 al 1979 ha lavorato presso l'Istituto Astronomico dell'Accademia delle Scienze slovacca, Tatranská Lomnica, dove è stata direttrice a partire dal 16 agosto 1958. Secondo alcune voci (maligne? invidiose? attendibili?) ha "governato" imponendo persone a lei gradite e licenziandone altre, con metodi piuttosto autoritari, avendo le spalle coperte dal Partito. Diversi conflitti interni la spinsero addirittura a dare le dimissioni, nel 1965, con il pretesto di occuparsi del figlio dodicenne, ma fu convinta dalla dirigenza del Partito a rimanere al suo posto; lasciò soltanto il 31 marzo 1979, pochi mesi prima della morte.

Prima di procedere con le scoperte, occorre fornire qualche dettaglio in più sugli osservatori astronomici slovacchi. Sugli Alti Tatra erano sorti due osservatori: nel 1943 Skalnaté Pleso - che ha il motto latino Per aspera ad astra e ha dato il nome a un asteroide - dove ancora oggi si studiano asteroidi, meteoridi, stelle variabili e la loro evoluzione, e Lomnický Štít, situato a 2632 m.s.l.m., realizzato fra il 1957 e il '62, dove a partire dal 1981 ininterrottamente si effettua il monitoraggio dei raggi cosmici. La loro posizione geografica sui monti omonimi spiega il perché della denominazione "Tatra" assegnata alla serie di stelle di cui stiamo per parlare.

Come scienziata, Pajdušáková è diventata famosa per la scoperta di cinque nuove comete e la partecipazione ad altre scoperte collettive. Negli anni dopo la Seconda guerra mondiale, insieme al personale dell'osservatorio di Skalnaté Pleso - Antonín Mrkos, Ľubor Kresák, Antonín Bečvář e Margita Vozárová-Kresáková - si dedicò alla ricerca di nuove comete: gli sforzi comuni produssero risultati eccezionali. Delle 70 comete individuate negli anni dal 1946 al 1959 in tutto il mondo, 18 scoperte avvennero negli osservatori citati poco sopra. Per fare un confronto, basta sapere che il celebre osservatorio di Monte Palomar negli Stati Uniti registrò 13 scoperte e altri osservatori mondiali non più di cinque ciascuno. Si deduce che in quegli istituti slovacchi è avvenuto quasi un terzo di tutte le scoperte, comprese quelle che potevano essere osservate solo dall'emisfero meridionale. La risposta della comunità scientifica si rivelò straordinaria. Al Congresso dell'Unione astronomica internazionale, tenutosi a Roma nel 1954, la Cecoslovacchia fu dichiarata una "potenza cometa" grazie alle scoperte. La prima cometa della serie "Tatra" fu la stella 1946 K1 Pajdušáková - Rotbart - Weber scoperta il 30 maggio 1946 a Skalnaté Pleso, l'ultima, la IX Mrkos, fu scoperta il 3 dicembre 1959 a Lomnický Štít. Secondo le fonti disponibili, tre erano di breve periodo. La cometa 45 P/Honda - Mrkos - Pajdušáková infatti ha un periodo orbitale di poco più di cinque anni ed è probabilmente correlata allo sciame meteorico Alpha Capricornidi. La P/Tuttle - Giacobini - Kresák è una delle comete che interrompono lunghi periodi di riposo con una improvvisa e inaspettata crescita di luminosità: nel 1973 la aumentò temporaneamente con due esplosioni fino a 4.000 volte. Questa, così come la P/Perrine - Mrkos, consiste nella scoperta di comete periodiche perdute da tempo e non osservate dall'inizio del secolo. La più bella delle "Tatra" è stata senza dubbio la cometa del 1957 attribuita all'astronomo Mrkos. Per il suo affascinante aspetto somigliava alla celebre Hale-Bopp in una struttura di plasma con una lunga coda di polvere. Insieme alla III Mrkos (1955) è stata osservata ad occhio nudo al tramonto vicino al Sole. Attribuite a Pajdušáková sono le scoperte di C/1948 E1 (insieme a Mrkos), di C/1951 C1 e di C/1953 X1; inoltre le si deve una "riscoperta": quella di 27 P/1956/S1 Crommelin.

L'astronoma Ľudmila Pajdušáková scopre una nuova cometa, 1953.

Gli osservatori di Skalnaté Pleso e Lomnický Štít hanno ottenuto il riconoscimento mondiale per i loro atlanti del cielo stellato e le scoperte di comete. È indiscutibile che Ľudmila Pajdušáková abbia dato un consistente contribuito grazie alle sue capacità. Già come ricercatrice, ha portato all'introduzione dell'osservazione e determinazione delle posizioni degli asteroidi e allo studio delle meteore. Come direttrice dell'Istituto Astronomico dell'Accademia delle Scienze slovacca, ha studiato l'atmosfera del Sole; si è occupata della metodologia e dell'interpretazione delle relative osservazioni, della decomposizione dei fenomeni variabili nel Sole e delle loro relazioni con i cambiamenti ciclici. Si è poi dedicata con successo a una vasta gamma di fenomeni astronomici, ha ampiamente contribuito alla divulgazione delle conoscenze scientifiche e allo sviluppo dell'astronomia amatoriale in Slovacchia. Si racconta che non ci fosse scuola, fabbrica, centro culturale dove non si recasse; non c'era manifestazione scientifica a cui non fosse presente, sempre elegante e dotata di fascino e di una parlantina vivace. Ha pubblicato vari libri, più di 20 articoli scientifici originali su riviste nazionali e straniere, dozzine di articoli professionali e più di 100 articoli di natura divulgativa su problemi di astronomia, cosmonautica e visione del mondo.

Scienziata attenta e operosa, impegnata nel lavoro ma anche in molteplici attività sociali, è stata coinvolta in modo significativo nei movimenti per la pace e a favore dell'emancipazione femminile. È stata membro del Comitato centrale dell'Accademia delle scienze socialista (1955-1960) e del Consiglio mondiale per la pace (1961-1973), presidente della Società astronomica slovacca della Sas (1962-1974), membro dell'Unione delle donne slovacche (1964-1974), dell'Unione astronomica internazionale (Iau, 1967) e della Commissione sulle radiazioni e la struttura dell'atmosfera solare (1967). Era una formatrice di successo che ha stimolato e incoraggiato la carriera e gli studi di diversi scienziati e colleghi. Il presidente della Società astronomica slovacca Ladislav Hric ha detto: «Da ragazzino, ero con mio padre a una delle sue numerose lezioni di astronomia. La sua presentazione bella e piena di sentimento mi ha convinto che studiare astronomia è una bella cosa. Ed è per questo che la dottoressa Ľudmila Pajdušáková si è affermata nel mondo, perché era appassionata della causa, molto tenace e determinata». Ľudmila Pajdušáková morì all'età di 63 anni il 6 ottobre 1979 a Vyšné Hágy, una frazione di Vysoké Tatry.

Nella brillante carriera ha ricevuto premi prestigiosi:
- La 215° Donohoe Comet Medal (1947)
- Il Premio Consiglio del lavoro (1956)
- Il Premio cecoslovacco per la Pace (1971)
- La Medaglia Keplero dell'Accademia delle Scienze Cecoslovacca (1973)
- La Medaglia Copernico dell'Accademia delle Scienze Cecoslovacca (1973)
- La Targa d'Oro dell'Unione delle Donne Slovacche (1974)
A lei è stato dedicato l'asteroide 3636, scoperto il 17 ottobre 1982 dall'ex marito, il collega astronomo Antonín Mrkos.

 

Traduzione francese
Joelle Rampacci

«Les étoiles sont illuminées pour qu'un jour chacun puisse trouver la sienne»

imaginait Saint-Exupéry, et en fait cette «dame des étoiles» qui, de professeure est devenue la première astronome de l'astronomie slovaque moderne, a découvert de nombreuses étoiles.

Ľudmila Pajdušáková est née le 29 juin 1916 à Radošovce dans une famille de marchands; à seize ans, elle est orpheline et doit prendre soin de ses frères. De 1929 à 1935, elle étudie au Real Grammar School de Kláštor pod Znievom, puis dans un institut privé obtenant la qualification d'enseignante. De 1936 à 1944, elle enseigne dans plusieurs écoles, mais le tournant décisif arrive, avec le choix de devenir astronome. Elle acquiert ses premières expériences scientifiques à l'Observatoire d'État de Skalnaté Pleso, où elle travaille de 1944 à 1953, effectuant dans un premier temps des tâches techniques. Elle y rencontra le climatologue et astronome amateur Antonín Bečvář avec qui elle a une entente professionnelle et sentimentale fructueuse, qui ne conduit cependant pas au mariage. Pendant ce temps,elle étudie l'astronomie à la faculté des sciences de l'Université Comenius de Bratislava. Déjà en mai 1946, la belle, jeune et intelligente astronome découvre sa première comète. À partir de ce moment, elle recevra souvent le surnom de «Kometa». Ses observations sur les pluies de météores publiées la même année font référence à 11000 météores représentées sur 10000 images, avec une moyenne d'une toutes les 30 heures - la plus grande collection au monde après Harvard. Le 7 mars 1948, elle rejoint le Parti communiste et entre-temps elle poursuit ses découvertes et ses études. En 1950, elle obtient le titre de Rndr (équivalent à la maîtrise en sciences naturelles) et en 1966 le diplôme de Csc (Candidate des Sciences). De 1953 à 1979, elle travaille à l'Institut d'astronomie de l'Académie slovaque des sciences, Tatranská Lomnica, où elle est directrice à partir du 16 août 1958. Selon certaines rumeurs (malveillantes? Envieuses? Fiables?), Elle a "gouverné" en imposant les personnes qu’elle appréciait et renvoyé les autres, avec des méthodes plutôt autoritaires, en se faisant couvrir le dos par le Parti. Plusieurs conflits internes l'ont même poussée à démissionner en 1965, sous prétexte de s'occuper de son fils de 12 ans, mais elle a été convasicue par la direction du Parti de rester à son poste; elle n'est partie que le 31 mars 1979, quelques mois avant sa mort.

Avant de procéder aux découvertes, il est nécessaire de fournir quelques détails supplémentaires sur les observatoires astronomiques slovaques. Deux observatoires avaient vu le jour sur les Hautes Tatras: en 1943 Skalnaté Pleso - qui porte la devise latine Per aspera ad astra et donne son nom à un astéroïde - où les astéroïdes, les météorites, les étoiles variables et leur évolution sont encore étudiées aujourd'hui, et Lomnický Štít, situé à 2632 mètres d'altitude, construit entre 1957 et 1962, où depuis 1981 la surveillance des rayons cosmiques est effectuée en continu. Leur position géographique sur les montagnes homonymes explique la raison du nom de "Tatra" attribué à la série d'étoiles dont nous allons parler.

En tant que scientifique, Pajdušáková est devenue célèbre pour avoir découvert cinq nouvelles comètes et participé à d'autres découvertes collectives. Dans les années qui ont suivi la Seconde Guerre mondiale, avec le personnel de l'observatoire de Skalnaté Pleso - Antonín Mrkos, Ľubor Kresák, Antonín Bečvář et Margita Vozárová-Kresáková - elle s'est consacré à la recherche de nouvelles comètes: des efforts conjoints ont produit des résultats exceptionnels. Sur les 70 comètes identifiées dans les années 1946 à 1959 dans le monde, 18 découvertes ont eu lieu dans les observatoires mentionnés ci-dessus. Pour faire une comparaison, il suffit de savoir que le célèbre observatoire du mont Palomar aux États-Unis a enregistré 13 découvertes et d'autres observatoires mondiaux pas plus de cinq chacun. On en déduit que près d'un tiers de toutes les découvertes ont eu lieu dans ces instituts slovaques, y compris celles qui n’ont pu être observées qu’à partir de l'hémisphère sud. La réponse de la communauté scientifique a été extraordinaire. Au Congrès de l'Union astronomique internationale, tenu à Rome en 1954, la Tchécoslovaquie a été déclarée "puissance comète" grâce aux découvertes. La première comète de la série "Tatra" fut l'étoile de 1946 K1 Pajdušáková - Rotbart - Weber découverte le 30 mai 1946 à Skalnaté Pleso, la dernière, le IX Mrkos, fut découverte le 3 décembre 1959 à Lomnický Štít. Selon les sources disponibles, trois étaient à court terme. La comète 45 P / Honda - Mrkos - Pajdušáková a, en fait, une période orbitale d'un peu plus de cinq ans et est probablement liée à la pluie de météores Alpha Capricornides. Le P / Tuttle - Giacobini - Kresák est l'une des comètes qui interrompent de longues périodes de repos avec une augmentation soudaine et inattendue de la luminosité: en 1973, cette luminosité augmenta temporairement avec deux explosions jusqu'à 4000 fois. Ceci, comme le P / Perrine - Mrkos, consiste en la découverte de comètes périodiques perdues depuis longtemps et non observées depuis le début du siècle. Le plus beau des "Tatras" était sans aucun doute la comète de 1957 attribuée à l'astronome Mrkos. En raison de son aspect fascinant, elle ressemblait à la célèbre Hale-Bopp dans une structure plasma avec une longue queue de poussière. Avec III Mrkos (1955), elles ont été visibles à l'œil nu au coucher du soleil près du Soleil. Les découvertes de C / 1948 E1 (avec Mrkos), de C / 1951 C1 et de C / 1953 X1 sont attribuées à Pajdušáková; de plus il s'agit d'une "redécouverte": celle du 27 P / 1956 / S1 Crommelin.

L'astronome Ľudmila Pajdušáková découvre une nouvelle comète, 1953.

Les observateurs de Skalnaté Pleso et de Lomnický Štít ont acquis une reconnaissance mondiale pour leurs atlas du ciel étoilé et leurs découvertes de comètes. Il est incontestable que Ľudmila Pajdušáková a apporté une contribution substantielle grâce à ses compétences. Déjà en tant que chercheuse, elle a conduit à l'introduction de l'observation et de la détermination des positions des astéroïdes et à l'étude des météores. En tant que directrice de l'Institut d'astronomie de l'Académie slovaque des sciences, elle a étudié l'atmosphère du Soleil; elle s’est occupée de la méthodologie et de l'interprétation des observations relatives, de la décomposition des phénomènes variables dans le Soleil et de leurs relations avec les changements cycliques. Elle s'est ensuite consacrée avec succès à un large éventail de phénomènes astronomiques, a largement contribué à la diffusion des connaissances scientifiques et au développement de l'astronomie amateur en Slovaquie. On dit qu'il n'y avait pas d'école, d'usine, de centre culturel où elle ne se rendait; un événement scientifique auquel elle n'était pas présente, toujours élégante et dotée de charme et d'une conversation animée. Elle a publié plusieurs livres, plus de 20 articles scientifiques originaux dans des revues nationales et étrangères, des dizaines d'articles professionnels et plus de 100 articles à caractère populaire sur les problèmes d'astronomie, de cosmonautique et de vision du monde.

Scientifique attentive et industrieuse, engagée dans le travail mais aussi dans de multiples activités sociales, elle s'est fortement impliquée dans les mouvements pour la paix et en faveur de l'émancipation des femmes. Elle a été membre du Comité central de l'Académie socialiste des sciences (1955-1960) et du Conseil mondial de la paix (1961-1973), présidente de la Société astronomique slovaque du SAS (1962-1974), membre de la Union des femmes (1964-1974), l'Union astronomique internationale (Iau, 1967) et la Commission des rayonnements et de la structure de l'atmosphère solaire (1967). Elle était une formatrice à succès qui a stimulé et encouragé les carrières et les études de plusieurs scientifiques et collègues. Le président de la Société slovaque d'astronomie, Ladislav Hric, a déclaré: « jeune garçon, j'étais avec mon père à l'un de ses nombreux cours d'astronomie. Sa présentation magnifique et émouvante m'a convaincu que l'étude de l'astronomie était une bonne chose. Et c'est pour cette raison que Dr. Ľudmila Pajdušáková s'est imposée dans le monde, parce qu'elle était passionnée par la cause, très tenace et déterminée ». Ľudmila Pajdušáková est décédée à l'âge de 63 ans le 6 octobre 1979 à Vyšné Hágy, un hameau de Vysoké Tatry.

Au cours de sa brillante carrière, elle a reçu des prix prestigieux:

- A 215e médaille de la comète Donohoe (1947)
- Le prix du Conseil du travail (1956)
- Le prix tchécoslovaque de la paix (1971)
- La médaille Kepler de l'Académie tchécoslovaque des sciences (1973)
- La médaille Copernic de l'Académie tchécoslovaque des sciences (1973)
- La plaque d'or de l'Union des femmes slovaques (1974)
L'astéroïde 3636 lui a été dédié, découvert le 17 octobre 1982 par son ex-mari, l'astronome Antonín Mrkos.

 

Traduzione inglese
Syd Stapleton

«I wonder,» said Saint-Exupery’s Little Prince, «whether the stars are set alight in heaven so that one day each one of us may find his own…»

And, in fact, this "Lady of the Comets", who began as a teacher, then became the leading astronomer of modern Slovak astronomy, has found many. Ľudmila Pajdušáková was born on June 29, 1916 in Radošovce into a family of merchants. At sixteen she was orphaned and had to take care of her brothers. From 1929 to 1935 she studied at the Real Grammar School in Kláštor pod Znievom, then in a private institute, obtaining the qualifications to become a teacher. From 1936 to 1944 she taught in various schools, but then a decisive turning point came with her decision to become an astronomer. She gained her first scientific experience at the State Observatory of Skalnaté Pleso, where she worked from 1944 to 1953, initially carrying out technical tasks. There she met the climatologist and amateur astronomer Antonín Bečvář with whom she developed a close professional and personal relationship, but not one that led to marriage. Meanwhile she studied astronomy at the science faculty of Comenius University in Bratislava. Already in May 1946 the beautiful, intelligent young astronomer discovered her first comet. From that moment on she was often given the nickname "Kometa". Her observations of meteor showers published in the same year document 11,000 meteors depicted in 10,000 images - an average of one every 30 hours - the largest collection in the world after Harvard's. On March 7, 1948, she joined the Communist Party, and continued on with her discoveries and studies. In 1950 she obtained the title of RNDR (equivalent to a master's degree in Natural Sciences) and in 1966 the CSC degree (Candidate of Sciences). From 1953 to 1979 she worked at the Astronomical Institute of the Slovak Academy of Sciences, Tatranská Lomnica, where she became director on August 16, 1958. According to some rumors (malicious? envious? accurate?) she "ruled" by promoting people she liked and firing others, with these rather authoritarian methods backed by the Communist Party. Several internal conflicts even pushed her to resign in 1965, under the pretext of looking after her 12-year-old son, but she was persuaded by the Party leadership to stay in her position. She only left her job March 31, 1979, a few months before her death.

Before listing some of her discoveries, it’s necessary to provide some more details on the Slovak astronomical observatories. On the High Tatras mountains, there were two observatories. One was Skalnaté Pleso – established in 1943 with the Latin motto Per aspera ad astra (through hardship to the stars). This observatory has an asteroid named after it - and asteroids, meteoroids, variable stars and their evolution are still studied there today. The second was Lomnický Štít, located at an altitude of 2632 meters, built between 1957 and 1962, and where, since 1981, cosmic rays have been continuously monitored. The location of these two observatories in the Tatra mountains explains the reason for the name assigned to the series of comets we are about to discuss.

 

As a scientist, Pajdušáková became famous for discovering five new comets and participating in other collective discoveries. In the years after the Second World War, together with the staff of the Skalnaté Pleso-Antonín Mrkos observatory, Ľubor Kresák, Antonín Bečvář and Margita Vozárová-Kresáková-she dedicated herself to the search for new comets. The combined efforts produced exceptional results. Of the 70 comets identified in the years from 1946 to 1959 around the world, 18 discoveries occurred in the observatories mentioned above. In comparison, consider that the famous Mount Palomar observatory in the United States recorded 13 discoveries, and other world observatories no more than five each. Nearly a third of all comet discoveries were made by the two Slovak institutions, including those that could only be observed from the southern hemisphere. The response from the scientific community turned out to be extraordinary. At the Congress of the International Astronomical Union, held in Rome in 1954, Czechoslovakia was declared a "comet power" thanks to the discoveries. The first comet of the "Tatra" series was 1946 K1 Pajdušáková-Rotbart-Weber discovered on May 30, 1946 in Skalnaté Pleso, the last, the IX Mrkos, was discovered on December 3, 1959 in Lomnický Štít. According to available sources, three were short-term. Comet 45P/Honda-Mrkos-Pajdušáková in fact has an orbital period of just over five years and is probably related to the Alpha Capricornoid meteor shower. The P/Tuttle-Giacobini-Kresák is one of the comets that interrupts long periods of rest with sudden and unexpected increases in brightness. In 1973 it temporarily increased its brightness by 4,000 times with two explosions. This, like the P/Perrine-Mrkos, was one of the discoveries of periodic comets long lost and not observed since the beginning of the century. The most beautiful of the "Tatras" was undoubtedly the 1957 comet attributed to the astronomer Mrkos. In its fascinating appearance, it resembled the famous Hale-Bopp comet, having a plasma structure with a long dust tail. Together with III Mrkos (1955) it was observed with the naked eye near the sun at sunset. Attributed to Pajdušáková are the discoveries of C/1948 E1 (together with Mrkos), of C/1951 C1 and of C/1953 X1, and also a "rediscovery" of 27 P/1956 /S1 Crommelin.

Astronomer Ľudmila Pajdušáková discovers a new comet, 1953.

Observers from Skalnaté Pleso and Lomnický Štít have gained worldwide recognition for their starry sky atlases and comet discoveries. It is indisputable that Ľudmila Pajdušáková made a substantial contribution thanks to her skills. Already as a researcher, she began the observation and determination of the positions of asteroids and the study of meteors. As director of the Astronomical Institute of the Slovak Academy of Sciences, she studied the atmosphere of the sun. She dealt with the methodology and interpretation of related observations, with the decomposition of variable phenomena in the sun and their relationships with cyclic changes. She then successfully dedicated herself to a wide range of astronomical phenomena. She contributed enormously to the dissemination of scientific knowledge and the development of amateur astronomy in Slovakia. It is said that there was no school, factory, cultural center where she did not go, no scientific event at which she was not present, always elegant and endowed with charm and lively conversation. She published various books, more than 20 original scientific articles in national and foreign journals, dozens of professional articles and more than 100 articles of a popular nature on problems of astronomy, space exploration and our world.

She was an attentive and industrious scientist, engaged in her work but also in multiple social activities. She was significantly involved in the movements for peace and in favor of women's emancipation. She was a member of the Central Committee of the Socialist Academy of Sciences (1955-1960) and of the World Peace Council (1961-1973), president of the Slovak Astronomical Society of the SAS (1962-1974), member of the Slovak Women's Union (1964-1974), the International Astronomical Union (1967) and the Commission on the Radiation and Structure of the Solar Atmosphere (1967). She was a mentor who successfully stimulated and encouraged the careers and studies of several scientists and colleagues. The president of the Slovak Astronomical Society Ladislav Hric said: “As a young boy, I was with my father at one of her many astronomy classes. Her beautiful and heartfelt presentation convinced me that to study astronomy would be a beautiful thing. And it is for this reason that Dr. Ľudmila Pajdušáková has established herself in the world, because she was passionate about the cause, very tenacious and determined.” Ľudmila Pajdušáková died at the age of 63 on October 6, 1979 in Vyšné Hágy, a hamlet of Vysoké Tatry.

In her brilliant career she received many prestigious awards:
- The 215th Donohoe Comet Medal (1947)
- The Labor Council Award (1956)
- The Czechoslovakian Peace Prize (1971)
- The Kepler Medal of the Czechoslovakian Academy of Sciences (1973)
- The Copernicus Medal of the Czechoslovakian Academy of Sciences (1973)
- The Gold Medal of the Union of Slovak Women (1974).
The asteroid 3636 was dedicated to her, discovered on October 17, 1982 by her ex-husband and fellow astronomer Antonín Mrkos.

 

Rózsa Péter

Danila Baldo


Eleonora Nascimbeni

«Amo la matematica non solo per le sue applicazioni tecniche, ma soprattutto perché è bella»: così scrive Rózsa Politzer Péter, matematica ungherese, fondatrice della teoria computazionale, nella prefazione al suo libro Giocando con l’infinito. Matematica per tutti, iniziato a scrivere nel 1943, ma diffuso a livello mondiale nel 1957. E questa dovrebbe essere la prima frase pronunciata da ogni insegnante di matematica all’inizio dell’anno, in particolare nei licei umanistici o artistici in cui si iscrivono tante ragazze che dicono di averli scelti perché “non sono brave in matematica” e quindi affrontano la materia con diffidenza e di malavoglia, considerandola agli antipodi rispetto alla letteratura, all’arte e alla creatività in generale.

Sempre nella prefazione del 1957 si legge:

«Sono portata a credere che una delle origini della matematica sia la natura giocosa umana, e per questa ragione la matematica non è solo una scienza, ma almeno allo stesso grado, anche un’arte», aggiungendo: «Questo libro è scritto per coloro che hanno interessi intellettuali ma non sono matematici; è scritto per letterati, artisti, cultori di scienze umanistiche».

Corrado Mangione, uno dei padri della logica italiana del secondo Novecento, nella nota che apriva la prima edizione italiana per i tipi di Feltrinelli nel 1973, afferma: «Il discorso, specie all’inizio, sembra, più che elementare, quasi pedante e infantile; però presto si avverte una profonda conoscenza dietro di esso e una rara maestria nel raccordare fra loro concetti di diverso grado di difficoltà e di rilievo del tutto differente; e si resta via via stupiti dalla varietà degli argomenti che vengono toccati». E proprio Rózsa Péter, donna e importante matematica, potrebbe diventare un esempio per tante ragazze che subiscono da millenni il pregiudizio dell’inadeguatezza della mente femminile alle scienze “dure”, purtroppo ripreso dal famoso matematico Piergiorgio Odifreddi in più occasioni negli ultimi anni, ma in modo più discutibile e sbilanciato nell’articolo del 16 ottobre 2016 sul quotidiano “La Repubblica”, dove si permette di conclamare:

«Una progressione discendente, che sembra indicare come l’attitudine femminile sia direttamente proporzionale alla concretezza e indirettamente proporzionale all’astrazione.» Uscite di questo tipo hanno però dato la possibilità a tante scienziate di controbattere e affermare che «la scarsa presenza femminile nella ricerca scientifica non è dovuta alla mancanza di doti innate ma è fortemente condizionata da convenzioni sociali dure a morire.»

 

Rózsa Politzer nacque a Budapest il 17 febbraio 1905, ma nel 1930 cambiò il suo cognome in Péter per dargli un’assonanza meno tedesca, come era comune in quegli anni in Ungheria. Inizialmente, dopo la laurea in matematica conseguita nel 1927, fu insegnante liceale e, successivamente, dopo il dottorato conseguito nel 1935, docente all’Università Loránd Eötvös sino a pochi anni prima della morte, avvenuta nel 1977. Durante il periodo nazista, sotto il regime di Myklós Horthy, le fu interdetto l’insegnamento per le sue origini ebraiche, ma, seppur confinata nel ghetto di Budapest, continuò a lavorare durante gli anni della guerra e per tutta la sua vita si spese per far apprezzare la matematica agevolandone la comprensione sin dalla più tenera età, e per fornire maggiori opportunità alle donne nel mondo delle scienze.Nel 1951 riesce a pubblicare la sua opera principale: Rekursive Funktionen, che le valse il Premio Kossuth. Tradotto in inglese soltanto nel 1967, come Recursive Functions, vide oscurati i suoi meriti dai libri più diffusi e famosi del matematico statunitense Stephen Cole Kleene, che però nel 1952 la definì come «la principale artefice della teoria speciale delle funzioni ricorsive». Il suo ultimo testo sull’argomento sarà Recursive Functions in Computer Theory, del 1976, ma già nel 1932 aveva presentato un articolo sulle funzioni ricorsive al Congresso Internazionale dei Matematici a Zurigo, dove proponeva per la prima volta che tali funzioni venissero studiate come un sottocampo separato della matematica.

Convinzione di Rózsa Péter è che la scienza, e soprattutto la matematica, debba entrare in ciò che possiamo definire “area culturale”, senza essere considerata appannaggio di esperti visti come maghi, quasi non umani, ma venga vista come un frutto del lavoro umano, connessa e radicata con la realtà e i problemi di tutti i giorni. Infatti nello spiegare operazioni, concetti o àmbiti anche molto complessi della disciplina, utilizza esempi e paragoni tratti dalla vita quotidiana. Moltissimi si trovano nei suoi scritti, come questo, nel momento in cui si accinge a spiegare le grandezze con direzioni arbitrarie, i cosiddetti “vettori”: «Ogni rematore sa che se vorrà attraversare il fiume, non raggiungerà l’altra riva nel punto esattamente opposto al punto di partenza, ma più a valle, poiché non sarà spinto solo dai propri muscoli, ma anche dalla corrente. […] Una storia racconta di otto cavalli usati per tirare un carro molto pesante, e il carro non si muoveva per niente, finché qualcuno non notò che quattro cavalli stavano tirando in una direzione, e quattro nell’altra». Oppure: «Alle figure nello spazio corrisponderanno equazioni con tre incognite. Potremmo indicarle con x, y, z. Se consideriamo un’equazione, come z = 3x + 2y, vediamo immediatamente che il valore di z dipende da x e da y. Z rappresenta un esempio delle cosiddette funzioni di due variabili: incontriamo spesso funzioni di questo tipo nella vita di tutti i giorni; per esempio il premio di un’assicurazione sulla vita dipende tanto dal tempo in cui la polizza ha valore come dal capitale depositato. Qualunque cosa dimostriamo relativamente a figure nello spazio tridimensionale, sarà esprimibile in termini di funzioni di due variabili.» Lo scopo è sottrarre ciò che appare impossibile per la mente umana alla frustrazione di non poterlo neanche immaginare o avvicinare; afferma: «l’infinito in matematica si può comprendere mediante strumenti finiti». Ricorda tanto la leggendaria frase di Archimede: «datemi una leva e solleverò il mondo».

«Nessun altro campo può offrire a tal punto come la matematica la gioia della scoperta, che è forse la più grande gioia umana», ripeteva Rózsa Péter nelle sue conferenze, che erano spesso intitolate “La matematica è bella”. Poteva sembrare un'effusione ingenua, ma detto da lei si capiva che era una conquista di saggezza e della consapevolezza del carattere umano e non “divino” della matematica, così come quando afferma (ed è ricordato da Giulio Giorello nella postfazione a Giocando con l’infinito): «L’eterna lezione è che la matematica non è qualcosa di statico e chiuso, ma è viva, in continuo sviluppo».

Traduzione francese
Piera Negri

« J’aime les mathématiques non seulement pour leurs applications techniques, mais surtout parce qu’elles sont belles » : écrit Rózsa Politzer Péter, mathématicienne hongroise, fondatrice de la théorie computationnelle, dans la préface de son livre Jeux avec l’infini. Mathématiques pour tous, qu’elle a commencé à écrire en 1943, mais qui n’a été diffusé dans le monde entier qu’en 1957. Et cette phrase devrait être la première que tout professeur de mathématiques prononce en début d'année, en particulier dans les lycées de lettres ou d'arts dans lesquels beaucoup de filles s'inscrivent en disant les avoir choisis car « elles ne sont pas fortes en maths » et s’approchent de la matière avec méfiance et réticence, la considérant le contraire de la littérature, des arts et de la créativité en général.

Encore, dans la préface de 1957, peut-on lire :

« Je suis amenée à croire que l'une des origines des mathématiques est la nature ludique de l'homme, et pourtant elles ne sont pas seulement une science, mais au moins au même degré, aussi un art ». Et elle ajoute : « Ce livre est écrit pour ceux qui ont des intérêts intellectuels mais qui ne sont pas des mathématiciens ; il est écrit pour des écrivains, des artistes et des amateurs des sciences humanistes ».

Corrado Mangione, l'un des pères de la logique italienne de la fin du XXe siècle, dans la notice qui ouvrait la première édition italienne de Feltrinelli en 1973, déclare: «Le discours, surtout au début, semble plus qu'élémentaire, presque pédant et puéril; mais on y perçoit bientôt une connaissance profonde et une maîtrise rare à relier entre eux des concepts de différents degrés de difficulté et d'importance complètement différente; et l'on est progressivement étonné par la variété des sujets abordés».Et Rózsa Péter, femme et mathématicienne importante, pourrait devenir un exemple pour beaucoup de filles qui ont subi depuis des millénaires le préjugé de l'inadaptation de l'esprit féminin aux sciences « dures » ; préjugé malheureusement repris par le célèbre mathématicien Piergiorgio Odifreddi à plusieurs reprises ces dernières années, mais, d’une façon plus discutable et déséquilibrée dans l'article du 16 octobre 2016 dans le journal "La Repubblica", où il se permet de proclamer:

«Une progression descendante, qui semble indiquer comment l'attitude féminine est directement proportionnelle au concret et indirectement proportionnelle à l'abstraction.» Des considérations de ce genre ont donné à plusieurs scientifiques l'occasion de s’opposer et affirmer que «la faible présence des femmes dans la recherche scientifique n'est pas due à un manque de qualités innées, mais est fortement conditionnée par des conventions sociales irréductibles».

 

Rózsa Politzer est née à Budapest le 17 février 1905, mais en 1930, elle a changé son nom de famille en Péter pour lui donner une assonance moins allemande, ce qui était commun ces années-là en Hongrie Après le diplôme en mathématiques en 1927, elle a été d’abord professeure au lycée ensuite, après son doctorat obtenu en 1935, professeure à l'Université Loránd Eötvös jusqu'à quelques années avant sa mort en 1977. Pendant la période nazie, sous le régime de Myklós Horthy, elle a été interdite d'enseignement en raison de ses origines juives ; toutefois, bien que confinée dans le ghetto de Budapest, elle a continué à travailler pendant les années de guerre – et pendant toute sa vie – pour faire apprécier les mathématiques, en facilitant la compréhension dès le plus jeune âge et pour donner plus de chances aux femmes dans le monde des sciences. En 1951, elle parvient à publier son œuvre principale : Rekursive Funktionen, qui lui vaut le prix Kossuth. Cependant, le texte ayant été traduit en anglais seulement en 1967, sous le titre de Recursive Functions, ses mérites ont été éclipsés par les livres plus populaires et plus connus du mathématicien américain Stephen Cole Kleene, qui, en 1952, la définit comme « l'architecte principal de la théorie spéciale des fonctions récursives ». Son dernier texte sur ce sujet sera Recursive Functions in Computer Theory, 1976, mais dès 1932, elle avait présenté un article sur les fonctions récursives au Congrès International des Mathématiciens de Zurich, où elle proposait, pour la première fois, d'étudier ces fonctions comme un sous-domaine séparé des mathématiques.

La conviction de Rózsa Péter est que la science, et surtout les mathématiques, doivent entrer dans ce que l'on peut définir « l’espace culturel », sans être considérées comme l'apanage d'experts perçus comme des magiciens, presque non humains ; elles doivent être vues comme le fruit du travail humain, connecté et ancré dans la réalité et les problèmes quotidiens. En effet, pour expliquer des opérations, des concepts ou même des domaines très complexes de la discipline, elle utilise des exemples et des comparaisons tirés du quotidien. Plusieurs personnes se retrouvent dans ses écrits, comme celui-ci, lorsqu'elle s'apprête à expliquer les grandeurs avec des directions arbitraires, lesdits « vecteurs » : «Tout rameur sait que s'il veut traverser la rivière, il n'atteindra pas l'autre rive exactement au point en face »de celui du départ, mais plus en aval, car il sera non seulement poussé par ses propres muscles, mais aussi par le courant. [...] Une histoire raconte que huit chevaux tiraient une charrette très lourde, et la charrette n’avançait pas du tout, jusqu'à ce que quelqu’un ne remarque que quatre chevaux tiraient dans un sens et quatre dans l'autre ». Ou encore : « Les chiffres dans l'espace correspondront à des équations à trois inconnues. On pourrait les indiquer par x, y, z. Si l’on considère une équation, telle que z = 3x + 2y, on voit immédiatement que la valeur de z dépend de x et y. Z représente un exemple des fonctions dites à deux variables : on rencontre souvent des fonctions de ce type dans la vie quotidienne ; par exemple, la prime d'une assurance-vie dépend autant du moment où la police a de la valeur que du capital déposé. Tout ce que nous démontrons concernant les figures dans l'espace tridimensionnel, pourra être exprimé en termes de fonctions de deux variables. » Le but est de soustraire ce qui semble impossible à l'esprit humain à la frustration de ne pas pouvoir même l'imaginer ni l'approcher ; elle déclare : « l'infini en mathématiques peut être compris par des instruments finis ». Ce qui rappelle la phrase légendaire d'Archimède « donnez-moi un levier et je soulèverai le monde ».

« Aucun autre domaine que les mathématiques ne peut offrir la joie de la découverte, qui est peut-être la plus grande joie humaine », Rózsa Péter répétait dans ses conférences, souvent intitulées « Les mathématiques sont belles ». Cela aurait pu sembler une effusion naïve, mais, étant affirmé par Rózsa, on comprenait que c'était une conquête de sagesse et de la conscience du caractère humain et non « divin » des mathématiques, ainsi que lorsqu’elle affirme (et Giulio Giorello le rappelle dans la postface de Jouer avec l’infini) « La leçon éternelle est que les mathématiques ne sont pas quelque chose de statique ni de fermé, mais elles sont vivantes, en développement continu ».

Traduzione inglese
Piera Negri

«I love mathematics not only because it is applicable to technology but above all because it is beautiful» :this is what Rózsa Politzer Péter, Hungarian mathematician, founder of the computability theory, writes in her book preface Playing with the infinite. Mathematics for outsiders, started writing in 1943, but spread worldwide in 1957. And this is the first sentence every math teacher should pronounce at the beginning of the year, especially in the humanities or arts high schools that many girls usually choose because «I am not good in maths» and therefore they face it with distrust and reluctance, considering it as the opposite of literature, art and creativity in general.

Always in the preface of 1957 we read:

«I am led to believe that one of the origins of mathematics is its human playful nature, and for this reason mathematics is not only a science, but at least at the same level, also an art», adding: «This book is written for those who have intellectual interests but are not mathematicians; it is written for writers, artists, humanistic sciences lovers».

Corrado Mangione, one of the fathers of Italian logic of the late twentieth century, in the note opening the first Italian edition for Feltrinelli in 1973, states: «The speech, especially at the beginning, seems more than elementary, almost pedantic and childish ; but it is soon perceived a deep knowledge behind it and a rare capability in connecting concepts of different degree of difficulty and importance; and one is gradually suprised by the different touched topics». And Rózsa Péter, woman and important mathematician, could become an example for many girls suffering since millennia the inadequacy prejudice of female mind towards "hard" sciences, unfortunately taken up by the famous mathematician Piergiorgio Odifreddi on several occasions in recent years, but , in a more questionable and unbalanced way in the article of 16 October 2016 in the newspaper "La Repubblica", where he takes the liberty of proclaiming:

«A descending progression, which seems to indicate how female attitude is directly proportional to concreteness and indirectly proportional to abstraction». Such a kind of release, on the contrary, have given to many female scientists the opportunity to argue and affirm that «the scarce presence of women in scientific research is not due to the lack of innate skills but it is strongly conditioned by hard to die social conventions».

Rózsa Politzer was born in Budapest on February 17, 1905, but in 1930 she changed her surname to Péter to give it a less German assonance, commonly used in those years in Hungary. Initially, after graduating in mathematics in 1927, she was a high school teacher and, later, after her doctorate in 1935, she was professor at Loránd Eötvös University until a few years before her death, in 1977. During the Nazi period, under the regime of Myklós Horthy, she was banned from teaching due to her Jewish origins, but, even if confined to the Budapest ghetto, she continued to work during the war years and spent her whole life to make mathematics appreciated through an easier understanding since an early age, and to provide more opportunities for women in the world of science. In 1951 she published her main work: Rekursive Funktionen, which earned her the Kossuth Prize. However, translated into English only in 1967, as Recursive Functions, she saw her merits were obscured by the most widespread and famous books of the American mathematician Stephen Cole Kleene, who however in 1952 defined her as "the main architect of the special theory of recursive functions". Her last text on the subject will be Recursive Functions in Computer Theory, dated 1976, but already in 1932 she presented an article on the recursive functions at the International Congress of Mathematicians in Zurich, where she proposed for the first time that these functions should be studied as a separate subfield of mathematics.

Rózsa Péter's belief is that science, and above all mathematics, must enter what we can define as a "cultural area", without being considered the prerogative of experts seen as magicians, almost non-human, but seen as fruit of human work, connected and rooted with reality and everyday problems. In fact, in explaining operations, concepts or even very complex areas of the discipline, she uses examples and comparisons drawn from everyday life. Many are found in her writings, like this one, when she is about to explain the quantities with arbitrary directions, the so-called "vectors": «Every rower knows that if he wants to cross the river, he will not reach the other bank at the exactly opposite point to the starting point, but further downstream, as it will not only be pushed by its own muscles, but also by the current. [...] A story tells of eight horses used to pull a very heavy chariot, and the chariot did not move at all, until someone noticed that four horses were pulling in one direction, and four in the other». Or: «The figures in space will correspond to equations with three unknown values. We could indicate them with x, y, z. If we consider an equation, such as z = 3x + 2y, we immediately see that the value of z depends on x and y. Z represents an example of the so-called functions of two variables: we often encounter this type of functions in our everyday life; for example, the life insurance premium depends both on the time in which the policy has value and on the deposited capital. Whatever we prove concerning figures in three-dimensional space, it can be expressed in terms of functions of two variables.» The aim is to remove what appears impossible for the human mind from the frustration of not even being able to imagine or approach it; she states: «the infinite in mathematics can be understood by means of finite tools». It strongly remember the legendary phrase of Archimedes «give me a lever and I will move the world».

«No other field can offer the joy of discovery, which is perhaps the greatest human joy, to such an extent as mathematics», repeated Rózsa Péter in her lectures, often entitled "Mathematics is beautiful». It might have seemed a naive effusion, but said by her, it was clear that it was a wisdom and awareness conquest of the human and not "divine" character of mathematics, as well as when you say (and is remembered by Giulio Giorello in the afterword to Playing with infinity) «The eternal lesson is that mathematics is not something static and closed, but it is alive, in continuous development».

Traduzione ungherese
Ildiko Hegedus

Én nemcsak azért szeretem a matematikát, mert alkalmazni lehet a technikában, hanem főleg azért, mert szép.”: írja a magyar matematikus Péter Politzer Rózsa, a rekurzív függvények feltalálója a Játék a végtelennel - Matematika kívülállóknak című könyvének előszavában, melyet 1943-ban írt, majd 1957-ben járta be a világot. És ez az első mondat, melyet minden matematika tanárnak el kellene ismételnie a tanév kezdetén, főleg a humán vagy a képzőművészeti középiskolákban, melyet sok lány azért választ, mert nem jók matekból és ezért bizalmatlankodva és elutasítóan állnak e tárgyhoz, amelyre egyben az irodalom, művészet és általában a kreativitás ellenpólusaként tekintenek.

Szintén az 1957-es előszóban olvashatjuk:

«Én így képzelem: a matematika forrása, vagy legalább is egyik forrása az ember játékos természete és éppen ezért nemcsak tudomány a matematika, hanem legalább ugyanolyan mértékben művészet is.» Majd hozzáteszi, «A könyv a nem-matematikus érdeklődésű intellektuális embernek szól: az irodalom, a művészet, a humanum emberének».

Corrado Mangione, a kései huszadik század olasz logikájának egyik szülőatyja az első 1973-as olasz Feltrinelli kiadás elején ezt írja: «A beszéd, főleg az elején eleminek tűnik, már-már pedánsnak és gyerekesnek, de hamarosan egy mély tudás sejlik fel mögüle egy ritka képességgel, mely különböző nehézségű és fontosságú fogalmakat köt össze. Az embert fokozatosan meglepik az érintett témák». És Péter Rózsa, nő és kiemelkedő matematikus, sok lány számára lehetne évezredek óta példa a női elme elégtelen előítéleteivel szemben a "kemény" tudományok iránt, amelyet sajnos a híres matematikus, Piergiorgio Odifreddi az elmúlt években többször is felvetett, de kérdésesebb és elfogult módon a La Repubblica című újság 2016. október 16-i cikkében, ahol azt a „A csökkenő progressziót” hirdeti, “amely látszólag azt jelzi, hogy a női magatartás egyenesen arányos a konkrétummal, és közvetetten arányos az absztrakcióval”. Egy ilyenfajta állítás azonban sok női tudós számára lehetőséget adott arra, hogy ezzel érvelhessenek és megerősíthessék:

"a nők szűkös jelenléte a tudományos kutatásban nem a veleszületett készségek hiányának tudható be, hanem az mélyen gyökerező társadalmi konvenciókon alapul.

 

Politzer Rózsa 1905. február 17-én született Budapesten, de 1930-ban Péterre változtatta a vezetéknevét, hogy kevésbé német asszonanciát adjon neki, amelyet azokban az években Magyarországon gyakran alkalmaztak. Kezdetben, miután 1927-ben elvégezte a matematika szakot, középiskolai tanár volt, majd 1935-ben doktori címét követően néhány évvel halála előtt 1977-ig az ELTE professzora volt. A náci időszakban, Horthy Myklós rezsimje alatt zsidó származása miatt eltiltották a tanítástól, de ha csak a budapesti gettóra is szorítkozott, a háborús években is folytatta munkáját. Egész életét arra szentelte, hogy a matematika felértékelődjön korai életkortól kezdve a könnyebb megértés révén, és hogy több lehetőséget kínáljon a nők számára a tudomány világában. 1951-ben adta ki fő művét Rekursive Funktionen címen, amelyért Kossuth-díjat kapott. Művét azonban csak 1967-ben fordították angol nyelvreRecursive Functions címen. Ekkor tapasztalhatta, hogy érdemeit elhomályosítják Stephen Cole Kleene amerikai matematikus legelterjedtebb és leghíresebb könyvei, aki azonban 1952-ben őt "a rekurzív függvények speciális elméletének fő tervezőjeként" emlegette. Utolsó tanulmánya, az 1976-os Rekursive Funktionen in der Computer Theorie (Rekurzív függvények a számítógépelméletben) lesz, de már 1932-ben cikket mutatott be a rekurzív függvényekről a zürichi Nemzetközi Matematikusok Kongresszusán, ahol először javasolta, hogy ezeket a függvényeket a matematika külön részterületeként kellene tanulmányozni.

Péter Rózsa meggyőződése, hogy a tudománynak és mindenekelőtt a matematikának be kell lépnie abba, amit "kulturális térként" definiálhatunk, anélkül, hogy ez a mágusnak, szinte emberfelettinek tekintett szakértők előjoga lenne. Ehelyett ezt az emberi munka gyümölcsének lehetne tekinteni, amely a valóságban és a mindennapi problémákban gyökerezik. A műveletek, fogalmak vagy akár a tudományág nagyon összetett területeinek magyarázatakor a mindennapi életből vett példákat és összehasonlításokat használ. Írásaiban számos ilyen hasonlat lelhető fel, mint például az, amikor éppen tetszőleges irányokkal, az úgynevezett "vektorokkal" magyarázza a mennyiségeket: "Minden evező tudja, hogy ha át akar kelni a folyón, akkor nem éri el a másik partot pontosan a kiindulási ponttal szemben, hanem valamivel lejjebb, mivel nemcsak a saját izmai, hanem az áramlat is nyomja. [...] Egy másik történet nyolc lóról szól, melyek egy nagyon nehéz szekeret húznak, viszont a szekér egyáltalán nem mozdult, mígnem valaki észrevette, hogy négy ló húz az egyik, és négy a másik irányba". Vagy: «A térbeli ábrák három ismeretlenes egyenleteknek felelnek meg. Jelölhetnénk őket x, y, z jelekkel. Ha egy egyenletet veszünk figyelembe, például z = 3x + 2y, akkor azonnal látjuk, hogy z értéke x-től és y-tól függ. Z két változó úgynevezett függvényeinek példája: mindennapjainkban gyakran találkozunk ilyen típusú egyenletekkel; például az életbiztosítási díj mind a kötvény értékének idejétől, mind a letétbe helyezett tőkétől függ. Bármit is igazolunk a háromdimenziós tér alakjaival kapcsolatban, azt két változó függvényeként lehet kifejezni. "A cél az, hogy elkerüljük azt a frusztrációt, hogy az emberi elme számára lehetetlen annak elképzelése vagy megközelítése, s kijelenti: "a matematika végtelenje véges eszközökkel értelmezhető". Ez igencsak emlékeztet Arkhimédész legendás mondatára "Adjatok egy fix pontot, és én kifordítom sarkaiból a világot."

"Egyetlen más terület sem kínálhatja a felfedezés örömét, ami talán a legnagyobb emberi öröm, olyan mértékben, mint a matematika" - ismételte Péter Rózsa előadásai során, melyek gyakran a "Matematika gyönyörű" címet viselték. Naivnak tűnhetett, de az ő elmondása alapján egyértelmű volt, hogy a matematika emberi és nem "isteni" jellegének bölcsesség és tudatosság hódítása volt. Ahogy Giulio Giorello emlékezik rá a Játék a végtelennel utószavában "Az örök tanulság: a matematika nem sztatikus, zárt, hanem élő, fejlődő valami".

 

Alyne Mayrisch de Saint Hubert

Eleonora Camilli


Viola Gesmundo

Tra le donne che hanno segnato il panorama sociale e culturale europeo della prima metà del XX secolo si distingue Aline Mayrisch-de Saint Hubert, femminista impegnata, filantropa illuminata e illustre letterata. Nata a Lussemburgo nel 1874, frequenta dapprima il collegio di Santa Sofia, poi il collegio Satrorius a Bonn, presso i quali riceve un’educazione che le consente di attendere le aspettative che all’epoca si ripongono sulle donne: il matrimonio e la maternità. Si sposa con Emile Mayrisch, ingegnere chimico e direttore della Società degli Altiforni, dà alla luce un figlio, che muore subito dopo la nascita, e una figlia di nome Andrée, che cresce senza condizionamenti di genere. Trasferitasi a Dudelange, piccola località in cui lo sviluppo del settore siderurgico aveva permesso al marito di fare carriera, soffre quell’ambiente provinciale, ma sarà proprio quella vita priva di stimoli intellettuali che la solleciterà a coltivare interessi letterari e filantropici e a frequentare l’ambiente artistico-culturale di Parigi, Monaco e Bruxelles. La sua personale visione relativa alla condizione femminile, infatti, rifiuta il focolare domestico come unica prospettiva per le donne e si colloca e si sostiene su una più ampia visione volta a superare i limiti imposti loro dalla società. Nel 1905 fonda insieme ad altre, fra cui la femminista tedesca Kathe Schirmacher, l’Associazione per i diritti della donna, attraverso la quale rivendica per tutte le donne il diritto all’istruzione superiore e al lavoro, ossia l’accesso alla società civile moderna, come afferma durante il suo discorso durante l’assemblea costituente:

«Signore, noi protestiamo contro questo. Chiediamo di poter vivere altrettanto completamente come ne abbiamo diritto per le nostre facoltà. E visto che la donna così come l’uomo non vive di solo pane, vorremmo che non soltanto la nostra vita civile materiale sia regolata da normative, ma anche che gli ambiti di cultura superiore e disinteressata ci siano resi più accessibili».

I servizi che l’Associazione offre sono numerosi: corsi di letteratura, filosofia, contabilità, cure infermieristiche, conferenze pubbliche su temi di attualità alla presenza di donne eminenti – come la prima avvocata belga, Marie Popelin, invitata a parlare dello statuto giuridico delle donne o la suffragetta tedesca Lyda Gustava Heymann, ospitata per affrontare la questione del diritto di voto; poi ancora un ufficio orientamento attraverso cui fornire alle donne un prospetto delle professioni loro accessibili, un ufficio di collocamento per donne alla ricerca di un impiego come personale di servizio a Parigi o a Bruxelles, professione considerata ideale per accedere alla vita e alla cultura cittadina; non ultimo, lancia una petizione per richiedere parità salariale per le insegnanti. L’obiettivo principale di Aline Mayrisch e dell’Associazione per i diritti della donna è tuttavia la creazione di un liceo per ragazze, con sede a Lussemburgo, gestito dallo Stato – un obiettivo ambizioso considerando che l’educazione era prerogativa delle congregazioni religiose – al fine di garantire loro l’accesso alle università e alle professioni. L’iter è impervio: dapprima cercano il sostegno di professori provenienti dal Movimento per l’educazione popolare, in seguito ottengono dal governo il permesso di creare una scuola superiore per ragazze, a condizione di impartire corsi identici a quelli dell’ateneo, di assumere solo professori qualificati e di fornire entro i tre anni successivi una prova che tale richiesta rispondesse a un bisogno reale. Se pure privo di qualsiasi fondamento giuridico, e di finanziamento – il progetto si sostiene quasi interamente sulle donazioni devolute da Aline Mayrisch – il primo Istituto superiore per ragazze rappresenta un importante incentivo per le giovani donne. Contro ogni previsione, nell’ottobre del 1909 trentadue ragazze si iscrivono al liceo. Due anni dopo, il progetto – nel frattempo trasformatosi in disegno di legge – sarà approvato all’unanimità dalla Camera dei Deputati, rappresentando un primo passo in avanti per la democrazia, nel nome di una cultura accessibile non più, e non solo, ai ragazzi, ma anche alle ragazze di ogni estrazione sociale. La legge tuttavia nega ancora alle stesse la possibilità di ricevere un insegnamento identico per forma e contenuti a quello dei primi. Il programma scolastico per le ragazze infatti non prevede la matematica, il latino viene posticipato alla classe quarta, e si impongono loro discipline pratiche come i lavori ai ferri e l’economia domestica. Questa discriminazione perdura sino alla fine degli anni Sessanta, ossia sessant’anni dopo l’iniziativa lungimirante di Aline Mayrisch e dell’Associazione per i diritti della donna – quando nel 1969 la legge Dupong sancisce che ragazzi e ragazze ricevano un’identica preparazione.

Sotto il profilo del sociale, l’Associazione per i diritti della donna non tutela solo le donne provenienti dalla classe borghese, ma rivendica anche i diritti delle donne appartenenti alle classi socio-economiche più indigenti. A seguito di una vera e propria moderna inchiesta condotta nei quartieri di Grund, Clausen e Pfaffenthal, nella capitale, Mayrisch e le altre colleghe, munite di questionario, si recano nei quartieri periferici della città ed esaminano una serie di fattori determinanti per una vita dignitosa: gli alloggi, le condizioni sanitarie, il numero di persone per camera, il numero di persone per letto, la salubrità dell’aria e degli edifici, il numero di toilette e le condizioni igieniche delle stesse. A seguito dei risultati a dire poco raccapriccianti, Mayrish mette in atto un’opera di mediazione con i politici, affinché creino una legislazione che garantisca la costruzione di alloggi sociali sicuri e vivibili dal punto di vista sanitario. Assieme alla Lega lussemburghese contro la tubercolosi, si impegna nella costruzione di ambulatori. La prima clinica sorge nel 1908 a Lussemburgo, altre due troveranno luogo a Esch-sur-Alzette e a Ettelbruck nel 1910. Al fine di garantire l’efficienza di questi ambulatori, Mayrisch invoca la necessità di personale qualificato da affiancare alle infermiere, per snellire i tempi nella gestione preliminare dei casi. Nasce così una figura complementare, una sorta di assistente sociale, che identifica le condizioni di miseria sociale in cui possono propagarsi le malattie contagiose e le segnala alle strutture di assistenza. Nel 1921, la prima infermiera a domicilio entra al servizio della Lega lussemburghese contro la tubercolosi. Si tratta di Elise Kauffels, una donna che ha seguito i suddetti “Studi complementari” presso la scuola Chaptal a Parigi. Nel 1930, la Croce Rossa conta nove infermiere diplomate e quattordici ragazze iscritte al corso di studi. Cinque anni più tardi, questo corso di specializzazione è ufficialmente riconosciuto dallo Stato del Lussemburgo. La filantropia di Aline Mayrisch abbraccia anche la questione della maternità e della tutela dei minori. Sulle suggestioni del pensiero di Adele Schreiber, esponente del Movimento per la protezione della madre e la riforma della vita sessuale – la quale aveva rivendicato per le donne in gravidanza la presa in carica da parte dello Stato, un congedo maternità di almeno sei settimane dopo il parto e la realizzazione di strutture di sostegno per giovani madri – si prodiga per la costruzione di ambulatori per neonati dotati di servizi d’ascolto gratuiti, finanziati dalla Croce Rossa e dalle amministrazioni comunali interessate, con personale qualificato pronto a sostenere le donne e a dissipare i loro dubbi in relazione alla gravidanza, al parto, all’allattamento, ai vaccini e allo sviluppo fisico e mentale di bambini/e. Nel 1925 sorgono i primi ambulatori per madri e figli/e a Dudelange, Lussemburgo e Grevenmacher. Il terzo grande progetto che si inserisce in questa civilissima e moderna opera di supporto sociale è la costruzione della nuova clinica ostetrica di Pfaffenthal. Osteggiata dall’ordine medico, che non approvava che la responsabilità di tale opera fosse sostenuta economicamente da privati, e invisa al governo, in piena crisi economica, ancora una volta la mente lungimirante di Aline Mayrisch pensa a una soluzione e organizza una racconta fondi che ammonta a quarantasei milioni di franchi, nove milioni dei quali saranno devoluti in opere filantropiche in Francia e in Belgio, il resto sarà destinato al progetto. La nuova clinica ostetrica, con sede in via D’Arlon, a Lussemburgo, dedicata alla granduchessa Charlotte, dal nome della benefattrice, sarà inaugurata il 10 marzo 1936 e si distinguerà per essere un luogo che offre le stesse cure a tutte le donne, qualunque sia la loro estrazione sociale, senza alcuna discriminante. L’impegno di Aline Mayrisch investe anche l’ambito artistico-letterario. Nel 1890 pubblica una serie di articoli riguardanti la pittura tedesca, che saranno pubblicati su "L’art Moderne", un periodico belga di avanguardia fondato da Octave Maus. Nel 1920 si stabilisce assieme alla famiglia a Colpach, una tenuta appartenuta al pittore ungherese Mihaly Mukacsy. Nel parco del castello dà vita a un vero e proprio salotto letterario, che diventerà luogo di ritrovo dell’intellighenzia francese, belga e tedesca, che si incontrava per discutere e progettare una nuova Europa dopo la Grande guerra, che si fondasse sui valori della civiltà e della cultura. Fra essi si annoverano gli scrittori francesi Jean Schlumberger, Jacques Rivière, Paul Claudel, Henri Ghéon e André Gide, l’ellenista belga Marie Delcourt, lo scrittore Alexis Curvers, il pittore neo-impressionista belga Théo Van Rysselberge e sua moglie Maria, autrice di I taccuini della piccola dama dedicati proprio ad Aline Mayrisch; poi ancora il professore tedesco Ernst Robert Curtius, il filosofo Bernard Groethuysen, il filosofo Karl Jaspers, il futuro ministro degli esteri Walther Rathenau, l’attrice Gertrud Eysoldt, la letterata Annette Kolb e molte altre personalità di spicco, di cui si conserva testimonianza nel Libro d’oro di Coplach, conservato negli archivi del Centro nazionale di Letteratura a Mersch.

Conversazioni avvincenti su opere in procinto di essere concepite o pubblicate, occasioni di scambio di opinioni, per sottoporre al giudizio altrui i propri manoscritti, discussioni sulla politica o sull’arte, possibilità di accedere a una biblioteca pullulante di opere scritte in diverse lingue: tutto questo era Colpach, questo era l’ambizioso progetto di colei che diventerà una mecenate. La relazione intellettuale di Aline Mayrisch con lo scrittore francese André Gide, il quale a Dudelange aveva iniziato a redigere la sua opera Faux Monnayeurs, risale al 1902 quando ella, firmandosi A.M. de Saint Hubert, pubblica su "L’art Moderne" un riassunto dell’Immoraliste, dal titolo rivelatore Immortaliste et Surhomme, nel quale conduce un’analisi acuta del testo del primo alla luce delle teorie di Nietzsche, dimostrando una conoscenza approfondita del pensiero filosofico di questi. Assieme a Gide, Mayrisch si reca a Weimar, Dresda, Berlino, poi ancora in Italia, Grecia, Marocco e Turchia, e supervisiona la traduzione in tedesco delle opere di lui. La grande capacità di mediazione di Mayrisch consente a Gide e al pubblico francese di conoscere Rainer Maria Rilke e le sue opere, grazie anche e soprattutto alla sua collaborazione con la "Nouvelle Revue Francaise", dove nel 1911 pubblica un documento autobiografico del suddetto viaggio, una sorta di reportage dal titolo Paysages de la trentième année. Dopo la morte del marito, avvenuta nel 1928, Mayrisch continuerà a diffondere il suo progetto di civiltà e nutrire la sua esistenza di cultura, bellezza e conoscenza: viaggerà in Persia, in Cina e in Giappone, alla scoperta della cultura orientale, ove troverà nel filosofo Bernard Groethuysen un interlocutore d’elezione per intavolare discussioni su questioni teologiche e mistiche. Da questa affinità intellettuale nascerà la traduzione dei sermoni del mistico tedesco Maitre Eckhard. Aline Mayrisch muore a Cabris il 20 gennaio 1947. Alla Croce Rossa lascia in eredità il castello di Colpach con precise istruzioni di realizzarne una Fondazione dedicata a Emile Mayrisch e farne una casa per ragazzi/e e convalescenti, sotto la supervisione della figlia che avrebbe proseguito la sua opera.

Il lascito di Alyne Mayrisch rappresenta un modello non solo per il Lussemburgo, ma per l’Europa tutta e più ampiamente per il mondo intero. La sua moderna visione può essere riletta alla luce del pensiero woolfiano: una figura capace di tenere insieme, secondo l’arte del tessere e del legare tipica delle donne, nel suo ruolo di mediatrice culturale tra Francia e Germania dopo la Grande guerra – nel 1926 la figlia, Andrée Mayrisch, creerà assieme al marito, Pierre Viénot, il Comitato franco-tedesco d’informazione e di documentazione, per favorire la riconciliazione franco-tedesca; il rigetto di sentimenti e risentimenti nazionalistici – «Come donna non ho patria, come donna non voglio patria, come donna la mia patria è il mondo intero» scriveva Woolf in Le tre ghinee (1938), ossia come donne, rifiutiamo la guerra come strumento di offesa; poi ancora, «Per aiutarvi a prevenire la guerra non dobbiamo usare le vostre parole e i vostri metodi ma dobbiamo inventare nuove parole e nuovi metodi», ossia fabbricare idee differenti e di felicità, come alternativa a sterili sentimenti di odio e alla violenza. Cos’era quello che negli anni a venire sarà definito“lo spirito Colbach” se non una fabbrica della conoscenza di woolfiana memoria? Alyne Mayrisch ci insegna che una visione differente della società è possibile nelle idee e nella realtà, se è stato possibile per una donna della sua epoca. Forte del suo interesse per le arti e per le lettere, delle sue ampie vedute, dei suoi progetti sociali illuminati, ha contribuito concretamente alla costruzione di una società più libera, scevra da pregiudizi, dalle discriminazioni, in cui le forme di supporto sociale sono accessibili a tutti/e, una società, infine, in cui l’uguaglianza delle possibilità si traduce in equità. Per tale motivo è bene che questo agito femminile, ancora troppo poco conosciuto, sia portato alla luce, per illuminare come un faro di civiltà il nostro tempo presente e futuro. Perché quello concepito da Alyne Mayrish è il mondo che ci piace pensare e che vorremmo abitare.

Traduzione francese
Piera Negri

Parmi les femmes qui ont marqué le panorama social et culturel européen de la première moitié du Xxe siècle se distingue Aline Mayrisch-de Saint Hubert, féministe engagée, philanthrope éclairée et écrivain illustre. Née au Luxembourg en 1874, elle fréquente d'abord le collège de Santa Sofia, puis le collège Sartorius à Bonn, où elle reçoit une éducation qui lui permet d'attendre les attentes placées sur les femmes à l’époque : le mariage et la maternité. Elle épouse Emile Mayrisch, ingénieur chimiste et directeur de la Société des Hauts Fourneaux, donne naissance à un fils, qui meurt peu après la naissance, et à une fille nommée Andrée, qui grandit sans conditionnements de genre. Elle s’installe à Dudelange, petite localité où le développement de la sidérurgie avait permis à son mari de faire carrière, souffre ce milieu provincial, mais c’est précisément cette vie dépourvue de stimuli intellectuels qui la poussera à cultiver des intérêts littéraires et philanthropiques et à fréquenter le milieu artistique et culturel de Paris, Munich et Bruxelles. Sa vision personnelle de la condition féminine, en effet, rejette le foyer comme la seule perspective pour les femmes et se fonde et s'appuie sur une vision plus large visant à dépasser les limites que leur impose la société. En 1905, elle fonde avec d'autres femmes, dont la féministe allemande Kathe Schirmacher, l'Association pour les droits des femmes, à travers laquelle elle revendique le droit aux études supérieurs et au travail pour toutes les femmes, c'est-à-dire l'accès à la société civile moderne, comme elle va déclarer dans son discours à l'assemblée constituante:

« Mesdames, nous protestons contre cela. Nous demandons de pouvoir vivre aussi complètement que nous en avons le droit pour nos facultés. Etant donné que les femmes aussi bien que les hommes ne vivent pas que de pain, nous souhaitons non seulement que notre vie civile matérielle soit réglementée, mais aussi que les zones de culture supérieure et désintéressée nous soient rendues plus accessibles »

Les services proposés par l'Association sont nombreux: cours de littérature, philosophie, comptabilité, soins infirmiers, conférences publiques sur des sujets d'actualité en présence de femmes éminentes - comme la première avocate belge, Marie Popelin, invitée à parler du statut juridique de la femme ou la suffragette allemande Lyda Gustava Heymann, accueillie pour aborder la question du droit de vote; puis encore un bureau d'orientation pour donner aux femmes un aperçu des métiers qui leur sont accessibles, un bureau de l'emploi pour les femmes à la recherche d'un emploi de personnel de service à Paris ou à Bruxelles, profession jugée idéale pour accéder à la vie et à la culture de la ville; enfin et surtout, elle lance une pétition pour exiger l'égalité de rémunération des enseignantes. Cependant, l'objectif principal d'Aline Mayrisch et de l'Association des droits des femmes est la création d'un lycée public pour filles, basé au Luxembourg - un objectif ambitieux étant donné que l'éducation était l'apanage des congrégations religieuses - pour afin de leur garantir l'accès aux universités et aux professions. Le processus est difficile : d'abord ils sollicitent le soutien de professeurs du Mouvement pour l'éducation populaire, puis ils obtiennent l'autorisation du gouvernement pour créer un lycée pour filles, à condition de donner des cours identiques à ceux de l'université, d’embaucher uniquement des professeurs qualifiés et à apporter la preuve dans les trois ans suivants que cette demande répondait à un réel besoin. Même s’il n’a aucune base juridique et de financement - le projet est soutenu presque entièrement par des donations d'Aline Mayrisch - le premier Lycée pour filles représente une incitation importante pour les jeunes femmes. Contre toute prévision, en octobre 1909, trente-deux filles se sont inscrites au lycée. Deux ans plus tard, le projet - entre-temps transformé en projet de loi - sera approuvé à l'unanimité par la Chambre des Députés, représentant un premier pas en avant pour la démocratie, au nom d'une culture qui n'est plus accessible, et pas seulement, aux enfants, mais aussi aux filles de tout milieu social. Cependant, la loi leur refuse encore la possibilité de recevoir un enseignement identique en forme et en contenu à celui des premiers. En effet, le programme scolaire des filles ne prévoit pas les mathématiques, le latin est reporté à la quatrième année et des disciplines pratiques telles que le tricot et l'économie domestique leur sont imposées. Cette discrimination persiste jusqu'à la fin des années 1960, soit soixante ans après l'initiative clairvoyante d'Aline Mayrisch et de l'Association pour les droits des femmes - lorsqu'en 1969 la loi Dupong stipule que les garçons et les filles reçoivent la même préparation.

Du point de vue social, l’Association pour les droits de la femme ne protège pas seulement les femmes de la classe bourgeoise, mais elle revendique également les droits des femmes appartenant aux classes socio-économiques les plus indigentes. Suite à une véritable enquête moderne menée dans les quartiers de Grund, Clausen et Pfaffenthal, dans la capitale, Mayrisch et les autres collègues, munies d’un questionnaire, se rendent dans les quartiers périphériques de la ville et examinent une série de facteurs déterminants pour une vie digne : le logement, les conditions sanitaires, le nombre de personnes par chambre, le nombre de personnes par lit, la salubrité de l’air et des bâtiments, le nombre de toilettes et leurs conditions d’hygiène. Suite aux résultats horribles, c'est le moins qu'on puisse dire, Mayrisch intervient auprès des politiciens pour créer une législation garantissant la construction de logements sociaux sûrs et habitables d'un point de vue sanitaire. Avec la Ligue luxembourgeoise contre la tuberculose, elle s’engage à la construction de cliniques. La première clinique a été fondée en 1908 au Luxembourg, deux autres seront situées à Esch-sur-Alzette et Ettelbruck en 1910. Afin de garantir l'efficacité de ces cliniques, Mayrisch invoque le besoin de personnel qualifié pour travailler aux côtés des infirmières, pour rationaliser le temps dans la gestion préliminaire des cas Il naît ainsi une figure complémentaire, une sorte d’assistant social, qui identifie les conditions de misère sociale dans lesquelles les maladies contagieuses peuvent se propager et les rapporte aux structures d'assistance. En 1921, la première infirmière à domicile entre au service de la Ligue luxembourgeoise contre la tuberculose. Il s'agit d'Elise Kauffels, une femme qui a suivi les "Etudes Complémentaires" précitées à l'école Chaptal à Paris. En 1930, la Croix-Rouge comptait neuf infirmières certifiées et quatorze filles inscrites au programme d'études. Cinq ans plus tard, ce cours de spécialisation est officiellement reconnu par l'État du Luxembourgue. La philanthropie d'Aline Mayrisch embrasse également la question de la maternité et de la protection des mineurs. Selon les suggestions de la pensée d'Adele Schreiber, représentante du Mouvement pour la protection de la mère et la réforme de la vie sexuelle - qui avait réclamé pour les femmes enceintes une prise en charge par l'Etat, un congé maternité d'au moins six semaines après l'accouchement et la création de structures d'accompagnement pour les jeunes mamans - œuvre pour la construction de dispensaires pour nouveau-nés avec des services d'écoute gratuits, financés par la Croix-Rouge et les administrations municipales concernées, avec un personnel qualifié prêt à soutenir les femmes et à dissiper leurs préoccupations concernant la grossesse, l'accouchement, l'allaitement, les vaccins et le développement physique et mental des enfants. En 1925, les premières cliniques ambulatoires pour mères et enfants ont été créées à Dudelange, Luxembourg et Grevenmacher. Le troisième grand projet qui fait partie de ce travail de soutien social très civilisé et moderne est la construction de la nouvelle maternité à Pfaffenthal. Opposée par l'ordre médical, qui n'approuvait pas que la responsabilité de ce travail était supportée économiquement par des particuliers, et détesté par le gouvernement, en pleine crise économique, une fois encore l'esprit clairvoyant d'Aline Mayrisch cherche une solution et organise une collecte de fonds qui s'élève à quarante-six millions de francs, dont neuf millions seront reversés à des œuvres philanthropiques en France et en Belgique, le reste ira au projet. La nouvelle maternité, située via D'Arlon, Luxembourg, dédiée à la grande-duchesse Charlotte, du nom de la bienfaitrice, sera inaugurée le 10 mars 1936 et se distinguera par être un lieu offrant les mêmes soins à toutes les femmes, n’importe quel soit leur origine sociale, sans aucun facteur discriminant. L'engagement d'Aline Mayrisch touche également la sphère artistique-littéraire. En 1890, elle publie une série d'articles sur la peinture allemande dans "L'art moderne", un périodique belge d'avant-garde fondé par Octave Maus. En 1920, avec sa famille elle s'installe à Colpach, un domaine qui appartenait au peintre hongrois Mihaly Mukacsy. Dans le parc du château, elle donne vie à un véritable salon littéraire, qui deviendra un lieu de rencontre pour l’intelligentsia française, belge et allemande, qui se trouvait pour discuter et planifier une nouvelle Europe après la Grande Guerre, basée sur les valeurs de la civilisation et de la culture. Entre eux figurent les écrivains français Jean Schlumberger, Jacques Rivière, Paul Claudel, Henri Ghéon et André Gide, l'helléniste belge Marie Delcourt, l'écrivain Alexis Curvers, le peintre néo-impressionniste belge Théo Van Rysselberge et son épouse Maria, auteur de Les cahiers de la petite dame dédiés à Aline Mayrisch; puis encore le professeur allemand Ernst Robert Curtius, le philosophe Bernard Groethuysen, le philosophe Karl Jaspers, le futur ministre des Affaires étrangères Walther Rathenau, l'actrice Gertrud Eysoldt, l'érudit Annette Kolb et bien d'autres personnalités éminentes, dont le témoignage est conservé dans le Livre d'or de Coplach, conservé dans les archives du Centre national de littérature de Mersch.

Conversations engagées sur des œuvres à concevoir ou à publier, opportunités d'échanges de vues, pour soumettre les propres manuscrits au jugement d'autrui, discussions sur la politique ou l'art, accès à une bibliothèque regorgeant d'œuvres écrites en différentes langues : tout c'était Colpach, c'était le projet ambitieux de celle qui deviendra mécène. La relation intellectuelle d'Aline Mayrisch avec l'écrivain français André Gide, qui à Dudelange avait commencé à écrire son œuvre Faux Monnayeurs, remonte à 1902 lorsqu'elle, en se signant A.M. de Saint Hubert, publie un résumé de l'Immoraliste dans "L'art moderne", au titre révélateur Immortaliste et Surhomme, dans lequel elle fait une analyse aiguë du texte du premier à la lumière des théories de Nietzsche, en démontrant une connaissance approfondie de sa pensée philosophique. Avec Gide, Mayrisch se rend à Weimar, Dresde, Berlin, puis à nouveau en Italie, en Grèce, au Maroc et en Turquie, et supervise la traduction allemande de ses œuvres. La grande capacité de médiation de Mayrisch permet à Gide et au public français de connaître Rainer Maria Rilke et ses œuvres, grâce aussi et surtout à sa collaboration avec la "Nouvelle Revue française", où en 1911 elle publie un document autobiographique du voyage susmentionné, une sorte de reportage intitulé Paysages de la trentième année. Après la mort de son mari en 1928, Mayrisch continuera à diffuser son projet de civilisation et à nourrir son existence de culture, beauté et connaissance : elle voyagera en Perse, en Chine et au Japon, pour découvrir la culture orientale, où elle trouvera le philosophe Bernard Groethuysen un interlocuteur privilégié pour engager des discussions sur des questions théologiques et mystiques. De cette affinité intellectuelle naîtra la traduction des sermons du mystique allemand Maître Eckhard. Aline Mayrisch meurt à Cabris le 20 janvier 1947. Elle laisse en héritage le château de Colpach à la Croix-Rouge avec des instructions précises pour en réaliser une fondation dédiée à Emile Mayrisch et en faire un foyer pour enfants/filles et convalescents, sous la surveillance de sa fille qui poursuivra son travail.

L'héritage d'Alyne Mayrisch représente un modèle non seulement pour le Luxembourg, mais pour l'Europe dans son ensemble et plus largement pour le monde entier. Sa vision moderne peut être relue à la lumière de la pensée Woolfienne: une figure capable de tenir ensemble, selon l'art du tissage et du nouage typique des femmes, dans son rôle de médiatrice culturelle entre la France et l'Allemagne après la Grande Guerre. En 1926 sa fille, Andrée Mayrisch, avec son mari, Pierre Viénot, créera le Comité franco-allemand d'information et de documentation, pour promouvoir la réconciliation franco-allemande; le rejet des sentiments et ressentiments nationalistes - «En tant que femme, je n'ai pas de patrie, en tant que femme, je ne veux pas de patrie, en tant que femme mon patrie est le monde entier» a écrit Woolf dans Les Trois Guinées (1938), c'est-à-dire qu'en tant que femmes, nous rejetons la guerre comme instrument d'offense; puis encore: «Pour vous aider à prévenir la guerre, nous ne devons pas utiliser vos mots et vos méthodes, mais nous devons inventer de nouveaux mots et de nouvelles méthodes», c'est-à-dire fabriquer des idées différentes et de bonheur, comme alternative aux sentiments stériles de haine et à la violence. C’était quoi ce qui dans les années à venir s'appellera « l’esprit Colbach » sinon une fabrique de la connaissance de mémoire Woolfienne ? Alyne Mayrisch nous enseigne qu'une autre vision de la société est possible dans les idées et dans la réalité, s’il a été possible pour une femme de son époque. Forte de son intérêt pour les arts et les lettres, ses larges idées, ses projets sociaux éclairés, elle a contribué concrètement à la construction d'une société plus libre, sans préjugés, sans discrimination, dans laquelle des formes de soutien social sont accessibles à tous/toutes, une société, enfin, dans laquelle l'égalité des possibilités se traduit par l'équité. C’est bon que cet acte féminin, encore trop peu connu, soit mis en lumière, pour illuminer comme un phare de civilisation notre temps présent et futur. Parce que celui conçu par Alyne Mayrisch est le monde que nous aimons penser et que nous aimerions habiter.

Traduzione inglese
Piera Negri

Among the women who marked the European social and cultural landscape of the first half of the twentieth century, Aline Mayrisch-de Saint Hubert stands out, a committed feminist, enlightened philanthropist and distinguished literate. Born in Luxembourg in 1874, she first attended the college of Santa Sofia, then the Satrorius college in Bonn, where she received an education that allowed her to wait for the expectations placed on women at the time: marriage and motherhood. She marries Emile Mayrisch, chemical engineer and director of the Blast Furnace Society, gives birth to a son, died straight after birth, and a daughter, Andrée, who grows up without gender conditioning. Moved to Dudelange, a small town where the development of the steel industry allowed her husband to make a career, she suffers from the provincial environment, but it will be just that life without intellectual stimuli to urge her to cultivate literary and philanthropic interests and to attend the artistic and cultural environment of Paris, Munich and Brussels. Her personal vision of the female condition, in fact, rejects the home as the only perspective for women and is placed and supported by a wider vision aimed at overcoming the limits imposed by society. In 1905 she founds together with other women, including the German feminist Kathe Schirmacher, the Association for Women's Rights, through which she claims the right to higher education and work for all women, i.e. access to modern civil society, as she states during her speech at the constituent assembly:

«Ladies, we protest against this. We ask to be able to live just as completely as we are entitled to for our faculties. And since women as well as men do not live on bread alone, we would like not only our material civil life to be regulated by rules, but also that areas of higher and disinterested culture are made more accessible to us.»

Several are the services offered by the Association: courses in literature, philosophy, accounting, nursing care, public conferences on topical issues in the presence of eminent women - such as the first Belgian lawyer, Marie Popelin, invited to speak about the legal status of women or the German suffragette Lyda Gustava Heymann, asked to tackle the issue of the right to vote; then again a guidance office for women to provide them with a prospectus of accessible professions accessible, an employment office for women looking for a job as a service staff in Paris or Brussels, a profession considered the ideal access the city life and culture; last but not least, she launches a petition to ask for equal pay for female teachers. However, the main goal of Aline Mayrisch and the Women's Rights Association is the creation of a state-run high school for girls, based in Luxembourg - an ambitious goal considering that education was the prerogative of religious congregations - in order to guarantee them access to universities and professions. The process is difficult: at first they look for the support of professors from the Movement for popular education, then they get the permission from the government to create a high school for girls, on condition that they give the same courses as the university, to hire only qualified professors and to give proof within the following three years that this request met a real need. Even if devoid of any legal basis and funding - the project is supported almost entirely on donations made by Aline Mayrisch - the first College for girls represents an important incentive for young women. Against all odds, in October 1909 thirty-two girls enrolled in high school. Two years later, the project - in the meantime transformed into a law bill - will be unanimously approved by the Chamber of Deputies, representing a first step forward for democracy, in the name of a culture that is no longer accessible, and not only, to children, but also to girls from every social class. However, the law still denies them the possibility to receive the same teaching in form and contents as the former. In fact, the school program for girls does not include mathematics, Latin is postponed to the fourth grade, and practical disciplines such as knitting and home economics are imposed on them. This discrimination continued until the end of the 1960s, that is, sixty years after the far-sighted initiative of Aline Mayrisch and the Association for Women's Rights - when in 1969 the Dupong law stipulated that boys and girls shall receive the same preparation.

From a social point of view, the Association for Women's Rights protects not only women from the bourgeois class, but also claims the rights of women from the poorest socio-economic classes. Following a real modern investigation run in the districts of Grund, Clausen and Pfaffenthal, in the capital, Mayrisch and the other colleagues, equipped with a questionnaire, go to the suburbs of the city to verify determining factors for a dignified life: the accommodations, the sanitary conditions, the number of people per room, the number of people per bed, the air and buildings healthy status, the number of toilets and their hygienic conditions. Following the gruesome results, to say the least, Mayrish starts with politicians a mediation work, pushing them to establish laws to guarantee the construction of social housing, safe and livable from a health point of view Together with the Luxembourg League Against Tuberculosis, she is involved in the construction of clinics. The first clinic was founded in 1908 in Luxembourg, two others will be located in Esch-sur-Alzette and Ettelbruck in 1910. In order to guarantee the efficiency of these clinics, Mayrisch invokes the need for qualified staff to work alongside nurses, to reduce the times in preliminary case management. It is so formed a complementary figure, a sort of social worker, who identifies the social misery conditions where contagious diseases can spread and reports them to the assistance structures. In 1921, the first home nurse enters the service of the Luxembourg League Against Tuberculosis. This is Elise Kauffels, a woman who followed the aforementioned "Complementary Studies" at the Chaptal school in Paris. In 1930, the Red Cross had nine certified nurses and fourteen girls enrolled in the course of study. Five years later, this specialization course is officially recognized by the state of Luxembourg. Aline Mayrisch's philanthropy also embraces the issue of motherhood and the child protection. On the suggestions of Adele Schreiber thought, exponent of the Movement for the protection of the mother and the reform of sexual life - who claimed for pregnant women to be taken over by the State, a maternity leave of at least six weeks after childbirth and the creation of support structures for young mothers - strives for the construction of clinics for newborns equipped with free listening services, financed by the Red Cross and the involved municipal administrations, with qualified staff ready to support women and dissipate their concerns regarding pregnancy, childbirth, breastfeeding, vaccines and the physical and children mental development. In 1925, the first outpatient clinics for mothers and children are established in Dudelange, Luxembourg and Grevenmacher. The third major project that is part of this very civilized and modern social support project is the construction of the new maternity clinic in Pfaffenthal. Opposed by the medical order, which did not approve that the responsibility of this work was supported economically by private individuals, and disliked by the government, in full economic crisis, once again the far-sighted mind of Aline Mayrisch thinks of a solution and organizes a fundraiser that amounts to forty-six million francs, nine million of which will be donated to philanthropic works in France and Belgium, the rest will be allocated to the project. The new maternity clinic, located in via D'Arlon, Luxembourg, dedicated to the Grand Duchess Charlotte, named after the benefactress, will be inaugurated on March 10, 1936 and will stand out for being a place offering the same care to all women, whatever their social background, without any discriminating factor. Aline Mayrisch's commitment also affects the artistic-literary sphere. In 1890 she published a series of articles on German painting, which would be published in "L’art Moderne", a Belgian avant-garde periodical founded by Octave Maus. In 1920 she settles down with the family in Colpach, an estate belonged to the Hungarian painter Mihaly Mukacsy. In the park of the castle she creates a real literary salon, which will become the meeting place of the French, Belgian and German intelligentsia, which met to discuss and plan a new Europe after the Great War, based on the civil values and culture. Among them are the French writers Jean Schlumberger, Jacques Rivière, Paul Claudel, Henri Ghéon and André Gide, the Belgian Hellenist Marie Delcourt, the writer Alexis Curvers, the Belgian Neo-Impressionist painter Théo Van Rysselberge and his wife Maria, author of The little lady's notebooks dedicated to Aline Mayrisch; then again the German professor Ernst Robert Curtius, the philosopher Bernard Groethuysen, the philosopher Karl Jaspers, the future foreign minister Walther Rathenau, the actress Gertrud Eysoldt, the scholar Annette Kolb and many other prominent personalities, of which testimony is preserved in the Coplach's Golden Book, kept in the archives of the National Literature Center in Mersch.

Engaging conversations about works to be conceived or published, opportunities for exchanging views, to submit manuscripts to the judgment of others, discussions on politics or art, access to a library teeming with works written in different languages: this was Colpach, this was the ambitious project of the one who will become a patron. Aline Mayrisch's intellectual relationship with the French writer André Gide, who in Dudelange had begun to write his work Faux Monnayeurs, dates back to 1902 when she signed herself A.M. de Saint Hubert, publishes in "L'art Moderne" a summary of the Immoralist, with the revealing title Immortaliste et Surhomme, in which she makes an acute analysis of the text of the first in the light of Nietzsche's theories, showing a thorough knowledge of his philosophical thought. Together with Gide, Mayrisch goes to Weimar, Dresden, Berlin, then again to Italy, Greece, Morocco and Turkey, and supervises the German translation of his works. Mayrisch's great mediation capacity allows Gide and the French public to get to know Rainer Maria Rilke and his works, thanks also and above all to his collaboration with the "Nouvelle Revue Francaise", where in 1911 he published an autobiographical document of the above journey, a sort of reportage entitled Paysages de la trentième année. After her husband's death in 1928, Mayrisch will continue to spread her project of civilization and nourish her existence with culture, beauty and knowledge: she will travel to Persia, China and Japan, to discover oriental culture, where she will find philosopher Bernard Groethuysen an elected interlocutor to engage in discussions on theological and mystical issues. From this intellectual affinity the translation of the sermons of the German mystic Maitre Eckhard will be born. Aline Mayrisch died in Cabris on January 20, 1947. She bequeathed the castle of Colpach to the Red Cross with precise instructions to build a foundation dedicated to Emile Mayrisch and make it a home for children and convalescents, under the supervision of her daughter who would continue her work.

Alyne Mayrisch's legacy represents a model not only for Luxembourg, but for Europe and more widely for the whole world. Her modern vision can be reread in the light of Woolfian thought: a figure capable of holding together, according to women typical art of weaving and tying, in her role as cultural mediator between France and Germany after the Great War - in 1926 her daughter, Andrée Mayrisch, together with her husband, Pierre Viénot, will create the Franco-German Committee for Information and Documentation, to promote Franco-German reconciliation; the rejection of nationalistic feelings and resentments - "As a woman I have no country, as a woman I do not want a country, as a woman my country is the whole world" wrote Woolf in The Three Guineas (1938), i.e. as women, we reject war as an instrument of offense; then again, "To help you prevent war we must not use your words and your methods but we must invent new words and new methods", that is, manufacture different and happiness ideas, as an alternative to sterile feelings of hate and violence. What was what in the years to come will be called "the Colbach spirit" if not a woolfian knowledge factory? Alyne Mayrisch teaches us that a different vision of society is possible in ideas and in reality, if this was possible for a woman of her time. Strengthened by her interest in the arts and letters, her wide-ranging views, her enlightened social projects, she concretely contributed to the construction of a freer society, free from prejudice, free from discrimination, in which forms of social support are accessible to all, a society, finally, in which equality of possibilities is translated into equity. For this reason it is good that this feminine act, still too little known, is brought to light, to illuminate our present and future time like a beacon of civilization. Because the one conceived by Alyne Mayrish is the world that we like to imagine and where we would like to live.

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