Grażyna Bacewicz

Laura Candiani e Aleksandra Makowska-Ferenc


Maddalena Chelini

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La musica è sempre stata la mia vita. Nella casa di Łódz, dove sono nata il 5 febbraio 1909, si respirava nell'aria. Fino da piccola sono stata circondata dai suoni armoniosi di vari strumenti; mio padre era un professore di origini lituane e quando avevo appena cinque anni cominciò a educarmi alla teoria musicale, iniziandomi anche alla pratica del violino e del pianoforte. Mentre ascoltavo i miei fratelli maggiori già avviati su questa strada, miglioravo la mia tecnica di giorno in giorno tanto che diventai una bambina prodigio: a sette anni debuttai sul palcoscenico, a tredici anni composi il mio primo brano e a diciannove entrai al conservatorio di Varsavia, la nostra capitale. Lì potei studiare con la guida di docenti esperti: composizione con Kazimierz Sikorski, violino con Józef Jarzebski e pianoforte con Józef Turczynski. Ma non mi accontentavo: ho sempre avuto una mente fervida, ero dotata di creatività e fantasia, lo studio mi appassionava. Mi iscrissi quindi all' Università, alla facoltà di Filosofia, e cominciai -con un certo successo- a pubblicare brevi testi in prosa. D'altra parte in famiglia c'era già una scrittrice e poeta: mia sorella Wanda, vuol dire proprio che eravamo portati per le arti. Nel 1932 mi diplomai in violino e pianoforte (brillantemente, devo aggiungere) e potei specializzarmi a Parigi con Nadia Boulanger e André Touret, venendo in contatto anche con il celebre virtuoso di pianoforte e compositore Ignacy Jan Paderewski. Fu allora che ricevetti il mio primo riconoscimento ufficiale grazie al Quintetto di fiati. Dopo un breve ritorno in patria, di nuovo a Parigi mi perfezionai nello studio del violino con Carl Flesch. Nel 1936 mi sono sposata con un uomo di formazione tutt'altro che artistica: proprio a me doveva capitare un medico (ma pianista dilettante)! Per avere la nostra unica figlia, Alina, abbiamo dovuto attendere sei anni, ma poi è arrivata ed è stata la nostra gioia. Anche lei ha imbracciato una carriera artistica, quella che ci mancava: è infatti una affermata pittrice. Nello stesso anno del mio matrimonio con Andrzej Biernacki ebbi una grande soddisfazione professionale: fui infatti chiamata dal direttore Grzegorz Fitelberg come primo violino dell'Orchestra della Radio polacca, ruolo che mi portò in numerose tournée e che ricoprii per un lungo periodo. Potei così alternare le parti di solista alla composizione e mi si spalancarono le porte della notorietà internazionale. La guerra, come evidente, interruppe le attività artistiche, culturali, sociali: la nostra povera Europa, e la mia Polonia, erano in fiamme. Varsavia fu rasa al suolo, così mi rifugiai con la famiglia a Lublino. Nel dopoguerra mi sono dedicata soprattutto alla composizione, ma mi è capitato di intervenire in prestigiosi concorsi come giurata, compito che ho svolto con entusiasmo, sempre desiderosa di scoprire nuovi talenti.

Ho scritto tanto, di tutto, e velocemente: si possono contare oltre duecento miei lavori. Sinfonie, concerti per strumenti solisti e per orchestra, musica da camera, fra cui sette quintetti e il Quartetto d'archi n.3 (ritenuto eccezionale per abilità polifonica) e poi cinque sonate per pianoforte e tre per violino, la Partita per violino e pianoforte, musica vocale. Sono stata molto amata dal mio pubblico, ma anche da colleghi concertisti che hanno apprezzato a più riprese le mie opere: la virtuosa Regina Smendzianka -che suonò e registrò i miei Dieci studi (1954)- affermò: «i suoi studi sono magistrali e liberi da qualsiasi reminiscenza folcloristica, ma sono pieni di difficoltà tecniche, fornendo un ottimo stimolo anche ai pianisti.» So bene che certa critica mi ha voluto chiudere in stili e periodi, con scarso successo. Ho dovuto lottare per impormi, in un campo maschile e maschilista per eccellenza, in cui le donne sono state apprezzate solo come cantanti liriche, e- al massimo- come soliste prodigiose. Ma la composizione, come la direzione ancora nel XX secolo sono state appannaggio quasi esclusivamente di uomini, gelosi del loro ruolo e (posso dirlo?) un po' invidiosi delle capacità femminili. Ho dovuto anche convivere con le critiche espresse durante il regime staliniano in cui ciò che non era conforme e allineato veniva proibito in nome del "realismo socialista". Io però sono andata avanti per la mia strada e ho spiazzato molte voci avverse per il mio continuo sperimentalismo e per i miei incessanti cambiamenti che coglievano tutti di sorpresa. Somiglia a Bartók? Si ispira a Szymanowski? Si rifà al neoclassicismo? Riprende le musiche popolari? In realtà sono stata solo me stessa. Mi sono divertita anche a variare il più possibile i generi: non mi sono tirata indietro quando mi sono state offerte colonne sonore per il cinema e per film di animazione, composizioni per la radio (come l'opera buffa Le avventure di re Artù-1959), musiche di scena per balletti. Per le Olimpiadi di Londra (1948) scrissi la Olympic Cantata.

Sono stata vicepresidente dell'Unione compositori polacchi- ruolo di prestigio che mi ha impegnato molto in viaggi e incontri in giro per il mondo- e mi sono dedicata anche all'insegnamento, prima presso il conservatorio di Łódz, poi in quello di Varsavia; dal 1954 però ho dovuto rallentare gli impegni pubblici a causa dei postumi di un grave incidente automobilistico che ha limitato i miei movimenti, ma non la vena artistica. Ho continuato a scrivere, seguendo la mia passione giovanile: rimangono inediti due romanzi e numerosi racconti, mentre postuma è uscita la raccolta di aneddoti Znak szczególny, basata su mie esperienze e resoconti di viaggi; il testo teatrale Jerzyki albo nie jestem ptakiem è stato presentato alla televisione polacca nel 1968. Risale a quegli anni una mia ulteriore evoluzione artistica, grazie al parziale allontanamento dalla tonalità, alla maggiore attenzione al colore musicale, all'arricchimento degli schemi timbrici; nacquero allora alcuni fra i miei massimi successi come la celebrata Sonata per violino solo n.2 (1958), che rappresenta un vero e proprio studio delle possibilità espressive del violino. In Musica per archi, trombe e percussioni (1958) ritornavano i ritmi vigorosi e i temi fortemente contrastati contenuti nei miei primi lavori, ma qui intrisi di nuova audacia e dinamismo. Alcuni critici ritengono che sia il mio capolavoro per orchestra. Fu eseguita al festival "Autunno di Varsavia" del 1959 e ricevette il primo premio nella divisione orchestrale e il terzo premio assoluto all'International Rostrum of Composers dell'Unesco (Parigi, 1960). Altra novità stilistica fu Pensieri notturni (1961), mentre in una sola settimana scrissi l'Esquisse per organo su richiesta dell'organista francese Jean Guillou (definita memorabile da qualche gentile estimatore), proseguendo nella mia rinomata rapidità compositiva; il settimo Quartetto d'archi è stato giudicato un vero gioiello, come non se ne ascoltavano dai tempi di Bartók. Il mio ultimo lavoro concluso è stato il Concerto per viola, eseguito solo dopo la mia scomparsa da Stefan Kamasa: lo interpretò varie volte, con grande successo, a fianco delle più importanti orchestre del mondo. La morte mi ha raggiunta troppo presto e all'improvviso: il mio cuore stanco smise di battere quando stavo per compiere sessant'anni, il 17 gennaio 1969, mentre ancora ero nel pieno della creatività, lasciando incompiuto il balletto Desire.

Come vengo celebrata, nel XXI secolo, nella mia patria? Purtroppo poco e male. Mi sono state dedicate delle strade, è vero, delle scuole di musica portano il mio nome, ma un solo busto e un solo monumento mi ricordano in tutta la Polonia. A Łódz, la mia città, una strada periferica e l'Accademia di musica si chiamano come me, ma quest'ultima la devo dividere con mio fratello Kiejstut. Tre concorsi e un festival musicale sono intitolati a me e alla mia arte, ma quando nel 2009 si intendeva ricordare in grande stile il centenario della mia nascita solo un francobollo e qualche concerto mi hanno omaggiato. Che avesse ragione quel perfido critico nel dichiarare apertamente che ero brava, come compositrice, proprio come un uomo? E quel direttore d'orchestra che mi definì «grande maestro con la gonna»? Dovete sapere che mi è capitato più volte di ricevere lettere di apprezzamento indirizzate al "signor" o a "monsieur"; un altro critico, ancora più ottuso e meschino dell'altro, arrivò a insinuare che io non esistessi: avrei celato in realtà un uomo, il vero compositore delle mie opere. Il fatto poi che mi venisse attribuito uno stile mascolino perché non scrivevo canzonette o ballabili, ma opere dall'orchestrazione complessa e usavo nel gergo musicale aggettivi come «dinamico», «deciso», «energico», non mi è mai sembrato un gran complimento, come se una donna dovesse essere necessariamente dolce, romantica, sentimentale nelle sue manifestazioni artistiche. So bene che la via dell'affermazione professionale femminile, in ogni campo, ancora oggi non è facile ed è costellata di ostacoli: solo la nostra volontà, le nostre capacità, la nostra dedizione possono farci emergere, spesso a costo di sacrifici personali. E la composizione e la musica classica sono àmbiti misogini per eccellenza. Così la sfida continua.

«Penso che per comporre si debba lavorare molto intensamente. È necessario fare una pausa tra la composizione di opere diverse, ma non si dovrebbero fare interruzioni quando si sta scrivendo un pezzo. Sono in grado di lavorare su una composizione per molte ore al giorno. Di solito faccio una pausa a metà giornata, ma anche durante la pausa il mio cervello continua a lavorare. Mi piace stancarmi molto, molto. A volte è allora che improvvisamente ricevo le mie migliori idee.»

 

Traduzione francese
Joelle Rampacci

La musique a toujours été ma vie. Dans la maison de Łódz, où je suis née le 5 février 1909, on la respirait dans l'air. Dès mon plus jeune âge, j'ai été entourée par les sons harmonieux de divers instruments; mon père était un professeur d'origine lituanienne et quand j'avais à peine cinq ans, il a commencé à m'éduquer au solfège, m’initiant également à la pratique le violon et le piano. C’est ainsi qu’écoutant mes grands frères déjà sur cette voie, j'ai pu si bien parfaire ma technique de jour en jour que je suis devenue une enfant prodige: à sept ans j'ai fait mes débuts sur scène, à treize ans j'ai composé mon premier morceau et à dix-neuf je suis entrée dans le Conservatoire de Varsovie, notre capitale. Là, j'ai pu étudier sous la direction de professeurs experts: composition avec Kazimierz Sikorski, violon avec Józef Jarzebski et piano avec Józef Turczynski. Mais je n’étais jamais satisfaite: j'ai toujours eu un esprit fervent, j'étais douée de créativité et d'imagination, j'étais passionnée par les études. Je me suis ensuite inscrite à l'Université, à la Faculté de philosophie, et j'ai commencé - avec un certain succès - à publier de courts textes en prose. En réalité, il y avait déjà un écrivain et poète dans la famille: ma sœur Wanda, ce qui signifie qu’en famille, nous étions faits pour les arts. En 1932, j’ai obtenu mon diplôme en violon et piano (brillamment, je dois ajouter) et j'ai pu me spécialiser à Paris avec Nadia Boulanger et André Touret, entrant également en contact avec le célèbre piano virtuose et compositeur Ignacy Jan Paderewski. C'est alors que j'ai reçu ma première reconnaissance officielle grâce au Quintette à vent. Après un bref retour à la maison, puis de nouveau à Paris, je me suis perfectionnée dans l'étude du violon avec Carl Flesch. En 1936, je me suis mariée avec un homme qui n'avait rien d'une formation artistique: c’est tout moi, un médecin (mais un pianiste amateur)! Pour avoir notre fille unique, Alina, nous avons dû attendre six ans, puis enfin elle est venue et c'était notre joie. Elle aussi s'est lancée dans une carrière artistique, celle qui nous manquait: elle est en fait devenue une artiste peintre confirmée. La même année de mon mariage avec Andrzej Biernacki, j'ai eu une grande satisfaction professionnelle: en fait j'ai été appelée par le chef d'orchestre Grzegorz Fitelberg comme premier violon de l'orchestre de la radio polonaise, rôle qui m'a fait aller en de nombreuses tournées et que j'ai recouvert pendant une longue période. De cette façon, j'ai pu alterner les parties solistes avec la composition et les portes de la renommée internationale se sont ouvertes pour moi. La guerre, comme de bien entendu, a interrompu les activités artistiques, culturelles, sociales: notre pauvre Europe et ma Pologne étaient en flammes. Varsovie a été rasée, alors je me suis réfugiée avec ma famille à Lublin. Après la guerre, je me suis principalement consacrée à la composition, mais il m'est arrivé de participer à de prestigieux concours en tant que juré, une tâche que j'ai menée avec enthousiasme, toujours désireuse de découvrir de nouveaux talents.

J'ai beaucoup écrit, sur tout, et rapidement: mes oeuvres peuvent se compter jusqu’à plus de deux cents. Symphonies, concertos pour instruments solistes et orchestre, musique de chambre, dont sept quintettes et le Quatuor à cordes n ° 3 (considéré comme exceptionnel pour sa capacité polyphonique) puis cinq sonates pour piano et trois pour violon, la Partition pour violon et piano, musique vocale. J'ai été très aimée par mon public, mais aussi par les collègues de concert qui ont apprécié mes œuvres à plusieurs reprises: la virtuose Regina Smendzianka - qui a joué et enregistré mes Dix études (1954) - a déclaré: «ses études sont magistrales et exemptes de toute réminiscence folklorique, en autre, elles sont pleines de difficultés techniques, fournissant ainsi un excellent exercice per les pianistes.» Je sais bien que certains critiques voulaient m’enfermer dans les styles et les époques, avec peu de succès. J'ai dû lutter pour m'imposer, dans un domaine masculin et machiste par excellence, où les femmes n'étaient appréciées que comme chanteuses d'opéra, et - tout au plus - comme solistes prodigieuses. Mais la composition, ainsi que la mise en scène encore au XXe siècle étaient presque exclusivement l'apanage des hommes, jaloux de leur rôle et (puis-je le dire?) un peu envieux des compétences féminines. J'ai également dû vivre avec les critiques exprimées sous le régime stalinien où tout ce qui n'était pas conforme et aligné, était interdit au nom du «réalisme socialiste». Cependant, j'ai continué mon chemin et j'ai surpris de nombreuses voix adverses pour mon expérimentalisme continu et pour mes changements incessants qui en ont surpris plus d’un. Ressemble-t-elle à Bartók? Êtes-vous inspirée par Szymanowski? Fait-elle référence au néoclassicisme? Reprenez-vous la musique populaire? En fait, j'étais juste moi-même. J'ai aussi aimé varier les genres autant que possible: je n'ai pas hésité quand on m'a proposé des bandes sonores pour le cinéma et pour des films d'animation, des compositions pour la radio (comme l'opéra comique Les Aventures du roi Arthur-1959), de la musique accessoire pour les ballets. Pour les Jeux Olympiques de Londres (1948), j'ai écrit la Cantate Olympique.

J'ai été vice-président de l'Union des compositeurs polonais - un rôle prestigieux qui m'a beaucoup impliquée dans des voyages et des rencontres à travers le monde - et je me suis également consacrée à l'enseignement, d'abord au Conservatoire de Lodz, puis au Conservatoire de Varsovie; depuis 1954, cependant, j'ai dû ralentir mes engagements publics en raison des séquelles d'un grave accident de voiture qui limitait mes mouvements, mais pas ma veine artistique. J'ai continué à écrire, suivant ma passion de jeunesse: encore inédits deux romans et de nombreuses nouvelles, tandis que le recueil d'anecdotes Znak szczególny, basé sur mes expériences et mes récits de voyage, a été publié à titre posthume; le texte théâtral Jerzyki albo nie jestem ptakiem a été présenté à la télévision polonaise en 1968. Ma nouvelle évolution artistique remonte à ces années, grâce au départ partiel de la tonalité, à l'attention accrue portée à la couleur musicale, à l'enrichissement des schémas de timbre; puis quelques-uns de mes plus grands succès sont nés comme la célèbre Sonate pour violon seul n ° 2 (1958), qui représente une véritable étude des possibilités expressives du violon. Dans Musique pour Cordes, Trompettes et Percussion (1958), les rythmes vigoureux et les thèmes fortement contrastés contenus dans mes premières œuvres sont revenus, mais ici empreints d'une audace et d'un dynamisme nouveaux. Certains critiques pensent que c'est mon chef-d'œuvre orchestral. Elle a été jouée au festival "Automne de Varsovie" en 1959 et a reçu le premier prix de la division orchestrale et le troisième prix au classement général de la Tribune internationale des compositeurs de l'Unesco (Paris, 1960). Une autre nouveauté stylistique fut Pensées nocturnes(1961), alors qu'en une semaine à peine j'écrivis l'Esquisse pour orgue à la demande de l'organiste français Jean Guillou (définie comme mémorable par de gentils admirateurs), poursuivant ma fameuse rapidité de composition; le septième quatuor à cordes a été jugé un véritable joyau, inouï depuis l'époque de Bartók. Ma dernière œuvre achevée était le Concerto pour alto, joué seulement après ma mort par Stefan Kamasa: il l'a interprété à plusieurs reprises, avec un grand succès, aux côtés des orchestres les plus importantes du monde. La mort m'atteignit trop tôt et soudainement: mon cœur fatigué s'arrêta de battre alors que j'allais avoir soixante ans, le 17 janvier 1969, j'étais encore en pleine créativité, laissant le ballet Desire inachevé.

Comment suis-je célébrée au 21e siècle dans ma patrie? Malheureusement peu et mal. Des routes m'ont été dédiées, il est vrai, des écoles de musique portent mon nom, mais un seul buste et un monument laissent mon souvenir dans toute la Pologne. À Łódz, ma ville, une rue de banlieue et l'Académie de musique me sont intitulées à mon nom, mais je dois partager cette dernière avec mon frère Kiejstut. Trois concours et un festival de musique portent mon nom et celui de mon art, mais quand en 2009 pour commémorer le centenaire de ma naissance en grand style, seuls un timbre-poste et quelques concerts m'ont rendu hommage. Ce critique perfide avait-il raison de déclarer ouvertement que j'étais douée, en tant que compositrice, comme un homme? Et ce chef d'orchestre qui m'a appelé "grand maître avec la jupe"? Vous devez savoir qu'il m'est arrivé plusieurs fois de recevoir des lettres de remerciements adressées au «signor» ou «monsieur»; un autre critique, encore plus obtus et mesquin, est allé jusqu'à insinuer que je n'existais pas: je cacherais en fait un homme, le véritable compositeur de mes œuvres. Le fait qu'on m'ait donné un style masculin parce que je n'ai pas écrit de chansons ou de danses, mais des œuvres avec une orchestration complexe et j'utilisais des adjectifs dans le jargon musical tels que «dynamique», «décisif», «énergique», ne m'a jamais semblé être un grand compliment, comme si une femme devait nécessairement être douce, romantique, sentimentale dans ses manifestations artistiques. Je sais bien que le chemin de l'affirmation professionnelle féminine, dans tous les domaines, n'est pas encore facile aujourd'hui et est semé d'embûches: seules notre volonté, nos compétences, notre dévouement peuvent nous faire émerger, souvent au prix de sacrifices personnels. Et la composition et la musique classique sont des domaines misogynes par excellence. Le défi continue donc.

«Je pense que pour composer, il faut travailler très dur. Il est nécessaire de faire une pause entre la composition des différentes œuvres, mais vous ne devez pas faire de pause lors de l'écriture d’une musique. Je suis capable de travailler sur une composition plusieurs heures par jour. Je prends généralement une pause au milieu de la journée, mais même pendant la pause, mon cerveau continue de fonctionner. J'aime beaucoup me fatiguer. Parfois, c'est à ce moment que j'ai soudainement mes meilleures idées.»

 

Traduzione inglese
Syd Stapleton

Music was always her life. In the house in Łódz, where she was born on February 5, 1909, she breathed it in with the air. Since she was a child she was surrounded by the harmonious sounds of various instruments. Her father, of Lithuanian origins, was a professor, and when she was just five years old he began to educate her in music theory, also starting her on practice of the violin and the piano. As she listened to her older brothers already on this path, she improved her technique day by day - so much so that she became a child prodigy. At seven years of age, she made her stage debut, at thirteen composed her first song and at nineteen entered the Warsaw Conservatory, in the capital. There she was able to study under the guidance of expert teachers: composition with Kazimierz Sikorski, violin with Józef Jarzebski, and piano with Józef Turczynski. But she wasn’t satisfied. She always had a fervent mind, was gifted with creativity and imagination, and was passionate about studying. She then enrolled at the University, at the Faculty of Philosophy, and began - with some success - to publish short texts in prose. There was already a writer and poet in the family, her sister Wanda. The entire family was deeply inclined toward the arts. In 1932 she graduated in violin and piano (brilliantly, it must be said) and she was able to specialize in Paris with Nadia Boulanger and André Touret, also coming into contact with the famous piano virtuoso and composer Ignacy Jan Paderewski. It was then that she received her first official recognition, thanks to the Wind Quintet. After a brief return home, back in Paris she perfected her violin study with Carl Flesch. In 1936 she married a man of anything but artistic training, a doctor (but amateur pianist). They had to wait six years to have their only daughter, Alina, but when she came, it was a joy. She too embarked on an artistic career, and became an established painter. In the same year as her marriage to Andrzej Biernacki, she had a great professional accomplishment - she was called by the conductor Grzegorz Fitelberg to be the first violin of the Polish Radio Orchestra, a role that she maintained for a long time and that took her on numerous tours. In this way she was able to alternate soloist parts with composition and the doors to international fame opened. The war, obviously, interrupted artistic, cultural and social activities. Poor Europe, including Poland, was in flames. Warsaw was razed to the ground, so she took refuge with her family in Lublin. After the war she mainly dedicated herself to composition, but also participated in prestigious competitions as a juror, a task she carried out with enthusiasm, always eager to discover new talents.

She wrote a lot, about everything, and quickly. You can count over two hundred of her works. Symphonies, concertos for solo instruments and orchestra, chamber music, including seven quintets and the string quartet n.3 (considered exceptional for polyphonic ability) and then five sonatas for piano and three for violin, the Partita for violin and piano, and vocal music. She was much loved by her audiences, but also by concert colleagues who recognized her works on several occasions. The virtuoso Regina Smendzianka - who played and recorded her Ten Studies (1954) - stated: "her studies are masterful and free from any folkloric reminiscence, but they are full of technical difficulties, providing an excellent stimulus to pianists. " She knew well that some critics wanted her to stay in certain styles and periods. They met with little success. She fought to establish herself, in an extremely masculine and macho field, in which women were appreciated only as opera singers, and - at best - as prodigious soloists. But composition, as well as musical direction, were almost exclusively the jealous preserve of men, even into the twentieth century. They seemed a little envious of female skills. She also had to live with criticisms expressed during the Stalinist period, in which what was not aligned with party policy was prohibited in the name of "socialist realism". However, she went on her own way and overcame many critical voices with her continuous experimentalism and incessant changes that took everyone by surprise. Is it like Bartók? Are you inspired by Szymanowski? Does it refer to neoclassicism? Are you taking up popular music again? Actually, she was just herself. She enjoyed varying genres as much as possible and didn't hold back when she was offered soundtracks for cinema and animated films, compositions for radio (like the comic opera, The Adventures of King Arthur - 1959 ), and incidental music for ballets. For the 1948 London Olympics she wrote the Olympic Cantata.

She became Vice President of the Union of Polish Composers - a prestigious role that involved her in a lot of traveling and meetings around the world. She also dedicated herself to teaching, first at the Łódz Conservatory, then at the Warsaw Conservatory. Beginning in 1954, however, she had to reduce her public commitments due to the after-effects of a serious car accident that limited her movements, but not her artistic passion. She continued to write, following her youthful passions - two novels and numerous short stories remain unpublished, while the collection of anecdotes Znak szczególny, based on her experiences and travel experiences, has been published posthumously. The theatrical text Jerzyki albo nie jestem ptakiem was presented on Polish television in 1968. Her further artistic evolution dates back to those years, thanks to the partial departure from tonality, to the greater attention to musical color, to the enrichment of timbral schemes. It was then that some of her greatest successes were born, such as the celebrated Sonata for solo violin n.2 (1958), which represents a real study of the expressive possibilities of the violin. In Music for Strings, Trumpets and Percussion (1958) the vigorous rhythms and strongly contrasted themes contained in her first works returned, but here imbued with new audacity and dynamism. Some critics believe it is her orchestral masterpiece. It was performed at the "Autumn of Warsaw" festival in 1959 and received the first prize in the orchestral division and the third prize overall at the Unesco International Rostrum of Composers (Paris, 1960). Another stylistic novelty was Pensieri nocni (1961). In just one week she wrote the Esquisse for organ at the request of the French organist Jean Guillou (described as memorable by some devoted admirers). Continuing her renowned compositional speed, the seventh string quartet has been judged a real gem, unheard of since the time of Bartók. Her last completed work was the Viola Concerto, performed only after her death by Stefan Kamasa. He interpreted it several times, with great success, in collaboration with the most important orchestras in the world. Death reached her too early and too suddenly. Her tired heart stopped beating when she was about to turn sixty, January 17, 1969, while she was still in the midst of creativity, leaving the Desire ballet unfinished.

How is she celebrated in the 21st century in her homeland? Unfortunately, badly and not a great deal. Roads have been dedicated to her, it is true, music schools bear her name, but only one bust and one monument celebrate her in all of Poland. In Łódz, her native city, a suburban street and the Academy of Music are named for her, but she has to share the latter with her brother Kiejstut. Three competitions and a music festival are named after her and her art, but when in 2009 it was intended to commemorate the centenary of her birth in grand style, only a postage stamp and a few concerts paid her homage. Was that perfidious critic right in declaring openly that she was good, “as good as a man”, as a composer? And that conductor who called her "great teacher with a skirt"? You must know that it happened to her several times, receiving letters of appreciation addressed to "Mister" or "Monsieur". Another critic, even more obtuse and petty than most, went so far as to insinuate that she did not exist. That she was actually a front for a man, the true composer of her works. She was considered to have “a masculine style” because she didn’t just write songs or dances, but wrote works with complex orchestration and used adjectives in musical jargon such as "dynamic", "decisive", "energetic". It was not a great compliment. It was as if a woman must necessarily be sweet, romantic, and sentimental in her artistic manifestations. The path of female professional affirmation, in every field, is still not easy today and is studded with obstacles. Only our will, our skills, our dedication can make us emerge, often at the cost of personal sacrifices. And composition and classical music are misogynistic environments par excellence. So, the challenge continues.

“I think that to compose you have to work with great intensity. It is necessary to take a break between composing different works, but you should not take breaks when writing a piece. I am able to work on a composition for many hours a day. I usually take a break in the middle of the day, but even during the break my brain keeps working. I like to get very, very tired. Sometimes that's when I suddenly get my best ideas."

 

Traduzione polacca
Aleksandra Makowska-Ferenc

Muzyka zawsze była moim życiem. W domu, w Łodzi, w którym się urodziłam 5 lutego 1909 roku czuło się ją w powietrzu. Od dziecka otaczały mnie harmonijne dźwięki różnych instrumentów; mój ojciec był profesorem pochodzenia litewskiego i kiedy miałam zaledwie pięć lat zaczął mnie uczyć teorii muzyki a także gry na skrzypcach i na fortepianie. Słuchając moich starszych braci, którzy już podążali muzyczną ścieżką, doskonaliłam swoją technikę z dnia na dzień tak, że stałam się cudownym dzieckiem: w wieku 7 lat zadebiutowałam na scenie, w wieku 13 lat skomponowałam pierwszy utwór a mając 19 lat wstąpiłam do Konserwatorium Muzycznego w Warszawie. Tam mogłam się uczyć pod okiem pedagogów: kompozycji u Kazimierza Sikorskiego, skrzypiec u Józefa Jarzębskiego i fortepianu u Józefa Turczyńskiego. Ja nigdy nie miałam dość: zawsze miałam chłonny umysł, byłam obdarzona kreatywnością i wyobraźnią, byłam pasjonatką nauki. Następnie zapisałam się na uniwersytet, na Wydział Filozoficzny i zaczęłam - z pewnym sukcesem - publikować krótkie teksty prozatorskie. Z drugiej strony w rodzinie była już pisarka i poetka: moja siostra Wanda, to znaczy, że wszyscy mieliśmy zdolności artystyczne. W 1932 roku ukończyłam studia na wydziale skrzypiec i fortepianu (dodam, że z doskonałym wynikiem) i mogłam kształcić się w Paryżu pod kierunkiem Nadii Boulanger i André Toureta nawiązując również kontakt ze słynnym wirtuozem fortepianu i kompozytorem Ignacym Janem Paderewskim. Wtedy właśnie otrzymałam pierwsze oficjalne wyróżnienie dzięki Kwintetowi na instrumenty dęte (Quintetto di fiati). Po krótkim powrocie do ojczyzny, w Paryżu dalej doskonaliłam grę na skrzypcach tym razem u Carla Flescha. W 1936 roku wyszłam za mąż, za człowieka, który nie miał wykształcenia artystycznego: właśnie mnie musiał się trafić lekarz (ale pianista amator)! Na naszą jedyną córkę Alinę musieliśmy czekać sześć lat, ale się udało i stała się naszą radością. Ona również rozpoczęła karierę artystyczną, inną od naszej rodzinnej: została uznaną malarką. W tym samym roku, w którym poślubiłam Andrzeja Biernackiego miałam ogromną satysfakcję zawodową: zostałam nominowana przez dyrygenta Grzegorza Fitelberga, aby grać partię pierwszych skrzypiec w Polskiej Orkiestrze Radiowej. W roli tej odbyłam liczne tournée i wykonywałam ją przez dłuższy czas. W ten sposób mogłam na przemian łączyć pracę solistki z pracą kompozytorki, dzięki temu otworzyły się dla mnie drzwi międzynarodowej sławy. Wojna, jak wiadomo, przerwała działalność artystyczną, kulturalną, społeczną: nasza biedna Europa i moja Polska stanęły w płomieniach. Warszawa została zrównana z ziemią, więc schroniłam się z rodziną w Lublinie. Po wojnie poświęciłam się głównie kompozycji, ale zdarzało mi się brać udział w prestiżowych konkursach jako jurorka, co wykonywałam z entuzjazmem, zawsze chętna do odkrywania nowych talentów.

Komponowałam dużo, wszystko i szybko: można doliczyć się ponad dwustu moich prac. Symfonie, koncerty na instrumenty solowe i orkiestrę, muzyka kameralna, w tym siedem kwintetów i III Kwartet smyczkowy (Quartetto d'archi n.3) (uznany za wyjątkowy pod względem polifonicznym), a następnie pięć sonat na fortepian i trzy na skrzypce, Partita na skrzypce i fortepian (Partita per violino e pianoforte), muzyka wokalna. Publiczność bardzo mnie kochała, ale także koledzy z którymi koncertowałam wielokrotnie doceniali moją pracę: wirtuozka Regina Smendzianka, która wykonywała i nagrała moje 10 etiud (Dieci studi) (1954) powiedziała o mnie: „Jej etiudy są mistrzowskie, bez folklorystycznych naleciałości, ale pełne trudności technicznych, stanowiąc doskonały bodziec również dla pianistów ”. Wiem dobrze, że niektórzy krytycy chcieli mnie zamknąć w konkretnych stylach i okresach, ale nie bardzo im się to udało. Musiałam walczyć o zaistnienie na polu par excellence zdominowanym przez mężczyzn, w którym kobiety były cenione tylko jako śpiewaczki operowe i - w najlepszym razie - uzdolnione solistki. Ale kompozycja, podobnie jak reżyseria jeszcze w XX wieku, były prawie wyłącznie domeną mężczyzn, strzegących swoich w tych dziedzinach ról i (czy mogę to powiedzieć?) trochę zazdrosnych o kobiece umiejętności. Musiałam też pogodzić się z krytyką wyrażaną w czasach stalinowskich reżimów, w których to, co nie było uległe i zgodne, było zabronione w imię „socrealizmu”. Jednak poszłam dalej i odrzuciłam wiele przeciwnych mi głosów na rzecz ciągłego eksperymentowania i nieustannych zmian, które wszystkich zaskoczyły. Czy brzmi jak Bartók? Czy inspiruje się Szymanowskim? Czy nawiązuje do neoklasycyzmu? Czy powraca do muzyki ludowej? Właściwie byłam tylko sobą. Podobały mi się różne gatunki: nie wahałam się, kiedy proponowano mi ścieżki dźwiękowe do filmów fabularnych i animowanych, kompozycje dla radia (np. opera komiczna Przygody króla Artura -1959 ), muzykę inscenizująca do baletów. Na Igrzyska Olimpijskie w Londynie (1948) napisałam Kantatę Olimpijską (Olympic Cantata).

Byłam wiceprezesem Związku Kompozytorów Polskich - to prestiżowa rola, która wiązała się podróżami i spotkaniami na całym świecie, a także poświęciłam się nauczaniu, najpierw w Konserwatorium Łódzkim, a potem w Konserwatorium Warszawskim. Jednak od 1954 roku musiałam ograniczyć swoje publiczne obowiązki z powodu następstw poważnego wypadku samochodowego, który ograniczył moją mobilność, ale nie artystyczną wenę. Kontynuowałam pisanie, podążając za swoją młodzieńczą pasją: dwie powieści i liczne opowiadania pozostają nieopublikowane, a zbiór opowiadań Znak szczególny, oparty na moich przeżyciach i relacjach z podróży, ukazał się pośmiertnie; sztuka teatralna Jerzyki albo nie jestem ptakiem została wystawiona w Teatrze Telewizji w 1968 roku. W tym okresie dokonał się dalszy mój rozwój artystyczny, dzięki częściowemu odejściu od tonalności, większej dbałości o koloryt muzyczny, wzbogaceniu schematów barwnych; wtedy narodziły się niektóre z moich największych sukcesów, jak słynna Sonata na skrzypce solo nr 2 (Sonata per violino solo n.2) (1958), będąca prawdziwym studium możliwości ekspresyjnych skrzypiec. W Muzyce na smyczki, trąbki i perkusję (Musica per archi, trombe e percussioni) (1958) powróciły żywiołowe rytmy i mocno skontrastowane tematy zawarte w moich pierwszych utworach, ale nasycone nową śmiałością i dynamizmem. Niektórzy krytycy uważają, że to moje arcydzieło orkiestrowe. Utwór został wykonany na festiwalu Warszawska Jesień w 1959 roku i otrzymał I nagrodę w kategorii orkiestrowej oraz III nagrodę w klasyfikacji generalnej na Międzynarodowej Trybunie Kompozytorów UNESCO (Paryż 1960). Kolejną nowością stylistyczną były Nocne myśli (Pensieri notturni) (1961), podczas gdy w ciągu zaledwie jednego tygodnia napisałam Esquisse na organy na zlecenie francuskiego organisty Jeana Guillou (utwór określany przez niektórych wielbicieli jako niezapomniany), kontynuując moje słynne tempo kompozytorskie; VII Kwartet Smyczkowy (Quartetto d'archi) został uznany za prawdziwy klejnot, niespotykany od czasów Bartóka. Moim ostatnim ukończonym dziełem był Koncert na altówkę (Concerto per viola), wykonany dopiero po mojej śmierci przez Stefana Kamasę, który z powodzeniem interpretował go kilkakrotnie z udziałem najważniejszych orkiestr świata. Śmierć dopadła mnie zbyt szybko i nagle: moje zmęczone serce przestało bić, gdy miałam prawie sześćdziesiąt lat, 17 stycznia 1969 r., kiedy byłam jeszcze w pełni sił twórczych, pozostawiając niedokończony balet Desire.

Jak jestem pamiętana w XXI wieku w mojej ojczyźnie? Niestety mało i źle. Dedykowano mi ulice, to prawda, szkoły muzyczne noszą moje imię, ale znajdziemy tylko jedno popiersie i jeden pomnik w całej Polsce. W Łodzi, w moim mieście istnieje tylko jedna ulica mojego imienia, na oddalonym od centrum jednym z łódzkich osiedli oraz Akademia Muzyczna nosząca moje imię i mojego brata, również muzyka (Akademia Muzyczna im. Grażyny i Kiejstuta Bacewiczów w Łodzi). Trzy konkursy i festiwal muzyczny są nazwane moim imieniem, ale kiedy w 2019 roku zamierzano w wielkim stylu upamiętnić stulecie moich urodzin to poza kilkoma koncertami i wydaniem okolicznościowego znaczka przez pocztę polską ten fakt przeszedł raczej bez większego medialnego echa. Czy ten przewrotny krytyk miał rację, mówiąc otwarcie, że jestem tak dobrą kompozytorką jak mężczyzna? A ten dyrygent, który nazwał mnie „wielkim maestro w spódnicy”? Zdarzyło mi się kilka razy otrzymywać listy z podziękowaniami adresowane „Signor” lub „Monsieur”; inny krytyk, jeszcze bardziej ograniczony od poprzedniego, posunął się do tego, że insynuował, że nie istniałam: ukrywałam, prawdziwego kompozytora moich utworów. Fakt, że przypisywano mi męski styl, ponieważ nie komponowałam piosenek ani utworów tanecznych, ale pracowałam ze złożoną orkiestracją i używałam w zapisach muzycznych takich określeń jak: „dynamiczny”, „zdecydowany”, „energetyczny”, nie wydawało mi się to wielkim komplementem. Tak jakby kobieta musiała być koniecznie słodka, romantyczna, sentymentalna w swoich artystycznych manifestacjach. Wiem dobrze, że ścieżka zawodowa kobiet na żadnym polu nie jest dziś łatwa i jest najeżona przeszkodami: tylko nasza wola, nasze umiejętności, nasze poświęcenie mogą pozwolić nam zaistnieć, często kosztem osobistych wyrzeczeń. Kompozycja i muzyka klasyczna to tereny mizoginiczne par excellence. Więc wyzwanie trwa.

"Myślę, że aby komponować, trzeba bardzo ciężko pracować. Konieczne jest zrobienie sobie przerwy między komponowaniem różnych utworów, ale nie należy robić przerw w pisaniu utworu. Nad kompozycją jestem w stanie pracować wiele godzin dziennie. Zwykle robię sobie przerwę w środku dnia, ale nawet podczas przerwy mój mózg nadal pracuje. Bardzo, bardzo lubię się męczyć. Czasami wtedy nagle przychodzą mi do głowy najlepsze pomysły".

Kamran Aziz

Milena Giammaitoni


Maddalena Chelini

 

Compositrice e farmacista, nacque a Cipro nel 1922; il padre è ricordato per aver contribuito all'eradicazione della malaria, la madre suonava il liuto ed era una sarta,.mentre la sorella maggiore fu la prima caposala nell’ospedale dell'isola. Kamran studiò musica e farmacologia all'American Academy di Nicosia, dove si laureò in farmacologia nel 1944, divenendo una delle prime farmaciste turco-cipriote. La sua vita segue due strade parallele: l’impegno come farmacista e l’attività musicale. Ma un episodio della sua biografia fa ben capire il suo carattere volitivo e curioso verso sé stessa e le possibilità della vita: la scuola inglese che frequentava non approvava che una donna potesse giocare a hockey. Quando fu stabilito che non sarebbe più stato possibile frequentare contemporaneamente lo sport e lo studio della musica, lei scelse lo sport. Avrebbe desiderato viaggiare e studiare a Londra, ma gli eventi della Seconda guerra mondiale le impedirono di partire. Dopo la laurea lavorò presso il Laboratorio e la Farmacia di Stato, aprendo nel 1945 la sua farmacia in Victoria Street, registrata e chiamata “Farmacia Aziz”. Divenne co-fondatrice dell'Unione dei farmacisti del suo Paese nel 1959. Si adoperò con grande dedizione per rendere più facile l’accesso ai farmaci e, per risolvere le continue difficoltà di approvvigionamento, inaugurò il magazzino “Güç”, in cui stabilì una convenzione tra il pubblico e il privato, ossia tra lo Stato e i singoli farmacisti. Quando fu chiuso, nel 2001, l’associazione delle/i farmaciste/i turchi decise di trasformarlo nel Museo della Farmacia della città, tuttora aperto al pubblico.

Anche la musica ebbe un ruolo importante nella sua vita, tanto che fu tra le prime donne turco-cipriote ad esibirsi in pubblico; iniziò a suonare il pianoforte a otto anni, in seguito studiò composizione e canto all'American Music Academy e successivamente alla London School of Music. Fu anche tra le fondatrici dell’American Academy Alumni Association, collaborò alla realizzazione di un recital della Cyprus Philarmonic Society; partecipò a quattro opere comiche presso la Nicosia British School, dove prese parte nel coro con suoi brevi assoli. Il suo impegno nella musica fu prezioso, sia nella composizione di testi e musiche originali e legate alla vita nell’isola, ma anche per la passione alla divulgazione e all’adattamento della musica classica occidentale nella musica popolare turco-cipriota. Creò un ensemble musicale, Kamran Aziz ve Arkadaşları (Kamran Aziz and her friends) dove lei suonava la fisarmonica, unita ad altri strumentisti: Jale Derviş al pianoforte, Zeki Taner al sassofono e clarinetto, Fikret Özgün al violino, Vecihi Turgay al violino e Ahmet Anlar alla batteria. L’ensemble divenne il ​​primo gruppo cipriota nell’interpretazione e diffusione della musica occidentale, esibendosi per la prima volta alla radio (i funzionari radiofonici avevano infatti proposto a tutte le comunità dell’isola di esibirsi in diretta con la propria musica dal vivo) e poi alla televisione della Cyprus Broadcasting Corporation. Il gruppo si dedicò alla rivisitazione e traduzione di opere liriche, lieder e musica leggera, come O sole mio, Love in Portofino, Tombe la neige. A partire dagli anni Cinquanta Kamran si concentra nella composizione, senza intenzioni folcloriche, le sue canzoni divennero comunque popolari nella tradizione cipriota, così come l’adattamento di lamenti, tanghi turchi, valzer e marce. Le sue composizione originali erano anche dedicate alla vita quotidiana ed eseguite nelle scuole, come la storia di Mustafa Aynali, che vendeva caramelle e ceci in un cesto a Nicosia, mentre raccontava vicende di tempi antichi. Nel 1995 scrisse una canzone dedicata al disastro ambientale più devastante dell’isola, esploso nella foresta delle montagne di Besparmak, dal titolo We will greenen the Kyrenia Mountains. Compose in totale circa 70 canzoni, che rappresentano un bene culturale riconosciuto nella musica popolare cipriota. La sua prima raccolta musicale fu pubblicata nel 1994 con 39 composizioni. Tra le più conosciute: Kıbrıs'ım, Kıbrıs'ım Sana Ne Oldu, Kıbrıs Zeybeği, Al Yemeni Mor Yemeni, Seni Orakta Gördüm, Gelin Geliyor Gelin e Orak Zamanı Geldi. Nel 1958 scrisse la canzone Cyprus, in cui omaggiava il suo Paese: «È Cipro un’isola /È un pezzo di paradiso».

Era un periodo di violenti conflitti sociali, durante i quali i turchi ciprioti lasciarono l’isola divisa tra Aziz Eoka e l’Organizzazione di resistenza turca. Il futuro appariva molto incerto e questa canzone fu fondativa per la propria identità e per mantenere sempre viva la memoria e il legame con la terra dove il popolo era nato e vissuto. Kamran dichiarò di aver attraversato un periodo molto difficile; furono sospesi i programmi radiofonici dell’ensemble, lei decise quindi di dedicarsi alla composizione di inni nazionali, che inizialmente eseguì solo in casa, ma in seguito furono trasmessi da Bayrak Radio.Kamran Aziz muore nel 2017, all'età di 95 anni. Ha ricevuto due premi alla carriera di farmacista, per i 25 anni e poi per i 61 anni di attività, da parte dell’Associazione dei farmacisti, nel 2005. In ambito musicale è stata insignita di importanti riconoscimenti e ha vinto il concorso di Musica popolare della Repubblica Turca con due canzoni: Sono andata a Pinar Kim Beginning e Strait Zeybegi (1973) e il concorso per il centenario di Ataturk, con la composizione The Most Mighty Turkish Ataturk (1981); ebbe il premio per l’attività folcloristica della Folk Art Association (1997), il premio Trnc per la carriera dal Centro studi delle donne dell’Università del Mediterraneo Orientale (2002), il premio speciale per la tradizione musicale turco-cipriota da parte del Comitato culturale dell’Assemblea Repubblicana (2008).

Nel 2006 una sezione del Girne Music Education Center è stata intitolata a suo nome.

 

Traduzione francese
Giuliana Gaudenzi

Kamran Aziz, compositrice et pharmacienne, est née à Chypre en 1922 ; son père est connu pour avoir contribué à l’éradication du paludisme, sa mère jouait de la flûte et était couturière et sa sœur aînée a été la première infirmière en chef à l’hôpital de l’île Kamran a étudié la musique et la pharmacologie à l’American Academy de Nicosie, où elle a obtenu un diplôme en pharmacologie en 1944, en devenant une des premières pharmaciennes chypriote turque. Sa vie suit deux chemins parallèles : l’engagement en tant que pharmacienne et l’activité musicale. Mais un épisode de sa biographie fait bien comprendre son caractère volontaire et curieux envers soi-même et les chances de la vie : l’école anglaise qu’elle fréquentait n’approuvait pas qu’une femme puisse jouer au hockey. Quand on a établi qu’il ne serait plus possible de fréquenter en même temps le sport et l’étude de la musique, elle a choisi le sport. Elle aurait aimé voyager et étudier à Londres, mais les évènements de la Deuxième guerre mondiale lui ont empêché de partir. Après son diplôme elle a travaillé au Laboratoire et la Pharmacie de l’Etat, en ouvrant en 1945 sa propre pharmacie à Victoria Street, enregistrée et appelée « Pharmacie Aziz ». Elle est devenue co-fondatrice de l’Union des pharmaciens de son Pays en 1959. Elle a travaillé avec un profond dévouement à rendre plus facile l’accès aux médicaments et, pour résoudre les difficultés constantes d’approvisionnement, elle a inauguré l’entrepôt « Güç », dans lequel elle a établi une convention entre public et privé, c'est-à-dire entre l’Etat et chaque pharmacien. Lors de sa fermeture, en 2001, l’association des pharmaciens et des pharmaciennes turques a décidé de le transformer en Musée de la Pharmacie de la ville, toujours ouvert au public.

La musique aussi a joué un rôle important dans sa vie, au point qu’elle a été parmi les premières femmes chypriote turques à s’exhiber en public ; elle a commencé à jouer du piano à huit ans, par la suite elle a étudié composition musicale et chant à l’American Music Academy et puis à la London School of Music. Elle a aussi été parmi les fondatrices de l’American Academy Alumni Association, elle a collaboré à la réalisation d’un récital de la Cyprus Philarmonic Society ; elle a participé à quatre opéras comiques à la Nicosia British School, où elle a chanté deux courts solos dans la chorale. Son engagement dans la musique a été précieux, tant dans la composition de textes et musiques originales et liées à la vie de l’île, que pour la passion dans la divulgation et l’ajustement de la musique classique occidentale dans la musique populaire chypriote turque. Elle a crée un ensemble musical (Kamran Aziz and her friends) où elle jouait de l’accordéon avec d’autres instrumentistes : Jale Derviç au piano, Zeki Taner au saxophone et à la clarinette, Fikret Ozgün au violon, Vecihi Turgay au violon et Ahmet Anlar aux percussions. L’ensemble est devenu le premier groupe chypriote dans la performance et la diffusion de la musique occidentale, en jouant pour la première fois à la radio (les responsables radiophoniques avaient en effet proposé à toutes les communautés de l’île de s’exhiber en direct avec leur propre musique sur scène et puis à la télévision de la Cyprus Broadcasting Corporation. L’ensemble s’est dédié à revisiter et à traduire des opéras, des lieder et de la musique légère, comme O sole mio, Love in Portofino, Tombe la neige. A partir des années Cinquante Kamran se concentre en la composition ; sans intentions folkloriques, ses chansons sont quand même devenues populaires dans la tradition chypriote , ainsi que l’adaptation de lamentations, tangos turques, valses et marches. Ses compositions originales étaient aussi dédiées à la vie quotidienne et jouées dans les écoles, comme l’histoire de Mustafa Aynali, qui vendait des bombons et des pois chiches dans un panier à Nicosie, pendant qu’il racontait des histoires anciennes. En 1995 elle a écrit une chanson dédiée à la catastrophe écologique la plus dévastatrice de l’île, explosée dans la forêt des montagnes de Besparmak, intitulée We will greenen the Kyrenia Mountains. Elle a composé environ 70 chansons au total, qui représentent un atout culturel reconnu dans la musique populaire chypriote. Sa première collection musicale a été publiée en 1994 avec 39 compositions. Parmi les plus connues : Kibris’im, Kibris’im Sana Ne Oldu, Kibris Zeybeği, Al Yemeni Mor Yemeni, Seni Orakta Görduüm , Gelin Geliyor Gelin et Orak Zamani Geldi. En 1958 elle a écrit la chanson Cyprus, dans laquelle elle rendait hommage à son Pays : «Chypre est une île / C’est un bout de Paradis »

C’était une période de conflits sociaux violents, pendant lesquels les turques chypriotes ont laissé l’île partagée entre Aziz Eoka et l’Organisation de résistance turque. Le futur apparaissait très incertain et cette chanson a été fondante pour sa propre identité et pour garder toujours vivante la mémoire et le lien avec la terre où le peuple était né et avait vécu. Kamran a déclaré d’avoir traversé une période très difficile ; les programmes radiophoniques de l’ensemble ont été suspendus, donc elle a décidé de se consacrer à la composition d’hymnes nationaux, que au début elle a joué uniquement chez elle, mais qui par la suite ont été diffusés par Bayrak Radio. Kamran Aziz meurt en 2017, à l’âge de 95 ans. Elle a reçu deux prix à la carrière de pharmacienne, pour les 25 ans et puis pour les 61 ans d’activité, de la part de l’Association des pharmaciens, en 2005. Au niveau musical elle a reçu d’importantes récompenses et elle a gagné le Concours de musique populaire de la République Turque avec deux chansons : Je suis allée à Pinar Kim Beginning et Strait Zeybegi (1973) et le concours pour le centième anniversaire d’Ataturk, avec la composition The Most Mighty Turkish Ataturk (1981) ; elle a eu le prix pour l’activité folklorique de la Folk Art Association (1997), le prix Trnc à la carrière par le Centre d’études des femmes de l’Université de la Méditerranée Orientale (2002), le prix spécial pour la tradition musicale turque-chypriote de la part du Comité culturel de l’Assemblée Républicaine (2008).

En 2006 on a donné son nom à une section du Girne Music Education Center.

 

Traduzione inglese
Syd Stapleton

Kamran Aziz, composer and pharmacist, was born in Cyprus in 1922. Her father is remembered for having contributed to the eradication of malaria, her mother played the lute and was a seamstress. Her older sister was the head nurse in the hospital on the island. Kamran studied music and pharmacology at the American Academy in Nicosia, where she graduated in pharmacology in 1944, becoming one of the first female Turkish Cypriot pharmacists. Her life follows two parallel paths: her commitment as a pharmacist and her musical activity. But an episode in her biography clearly shows her to be strong-willed and curious, about herself and the possibilities of her life. The English school she attended did not approve of a woman playing hockey. When it was determined that it would not be allowed to participate in sports and study music at the same time, she chose sports. She would have liked to travel and study in London, but the events of the Second World War prevented her from going. After graduation she worked at the State Laboratory and Pharmacy, opening her own pharmacy in Victoria Street in 1945, registered and known as the “Aziz Pharmacy”. She became co-founder of the Union of Pharmacists in her country in 1959. She worked with great dedication to make access to medicines easier and, to solve the continuous supply difficulties, she inaugurated the "Güç" warehouse, where she established an agreement between the public and the private sector, that is, between the State and individual pharmacists. When Aziz Pharmacy was closed in 2001, the association of Turkish pharmacists decided to transform it into the city's Pharmacy Museum, which is still open to the public.

Music also played an important role in her life, so much so that she was among the first Turkish Cypriot women to perform in public. She began playing the piano at the age of eight. Later she studied composition and singing at the American Music Academy and later at the London School of Music. She was also one of the founders of the American Academy Alumni Association and collaborated in the realization of a recital by the Cyprus PhilarmonicSociety. She also performed in four comic operas at the Nicosia British School where she sang in the choir, including singing short solos. Her commitment to music was precious to her, both in the composition of original lyrics and music related to life on the island, but also because of her passion for the dissemination and adaptation of Western classical music into Turkish Cypriot folk music. She created a musical ensemble, Kamran Aziz ve Arkadaşları (Kamran Aziz and her friends) where she played the accordion, together with other instrumentalists: Jale Derviş on piano, Zeki Taner on saxophone and clarinet, Fikret Özgün on violin, Vecihi Turgay on violin and Ahmet Anlar on drums. The ensemble became the first Cypriot group in the interpretation and dissemination of Western music, performing for the first time on the radio, and then on television with the Cyprus Broadcasting Corporation. Radio officials had in fact proposed to all the communities of the island that they perform with their own live music. The group devoted itself to revisiting and translating operas, lieder and pop music, such as O Sole Mio, Love in Portofino, and Tombe la neige (The Snow Falls). Starting in the 1950s Kamran concentrated on composition, without folkloric intentions, but nevertheless her songs became popular in Cypriot tradition, as did her adaptations of laments, Turkish tangos, waltzes and marches. Her original compositions were also dedicated to daily life, and often performed in schools. One such song is about of Mustafa Aynali who, in Nicosia, sold candies and chickpeas from a basket while telling stories from ancient times. In 1995 she wrote a song dedicated to the most devastating environmental disaster on the island, a fire which exploded in the forest of the Besparmak mountains. The song was entitled “We Will Green the Kyrenia Mountains”. She composed a total of some 70 songs, which represent a recognized cultural asset in Cypriot folk music. The first collection of her music, with 39 compositions, was released in 1994. Among the best known: Kıbrıs'ım, Kıbrıs'ım Sana Ne Oldu, Kıbrıs Zeybeği, Al Yemeni Mor Yemeni, Seni Orakta Gördüm, Gelin Geliyor Gelin and Orak Zamanı Geldi. In 1958 she wrote the song “Cyprus,” in which she paid homage to her country. Included in the song were the lines, "Cyprus is an island / It's a piece of paradise."

It was a time of violent social conflict, during which Cypriots were divided between the Greek Eoka-B and the Turkish Resistance Organization. The future seemed very uncertain, and this song was fundamentally aimed at reinforcing Cypriot identity, reminding people of their bonds with the land where they were born, lived and died. Kamran went through a very difficult period. The radio programs of the ensemble were suspended. She therefore decided to devote herself to the composition of national anthems, which she initially performed only at home, but were later broadcast by Bayrak Radio. Kamran Aziz died in 2017 at the age of 95. She received two career awards as a pharmacist from the Pharmacists' Association, for her 25th year as a pharmacist, and then for her 61st anniversary, in 2005. In the musical field she was given important awards, and won the popular music competition of the Turkish Republic with two songs, “I Went to Pinar Kim” and “Beginning and Strait Zeybegi” (1973). Later, for a competition for the centenary of Ataturk, she won with the composition “The Most Mighty Turkish Ataturk” (1981). She received the Folk Art Association award for folkloric activity (1997), the TRNC career award from the University of the Eastern Mediterranean Women's Study Center (2002), and the special award for Turkish-Cypriot musical traditions by the Cultural Committee of the Republican Assembly (2008).

In 2006 a department of the Girne Music Education Center was established in her name.

Clara Josephine Wieck Schumann

Claudia Speziali


Maddalena Chelini

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Di Clara Wieck si è celebrato nel 2019 con un certo rilievo il bicentenario della nascita, rivalutando, sia pure tardivamente, l’opera di una delle più importanti musiciste tedesche dell’Ottocento, messa lungamente in ombra dall’ingombrante marito, Robert Schumann. Clara nasce a Lipsia nel 1819 in una famiglia di musicisti; il padre, Friedrich Wieck, è maestro di piano e proprietario di una fabbrica di pianoforti, la madre, Marianne Tromlitz, è pianista e cantante, il nonno, Johann Georg Tromlitz, è stato compositore di buona fama nel Settecento, e pure il patrigno, il fratellastro e la sorellastra sono musicisti. Quando ha cinque anni, i genitori divorziano e la bambina è affidata al padre, il quale ne riconosce le straordinarie doti musicali e decide di farne una virtuosa del piano, benché all’epoca le donne abbiano ancora scarse possibilità di intraprendere una carriera da strumentista e le musiciste più importanti siano cantanti d’opera. Friedrich comincia subito a impartirle lezioni, seguendo i metodi di Pestalozzi e Rousseau e combinando studio e attività all’aria aperta, per rendere il suo apprendimento costante ed efficace. Attraverso un durissimo tirocinio questo padre orgoglioso e di carattere dispotico ma capace pedagogo, fa di Clara una bambina prodigio, dotata di una tecnica straordinaria e impeccabile, che diviene nel giro di pochi anni una delle concertiste più acclamate e stimate in Europa. Come il padre di Mozart, anche Friedrich si occupa di promuovere la carriera della figlia, occupandosi personalmente dei suoi concerti e delle sue tournée. Clara dà il suo primo concerto al Gewandhaus di Lipsia nel 1830; nel 1831 si esibisce a Weimar, Arnstadt, Kassel, Francoforte e perfino a Parigi, suscitando l’ammirazione di grandi maestri quali Lizst, Chopin, Berlioz e Paganini; nel 1838, a Vienna, l’imperatore Ferdinand I le conferisce la prestigiosa onorificenza di Königliche und Kaiserliche Kammervirtuosin (virtuosa da camera del re e imperatore) e nel 1839 torna a Parigi una seconda volta. La sua carriera concertistica è straordinaria: nel 1891, dopo sessant’anni dalla prima esibizione, Clara Wieck ha dato più di 1300 concerti in tutta Europa – soprattutto in Inghilterra tra il 1856 e il 1888 – come documenta una raccolta di programmi e volantini, iniziata dal padre e continuata dalla virtuosa stessa. E a questa carriera la musicista tiene moltissimo; nel 1868 dirà all’amico Johannes Brahms: «La pratica artistica è una grande parte del mio spirito, per me è come l’aria che respiro. Preferirei soffrire la fame, piuttosto che suonare in pubblico con soltanto la metà delle mie forze». (Die Ausübung der Kunst ist ja ein groβer Teil meines Ichs, es ist mir die Luft, in der ich atme. Hingegen wollt’ich lieber hungern, als mit halber Kraft öffentlich wirken).

La piccola Clara conosce il diciassettenne Robert Schumann quando il giovane si trasferisce a casa Wieck per prendere lezioni di piano da Friedrich; lei ha appena nove anni, ma i due instaurano un rapporto d’amicizia, che poi diviene legame sentimentale. Il padre, invidioso del grande talento dell’allievo, osteggia questa relazione in tutti i modi: per lunghi periodi impedisce ai due innamorati di incontrarsi, intercetta la loro corrispondenza, cerca di danneggiare la reputazione di Robert e perfino quella di Clara e si rifiuta di condividere con la figlia il denaro che la ragazza ha guadagnato dando concerti. Nonostante tutti questi ostacoli, Clara e Robert si sposano nel 1840. La coppia vive prima a Lipsia e poi a Dresda, tentando di conciliare la propria esistenza con i rispettivi impegni lavorativi. In realtà il perno della vita familiare è proprio Clara che, tra il 1841 e il 1854, partorisce ben otto figli e li cresce, gestendo quasi da sola la casa, la propria carriera artistica e l’attività musicale del marito. La giovane donna costituisce per l’inquieto e instabile R0bert non solo un punto di riferimento umano e affettivo, ma anche musicale, dialogando con lui in musica e influenzandone la produzione dal 1835 in poi. Negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento è, infatti, consuetudine che ogni concerto comprenda esecuzioni di componimenti scritti dall’interprete, nascono in questo modo le prime pagine composte da Clara. Già a quattordici anni, nel 1833, la musicista scrive la Romance variée op. 3, cui Schumann risponde con gli Improptus op. 5, riprendendo il tema creato da Clara. In effetti, è importante anche la sua attività di compositrice, iniziata in tenera età con Quatre Polonaises op. 1, pubblicate quando l’autrice ha dieci anni. Clara Wieck è solita scrivere variazioni originali su temi famosi, che denotano il suo estro e la capacità di reggere il confronto con i pezzi sui quali lavora. Fra le sue opere meno conosciute, perché erroneamente attribuite al marito, vi sono tre raccolte di Lieder, un genere tipico del Romanticismo tedesco, in cui pianoforte e voce interpretano solitamente liriche dei maggiori poeti dell’epoca. I temi trattati sono squisitamente romantici: descrizione ed esaltazione di paesaggi naturali e di fiori, canti alla luna, riflessioni sull’amore e descrizioni di sogni. Questo genere si addice particolarmente a Clara poiché le consente di mettere a frutto la sua spiccata sensibilità e la sua capacità di esprimere i propri sentimenti più intimi, attingendo alla sua vita per comporre. I Lieder risalgono al periodo tra il 1830 e il 1856 e sono legati alle sue frequentazioni altolocate; spesso sono componimenti d’occasione per compleanni, anniversari, eventi di beneficenza e regali.

Benché il matrimonio sia fonte di felicità per entrambi i coniugi, Robert ha un atteggiamento decisamente ambivalente verso la carriera da virtuosa del piano della talentuosa Clara. Da un lato ne riconosce gli straordinari risultati e collabora costantemente con lei, ma, al tempo stesso, mal sopporta che lei sia più famosa di lui e, oltretutto, che quanto la moglie guadagna con le sue esibizioni superi notevolmente le proprie entrate. Nel corso degli anni Robert inizia a soffrire di amnesie e momenti di completa mancanza di lucidità, tanto da essere ripetutamente licenziato e gradualmente incapace di comporre. Per stargli vicina e prendersi cura di lui e della loro numerosa prole, Clara è costretta a ridurre gli impegni di concertista. L’instabilità mentale e il disagio di Robert culminano in un tentativo di suicidio nel 1854, cui segue l’internamento nel manicomio di Endenich, a Bonn, fino alla morte, nel 1856. Nel 1854 Clara riprende a esibirsi a tempo pieno, conseguendo costantemente grande successo e continuando a essere per il resto della sua vita una delle più importanti pianiste a livello mondiale, tanto da venir definita una sacerdotessa della musica. Proprio nel 1854 la musicista, nel pieno della sua libertà artistica e priva delle imposizioni paterne che all’inizio della carriera hanno pesantemente condizionato anche la scelta degli autori da eseguire, cambia il proprio repertorio. Schumann, Beethoven, Mendelssohn e Chopin predominano largamente in tutti i suoi concerti, seguiti a una certa distanza da Schubert, Bach e Brahms. Clara Wieck, inoltre, è tra le prime interpreti a esibirsi suonando a memoria, senza partitura, prima che questa modalità esecutiva si diffonda e si consolidi in abitudine. Dopo la morte del marito, l’attivissima vedova si dedica a conservare, curare e promuovere le sue opere, difendendole dalle critiche negative, e pertanto a lei dobbiamo la conoscenza completa e ordinata di tutta la musica composta da Schumann. Sostiene inoltre la carriera dell’allievo da lui prediletto, Johannes Bramhs, con il quale intreccia un’amicizia profonda e duratura. Fra le prime a ideare metodi d’insegnamento dello strumento adottati ancora oggi, dal 1878 al 1892 Clara, pur non interrompendo la sua carriera di virtuosa, insegna piano al conservatorio di Francoforte, unica donna in una scuola esclusivamente maschile. Sempre a Francoforte, nel 1891, tiene il suo ultimo concerto e, nel 1896, muore in seguito a un ictus, dopo aver sofferto negli ultimi anni di frequenti e intensi dolori fisici, a causa dell’eccessivo esercizio al pianoforte.

 

Traduzione francese
Joelle Rampacci

Le bicentenaire de la naissance de Clara Wieck a été célébré en 2019 avec un certain relief, revalorisant, quoique tardivement, l'œuvre de l'une des musiciennes allemandes les plus importantes du XIXe siècle, longtemps éclipsée par son encombrant époux, Robert Schumann. Clara est née à Leipzig en 1819 dans une famille de musiciens; son père, Friedrich Wieck, est professeur de piano et propriétaire d'une fabrique de pianos, sa mère, Marianne Tromlitz, est pianiste et chanteuse, son grand-père, Johann Georg Tromlitz, était un compositeur bien connu au XVIIIe siècle, et son beau-père aussi, le demi-frère et la demi-sœur sont musiciens. Quand elle a cinq ans, ses parents divorcent et l'enfant est confiée à son père, qui reconnaît ses talents musicaux extraordinaires et décide d'en faire une virtuose du piano, même si à l'époque les femmes avaient encore peu de chances de poursuivre une carrière comme instrumentiste, les musiciennes les plus importantes étaient des chanteuses d'opéra. Friedrich commence aussitôt à lui donner des cours, en suivant les méthodes de Pestalozzi et Rousseau et combinant études et activités de plein air, pour rendre son apprentissage constant et efficace. Grâce à une formation très dure, ce père fier et pédagogue au caractère despotique mais capable fait de Clara une enfant prodige, douée d'une technique extraordinaire et impeccable, qui devient en quelques années l'une des artistes de concert les plus acclamées et les plus estimées d'Europe. Comme le père de Mozart, Friedrich s'occupe également de promouvoir la carrière de sa fille, s'occupant personnellement de ses concerts et de ses tournées. Clara donne son premier concert au Gewandhaus de Leipzig en 1830; en 1831, elle se produit à Weimar, Arnstadt, Kassel, Francfort et même à Paris, suscitant l'admiration de grands maîtres tels que Lizst, Chopin, Berlioz et Paganini; en 1838, à Vienne, l'empereur Ferdinand Ier lui décerne le prestigieux honneur de Königliche und Kaiserliche Kammervirtuosin (virtuose de chambre du roi et de l'empereur) et en 1839, elle retourne une seconde fois à Paris. Sa carrière de concertiste est extraordinaire: en 1891, soixante ans après sa première représentation, Clara Wieck a donné plus de 1300 concerts à travers l'Europe - en particulier en Angleterre entre 1856 et 1888 - comme le montre une collection de programmes et de prospectus, commencée par son père et continuée par la virtuose elle-même. Et elle tient énormément à sa carriere artistique; en 1868, elle dit à son ami Johannes Brahms: «La pratique artistique est une grande partie de mon esprit, pour moi c'est comme l'air que je respire. Je préfère souffrir de la faim plutôt que jouer en public avec seulement la moitié de mes forces». (Die Ausübung der Kunst ist ja ein großer Teil meines Ichs, es ist mir die Luft, in der ich atme. Hingegen wollt’ich lieber hungern, als mit halber Kraft öffentlich wirken).

La petite Clara rencontre Robert Schumann, il a dix-sept ans lorsque le jeune homme s’installe chez les Wieck pour prendre des cours de piano avec Friedrich; elle n'a que neuf ans, mais les deux nouent une amitié, qui, plus tard, devient un lien sentimental. Le père, envieux du grand talent de l'élève, s'oppose de toute les manières à cette relation: pendant de longues périodes, il empêche aux deux amoureux de se rencontrer, intercepte leur correspondance, tente de nuire à la réputation de Robert et même à celle de Clara et refuse de partager avec le fille l'argent que la fille a gagné en donnant des concerts. Malgré tous ces obstacles, Clara et Robert se sont mariés en 1840. Le couple a d'abord vécu à Leipzig puis à Dresde, essayant de concilier leur existence avec leurs engagements professionnels respectifs. En réalité, le pilier de la vie de famille est surtout Clara qui, entre 1841 et 1854, a donné naissance à huit enfants et les a élevés, gérant presque seule la maison, sa carrière artistique et l'activité musicale de son mari. La jeune femme constitue pour Robert agité et instable non seulement un point de référence humain et émotionnel, mais aussi musical, dialoguant avec lui sur la musique et influençant sa production à partir de 1835. Dans les années trente et quarante du dix-neuvième siècle, l’usage veut que chaque concert comprenne des exécutions de compositions écrites par l'interprète, c'est ainsi que les premières pages composées par Clara sont nées. Déjà à l'âge de quatorze ans, en 1833, la musicienne écrit la Romance variée op. 3, auquel Schumann répond par l'Improptus op.5, reprenant le thème créé par Clara. En effet, son activité de compositrice est également importante, elle a débuté très jeune avec Quatre Polonaises op.1, publiées lorsque l'auteur a dix ans. Clara Wieck écrit généralement des variations originales sur des thèmes célèbres, qui dénotent son créativité et sa capacité à rivaliser avec les morceaux sur lesquels elle travaille. Parmi ses œuvres moins connues, parce qu’attribuées à tort à son mari, il y a trois recueils de Lieder, un genre typique du romantisme allemand, dans lequel le piano et la voix interprètent généralement les vers des plus grands poètes de l’époque. Les sujets abordés sont d’un romantisme pur: description et exaltation de paysages naturels et de fleurs, chants à la lune, réflexions sur l'amour et descriptions de rêves. Ce genre est particulièrement adapté à Clara car il lui permet de faire appel à sa sensibilité marquée et à sa capacité à exprimer ses sentiments les plus intimes, puisant dans sa vie pour composer. Les Lieder remontent à la période entre 1830 et 1856 et sont liés à ses fréquentations de haut rang; souvent, ce sont des poèmes occasionnels pour des anniversaires, des fêtes, des événements de charité et des cadeaux.

Bien que le mariage soit une source de bonheur pour les deux époux, Robert a une attitude résolument ambivalente envers la carrière de virtuose du piano de la talentueuse Clara. D'une part, il en reconnaît les résultats extraordinaires et collabore constamment avec elle, mais, en même temps, il supporte mal qu'elle soit plus célèbre que lui et, de plus, que ce que sa femme gagne avec ses performances dépasse largement ses revenus. Au fil des années, Robert commence à souffrir d'amnésie et de moments de manque total de clarté, à tel point qu'il est licencié à plusieurs reprises et progressivement incapable de composer. Pour rester proche de lui et prendre soin de lui et de leurs nombreux descendants, Clara est obligée de réduire ses horaires de concerts. L'instabilité mentale et la détresse de Robert ont abouti à une tentative de suicide en 1854, qui a été suivie par l'internement à l'asile Endenich à Bonn, jusqu'à sa mort en 1856. En 1854, Clara a repris les exhibitions à plein temps, obtenant constamment un grand succès et continuant d'être pour le reste de sa vie l'une des pianistes les plus importantes du monde, à tel point qu'elle a été appelée prêtresse de la musique. C'est en 1854 que la musicienne, au plus fort de sa liberté artistique et privée des impositions paternelles qui ont fortement influencé le choix des auteurs à interpréter au début de sa carrière, change de répertoire. Schumann, Beethoven, Mendelssohn et Chopin prédominent largement dans tous ses concertos, suivis de loin par Schubert, Bach et Brahms. De plus, Clara Wieck est parmi les premières interprètes à se produire en jouant par cœur, sans partition, avant que ce mode de performance ne se propage et ne devienne habituel. Après la mort de son mari, la veuve très active s'est consacrée à la préservation, à l'entretien et à la promotion de ses œuvres, à les défendre contre les critiques négatives, et nous lui devons donc la connaissance complète et ordonnée de toute la musique composée par Schumann. Elle soutient également la carrière de son élève préféré, Johannes Bramhs, avec qui elle noue une amitié profonde et durable. Parmi les premières à inventer des méthodes d'enseignement de l'instrument encore adoptées aujourd'hui, de 1878 à 1892 Clara, sans interrompre sa carrière de virtuose, enseigne le piano au Conservatoire de Francfort, seule femme dans une école exclusivement masculine. Toujours à Francfort, en 1891, elle donne son dernier concert et, en 1896, meurt des suites d'un accident vasculaire cérébral, après avoir souffert les dernières années de douleurs physiques fréquentes et intenses dues à un exercice excessif au piano.

 

Traduzione inglese
Syd Stapleton

The bicentenary of Clara Wieck's birth was celebrated in 2019 with some ceremony, revaluing, albeit belatedly, the work of one of the most important German musicians of the nineteenth century, long overshadowed by her famous husband, Robert Schumann. Clara was born in Leipzig in 1819 into a family of musicians. Her father, Friedrich Wieck, was a piano teacher and the owner of a piano factory. Her mother, Marianne Tromlitz, was a pianist and singer, and her grandfather, Johann Georg Tromlitz, was a well-known composer in the eighteenth century. Her stepfather, half-brother and half-sister were also musicians. When she was five years old, her parents divorced and she was entrusted to her father, who recognized her extraordinary musical skills and decided to make her a piano virtuoso, although at the time women still had little chance of pursuing a career as an instrumentalist. The most important women in music were opera singers. Friedrich immediately began to give her lessons, following the methods of Pestalozzi and Rousseau, combining study and outdoor activities to make her learning engaging and effective. By way of a very difficult apprenticeship, this proud father, a despotic but capable pedagogue, made Clara into a child prodigy, gifted with an extraordinary and impeccable technique. Within a few years she became one of the most acclaimed and highly regarded concert artists in Europe. Like Mozart's father, Friedrich also took on the promotion of his daughter's career, personally organizing her concerts and tours. Clara gave her first concert at the Gewandhaus in Leipzig in 1830. In 1831, at only 12 years of age, she performed in Weimar, Arnstadt, Kassel, Frankfurt and even in Paris, arousing the admiration of great masters such as Lizst, Chopin, Berlioz and Paganini. in 1838, in Vienna, Emperor Ferdinand I bestowed on her the prestigious honor, Königliche und Kaiserliche Kammervirtuosin (chamber virtuoso of the king and emperor). In 1839 she returned to Paris for a second time. Her concert career was extraordinary. By 1891, sixty years after her first performance, Clara Wieck had given more than 1,300 concerts throughout Europe - especially in England between 1856 and 1888 - as documented by a collection of programs and flyers, begun by her father and continued by the virtuoso herself. Clara was utterly devoted to this career. In 1868 she told her friend Johannes Brahms: "The practice of my art is a big part of my spirit, for me it is like the air I breathe. I'd rather go hungry than play in public with only half my strength." (Die Ausübung der Kunst ist ja ein groβer Teil meines Ichs, es ist mir die Luft, in der ich atme. Hingegen wollt’ich lieber hungern, als mit halber Kraft öffentlich wirken).

Young Clara met the seventeen-year-old Robert Schumann when the young man moved to the Wieck home to take piano lessons from Friedrich. She was just nine years old, but the two established a friendship which then became a sentimental bond. The father, envious of the great talent of his pupil, opposed this relationship in every way he could. For a long time he prevented the two lovers from meeting, intercepted their correspondence, and tried to damage Robert's reputation and even that of Clara. He also refused to share with his daughter the money that the girl earned by giving concerts. Despite all these obstacles, Clara and Robert married in 1840. The couple lived first in Leipzig and then in Dresden, trying to reconcile their existence with their respective work commitments. In reality, the pivot of family life was precisely Clara who, between 1841 and 1854, gave birth to eight children and raised them, managing the house, her artistic career and her husband's musical activity almost alone. The young woman constituted, for the restless and unstable Robert, not only a human and emotional point of reference, but also a musical one, engaging in musical dialogue with him, influencing his work from 1835 onwards. In the 1830s and 1840s, it was customary for concerts to include performances of compositions written by the performer, thus the first pages composed by Clara were born. Already at the age of fourteen, in 1833, she wrote the Romance Variée op. 3, to which Schumann replied with the Improptus op. 5, taking up the theme created by Clara. Already, her activity as a composer had been important. It began at an early age with Quatre Polonaises op. 1, published when the author, Clara, was only ten years old. Clara Wieck often wrote original variations based on famous themes, which demonstrated her flair and her ability to stand up to comparison with the works she drew upon. Among her largely unknown works, because they were erroneously attributed to her husband, there are three collections of Lieder, a popular genre of German Romanticism, in which piano and voice usually interpreted lyrics by the greatest poets of the time. The topics covered are exquisitely romantic -descriptions and exaltation of natural landscapes and flowers, songs to the moon, reflections on love and descriptions of dreams. This genre was particularly suited to Clara, as it allowed her to take advantage of her marked sensitivity and her ability to express her innermost feelings, drawing on her life to compose. The Lieder date back to the period between 1830 and 1856 and are linked to her high-ranking acquaintances; often they took the form of poems for birthdays, anniversaries, charity events and gifts.

Although the marriage was a source of happiness for both spouses, Robert had a decidedly ambivalent attitude towards the piano virtuoso career of the talented Clara. On the one hand, he recognized her extraordinary achievements and constantly collaborated with her. At the same time, he resented the fact that she was more famous than him and, moreover, that what she earned with her performances considerably exceeded his own income. Over the years Robert began to suffer from amnesia, and had moments of serious confusion, so much so that he was repeatedly fired and gradually became unable to compose. To stay close to him and take care of him and their numerous offspring, Clara was forced to reduce her concert schedule. Robert's mental instability and distress culminated in an attempted suicide in 1854, which was followed by his commitment in the Endenich asylum in Bonn, until his death in 1856. In 1854 Clara resumed performing full time, constantly achieving great successes and continuing for the rest of her life as one of the most important pianists in the world, so much so that she was called “a priestess of music.” In 1854 she significantly changed her repertoire, finally free of the paternal and other pressures that had heavily influenced the choice of composers she performed at the beginning of her career. Schumann, Beethoven, Mendelssohn and Chopin largely predominated in all of her concertos, followed at some distance by Schubert, Bach and Brahms. Also, Clara Wieck was among the first to perform by playing by heart, without a score, long before before this mode of performance spread and became much more common. After the death of her husband, the very active widow dedicated herself to preserving and promoting his works, defending them from criticism. Therefore, we owe to her the complete and orderly documentation of all the music composed by Schumann. She also supported the career of Schumann’s favorite student, Johannes Brahms, with whom she developed a deep and lasting friendship. From 1878 to 1892 Clara, while not interrupting her career as a virtuoso, taught piano at the Frankfurt Conservatory, the only woman in an exclusively male school. She was among the first to devise the methods for teaching the instrument that are still in use today. However, in her final years of performance, she began to suffer frequent and intense physical pain. In 1891, in Frankfurt, she held her last concert and, in 1896 she died there after suffering a stroke.

 

Carmen de Burgos

Antonella Palermo


Valentina Bartolotta

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L’odore di una tipografia sale su per le narici e si attacca prepotente alla mente, alla memoria delle emozioni. Il primo approccio con il mondo dell’editoria venne, per Carmen, proprio da quelle macchine di proprietà del suocero, governatore d’Almeria. In quel capannone si stampava ogni giono il più importante quotidiano della capitale. Giornalismo e politica, insomma, li aveva sempre respirati in casa. In quella paterna prima, col padre viceconsole del Portogallo; in quella coniugale, poi, non solo col suocero e la sua tipografia ma anche col marito Arturo Alvarez Bustos, giornalista e poeta, sposato – contro il volere dei suoi genitori – a sedici anni e di quindici anni più grande di lei. A dirla tutta, il matrimonio si era rivelato fin da subito una strada infelice. Tradimenti e alcool non avevano certo aiutato e dopo la morte di Arturo, uno dei quattro figli della coppia, la scelta di andare a vivere a Madrid, portando con sè la figlia Maria, sembrò il naturale passaggio verso quel processo di indipendenza che maturava in lei già da tempo. Con alloggio provvisorio la casa del vecchio zio Agustin de Burgos Cañizares, Carmen decise che sarebbero vissute con quello che avrebbe guadagnato da sola e cominciò lavorando come insegnante, titolo che aveva preso proprio l’anno del terribile lutto. Quella conquistata autosufficienza economica era il primo passo dell'attività a tutto campo che avrebbe portato Carmen De Burgos ad essere quella che era: scrittrice, giornalista, biografa, redattrice, convegnista, opinionista. Ad affermarsi come Colombine prima, e a riaffermare poi anni dopo, con rinvigorita energia, il suo nome di battesimo. Carmen de Burgos y Seguí era nata il 10 dicembre del 1867 ad Almeria da mamma Nicosia Segui Nieto e da papà Jose de Burgos Cañizares, prima di dieci tra fratelli e sorelle, ed era cresciuta a qualche decina di chilometri da lì, a Rodalquilar, villaggio nel comune spagnolo di Níjar nella provincia di Almeria, all'interno di quella grande vallata che è il parco naturale Cabo de Gata, tra i possedimenti e le miniere di proprietà del papà. Una terra feconda, di stratificazioni minerarie e culturali che spesso riaffioreranno nelle sue opere.

Ritratto di Carmen de Burgos.

A meno di quarant’anni, un matrimonio archiviato alle spalle e la voglia di ricominciare, a Madrid Carmen iniziò presto a sperimentare la sua capacità di leggere i fatti del tempo e di scriverne con arguzia. A pochi mesi dal suo arrivo, nel dicembre del 1901, metteva piede nel mondo del giornalismo con la rubrica “Notas Femeneninas”, ospitata dal giornale "El Glogo". Colombine arrivò l’anno dopo ancora, nel 1903: Augusto Suárez de Figueroa stava fondando il "Diario Universal" e le propose di collaborare al nuovo progetto editoriale con una rubrica quotidiana intitolata “Lecturas para la mujer”. Si sarebbe occupata di questioni femminili: sostanzialmente, almeno questa era l’intenzione, moda, cucina, arte e bellezza. Fu proprio il direttore a proporle di usare uno pseudonimo francese. Nasceva così Colombine. Quel contratto di assunzione era il punto di svolta: per la prima volta in Spagna una donna veniva riconosciuta come giornalista professionista. Nell'aprile del 1904 partecipò in qualità di giornalista alla delegazione che accompagnava il re Alfonso XIII nel suo viaggio ad Almería. Tornava così a casa, nella città conservatrice e cattolica che aveva dovuto lasciare all’indomani della separazione dal marito. Fece visita ai suoi familiari ma visitò soprattutto la School of Arts, l'Hospice e la Prigione e al suo ritorno a Madrid pubblicava due articoli che raccontavano l’esperienza. Carmen ebbe l’intuizione e la capacità di far breccia nel cuore delle donne passando dai trucchi di bellezza alla politica, non smise – anche per ragioni economiche – di scrivere finanche ricette di cucina, ma non rinunciò all’impegno per una società migliore. Buttò giù, così, articoli come La moglie e il suffragio o L’ispezione delle fabbriche operaie dando fin da subito un taglio chiaro al suo lavoro. «Sono favorevole a istruire le donne e fornire loro i mezzi per lavorare, come unico modo per dar loro dignità, rendendole indipendenti e capaci di prendersi cura da sole dei loro bisogni», scriveva. Nasceva così, tra quelle pagine e quelle giornate, anche il suo impegno per l’affermazione del divorzio in Spagna. Tutto cominciò quasi per caso, quando, cercando un tema da trattare nella sua rubrica del "Diario Universal", lo sguardo ed il pensiero di soffermarono su una lettera inviatale dallo scrittore Vicente Casanova. Quest’ultimo voleva informarla dell’esistenza di un “Club de matrimonios mal avenidos”. La curiosità si trasformò presto in una convinta campagna di sensibilizzazione. Da una semplice riflessione per una rubrica a vera e propria mobilitazione civile il passo fu breve. E non indolore. La penna di Colombine chiamava a raccolta intellettuali, politici, società civile. Era arrivato il momento, ne era convinta, che la Spagna si dotasse di una legge che consentisse, anche formalmente, la rottura di un matrimonio fallito. Il divorzio era «conveniente alla società e alla morale», avrebbe dimostrato, e chiedeva anche agli/lle altri/e di esprimersi, di prendere posizione. Il tema era ormai sul tavolo e per quanto la politica nicchiasse, tante persone erano con Colombine. Importanti intellettuali dell’epoca risposero alla sua “chiamata” rifacendosi all’articolo a sua firma da cui era partito quello che sembrava quasi un sondaggio dalla domanda netta: chi è a favore di una legge sul divorzio? Troppo netta per la politica, che per lo più scelse di non esporsi. Ma chiara per le donne e gli uomini che risposero convintamente. Si alternarono i favorevoli e i contrari, ciascuno argomentando per il sì o per il no. Furono tanti i nomi della cultura che non si sottrassero al dibattito scrivendo lettere a Colombine, spiegando le ragioni del divorzio o della sua opposizione. Non bastò la rivista ad accogliere questa riflessione collettiva e d’altro canto il livello del dibattito era diventato troppo politicamente impegnativo per una rivista che in fondo le aveva chiesto solo di scrivere di temi femminili. Perciò, nel 1904 Carmen De Burgos pubblicò il volume intitolato El divorcio en España. Decise di dividere il lavoro in due parti: la prima raccoglieva le lettere inviate dalle personalità più illustri, mentre la seconda era formata dalle risposte di lettori e lettrici del giornale. Due parti distinte ma con pari dignità e un’unica conclusione: grazie al sondaggio da lei avviato e sviluppato, aveva confrontato i risultati e aveva verificato che la maggioranza del Paese era a favore del divorzio. La campagna non risparmiava accostamenti arditi: argomentando con la possibilità concessa alle suore di interrompere la clausura, provocatoriamente definito «el divorcio de las monjas», ci si arrivava a chiedere: se possono divorziare le monache, perché non può divorziare una moglie dal marito? La grande esposizione sul tema le aveva fatto ottenere l’ammirazione di persone in vista come Giner de los Ríos e Blasco Ibáñez, ma le aveva anche procurato aspre critiche da parte del mondo ecclesiastico e dei settori conservatori del Paese e quando qualche anno dopo, nel 1907, salì al governo il conservatore Antonio Maura, il ministro della Istruzione Pubblica Rodríguez-San Pedro la trasferì a Toledo per allontanarla da Madrid. Oltre alla questione divorzio, d’altronde, Carmen si era subito cimentata su un altro terreno, non meno inviso ad una certa scuola di pensiero. Nel 1906 aveva cominciato a collaborare con un’altra testata,“El Heraldo de Madrid” e da queste pagine, con una nuova rubrica dal titolo eloquente “El voto de la mujier”, aveva avviato una campagna a favore del suffragio femminile. «È veramente assurdo che le persone ignoranti abbiano il diritto di votare solo perché sono uomini, e che alle donne istruite questo diritto venga negato solo perché sono donne», scriveva. E poi, ancora, gli articoli sulla istruzione della donna, sul lavoro, il tema, così avanti, del trattamento economico della lavoratrice e la questione della parità di retribuzione uomo-donna. Si schierò a favore dei sefarditi (gli ebrei della penisola iberica), contro la pena di morte e in difesa dell'infanzia e di una nuova impostazione didattica. Il mondo progressista era con lei, aumentavano gli inviti a convegni e dibattiti. Sempre più invisa, invece, a quelle forze che stavano andando al potere in Spagna. E peggio sarebbe stato anche più in là, in epoca franchista quando, benché non più in vita, Carmen de Burgos fu condannata all’oblio assieme alle sue opere, molte delle quali, secondo diverse ricostruzioni storiche, andarono distrutte. Questo però sarebbe stato di là da venire. Ora il trasferimento a Toledo della scrittrice e docente, fortemente voluto dal governo, si rivelò un tentativo infruttuoso di allontanarla dal centro del dibattito. Carmen, d’altronde, si era già allontanata fisicamente dalla città madrilena: nel 1905 aveva infatti ottenuto una borsa di studio del Ministero dell’Istruzione Pubblica per analizzare i sistemi di insegnamento di altri Paesi e ne aveva approfittato per girare per quasi un anno in Francia, Italia, Inghilterra e Monaco. Un’esperienza che l'aveva arricchita e l’aveva spinta, appena rientrata dalla Francia, a fondare "La tertulia modernista", il circolo letterario che Carmen continuò ad alimentare anche da Toledo. Così, senza indugio, ogni settimana continuò instancabile a rientrare a Madrid per ospitare al circolo scrittori, giornalisti/e, artisti/e , musicisti, poeti stranieri di passaggio in città. Si stavano gettando i semi per la nascita della “Revista Critica”, ma anche per grandi legami: fu al circolo che conobbe Ramón Gómez de la Serna, allora sconosciuto studente di diciotto anni, e fu così che partì un rapporto, sentimentale ed epistolare, che durò per oltre vent'anni. Un affetto sincero, che non le risparmiò le critiche per quell’amore con un uomo tanto più giovane, né dolore e amarezza per una breve relazione stretta tra lo stesso Ramón e sua figlia Maria in occasione della partecipazione della giovane ad una commedia scritta da Gómez. Fu un duro colpo per Carmen che però perdonò entrambi. Così scriveva anni dopo lo scrittore nel suo Automoribundia del suo rapporto con Catmen: «Lei da una parte e io dall'altra da un tavolo stretto abbiamo scritto e scritto lunghe ore e letto capitoli, cronache, racconti, poesie in prosa». Proprio a de la Serna si deve anche uno dei pochi ritratti che restituivano a Carmen la dignità di donna e scrittrice. Fu lui a ricordare i suoi primi anni a Madrid «con un cappellino triste» e «la figlia in braccio» a scrivere, scrivere e scrivere, per passione ma anche per guadagnarsi da vivere. D’altronde, Carmen fu la prima donna a vivere della sua scrittura, fu la prima redattrice e fu anche la prima giornalista ad essere inviata di guerra. Venne, infatti, anche il tempo della guerra e la penna di Colombine non rimase sul tavolo. ll 9 luglio 1909 i rifeños delle alture del Riff attaccarono un gruppo di operai spagnoli che stavano costruendo un ponte per la ferrovia mineraria a circa tre chilometri da Melilla, la città spagnola ancora oggi enclave in territorio marocchino.

Carmen Burgos con i soldati spagnoli a Melilla.

Alla grande indignazione del popolo spagnolo seguì la rappresaglia durissima del governo presieduto da Maura. Due giorni dopo l’attacco le truppe militari spagnole partirono alla volta della regione marocchina. Era, di fatto, l’inizio della guerra del Riff, a cui venivano chiamati anche i riservisti. Il 27 luglio 1909, durante quella che fu ribattezzata dalla storia la “settimana tragica”, si consumò la terribile sconfitta del Barranco del Lobo. I rifeños si rifugiarono sulla vetta del Gurugú e la scelta delle truppe spagnole si rivelò un fatale massacro. Carmen de Burgos, ospite presso l’ospedale da campo allestito dalla Croce Rossa, decise così di avvicinarsi alle truppe spagnole che lottavano attorno a Melilla per vedere e capire direttamente dal fronte. Da lì le sue corrispondenze di guerra per il quotidiano "El Heraldo" di Malaga; poi, una volta tornata a Madrid, pubblicò l’articolo Guerra a la guerra, nel quale difendeva i pionieri dell’obiezione di coscienza. «Il mondo civilizzato – si leggeva nell’articolo – mette il fucile in mano all’uomo, gli dà l’ordine di uccidere, e se l’uomo lancia la pistola e rifiuta di essere un assassino, viene trattato come un criminale. Ogni uomo deve, prima di tutto, e qualunque sia il costo, rifiutare tale servitù». Qualche settimana dopo il suo rientro, l’esperienza in territorio di guerra diventa anche En la guerra, una novella che tiene dentro tutte le emozioni registrate sul campo. Carmen De Burgos aveva ascoltato e toccato le sofferenze, la paura, la violenza, era stata “dentro” la guerra, in mezzo ai soldati. E doveva raccontarlo come solo lei sapeva fare. L’esperienza marocchina, peraltro, si arricchì nell’opera En la guerra anche delle cronache della Prima guerra mondiale che Carmen ebbe modo di incontrare nel suo viaggio nei Paesi nordici: viaggio che dovette interrompere prima di arrivare in Russia proprio perché finita suo malgrado per essere sospettata di essere una spia, perquisita e fatta scendere su un treno verso la Scandinavia. Il 1909 fu anche l’anno del suo primo romanzo: Los misadaptados, genere che continuò poi a coltivare negli anni che seguirono con La rampa (1917), Gli antiquari (1919), Gli spiriti (1923), La donna fantastica (1924), Voglio vivere la mia vita (1931). Nello stesso anno Carmen veniva nominata professoressa presso la Central Normal School di Madrid, dopo aver anche frequentato il corso di Metodologia per l'insegnamento dei sordomuti e dei ciechi. Nel 1911 fu nominata professoressa alla Scuola di Arti e Mestieri di Madrid. Por Europa, pubblicato nel 1910, fu il frutto del suo lungo e appassionato viaggiare nel Vecchio Continente, ma non mancarono resoconti di viaggi in America e in Argentina. Ogni viaggio era occasione per conoscere e confrontarsi con movimenti progressisti e femministi. Mai archiviato infatti, nel frattempo, l’impegno sui temi della condizione femminile, sebbene sempre con poca affezione al concetto di femminismo. Nel 1915 nasceva una grande amicizia, che sarebbe stata destinata a durare una vita intera: quella con Ana de Castro Osorio, che personificava la battaglia per i diritti delle donne raggiunti in Portogallo e che avrebbe influenzato la nascita della crociata spagnola che avvenne nel 1921. Nel 1922, la crociata delle donne spagnole organizzò una manifestazione per consegnare tutte le loro richieste in Parlamento: l’introduzione del divorzio, la possibilità di indagine sulla paternità, uguali diritti per bambine e bambini legittimi e illegittimi, la riforma delle norme che discriminavano le donne. Nel 1921 scriveva, per la serie "Novela Corta", Articolo 438. Il codice penale approvato nel 1870, ancora vigente cinquant’anni dopo, disciplinava di fatto una sorta di delitto d’onore: il marito che uccideva la moglie colta in flagranza di adulterio era punito con il divieto di avvicinarsi al luogo da cui era bandito per circa 25 chilometri. La regola si applicava anche ai genitori che avessero trovato una figlia minorenne (quindi di età inferiore ai 23 anni) con un amante ma non valeva, invece, se a scoprire il marito infedele fosse stata la moglie. Con il suo racconto, Carmen chiedeva l’abrogazione della norma avviando una battaglia che era giuridica e culturale assieme. Nel frattempo presiedeva l'associazione crociata delle donne spagnole, guidava la prima manifestazione di protesta delle suffragette in Spagna e iniziava ad argomentare le sue idee in manifestazioni e tribune pubbliche a cui veniva invitata sempre più spesso. Nel 1923 Carmen pubblicò Malcasada (mal sposata), ambientato completamente ad Almeria e dalle cui righe trapelava autobiografica l’amarezza di una società che impediva ad una donna di sottrarsi ad un matrimonio infelice. Furono anche gli anni in cui si avvicinò al Partito socialista radicale repubblicano, dopo aver lasciato il Partito socialista spagnolo dei lavoratori in polemica con la ritrosia interna di quest’ultimo rispetto alla richiesta femminista di suffragio universale. Nella sua opera La mujer moderna y sus derechos (1927), firmata non più Colombine, tornava il tema della parità e del femminismo, che, scriveva Carmen De Burgos, rappresenterebbe «Non la lotta dei sessi, nemmeno l'inimicizia con l’uomo, ma al contrario indica che la donna intende collaborare con lui e al suo fianco». L’opera era intrisa delle esperienze di viaggio in altri Paesi, ne metteva a confronto condizione sociale e giuridica della donna. Ma al di là delle etichette, quello era il suo manifesto di impegno per le donne. «Puoi impedire alle donne di votare, ma non puoi impedire loro di pensare. Le donne sono ritenute adatte a modellare il carattere dei propri figli e ad educare intere generazioni, perché generalmente le donne si occupano della prima infanzia; e neghiamo loro il diritto primario di instillare un'istruzione e un senso di civiltà», scriveva. E ancora: «La donna è qualcosa di più della femmina, come l'uomo è qualcosa di più del maschio, dal momento in cui l'intelligenza permette loro di non ridursi al ruolo di semplici riproduttori della specie. Uno sguardo, per quanto lieve, dedicato allo studio del sesso femminile, ci mostra che la subordinazione della donna non è opera della natura». Censurato anni dopo dal governo di Franco e inserito tra le prime nove opere nell'elenco dei libri proibiti dall'Inquisizione Cattolica Nazionale, il libro fu presto definito la "bibbia del femminismo spagnolo". C’erano dentro i viaggi, gli articoli, i confronti con le tante personalità e le tante storie semplici che aveva incontrato negli ultimi anni. Non si interrompeva, intanto, la sua vena di scrittrice mandando in stampa decine di racconti, molti dei quali pubblicati a puntate su "El Cuento Semanal". Tra i più importanti verranno ricordati: Il tesoro del castello (1907), Sentieri della vita (1908), L'uomo nero (1916), Il miglior film (1918), Gli uomini d'affari della Puerta del Sol (1919), La "Misericordia" ( 1927), Quando la legge lo richiede (1932). Amica di Blasco Ibáñez, era una stretta collaboratrice della casa editrice Sempere da lui diretta e per lungo tempo scrisse, con lo pseudonimo di Gabriel Luna, per il quotidiano valenciano "El Pueblo", fondato proprio da Ibáñez. Nella sua prolifica attività di scrittrice non mancarono anche le traduzioni di opere di autori come Max Nordau, Ruskin, Renán. Carmen scriveva di tutto, per passione, per impegno civile e anche solo per arrotondare lo stipendio di insegnante, forte della sua conquistata e rivendicata indipendenza economica. Non si definì mai una femminista, così come d’altronde respinse ogni altra etichetta. Nel 1931 tutto quello per cui Carmen si era battuta vedeva la luce assieme alla Seconda Repubblica spagnola che riconobbe il matrimonio civile, il divorzio e il suffragio femminile. Fu una gioia, ma fu anche motivo per continuare di più e meglio l’assiduo impegno in diverse organizzazioni, anche a discapito della sempre più provata salute. Nel 1932, durante una conferenza sull’educazione sessuale, Carmen si accasciò a terra a seguito di un malore che la portò alla morte, nella propria abitazione, all’alba del giorno dopo. Si racconta che avrebbe proferito queste parole: «Muoio felice perché muoio nel trionfo repubblicano! Lunga vita alla Repubblica!». Di certo fu donna libera, senza pregiudizi, coraggiosa, tenace. Il suo nome rimane legato a tante battaglie, a tanta importante produzione letteraria e al mondo del giornalismo. Segno che la damnatio memoriae tentata da Franco finanche dopo la sua morte non è riuscita a scalfirla. Così si consegnò ai posteri, nella sua autobiografia: «Detesto l'ipocrisia e siccome sono indipendente, libera e non voglio essere amata per qualità che non ho, dico sempre tutto quello che sento e sento. Quindi quelli che mi amano mi amano davvero. Chi mi distoglie da dietro si toglie il cappello davanti a me. Non ho mai pensato alla crescita personale a scapito della mia libertà o alla rinuncia alle mie convinzioni».

Intitolazioni e targhe spagnole a Madrid (a sinistra e in centro) e a Guadalajara in Castiglia-La Mancha (a destra).

 

Traduzione francese
Giuliana Gaudenzi

L’odeur d’imprimerie qui monte dans les narines s’accroche fortement à l’esprit, à la mémoire des émotions. La première approche du monde de l’édition est venu, pour Carmen , des machines dont son beau-père, Gouverneur d’ Almeria, est propriétaire. Le quotidien le plus important de la capitale est imprimé dans cette grande salle. Elle a toujours respiré chez elle le journalisme et la politique : chez son père, Vice-consul du Portugal, d’abord, puis dans sa maison conjugale, non seulement dans l’imprimerie de son beau-père mais aussi avec son mari Arturo Alvarez Bustos, journaliste et poète de quinze ans plus agé qu’elle, épousé à seize ans contre l’avis de ses parents. Pour tout dire, ce mariage s’était révélé depuis le début un mauvais choix, à cause d’alcool et trahisons. Après la mort d’Arturo, l’un de leurs quatre enfants, le choix d’aller vivre à Madrid avec sa fille Maria a été le naturel passage vers l’autonomie qu’elle désirait depuis un bon moment. Carmen s’est installée provisoirement chez son vieux oncle Augustin de Burgos Canizares et a décidé de vivre avec ses propres ressources. Elle a travaillé comme institutrice, diplôme qu’elle avait pris l’an de son horrible deuil. Cela a été le premier pas vers ses futures activités d’écrivain, journaliste, biographe, rédactrice, congressiste, chroniqueuse. Elle s’est affirmée comme Colombine d’abord, avec son propre nom plus tard. Carmen de Burgos y Seguì, née le 10 décembre 1867 à Almeria de sa mère Nicosia Seguì Nieto et de son père José de Burgos Canizares, était l’ainée de dix frères et sœurs. Elle avait grandi à Rodalquilar, village à une dizaine de kilomètres, dans la commune espagnole de Nijar, province d’Almeria, dans la grande vallée du Parc Naturel de Gata, où son père possédait terres et mines. Terre fertile en stratifications de minerai et de culture, dont on trouvera trace dans ses œuvres.

Portrait de Carmen de Burgos.

Approchant de ses quarante ans, un mariage derrière elle et l’envie de recommencer, à Madrid Carmen a commencé à découvrir sa capacité de lire les faits de son temps et d’en écrire avec esprit. Quelques mois après son arrivée, en décembre 1901, elle a fait son entrée dans le monde du journalisme avec sa chronique « Notas Femeneninas » dans le journal « El Glogo ». Colombine est arrivée deux ans plus tard, en 1903 : Augusto Suàrez de Figueroa était en train de créer le « Diario Universal » et lui a proposé de collaborer au nouveau projet éditorial avec une chronique quotidienne intitulée « Lecturas para la mujer » qui, au début, devait s’occuper de mode, cuisine, art et beauté. Le directeur lui a proposé d’utiliser un pseudonyme français : Colombine. Ce travail a été pour Carmen un tournant majeur : pour la première fois en Espagne une femme est reconnue comme journaliste professionnelle. Au mois d’avril 1904 elle a participé, en tant que journaliste, à la délégation qui accompagnait Roi Alfonso XIII dans son voyage à Almeria. Carmen revenait ainsi dans sa ville conservatrice et catholique qu’elle avait du quitter après s’etre séparée de son mari. Elle a rendu visite à sa famille mais elle a visité surtout la School of Arts, l’Hospice et la Prison ; elle a publié, de retour à Madrid, deux articles qui racontaient cette expérience. Carmen a eu l’intuition et la capacité d’atteindre le cœur des femmes en passant des soins de beauté à la politique, sans - pour des raisons économiques - arreter d’écrire des recettes de cuisine. Mais elle n’a pas renoncé à son engagement pour une société meilleure. Du coup elle a écrit des articles tels que « L’épouse et le droit de vote » ou « L’inspection des usines ouvrières », clarifiant dès le début quel type de travail était le sien. « Je suis favorable à éduquer les femmes en leur fournissant tous les moyens pour travailler parce-que c’est le seul moyen pour leur donner dignité, indépendance et capacité de subvenir à leurs propres besoins. » elle a écrit. Ainsi est né son engagement pour l’obtention du divorce en Espagne. Tout avait commencé presque par hasard ; quand elle cherchait un thème à traiter dans sa rubrique « Diario Universal » elle avait lu une lettre que l’écrivain Vicente Casanova lui avait envoyé. Il lui signalait l’existence d’un « Club de matrimonios mal avenidos ». Sa curiosité s’était vite transformée en campagne de sensibilisation. Une simple réflexion dans une rubrique est devenue une véritable campagne civile qui a connu beaucoup d’obstacles. Colombine a fait appel à intellectuels, politiciens, société civile. Elle était convaincue que désormais l’Espagne devait promulguer une loi pour donner fin, meme formellement, aux mariages ratés. Elle a voulu démontrer que le divorce «convenait à la société et à la moralité » et a demandé aux autres de s’exprimer à ce sujet. Le thème a été désormais lancé . La politique était contre, mais beaucoup de monde était avec Colombine. D’importants intellectuels ont répondu à son appel, suite à son article qui ressemblait à une question claire : qui est favorable à une loi pour le divorce ? Question trop claire pour la politique qui a choisi de ne pas prendre parti. Mais les femmes et les hommes ont répondu avec conviction. Il y a eu des pour et des contre, chacun avec ses raisons personnelles ; parmi eux, beaucoup de représentants de la culture. Cette réflexion collective était trop vaste et de haut niveau pour sa revue féminine et Carmen a publié, en 1904, le livre intitulé « El divorcio en Espana », composé de deux parties : les lettres de personnages illustres la première, les lettres de lecteurs et lectrices la seconde. Elle en a déduit que son sondage a démontré que la majorité du Pays était favorable au divorce. Elle s’est demandée pourquoi les religieuses cloitrées pouvaient interrompre la cloture (« el divorcio de las monjas ») et les femmes mariées ne pouvaient pas divorcer de leur mari. Des personnalités en vue tels que Giner de los Rìos et Blasco Ibanez l’ont admirée, les ecclésiastiques et les conservateurs l’ont aprement critiquée. En 1907 le conservateur Antonio Maura, devenu Ministre de l’Instruction Publique, l’a mutée à Toledo pour l’éloigner de Madrid. En 1906 elle avait commencé à collaborer avec « El Heraldo de Madrid » où elle tenait une rubrique intitulée « El voto de la Mujier » démarrant une campagne pour le suffrage féminin. Elle écrivait «C’est vraiment absurde que des personnes incultes ont le droit de voter en tant qu’hommes et que ce droit soit nié aux femmes cultivées seulement parce-que ce sont des femmes». Et aussi les articles sur la scolarisation de la femme, sur le travail et la question de la parité de salaires entre hommes et femmes. Elle a pris position en faveur de la population sépharade (les juifs de la péninsule ibérique), contre la peine de mort et en défense de l’enfance et d’une nouvelle structuration didactique. Le monde progressiste l’invitait aux débats et aux conférences, mais les forces qui allaient prendre le pouvoir en Espagne la détestaient. Beaucoup plus tard, après sa mort, le régime franquiste a condamné à l’oubli Carmen de Burgos et ses œuvres ; beaucoup d’entre elles ont été détruites, d’après certains historiens. Pour revenir à sa vie, la mutation de l’écrivaine et enseignante, farouchement voulue par le gouvernement, ne l’a pas éloignée du vif du débat. D’ailleurs, en 1905 Carmen a décroché une bourse du Ministère de l’Instruction Publique pour analyser les systèmes d’enseignement d’autres Pays. Elle a ainsi voyagé presque un an en France, Italie, Angleterre et Monaco. Enrichie par cette expérience, elle a fondé, de retour de France, «La tertulia modernista», le cercle littéraire dont elle s’occupait meme vivant à Toledo. Chaque semaine elle rentrait à Madrid pour accueillir au cercle des écrivains, des journalistes, des artistes, des musiciens, des poètes étrangers de passage en ville. Elle a ainsi crée les conditions de la naissance de la «Revista Critica». Dans ce cercle elle a connu Ramòn Gòmez de la Serna, à l’époque étudiant inconnu de dix-huit ans, avec qui elle a eu une liaison sentimentale et épistolaire qui a duré plus de vingt ans. Un amour sincère, mais qui lui a valu des critiques pour cette liaison avec un homme beaucoup plus jeune qu’elle et aussi de la douleur et de l’amertume pour la brève liaison entre Ramòn et sa fille Maria qui avait participé à une comédie écrite par Gòmez. Cela a été un coup dur pour Carmen, qui néanmoins les a pardonnés. Quelques années plus tard, l’écrivain a décrit sa liaison avec Carmen dans son «Automoribundia» : «Elle et moi, d’un coté et de l’autre de la table étroite avons écrit et écrit et lu pendant des heures et des heures des chapitres, des chroniques, des nouvelles, des poèmes en prose». De la Serna a fait les portraits de Carmen qui ont montré sa dignité de femme et d’écrivaine. Il a rappelé ses premières années à Madrid «avec un petit chapeau triste» et «en tenant sa fille dans ses bras» à écrire, écrire, écrire, par passion mais aussi pour gagner sa vie. D’ailleurs, Carmen a été la première femme à vivre de son écriture, la première rédactrice et aussi la première journaliste femme envoyée de guerre. Le 9 juillet 1909 les rifenos des collines du Riff ont attaqué un groupe d’ouvriers espagnols qui construisaient un pont pour le chemin de fer minier à trois kilomètres environ de Melilla, ville espagnole encore aujourd’hui enclave en territoire marocain.

Carmen Burgos avec les soldats espagnols à Melilla.

Grande a été la colère du peuple espagnol, à laquelle ont suivi les représailles très dures du gouvernement de Maura. Deux jours plus tard les troupes militaires espagnoles se sont dirigées vers la région marocaine. La guerre du Riff a commencé, avec la participation des réservistes aussi. Le 27 juillet 1909, pendant la semaine qui est passée à l’histoire comme «la semaine tragique» le Barranco del Lobo a été vaincu. Les rifenos s’étaient réfugiés sur le sommet du Gurugù et le choix des troupes espagnoles s’est revélé etre un véritable carnage. Carmen de Burgos, accueillie dans l’hopital de campagne de la Croix Rouge, a décidé de s’approcher des troupes espagnoles qui combattaient à coté de Melilla pour voir et comprendre directement du front. Elle a été correspondante de guerre pour le quotidien « El Heraldo »de Malaga ; ensuite, de retour à Madrid, a publié l’article « Guerra a la guerra », dans lequel elle a pris la défense des pionniers de l’objection de conscience. On lit dans l’article « Le monde civilisé met le fusil dans la main de l’homme, lui ordonne de tuer, et si l’homme jette le pistolet et refuse d’etre un assassin, il est traité de criminel. Tout homme doit, avant tout, à n’importe quel prix, refuser cette servitude ». Quelques semaines après son retour, son expérience en territoire de guerre est devenue aussi la nouvelle «En la guerra» dans laquelle elle a décrit toutes les émotions éprouvées sur le champ. Carmen de Burgos a écouté et touché les souffrances, la peur, la violence, elle a été « dans » la guerre, parmi les soldats. Elle devait le raconter comme elle seule savait le faire. Dans le meme livre elle a aussi décrit son expérience de la première guerre mondiale, lors de son séjour dans les Pays du nord. Elle a du interrompre ce voyage avant d’arriver en Russie parce-que elle a été soupçonnée d’espionnage, fouillée et mise dans un train vers la Scandinavie. En 1909 elle a écrit son premier roman «Los misadaptados». Ce genre littéraire était le même des romans qui ont suivi : «La rampa» (1917), «Les antiquaires» (1919), «Les esprits» (1923), «La femme fantastique» (1924), « Je veux vivre ma vie» (1931). La même année Carmen a été nommée professeur à la Central Normal School de Madrid, après avoir aussi fréquenté le stage de Méthodologie pour l’enseignement des sourds-muets et des aveugles. En 1911 elle a été nommée professeur à l’Ecole des Arts et Métiers de Madrid. «Por Europa», publié en 1910, a été écrit après son long et passionné voyage dans le Vieux Continent ; elle a écrit aussi les compte-rendu de ses voyages en Amérique et Argentine. Chaque voyage était l’occasion pour connaitre et se confronter avec les mouvements progressistes et féministes. Son engagement en faveur du sujet de la condition féminine a été constant, même si elle n’a jamais beaucoup aimé le concept de féminisme. En 1915 a débuté son amitié, qui durera une vie entière, avec Ana de Castro Osorio, représentante de la bataille pour les droits des femmes obtenus au Portugal et qui aurait influencé la naissance de la croisade espagnole de 1921. En 1922, la croisade des femmes espagnoles a organisé une manifestation pour porter leurs requêtes au Parlement : l’introduction du divorce, la possibilité de faire une enquête de paternité, mêmes droits pour filles et garçons légitimes et illégitimes, la réforme des normes qui discriminaient les femmes. En 1921 elle a écrit , pour la série Novela Corta, «Article 438». Le code pénal de 1870 et encore en vigueur cinquante ans après disciplinait, de fait, une sorte de crime d’honneur : le mari qui tuait son épouse trouvée en flagrant adultère était puni avec interdiction de s’approcher du lieu où il était banni pour environ 25 kilomètres. Cette règle était appliquée aussi aux parents qui auraient trouvé leur fille mineure (moins de 23 ans) avec un amant, mais la même règle ne valait pas si l’épouse surprenait son mari infidèle. Avec cet écrit, Carmen demandait l’abrogation de cette norme, déclenchant une bataille à la fois juridique et culturelle. En même temps elle présidait l’association croisée des femmes espagnoles, elle menait la première manifestation de protestation des suffragettes en Espagne et commençait à argumenter ses idées dans des manifestations e des forums publiques dans lesquels elle était de plus en plus souvent invitée. En 1923 Carmen a publié « Malcasada » (mal mariée), se déroulant complètement à Almeria, qui laissait entrevoir l’amertume d’une société qui empêchait une femme de se soustraire à un mariage malheureux. Pendant ces années, elle s’approcha du Parti socialiste radical républicain, après avoir quitté le Parti socialiste espagnol des travailleurs, polémiquant sur sa réticence à aborder la demande féministe de suffrage universel. Dans l’œuvre «La mujer moderna y sus derechos» (1927), qu’elle a signée Carmen de Burgos, revenaient les thèmes de la parité et du féminisme qui représenteraient « Non pas la lutte des sexes, même pas l’hostilité envers les hommes, mais, au contraire, la volonté de la femme de collaborer avec lui et à son côté». L’œuvre était pétrie de ses expériences de voyage dans d’autres Pays, en montrant les différentes conditions sociales et juridiques de la femme. Mais, au-delà des étiquettes, c’était son Manifeste d’engagement pour les femmes. «On peut empêcher les femmes de voter, mais on ne peut pas les empêcher de penser. Elles sont censées être capables de façonner le caractère de leurs enfants et d’éduquer des générations entières, parce-que, en général, elles s’occupent de la première enfance ; et pourtant on leur nie le droit primaire d’instiller une instruction et un sens de civilité», elle écrivait. Et encore : «La femme est quelque chose de plus que la femelle, comme l’homme est quelque chose de plus que le mâle, ôôparce-que l’intelligence leur permet de ne pas se borner à se reproduire. Un regard, même léger, sur l’étude du genre féminin, nous montre que la soumission de la femme n’est pas l’œuvre de la nature». Ce livre, censuré plus tard par le gouvernement de Franco et inclus parmi les premières neuf œuvres interdites par l’Inquisition Catholique Nationale , a été vite considéré la « bible du féminisme espagnol ». Il contenait les voyages, les articles, les confrontations avec beaucoup d’importantes personnalités et nombre d’histoires simples qu’elle avait rencontrés dans les dernières années. Entre temps, sa veine d’écrivaine continuait de s’exprimer, en faisant imprimer des dizaines de nouvelles ; beaucoup d’entre elles ont été publiées à épisodes dans «El Cuento Semanal». On rappellera, parmi les plus importantes, «Le trésor du château» (1907), «Sentiers de la vie» (1908), «L’homme noir» (1916), «Le meilleur film» (1918), «Les hommes d’affaires de la Puerta del Sol» (1919), «La ‘Miséricorde’» (1927), «Quand la loi l’impose» (1932). Elle était amie de Blasco Ibanez et collaborait à la maison d’édition Sempere dirigée par lui ; Ibanez avait aussi fondé le quotidien valencien, où elle a écrit longtemps sous le pseudonyme de Gabriel Luna. Elle a aussi traduit les œuvres de Max Nordau, Ruskin, Renàn. Carmen écrivait de tout, par passion, par engagement civil et aussi simplement pour arrondir son salaire d’enseignante, fière de l’indépendance économique qu’elle avait acquise et revendiquée. Elle ne s’est jamais définie comme féministe, d’ailleurs elle a toujours refusé toute étiquette. En 1931, pendant la Seconde République espagnole, elle a vu la réalisation de toutes les choses pour lesquelles elle s’était battue : mariage civil, divorce et suffrage féminin. Ce fut une joie pour elle, mais aussi le coup de pouce pour continuer encore mieux et davantage son engagement en des différentes organisations, même au détriment de sa santé de plus en plus dégradée. En 1932, pendant une conférence sur l’éducation sexuelle, Carmen a eu un malaise et s’est écroulée à terre. Elle est morte chez elle à l’aube du jour suivant. On dit qu’elle aurait prononcé ces mots : « Je meurs heureuse parce-que je meurs dans le triomphe républicain ! Longue vie à la République ! ». Elle a certainement été une femme libre, sans préjugés, courageuse, tenace. Son nom reste lié à beaucoup de batailles, à une production littéraire importante et au monde du journalisme. La damnatio memoriae que Franco avait essayé n’a pas réussi à l’atteindre, même après sa mort. On lit dans son autobiographie « Je déteste l’hypocrisie et comme je suis indépendante, libre et je ne veux pas être aimée pour les qualités que je ne possède pas, je dis toujours ce que je ressens. Donc, ceux qui m’aiment, m’aiment vraiment. Ceux qui médisent de moi derrière mes épaules , tirent leur chapeau devant moi. Je n’ai jamais pensé à ma croissance personnelle aux dépens de ma liberté ni renoncé à mes convictions ».

Titres et plaques espagnols à Madrid (à gauche et au centre) et à Guadalajara en Castille-La Manche (à droite).

 

Traduzione inglese
Cettina Callea

The smell of a printing shop rises up the nostrils and overwhelmingly attaches itself to the mind, with the memory of emotions. The first approach to the world of publishing came, for Carmen, precisely from those machines owned by her father-in-law, governor of Almeria. In his building the most important newspaper in the capital was printed every day. In short, she had always breathed journalism and politics at home. First in her paternal one, with her father vice consul of Portugal; then in the conjugal one, with not only her father-in-law and his printing house but also with her husband Arturo Alvarez Bustos, journalist and poet. She married - against the wishes of her parents - at sixteen, to a man fifteen years older than she was. To be honest, the marriage had been an unhappy one right from the start. Betrayals and alcohol had certainly not helped, and after the death of Arturo, one of the couple's four children, the choice to go to live in Madrid, bringing her daughter Maria with her, seemed the natural step towards the process of independence that had been maturing in her for some time. She lived temporarily in the house of her old uncle Agustin de Burgos Cañizares, and Carmen decided that they would live on what she would earn alone and began working as a teacher, a title she had achieved in the year of her terrible mourning. That conquered economic self-sufficiency was the first step of the all-out activity that would lead Carmen De Burgos to be what she became: writer, journalist, biographer, editor, conference speaker, columnist, establishing herself as Colombine first, and then reasserting her real first name years later, with reinvigorated energy. Carmen de Burgos y Seguí was born on 10 December 1867 in Almeria to her mother Nicosia Segu Nieto and her father Jose de Burgos Cañizares, the first of ten brothers and sisters. She grew up a few tens of kilometers from there, in Rodalquilar, a village in the Spanish municipality of Níjar in the province of Almeria, within the large valley that is the Cabo de Gata natural park, among the estates and mines owned by her grandfather. A fertile land, of mineral and cultural stratifications that often resurface in her works.

Portrait of Carmen de Burgos.

Less than forty years old, a marriage archived behind her and with the desire to start over, Carmen soon began to experiment in Madrid with her ability to read the facts of the time and write about them with wit. A few months after her arrival, in December 1901, she set foot in the world of journalism with the column "Notas Femeneninas", hosted by the newspaper "El Glogo". Colombine arrived the year after, in 1903. Augusto Suárez de Figueroa was founding the "Universal Diary" and proposed to her to collaborate on the new editorial project with a daily column entitled Lecturas para la mujer. She would deal with women's issues, basically - at least that was the intention, fashion, cuisine, art and beauty. It was the director himself who suggested that she use a French pseudonym. Thus, Colombine was born. That employment contract was the turning point: for the first time in Spain a woman was recognized as a professional journalist. In April 1904 she participated as a journalist in the delegation that accompanied King Alfonso XIII on his trip to Almería. Thus she returned home, to the conservative and Catholic city that she had had to leave the day after her separation from her husband. She visited her family but mainly visited the School of Arts, the Hospice and the Prison and on her return to Madrid she published two articles that recounted the experience. Carmen had the intuition and the ability to break through to the hearts of women by moving from beauty tricks to politics, she did not stop - also for economic reasons - from writing even cooking recipes, but she did not give up her commitment to a better society. She penned articles such as The Wife and Suffrage or The Inspection of Workers' Factories, immediately giving a clear tone to her work. "I am in favor of educating women and providing them with the means to work, as the only way to give them dignity, making them independent and able to take care of their needs on their own," she wrote. It was in those pages and those days, that her commitment to the affirmation of divorce in Spain was born. It all began almost by chance, when, looking for a topic to be treated in her column of the "Universal Diary", her gaze and thought lingered on a letter sent to her by the writer Vicente Casanova. The latter wanted to inform her of the existence of a "Club de matrimonios mal avenidos". Curiosity soon turned into a convinced awareness campaign. From a simple reflection for a column to real civil mobilization it was a short step. And not painless. Colombine's pen summoned intellectuals, politicians, and civil society. It was time, she was convinced, for Spain to adopt a law that formally allowed for the dissolution of a failed marriage. Divorce was "convenient for society and morality", she would prove, and also asked others to express themselves, to take a stand. The topic was now on the table, and many people took a stand with Colombine. Important intellectuals of the time responded to her "call" by referring to the article signed by her which gave rise to what seemed almost a survey with the clear-cut question: who is in favor of a divorce law? Too clear for politics, which chooses not to expose itself. But clear to the women and men who answered with conviction. The for and the against alternated, each arguing for yes or no. There were many names in the culture who did not evade the debate, and who wrote letters to Colombine, explaining their reasons for divorce or for opposing it. The magazine was not enough to welcome this collective reflection and on the other hand the level of the debate had become too politically demanding for a magazine that basically only asked her to write about “women's issues”. Therefore, in 1904 Carmen De Burgos published the volume entitled El divorcio en España. She decided to divide the work into two parts: the first collected the letters sent by the most illustrious personalities, while the second was formed by the responses of readers of the newspaper. Two distinct parts but with equal dignity and a single conclusion. Thanks to the survey she initiated and developed, she compared the results and verified that the majority of the country was in favor of divorce. The campaign did not spare daring approaches: arguing with the possibility granted to the nuns to leave the cloister, provocatively defined "el divorcio de las monjas", one would ask: if nuns can leave the cloister, why can't a wife divorce her husband? Her great exposition on the subject earned her the admiration of prominent people such as Giner de los Ríos and Blasco Ibáñez, but it had also brought her harsh criticism from the ecclesiastical world and the conservative sectors of the country and when a few years later, in the 1907, the conservative Antonio Maura came to the government, the Minister of Public Education Rodríguez-San Pedro transferred her to Toledo to remove her from Madrid. In addition to the divorce issue, Carmen immediately ventured into another terrain, no less disliked by a certain school of thought. In 1906 she began to collaborate with another newspaper, "El Heraldo de Madrid" and from these pages, with a new column entitled "El voto de la mujier", she started a campaign in favor of women's suffrage. "It is truly absurd that ignorant people have the right to vote only because they are men, and that educated women are denied this right only because they are women," she wrote. And then, again, articles on the education of women, on work, on the theme of the economic treatment of workers, and on the question of equal pay for men and women. She sided in favor of the Sephardim (the Jews of the Iberian Peninsula), against the death penalty and in defense of childhood and a new didactic approach. The progressive world was with her, invitations to conferences and debates increased. More and more hated, however, by those forces that were coming to power in Spain. And it would have been worse later, in the Franco era when, although no longer alive, Carmen de Burgos was condemned to oblivion along with her works, many of which, according to various historical reconstructions, were destroyed. This, however, would happen in the future. But the move to Toledo of the writer and teacher, imposed by the government, proved to be an unsuccessful attempt to remove her from the centre of the debate. Carmen, on the other hand, had really already physically moved away from Madrid. In 1905 she had obtained a scholarship from the Ministry of Public Education to analyze the teaching systems of other countries and had taken the opportunity to explore for almost a year in France, Italy, England and Monaco. An experience that had enriched her and pushed her, as soon as she returned from France, to found "La tertulia modernista", the literary circle that Carmen continued to nurture even from Toledo. So, without delay, every week she continued tirelessly to return to Madrid to host writers, journalists, artists, musicians, and foreign poets passing through the city at the club. The seeds were being sown for the birth of the "Revista Critica", but also for bonds of great strength. It was at the club that she met Ramón Gómez de la Serna, then an unknown eighteen-year-old student, and thus began a relationship, sentimental and epistolary, which lasted for over twenty years. A sincere affection, which did not spare her the criticism for that love with a much younger man, nor pain and bitterness for a brief close relationship between Ramón and her daughter Maria on the occasion of the young woman's participation in a comedy written by Gómez . It was a hard blow for Carmen but she forgave both of them. Years later in his Automoribundia about his relationship with Carmen, the Ramon wrote: "You on the one hand and I on the other, from a narrow table, we wrote and wrote long hours and read chapters, chronicles, short stories, prose poems." One of the few portraits that restored Carmen's dignity as a woman and writer is also owed to de la Serna. It was he who remembered her early years in Madrid "with a sad hat" and "her daughter in her arms" writing, writing and writing, for passion but also to earn a living. On the other hand, Carmen was the first woman to live off her writing, she was the first editor and she was also the first female journalist to be a war correspondent. When the time of war also came and Colombine's pen did not remain on the table. On July 9, 1909, the rifeños from the heights of the Riff attacked a group of Spanish workers who were building a bridge for the mining railway about three kilometers from Melilla, the Spanish city still today an enclave in Moroccan territory. The great indignation of the Spanish people was followed by the harsh reprisal of the government chaired by Maura. Two days after the attack, the Spanish military troops left for the Moroccan region.

Carmen Burgos with the Spanish soldiers in Melilla.

It was, in fact, the beginning of the Riff War, to which the reservists were also called. On 27 July 1909, during what was renamed by history the "tragic week", the terrible defeat of the Barranco del Lobo took place. The rifeños took refuge on the summit of Gurugú and the choice of the Spanish troops proved to be a fatal massacre. Carmen de Burgos, a guest at the field hospital set up by the Red Cross, thus decided to approach the Spanish troops who were fighting around Melilla to see and understand directly from the front. From there her war correspondences for the newspaper "El Heraldo" of Malaga; then, once back in Madrid, she published the article Guerra a la Guerra, in which she defended the pioneers of conscientious objection. "The civilized world - the article said - puts the gun in the man's hand, gives him the order to kill, and if the man throws the gun and refuses to be a murderer, he is treated like a criminal. Every man must, first of all, and whatever the cost, refuse such servitude”. A few weeks after her return, the experience in war territory became En la Guerra, a story that contains all the emotions recorded on the field. Carmen De Burgos had listened to and touched the suffering, the fear, the violence, she had been "inside" the war, among the soldiers. And she had to tell it as only she knew how to do. The Moroccan experience, moreover, was enriched in the work En la Guerra also by the chronicles of the First World War that Carmen was able to encounter on her journey to the Nordic countries: a journey that she had to interrupt before arriving in Russia because being suspected of being a spy, searched and taken off a train to Scandinavia. 1909 was also the year of her first novel: Los Misadaptados, a genre that she continued to cultivate in the years that followed with La Rampa (1917), The Antiquarians (1919), The Spirits (1923), The Fantastic Woman (1924), I want to Live My Life (1931). In the same year Carmen was appointed professor at the Central Normal School in Madrid, after having also attended the course of Methodology for teaching the deaf, dumb and blind. In 1911 she was appointed professor at the Madrid School of Arts and Crafts. Por Europa, published in 1910, was the result of her long and passionate travels on the Continent, but there was no shortage of travel reports in America and Argentina. Each trip was an opportunity to get to know and deal with progressive and feminist movements. In the meantime, her commitment to the issues of the female condition was never abandoned, although always with little affection for the concept of feminism. In 1915 a great friendship was born, which was destined to last a lifetime: the one with Ana de Castro Osorio, who personified the battle for women's rights fought in Portugal and which would influence the birth of the Spanish crusade that took place in 1921. In 1922, the Spanish Women's Crusade organized a demonstration to deliver all their demands in Parliament: the introduction of divorce, the possibility of paternity investigation, equal rights for legitimate and illegitimate girls and boys, the reform of rules that discriminated against women. In 1921 she wrote, for the series Novela Corta, Article 438. The penal code approved in 1870, still in force fifty years later, actually governed a sort of honor killing: the husband who killed his wife caught in the act of adultery was punished with a ban on approaching the place from which he was banned for about 25 kilometers. The rule also applied to parents who had found a minor daughter (therefore under the age of 23) with a lover but it was not valid, however, if the wife had discovered the unfaithful husband. With her story, Carmen asked for the abrogation of the law by starting a battle that was both legal and cultural. In the meantime she presided over the Crusader Association of Spanish Women, led the first protest demonstration of the suffragists in Spain and began to argue her ideas in demonstrations and public forums to which she was invited more and more often. In 1923 Carmen published Malcasada (badly married), set completely in Almeria and from whose lines the bitterness of a society that prevented a woman from escaping an unhappy marriage leaked out. These were also the years in which she approached the Republican Radical Socialist Party, after leaving the Spanish Socialist Workers' Party in controversy with the latter's internal reluctance towards the feminist demand for universal suffrage. In her work La mujer moderne y sus derechos (1927), signed no longer by Colombine, the theme of equality and feminism returned, which, Carmen De Burgos wrote, would represent "Not the struggle of the sexes, not even enmity with men, but on the contrary indicates that the woman intends to collaborate with him and at his side”. The work was imbued with travel experiences in other countries, comparing the social and legal status of women. But beyond the labels, there was her manifesto of commitment to women. “You can stop women from voting, but you can't stop them from thinking. Women are considered suitable to shape the character of their children and to educate entire generations, because generally women are involved in early childhood; and we deny them the primary right to instill an education and a sense of civility,” she wrote. And again: “The woman is something more than the female, as the man is something more than the male, from the moment in which intelligence allows them not to be reduced to the role of mere reproducers of the species. A glance, however slight, dedicated to the study of the female sex, shows us that the subordination of women is not the work of nature”. Censored years later by the Franco government and included in the top nine in the list of books prohibited by the National Catholic Inquisition, the book was soon called the "bible of Spanish feminism". Inside there were travels, articles, comparisons with the many personalities and the many simple stories she had encountered in recent years. In the meantime, her work as a writer didn’t stop, resulting in dozens of short stories in print, many of which were published in installments in "El Cuento Semanal". Among the most important will be remembered: The Treasure of the Castle (1907), Paths of Life (1908), The Black Man (1916), The Best Film (1918), The Businessmen of the Puerta del Sol (1919), La Misericordia (1927), and When the Law Requires It (1932). A friend of Blasco Ibáñez, she was a close collaborator of the Sempere publishing house he directed and for a long time she wrote, under the pseudonym Gabriel Luna, for the Valencian newspaper "El Pueblo", founded by Ibáñez. In her prolific activity as a writer there was also no lack of translations of works by authors such as Max Nordau, Ruskin, Renán. Carmen wrote about everything, for passion, for civil commitment and even just to supplement her salary as a teacher, thanks to her conquered and claimed economic independence. She never called herself a feminist, just as she rejected any other label. In 1931 everything Carmen had fought for was born together with the Second Spanish Republic which recognized civil marriage, divorce and women's suffrage. It was a joy, but it was also a reason to continue the assiduous commitment in various organizations more and better, even despite increasingly poor health. In 1932, during a conference on sex education, Carmen collapsed to the ground as the result of an illness that led to her death, in her own home, at dawn the next day. It is said that she would have uttered these words: “I am dying happy because I am dying in the republican triumph! Long live the Republic!”. She was certainly a free woman, without prejudice, courageous, tenacious. Her name remains linked to so many battles, to so much important literary production and to the world of journalism. A sign that the Damnatio Memoriae attempted by Franco after her death did not manage to touch her. She spoke of herself to posterity, in her autobiography: “I hate hypocrisy and since I am independent, free and do not want to be loved for qualities that I do not have, I always say everything I think and feel. So those who love me really love me. Whoever turns away from me from behind takes off his hat in front of me. I never thought about personal gain at the expense of my freedom or by giving up my beliefs”.

Spanish titles and plates in Madrid (left and center) and Guadalajara in Castile-La Mancha (right).

 

Lilli Suburg

Elisabetta Uboldi


Valentina Bartolotta

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Caroline Suburg, soprannominata Lilli, nacque a Vandra Parish, in Estonia, il 1° agosto 1841. Subito dopo la sua nascita, i genitori, Eva e Toomas Suburg, si trasferirono in una residenza nella vicina città di Vana-Vandra, dove Lilli ricevette lezioni private da un’istitutrice. Successivamente, dal 1852 al 1859, Lilli studiò in una scuola privata per ragazze, fondata da Marie von Ditmar nella città di Pardu. Per motivi di salute, però, dovette interrompere i suoi studi per almeno una decina d’anni. Le fu diagnosticata una malattia della pelle chiamata erisipela, un’infezione batterica della cute che colpisce prevalentemente braccia, gambe e volto e si manifesta con febbre; la cute risulta essere arrossata, tesa e calda; possono anche insorgere vescicole e bolle cutanee. Il volto di Lilli era già segnato da un’operazione malriuscita subita nell’infanzia per la rimozione di un tumore e questa malattia peggiorò la situazione, motivo per il quale si rifiutò sempre di farsi fotografare senza una sciarpa che coprisse le cicatrici. Negli anni di malattia, Lilli fu costretta a letto per lunghi periodi, ma non sprecò mai il suo tempo, poiché ne dedicò molto alla lettura. Lesse diversi scritti di Rousseau, Kant e John Stuart Mill. Si sentiva attratta dalla letteratura tedesca e dalla pedagogia e iniziò ad interessarsi e approfondire le tematiche legate ai diritti delle donne, leggendo saggi e libri riguardanti l’argomento. Quando la malattia glielo permise, iniziò ad insegnare ciò che stava apprendendo ai suoi famigliari. Nel 1869 Lilli si riprese completamente e riuscì ad ottenere l’abilitazione all’insegnamento. Nel 1872 fece la conoscenza di Carl Robert Jakobson, uno scrittore e pedagogista che la spronò a scrivere il suo primo racconto. Iniziò infatti la stesura di Liina, un breve testo autobiografico che venne pubblicato nel 1877. La tecnica di scrittura di Lilli si basava sulla cosiddetta “strategia autobiografica”, che l’autrice utilizzava come mezzo per rendere valide le proprie idee in ambito pubblico. Pensava infatti che raccontare la storia della sua vita fosse indispensabile per incoraggiare le donne a trovare la propria strada e sentirsi in grado di prendere le proprie decisioni, slegandosi dai ruoli di madre e moglie imposti alle donne dalla società.

Fu nel 1880 che Lilli adottò Anna Wiegandt, un’orfana di madre morta di parto. Per l’epoca, questo era considerato un gesto rivoluzionario poiché Lilli non era sposata e non si sposò mai. Nello stesso anno, a causa dell’alcolismo del padre, la famiglia si ritrovò in gravi problemi economici, così Lilli e la figlia furono costrette a trasferirsi nella città di Parnu. Fu lì che decise di aprire una scuola privata per ragazze, dove poter insegnare in lingua russa, nonostante ai tempi una legge prevedesse l’obbligo dell’insegnamento in tedesco. Quando la scuola aprì i battenti nel 1882, l’obbligo legale era ancora in vigore e Lilli fu costretta ad insegnare in tedesco. Molte furono le critiche nei confronti dell’apertura di questa istituzione, ma Lilli non si fece piegare da alcun tipo di maldicenza, tant’è che nel 1885 comprò uno stabile più grande nella città di Viljandi e trasferì la scuola nella nuova sede. Il suo intento era quello di attirare più ragazze e ci riuscì, aumentando le iscritte dell’8%. Nonostante fosse costretta ad insegnare in tedesco, Lilli non si dimenticò di menzionare nelle sue lezioni le personalità estoni del tempo: il suo obiettivo era infatti quello di permettere alle discenti di sviluppare un senso di appartenenza alla propria cultura e alle proprie radici, che non erano quelle tedesche. Solo nel 1892 fu permesso l’insegnamento nella lingua russa, anche se Lilli aveva inoltrato diverse richieste alle autorità nel corso degli anni per poter insegnare in russo, ma furono sempre rigettate. Durante il periodo della docenza, Lilli continuò a scrivere diversi libri e racconti e questo la indusse a richiedere i permessi per pubblicare un giornale dedicato alle donne. Nel 1888 il sogno divenne realtà: nacque il primo magazine femminile, dal nome “Linda”. Il giornale trattava argomenti rivoluzionari per il tempo: i diritti delle donne, la genitorialità, il suffragio e l’istruzione femminile. Per Lilli era anche essenziale parlare della possibilità per le donne di scegliere di non sposarsi, come lei aveva fatto. Le sue pubblicazioni furono ampiamente criticate dalle altre testate giornalistiche: all’epoca si riteneva che le donne non fossero in grado di svolgere mansioni intellettuali, quindi Lilli non era vista come un’intellettuale, bensì come una donna che si comportava in modo inappropriato, poiché si interessava di argomenti che erano prerogativa maschile.

Ma è ben noto che diverse donne erano attratte dalle idee e dai pensieri di Lilli, tanto da comprare il giornale di nascosto da mariti e sguardi indiscreti. Una voce rivoluzionaria e fuori dal coro era ciò di cui le donne avevano bisogno e contribuì a smuovere le coscienze su temi considerati scomodi, come il diritto di voto, ottenuto dalle estoni nel 1917. Lilli credeva fermamente nell’uguaglianza: le differenze tra le persone, siano esse di sesso o di etnia, non devono in alcun modo limitare la possibilità di realizzazione del singolo individuo. In un suo articolo Lilli scriveva: «Questa è una chiamata che resterà importante: svegliatevi, donne estoni, dall’inerzia, dalla debolezza e dall’oscurità della mente e guardate quanto lontano e quanto in alto può arrivare la naturale mente delle donne; iniziate a conoscere le basilari nozioni della scienza, lavatevi gli occhi con la conoscenza, così saranno più puliti e in grado di cogliere più chiaramente l’idea della bellezza di ciò che ci circonda.» Alcuni sostenevano che la rivista diffondesse volontariamente ostilità tra uomini e donne. Il sogno del magazine femminile si spense nel 1894, quando Lilli fu costretta a vendere il giornale a causa di problemi finanziari, ma le idee e gli spunti di riflessione che era riuscita a trasmettere rimasero scolpiti nella mente di molte donne dell’epoca. Nel 1899 la figlia Anna, a cui fu affidata la gestione della scuola di Viljandi, decise di chiuderla, dopo essersi sposata e trasferita a Omuli. Lilli seguì la figlia e insieme aprirono una nuova scuola in città, in cui insegnarono fino al 1907. Nel 1900 Lilli pubblicò il suo ultimo racconto intitolato Linda, the people’s daughter e successivamente si dedicò alla scrittura delle proprie memorie. In uno dei racconti pubblicati negli ultimi anni, Lilli scriveva:«Ora posso sperare che le persone comprendano meglio il mio messaggio, rispetto a quando ho iniziato a rendere pubblico il mio pensiero - come un uccello solitario in una landa desolata dove risuonano solo scherni e insulti.» Nel 1916 fu riconosciuta come una delle prime femministe estoni e una delle poche donne ad aver pubblicato i suoi scritti con il proprio nome e non con uno pseudonimo maschile. Diventò anche membro onorario della Tartu Women’s Society, un’associazione che aveva l’obiettivo di svegliare le coscienze femminili, in materia di diritti civili e politici. Nel maggio del 1917 l’associazione organizzò il suo primo congresso, ma Lilli non riuscì a parteciparvi per motivi di salute. Negli ultimi anni di vita, Lilli visitò spesso la sorella nella città di Valga e fu proprio lì che morì l’8 febbraio del 1923, all’età di 81 anni. Fu sepolta nel cimitero di Vandra, dove nel 1926 fu eretto un monumento alla sua memoria. Nel 1982, inoltre, nel sito che ospitava la sua scuola in Viljandi, fu apposta una targa in suo onore.

 

Traduzione francese
Giuliana Gaudenzi

Caroline Suburg, surnommée Lilli, est née à Vandra Parish, en Estonie, le 1er Aout 1841. Tout de suite après sa naissance, ses parents, Eva et Toomas Suburg, ont déménagé dans une maison de la proche ville de Vana-Vandra, où Lilli a reçu des leçons privées par une institutrice. Ensuite, de 1852 à 1859, Lilli a étudié dans une école privée pour jeunes filles, fondée par Marie von Ditmar dans la ville de Pardu. Mais, pour des raisons de santé, a du interrompre ses études pendant au moins une dizaine d’années. On lui a diagnostiqué une maladie de la peau nommée érésipèle, une infection bactérienne de la peau qui frappe principalement bras, jambes et visage et se manifeste par de la fièvre ; la peau est rougie, tendue et chaude ; peuvent aussi se manifester des vésicules et des cloques de la peau. Le visage de Lilli était déjà marqué par une intervention chirurgicale qui avait mal tourné, subie dans son enfance pour l’enlèvement d’une tumeur et cette maladie a empiré la situation, raison pour laquelle elle a toujours refusé de se faire photographier sans une écharpe pour cacher les cicatrices. Durant les années de sa maladie, Lilli a du rester au lit pendant de longues périodes, mais elle n’a jamais gaspillé son temps, qu’elle a beaucoup consacré à la lecture. Elle a lu plusieurs écrits de Rousseau, de Kant et de John Stuart Mill. Elle était attirée par la littérature allemande et par la pédagogie et elle a commencé à s’intéresser et à approfondir les questions liées aux droits des femmes, en lisant des essais et des livres concernant ce sujet. Quand sa maladie le lui a permis, elle a commencé à enseigner à ses familiers ce qu’elle était en train d’apprendre. En 1869 elle s’est complètement rétablie et a réussi à décrocher l’habilitation à l’enseignement. En 1872 elle a fait la connaissance de Carl Robert Jakobson, écrivain et pédagogue qui la poussa à écrire sa première nouvelle. En effet, elle a commencé la rédaction de Liina, un court texte autobiographique qui a été publié en 1877. La méthode d’écriture de Lilli reposait sur la « stratégie autobiographique », que l’auteure utilisait comme moyen pour rendre valables ses propres idées sur le plan public. D’ailleurs elle estimait que raconter l’histoire de sa vie était indispensable pour encourager les femmes à trouver leur propre chemin et à se sentir capable de prendre ses propres décisions, en se défaisant des rôles de mère et d’épouse imposés aux femmes par la société.

En 1880 Lilli a adopté Anna Wiegandt, une orpheline dont la mère était morte en couche. A l’époque, ce geste était considéré révolutionnaire parce-que Lilli n’était pas mariée et elle ne s’est jamais mariée. La même année, à cause de l’alcoolisme de son père, la famille s’est trouvée confrontée à des sérieux problèmes d’argent, ainsi Lilli et sa fille ont été contraintes à déménager dans la ville de Parnu. Là, elle a décidé d’ouvrir une école privée pour jeunes filles, où on pouvait enseigner en langue russe, même si en ces temps-là une loi prévoyait l’obligation d’enseigner en allemand. Quand l’école a ouvert ses portes en 1882, l’obligation légale était encore en vigueur et Lilli a été contrainte d’enseigner en allemand. L’ouverture de cette école a été très critiquée, mais Lilli n’a pas fléchi face à toute sorte de médisance, tant et si bien qu’en 1885 elle a acheté un immeuble plus grand dans la ville de Viljandi et elle a déplacé l’école dans le nouveau siège. Son intention était d’attirer davantage de jeunes filles et elle y est arrivée, en augmentant les inscriptions de 8%. Même si elle était contrainte d’enseigner en allemand, Lilli n’a pas oublié de mentionner dans ses leçons les personnalités estoniennes de l’époque, car son objectif était de permettre aux étudiantes de développer un sentiment d’appartenance à leur propre culture et à leurs propres racines, qui n’étaient pas allemandes. Seulement en 1892 a été permis l’enseignement en langue russe, même si, au fil du temps, Lilli avait envoyé plusieurs demandes aux autorités pour pouvoir enseigner en russe, qui avaient été toujours rejetées. Pendant la période d’enseignement, Lilli a continué à écrire des livres et des nouvelles et cela l’a poussée à demander l’autorisation à publier un magazine dédié aux femmes. En 1888 le rêve est devenu réalité : le premier magazine féminin, appelé « Linda », est né. La revue s’occupait de sujets révolutionnaires pour l’époque : les droits des femmes, la parentalité, le vote et l’instruction féminine. Pour Lilli était aussi essentiel de parler de la possibilité pour les femmes de choisir de ne pas se marier, ce qu’elle avait fait. Ses publications ont été largement critiquées par les autres journaux : à l’époque on estimait que les femmes n’étaient pas capables d’effectuer des tâches intellectuelles, donc Lilli n’était pas considérée comme une intellectuelle, mais comme une femme qui agissait d’une façon inappropriée, parce qu’elle s’intéressait à des arguments qui étaient l’apanage des hommes.

Mais il est bien connu que beaucoup de femmes étaient attirées par les idées et par la pensée de Lilli, tant et si bien qu’elles achetaient le magazine en cachette des maris et loin des regards indiscrets. Une voix révolutionnaire et dissidente était ce dont les femmes avaient besoin et elle a contribué a remuer les consciences sur des thèmes qui étaient considérés incommodes, comme le droit de vote, obtenu par les estoniennes en 1917. Lilli croyait fermement à l’égalité : les différences entre les gens, que ce soit le sexe ou l’ethnie, ne doivent en aucun cas limiter la possibilité d’accomplissement de chaque individu. Dans un de ses articles Lilli écrivait : « C’est un appel qui restera important : réveillez-vous, femmes estoniennes, de l’inertie, de la faiblesse et de l’obscurité de l’esprit et regardez jusqu’où et à quelle hauteur peut arriver l’esprit des femmes ; commencez à connaitre les notions scientifiques de base, nettoyez vos yeux avec le savoir, ils seront ainsi plus nets et capables de cueillir plus clairement la beauté de ce qui nous entoure » Certains affirmaient que le magazine propageait délibérément hostilité entre hommes et femmes. Le rêve de la revue féminine s’est éteint en 1894, quand Lilli a été contrainte de la vendre à cause de problèmes financiers, mais les idées et les pistes de réflexion qu’elle avait réussi à transmettre sont resté gravés dans l’esprit de beaucoup de femmes de l’époque. En 1899 sa fille Anna, à qui on avait confié la gestion de l’école de Viljandi, a décidé de la fermer, après son mariage et son déménagement à Omuli : Lilli a suivi sa fille et ensemble elles ont ouvert une nouvelle école en ville, dans laquelle elles ont enseigné jusqu’à 1907. En 1900 Lilli a publié sa dernière nouvelle, appelée « Linda, the people’s daughter » et par la suite elle s’est consacrée à l’écriture de ses mémoires. Dans l’une des nouvelles publiées les dernières années, Lilli écrivait « A présent, je peux espérer que les gens comprennent mieux mon message, par rapport à quand j’ai commencé à rendre publique ma pensée – comme un oiseau solitaire dans un désert où résonnent seulement des sarcasmes et des insultes. » En 1916 elle a été acceptée en tant qu’une des premières féministes estoniennes et une des rares femmes à avoir publié ses écrits avec son propre nom et non avec un pseudonyme masculin. Elle est aussi devenue membre honoraire de la Tartu Women’s Society, association qui avait comme objectif celui de réveiller les consciences féminines en matière de droits civils et politiques. En mai 1917 l’association a organisé son premier congrès, mais Lilli n’a pas réussi à y participer pour des raisons de santé. Dans les dernières années de sa vie, Lilli a souvent rendu visite à sa sœur dans la ville de Valga et c’est là qu’elle est décédée le 8 février 1923, à l’âge de 81 ans. Elle a été inhumée dans le cimetière de Vandra, où en 1926 a été érigé un monument à sa mémoire. En 1982, dans le site où avait été bâtie son école de Viljandi, une plaque a été apposée en son honneur.

 

Traduzione inglese
Syd Stapleton

Caroline Suburg, known throughout her life as Lilli, was born in Vandra Parish, Estonia, on August 1, 1841. Soon after her birth, her parents, Eva and Toomas Suburg, moved to the nearby town of Vana-Vandra, where Lilli received private lessons from a governess. In the following years, from 1852 to 1859, Lilli studied in a private school for girls, founded by Marie von Ditmar in the city of Pardu. For health reasons, however, she had to interrupt her studies for at least ten years. She was diagnosed with a skin disease called erysipelas, a bacterial skin infection that mainly affects the arms, legs and face and occurs with a fever. The disease can produce a bright red, uncomfortable rash. Blisters and boils can also arise. Lilli's face was already marked by a botched operation undergone in childhood for the removal of a tumor and this disease worsened the situation. As a result, she always refused to be photographed without a scarf covering the scars. In the years of her illness, she Lilli was confined to bed for long periods, but never wasted her time, devoting much of it to reading. She read writings by Rousseau, Kant and John Stuart Mill. She felt attracted to German literature and pedagogy, and she began to take an interest in and investigate issues related to women's rights, reading essays and books on the subject. When her illness allowed, she began teaching what she was learning to her family. In 1869 Lilli fully recovered and managed to obtain a qualification for teaching. In 1872 she made the acquaintance of Carl Robert Jakobson, a writer and teacher who urged her to write her first story. She began writing “Liina”, a short autobiographical tale that was published in 1877. Lilli's writing technique was based on the so-called "autobiographical strategy", which the author used as a means to present her ideas in the public sphere. She thought that telling the story of her life was essential to encourage women to find their own path, and feel able to make their own decisions, disconnecting from the socially-imposed roles of mother and wife.

In 1880, Lilli adopted Anna Wiegandt, an orphan whose mother died in childbirth. For the time, this was considered a revolutionary gesture since Lilli had never married. In the same year, due to her father's alcoholism, the family found itself in serious economic trouble. Lilli and her daughter were forced to move to the city of Parnu. It was there that she decided to open a private school for girls, where she intended to teach in Russian, despite a law of the time requiring that students be taught in German. When the school opened in 1882, the legal obligation was still in place and Lilli was forced to teach in German. There were many criticisms of the opening of this institution, but Lilli did not allow herself to be swayed by the backbiting - so much so that in 1885 she bought a larger building in the city of Viljandi and moved the school to its new location. Her intention was to attract more girls and she succeeded, increasing enrollment by 8%. Despite being forced to teach in German, Lilli did not neglect teaching about the key Estonian personalities of the time in her lessons. Her goal was to encourage her students to appreciate their own culture and roots, which were not German. Only in 1892 was teaching in the Russian language allowed. Until that time, Lilli’s years of requests to the authorities to be able to teach in Russian were always rejected. During her teaching time, Lilli continued to write - books and short stories - and this led her to apply for permission to publish a newspaper dedicated to women. In 1888 the dream became reality. The first women's magazine was born, called “Linda”. The newspaper dealt with revolutionary topics for the time: women's rights, parenting, suffrage and women's education. For Lilli, it was also essential to talk about the possibility for women to choose not to marry, as she had done. Her publications were widely criticized by other newspapers. In that time and place many maintained that women were unable to perform intellectual tasks. As a result, her critics saw Lilli not as an intellectual, but as a woman who behaved inappropriately, since she was interested in subjects that were supposed to be a male prerogative.

But it is well known that many women were attracted to Lilli's ideas and thoughts, so much so that they bought the newspaper secretly, away from husbands and prying eyes. A revolutionary and unconventional voice was what women needed, and it helped to raise consciousness on issues considered uncomfortable, such as the right to vote, finally obtained by Estonian women in 1917. Lilli firmly believed in equality: the differences between people, be they of sex or ethnicity, must not be allowed to limit in any way the possibilities for development of any single individual. In one of her articles, Lilli wrote: "This is a call that will remain important. Wake up, Estonian women, from inertia, weakness and mental darkness and see how far and how high the natural mind of women can reach. Begin to learn the underlying principles of science, flood your eyes with knowledge, so they will be clearer and more able to grasp the idea of ​​the beauty that surrounds us." Some claimed that the magazine purposely provoked hostility between men and women. The dream of the women's magazine died out in 1894, when Lilli was forced to sell the newspaper due to financial problems, but the ideas and insights she had managed to convey remained engraved in the minds of many women of the time. In 1899 her daughter, Anna, who was entrusted with the management of the Viljandi school, decided to close it, after getting married and moving to Omuli, Latvia. Lilli followed her daughter and together they opened a new school in the city, where they taught until 1907. In 1900 Lilli published her last fiction entitled “Linda, the People 's Daughter” and subsequently devoted herself to writing her own memoirs. In one of her writings published in her later years, Lilli wrote, "Now I can hope that people understand my message better than when I started to make my thoughts public – when I was a lonely bird in a desolate landscape that rang with only jokes and insults. " In 1916 she was recognized as one of the first Estonian feminists, and one of the few women to have published her writings under her own name and not under a male pseudonym. She also became an honorary member of the Tartu Women 's Society, an association that had the aim of awakening women's consciousness in matters of civil and political rights. In May 1917 the association organized its first congress, but Lilli was unable to attend for health reasons. In the last years of her life, Lilli often visited her sister in the city of Valga and it was there that she died on February 8, 1923, at the age of 81. She was buried in the Vandra cemetery, where a monument in her memory was erected in 1926. In 1982, a plaque in her honor was placed at the site of her school in Viljandi.

Milena Jesenskà

Paola Malacarne


Valentina Bartolotta

6441 Milenajesenská è un asteroide della fascia principale, scoperto nel 1988 e dedicato a lei, Milena Jesenská: traduttrice, scrittrice, giornalista ceca, attiva nella Resistenza, deportata a Ravensbrück e proclamata Giusta fra le Nazioni nel 1994. Un riconoscimento, nello spazio toponomastico dell’universo, a una donna dalla personalità così complessa e variegata da sfuggire a una definizione univoca, ma conosciuta ai più soltanto per essere «l’amica di Kafka» in quanto destinataria delle sue lettere. Milena, che tradotto in lingue slave significa allo stesso tempo amante e amata, sembra realizzare il significato del suo nome nella generosità estrema che la caratterizza, donandosi nello stesso modo alle persone amate così come agli ideali che orientano la sua vita. Anticonformista, ribelle, difensora della giustizia, politicamente e culturalmente impegnata nelle vicende dolorose del suo tempo, sin da piccola apprese, nel comportamento di sfida del padre caratterizzato dal suo «stare dritto e porgere aiuto», quel comportamento eroico ed altruista che ne illuminò tutta la vita. Nacque a Praga il 10 agosto 1896; suo padre, Jan Jesenský, fu un noto chirurgo dentista e professore presso l’Università Carolina; la madre, Milena Hejzlarová, che Milena accudirà durante la lunga malattia, diventando la sua infermiera quasi a tempo pieno, morì quando lei aveva appena 16 anni. Frequentò il "Minerva" a Praga, uno dei primi licei femminili in Europa, fondato nel 1890 da una donna determinata e colta, la scrittrice Eliška Krásnohorská. In quel periodo scoprì il valore terapeutico della scrittura iniziando a pubblicare qualche articolo sul giornale scolastico; tra questi, ricordiamo Le nostre aspirazioni dove descrisse la struttura della sua scuola ideale, il liceo femminile che sognava di aprire quando fosse stata adulta. Fu però la corrispondenza con la sua insegnante prediletta, Albína Honzáková, una delle prime donne ceche laureate in filosofia, a renderle più lievi e significativi gli anni della scuola. In quel periodo fece parte di un gruppo di ragazze intellettualmente vivaci che si facevano notare per il comportamento libero e provocatoriamente anticonformista, varcando i confini geografici che tradizionalmente separavano nella città la popolazione ceca da quella tedesca e sognando un mondo in cui le donne potessero ricoprire un ruolo sociale oltre che familiare. Milena era quella che dettava le regole e sul suo conto circolavano leggende: si diceva che sperperasse denaro come una pazza oppure che avesse attraversato a nuoto la Moldava con gli abiti addosso per non perdere un appuntamento o ancora che fosse stata arrestata alle cinque del mattino per aver raccolto fiori per un ragazzo in un parco pubblico. Dopo il liceo il padre volle che la figlia studiasse medicina per continuare la tradizione di famiglia costringendola perfino ad assistere alle operazioni per ricostruire i volti distrutti dei feriti della Prima guerra mondiale. Ma Milena non diventò mai medica: dopo due semestri abbandonò gli studi. La sua grande passione era il mondo della letteratura e, proprio frequentando i circoli letterari di Praga, conobbe Ernst Pollak, intellettuale e critico ebreo che sposò nel 1918 contro il volere del padre (nazionalista e antisemita), il quale, sperando di impedirle di compiere questo passo, arrivò a farla rinchiudere per nove mesi nella clinica psichiatrica di Veleslavín.

Con il marito si trasferirono a Vienna, ma poiché gli introiti di Pollak non erano sufficienti per vivere dignitosamente, Milena decise di contribuire, all'inizio svolgendo i lavori più umili, poi cominciando a scrivere i primi articoli, intraprendendo così la tanto desiderata carriera giornalistica, infine facendo traduzioni dal tedesco al ceco (tradusse, fra gli altri, testi di Rosa Luxemburg, Hermann Broch, Franz Werfel, Stevenson, Guillaume Apollinaire, Paul Claudel). Per questo motivo contattò lo scrittore, allora semisconosciuto, Franz Kafka proponendogli la traduzione del racconto Il fuochista. Lui accettò: iniziò così un rapporto epistolare che, nel mutare dei sentimenti, assunse ben presto toni intimi e appassionati, toccando tutti i meandri dell’esistenza e trasformandosi in letteratura. A lei, lo scrittore dedicò il libro: Lettere a Milena e a lei, come segno di stima e totale fiducia, lasciò i propri diari. Ma il rapporto con Kafka, iniziato nell’aprile del 1920 mentre lo scrittore, affetto da tubercolosi polmonare, si trova a Merano per un periodo di cura e di riposo, si concluse presto perché, come lei stessa dirà: «Io avevo i piedi ancorati saldissimamente in questa terra, non ero in grado di abbandonare mio marito e forse ero troppo donna per trovare la forza di assoggettarmi a una vita che sarebbe stata, sapevo bene, la più rigorosa ascesi fino alla morte. Dentro di me c’è però un invincibile desiderio, un desiderio folle di una vita tutta diversa da quella che faccio e che forse non farò mai, di una vita con un figlio, di una vita che sia molto vicina alla terra.» A Vienna, Milena cominciò anche a scrivere per alcune delle più note riviste di Praga: "Tribuna", "Národní listy","Pestrý týden" e "Lidové noviny". Nei suoi articoli rivelò ottime capacità di analisi sociologica, non fermandosi alla superficie degli eventi e delle situazioni né lasciandosi condizionare da stereotipi o semplificazioni ma, da reporter professionista, verificando sul campo le notizie, cogliendone il senso dal dialogo diretto con le persone, tenendosi lontana sia dalle ideologie che dalla retorica. Nel 1925 Jesenská divorziò da Pollak; pur essendo una donna libera mal si adattava alla promiscuità sessuale proclamata dal marito. Ritornò a Praga, dove conobbe e sposò l'architetto ceco Jaromír Krejcar e nel 1928 nacque la figlia Jana. Ma durante la gravidanza sviluppò una grave e dolorosissima forma di artrite che la renderà claudicante e, per un lungo periodo, dipendente dalla morfina. Milena sperimenterà in questa fase tutte le contraddizioni dell’essere madre e donna che già aveva espresso nel desiderio profondo di maternità e, contemporaneamente, nella paura di perdere la propria libertà. Temeva per le ripercussioni che avrebbero potuto riverberarsi sul suo lavoro e sulla sua vita privata; timori che non risulteranno infondati. Durante la malattia continuò tenacemente a scrivere i suoi articoli, ma da parte della redazione ricevette segni di insofferenza, minacce di licenziamento, rifiuti netti alle sue domande di anticipo sullo stipendio e disconoscimenti. Negli anni Trenta si avvicinò al comunismo come molti/e altri/e intellettuali cechi/e di quel periodo, affascinata dalle vicende dell’Unione Sovietica e dai princìpi del comunismo che le apparivano molto vicini ai suoi sentimenti di attenzione e cura verso le persone più deboli, ma la sua appassionata partecipazione si trasformò in critica radicale e successivo abbandono per questa ideologia quando prese coscienza degli eccessi dello Stalinismo, le cui somiglianze con il nazismo erano, per lei, evidenti.

Così scriveva: «Ci interesserebbe sapere che cosa è accaduto ai tanti comunisti cechi e ai semplici lavoratori che anni fa sono andati nella Russia sovietica». Milena quindi si attivò per offrire aiuto ai/lle compagni/e latitanti o a quelli/e arrestati/e e condannati/e al carcere che, una volta in libertà, si trovavano ad affrontare gravi problemi economici e abitativi, ospitandoli/e spesso in casa propria. Nel frattempo, anche il suo secondo matrimonio finì. In questa attività di soccorso a compagni e compagne conobbe Evžen Klinger, giovane slovacco, ammalato e ricercato, che Milena accolse nella sua abitazione e con il quale iniziò una profondissima relazione. Sarà con Evžen, il quale resterà a vivere con lei prendendosi cura anche della figlia, che vedrà realizzato il suo ideale di amore coniugale espresso nell’articolo Il diavolo in casa: per lei il vero amore risiede nell’affermazione «Non ti do via» … nonostante tutti gli errori e le manchevolezze reciproche, così come dice una mamma ai suoi bambini. Intanto in Cecoslovacchia si riversavano centinaia di profughi dalla Germania in cerca di salvezza: erano ebrei e comunisti, adulti/e, vecchi e bambini/e. Milena non poteva restare indifferente di fronte a questo grido d’aiuto collettivo e il 27 ottobre pubblicò un lungo articolo - Uomini sull’orlo dell’abisso- sulla condizione degli emigrati tedeschi. Quando nel marzo 1939 le truppe hitleriane invasero il suo Paese, ella capì che avrebbe dovuto concentrare tutti i suoi sforzi nell'aiuto alla popolazione ebraica. Mentre scriveva sulla prestigiosa rivista "Přítomnost" dell'ascesa del Partito nazista in Germania, dell’indottrinamento nazista nelle scuole, dell’antisemitismo, dell'annessione dell'Austria e sulle conseguenze che tutto ciò avrebbe avuto per la Cecoslovacchia, entrò nella Resistenza. Aiutò persone ebree e rifugiati politici a fuggire, dando vita, insieme al giovane Joachim von Zedtwitz, a una rete di salvataggio. Nel novembre 1939, mentre diffondeva materiale sovversivo, fu arrestata dalla Gestapo e incarcerata, prima a Pankrác poi a Dresda. Nell'ottobre 1940 fu deportata nel campo di concentramento di Ravensbrück. I quattro anni di prigionia sono stati raccontati con viva partecipazione da un’altra grande donna, che nel campo diventa sua confidente e amante: Margarete Buber-Neumann, comunista tedesca precedentemente internata nel Gulag di Karakanda in Kazakistan e poi consegnata alla Gestapo, che le sopravviverà e ne scriverà la biografia: Milena. L’amica di Kafka. Qui fornì sostegno morale e psicologico alle altre prigioniere. Sul braccio portava il numero 4714, ma molte la chiamavano 4711 come la famosa acqua di colonia e, sempre per lo stesso motivo, invece che Krejcarová, venne soprannominata Carevna, in russo sovrana. Ella si poteva distinguere tra le altre prigioniere, anche se indossava la stessa uniforme, per il suo modo di muoversi, per il suo modo di parlare e per ogni suo gesto, che sembrava gridare: io sono una persona libera. Morì nello stesso campo il 17 maggio 1944. Cinquant’anni dopo lo Yad Vashem ne riconoscerà i meriti. «[...] verrà davvero il giorno in cui potremo vivere fianco a fianco – tedeschi, cechi, francesi, russi, inglesi – senza farci del male, senza doverci odiare, senza farci torto a vicenda? Verrà davvero il giorno in cui fra gli Stati ci sarà comprensione come fra gli individui? Cadranno un giorno le frontiere fra i Paesi, così come cadono quelle fra gli uomini quando essi si avvicinano? Come sarebbe bello vedere quel giorno!» "Přítomnost" - Praga, la mattina del 15 marzo 1939.

 

Traduzione francese
Valentina Simi

6441 Milenajesenska est un astéroïde de la ceinture principale, découvert en 1988 et dédié à Milena Jesenská : traductrice, écrivaine, journaliste tchèque, active dans la Résistance, déportée à Ravensbrück et proclamée Juste parmi les Nations en 1994. Une reconnaissance, dans l’espace toponymique de l’univers, à une femme à la personnalité si complexe et variée qu’elle échappe à une définition univoque, mais connue de la plupart uniquement pour être " l’amie de Kafka " comme destinataire de ses lettres. Milena, qui traduit en langues slaves signifie à la fois amante et bien-aimée, semble réaliser le sens de son nom dans l’extrême générosité qui la caractérise, se donnant de la même manière aux êtres chers ainsi qu’aux idéaux qui guident sa vie. Anticonformiste, rebelle, défenseure de la justice, engagée politiquement et culturellement dans les événements douloureux de son temps, elle apprit dès son plus jeune âge, grâce au comportement provocateur de son père caractérisé par son "se tenir droit et apporter son aide", ce comportement héroïque et altruiste qui a illuminé toute sa vie. Né à Prague le 10 août 1896, son père, Jan Jesensky, était un chirurgien-dentiste renommé et professeur à l’université Charles de Prague ; sa mère, Milena Hejzlarová, que Milena soigna pendant sa longue maladie, devenant son infirmière presque à temps plein, décéda alors qu’elle n’avait que 16 ans. Elle fréquenta le lycée "Minerva" à Prague, l’un des premiers lycées pour filles d’Europe, fondé en 1890 par une femme déterminée et cultivée, l’écrivaine Eliska Krásnohorská. Durant cette période, elle découvrit la valeur thérapeutique de l’écriture à l’occasion de la publication de quelques articles dans le journal de l’école ; parmi ceux-ci, on se souvient de Nos aspirations où elle décrivait la structure de son école idéale : le lycée pour filles qu’elle rêvait d’ouvrir lorsqu’elle serait adulte. Mais ce fut la correspondance avec son enseignante préférée, Albína Honzáková, l’une des premières femmes tchèques diplômée en philosophie, qui rendit ses années scolaires plus douces et plus riches. À cette époque, elle faisait partie d’un groupe de filles intellectuellement vives qui se distinguaient par leur comportement libre et provocateur, anticonformiste, ignorant les frontières géographiques qui séparaient traditionnellement la population tchèque de la population allemande de la ville et rêvant d’un monde dans lequel les femmes pourraient couvrir un rôle social autre que familial. Milena était celle qui dictait les règles, et des nombreuses légendes commencèrent à circuler à son sujet : on disait qu’elle gaspillait de l’argent comme une folle, ou qu’elle avait traversé à la nage la Vltava tout habillée pour ne pas manquer un rendez-vous, ou qu’elle s’était fait arrêter à cinq heures du matin pour avoir cueilli des fleurs pour un garçon dans un jardin public. Après le lycée, le père voulait que sa fille fît médecine pour perpétuer la tradition familiale, la forçant même à assister à des opérations de reconstruction des visages détruits des blessés de la Première Guerre mondiale. Mais Milena n’est jamais devenue médecin : après deux semestres, elle abandonna ses études. Sa grande passion était le monde de la littérature et, fréquentant les cercles littéraires de Prague, elle rencontra Ernst Pollak, intellectuel et critique juif qu’elle épousa en 1918 contre la volonté de son père (nationaliste et antisémite) qui, espérant empêcher cette démarche, réussit à la faire enfermer pendant neuf mois dans la clinique psychiatrique de Veleslavín.

Avec son mari, ils déménagèrent à Vienne, mais, comme les revenus de Pollak n’étaient pas suffisants pour vivre dignement, Milena décida de participer financièrement, d’abord en faisant des travaux plus modestes, puis en commençant à écrire ses premiers articles, se lançant ainsi dans la carrière journalistique tant souhaitée, enfin en faisant des traductions de l’allemand au tchèque (elle a traduit, entre autres, des textes de Rosa Luxemburg, Hermann Broch, Franz Werfel, Stevenson, Guillaume Apollinaire, Paul Claudel). Pour cette raison, elle contacta l’écrivain, alors peu connu, Franz Kafka, lui proposant la traduction du récit " Le soutier ". Il accepta : commença alors une relation épistolaire qui en évoluant, prit bientôt des tons intimes et passionnés, touchant tous les méandres de l’existence et se transformant en littérature. L’écrivain lui dédia le livre Lettres à Milena et en signe d’estime et de confiance totale, lui laissa son journal. Mais la relation avec Kafka, qui débuta en avril 1920 alors que l’écrivain, atteint de tuberculose pulmonaire, était à Mérano pour une période de traitement et de repos, a vite pris fin car, comme elle le dira elle-même : « j’avais les pieds ancrés fermement dans cette terre, je n’étais pas capable d’abandonner mon mari et peut-être étais-je trop femme pour trouver la force de me soumettre à une vie qui serait, je le savais bien, la plus rigoureuse jusqu’à la fin de mes jours. Mais en moi il y a un désir irrépressible, un désir fou d’une vie complètement différente de celle que j’ai et que je n’aurai peut-être jamais, une vie avec un enfant, une vie très proche de la terre. » À Vienne, Milena a également commencé à écrire pour certains des magazines les plus célèbres de Prague : "Tribuna", "Národní listy","Pestry tyden " et "Lidové noviny ". Dans ses articles, elle révèle d’excellentes compétences en analyse sociologique, ne s’arrêtant pas à la surface des événements et des situations, ni se laissant conditionner par des stéréotypes ou des simplifications mais, en tant que reporter professionnelle, vérifiant les informations sur le terrain, saisissant leur sens par un dialogue direct avec les gens, s’éloignant à la fois des idéologies et de la rhétorique. En 1925, Jesenská divorça de Pollak ; bien qu’elle fût une femme libre, elle ne s’adaptait pas à la promiscuité sexuelle imposée par son mari. Elle retourna à Prague, où elle rencontra et épousa l’architecte tchèque Jaromír Krejcar et en 1928, naquit sa fille Jana. Mais au cours de sa grossesse, elle développa une forme d’arthrite sévère et douloureuse qui la rendit claudicante et, pendant longtemps, dépendante de la morphine. Milena expérimentera pendant cette période toutes les contradictions entre être mère et femme qu’elle avait déjà exprimées dans le profond désir de maternité et, en même temps, dans la peur de perdre sa liberté. Elle craignait les répercussions qui pourraient se produire sur son travail et sa vie privée ; des craintes qui ne seront pas infondées. Pendant sa maladie, elle continua à écrire ses articles avec persistance, mais reçut de la part de la rédaction des signes d’intolérance, des menaces de licenciement, des refus catégoriques à ses demandes d’avance sur salaire, et des désaveux. Dans les années trente, elle se rapprocha du communisme comme beaucoup d’autres intellectuels tchèques de cette période, fascinée par les événements de l’Union soviétique et par les principes du communisme qui lui semblaient très proches de ses sentiments d’attention et de sollicitude envers les plus faibles, mais sa participation passionnée se transforma en critique radicale et en abandon de cette idéologie quand elle prit conscience des excès du stalinisme, dont les similitudes avec le nazisme étaient pour elle évidentes.

Alors elle écrivit : « Nous voudrions savoir ce qui est arrivé aux nombreux communistes tchèques et simples ouvriers qui sont allés en Russie soviétique il y a des années ». Milena s’activa pour offrir de l’aide à ses compagnons fugitifs ou à ceux arrêtés et condamnés à la prison qui, une fois libérés, s’étaient retrouvés confrontés à de graves problèmes économiques et de logement, les accueillant souvent chez elle. Pendant ce temps, son deuxième mariage avait également pris fin. Pendant cette période de secours à ses compagnons, elle rencontra Evzen Klinger, un jeune slovaque, malade et recherché, que Milena accueillit chez elle et avec qui elle entama une relation très profonde. Elle restera avec Evzen, qui vivra avec elle s’occupant également de sa fille, et avec lequel elle verra concrétiser son idéal d’amour conjugal, comme elle exprime dans l’article : "Le diable dans la maison " : pour elle le véritable amour réside dans l’affirmation "je ne t’abandonne pas"… Malgré toutes les erreurs et les échecs réciproques, comme le dit une mère à ses enfants. Pendant ce temps, des centaines de réfugiés allemands affluaient en Tchécoslovaquie à la recherche de sécurité : c’étaient des Juifs et des communistes, adultes, personnes âgées et enfants. Milena ne pouvait pas rester indifférente face à cet appel à l’aide collectif et le 27 octobre elle publia un long article, « Les hommes au bord du gouffre » sur la condition des émigrants allemands. Lorsque les troupes d’Hitler envahirent son pays en mars 1939, elle se rendit compte qu’elle devait concentrer tous ses efforts sur l’aide à la population juive. En écrivant dans le prestigieux magazine "Přítomnost" sur la montée du parti nazi en Allemagne, l’endoctrinement nazi dans les écoles, l’antisémitisme, l’annexion de l’Autriche et les conséquences que cela aurait eu pour la Tchécoslovaquie, elle entra dans la Résistance. Elle aida les juifs et les réfugiés politiques à s’échapper, créant, avec le jeune Joachim von Zedtwitz, un réseau de sauvetage. En novembre 1939, alors qu’elle répandait des éléments subversifs, elle fut arrêtée par la Gestapo et incarcérée, d’abord à Pankrác puis à Dresde. En octobre 1940, elle fut déportée au camp de concentration de Ravensbrück. Les quatre années d’emprisonnement ont été racontées avec une forte participation d’une autre grande femme, qui dans le camp devint sa confidente et son amante : Margarete Buber-Neumann, une communiste allemande précédemment internée dans le Karakanda Goulag au Kazakhstan, puis remise à la Gestapo, qui lui survivra et écrira sa biographie : Milena. L’amie de Kafka. Elle y fournit un soutien moral et psychologique aux autres détenues. Sur son bras, elle portait le numéro 4714, mais beaucoup l’appelaient 4711 comme la célèbre eau de Cologne et toujours pour la même raison, au lieu de Krejcarová, elle était surnommée Carevna, souveraine en russe. Elle se distinguait des autres prisonnières, même si elle portait le même uniforme, par sa façon de bouger, par sa façon de parler et par chacun de ses gestes qui semblaient crier : je suis une personne libre. Elle mourut dans le même camp le 17 mai 1944. Cinquante ans plus tard, le Yad Vashem en reconnaîtra les mérites. « Viendra-t-il vraiment ce jour où nous pourrons vivre côte à côte, Allemands, Tchèques, Français, Russes, Anglais - sans nous faire de mal, sans être obligés de nous haïr, sans nous faire de tort les uns aux autres ? Un jour les États se comprendront-ils comme se comprennent les individus ? Verra-t-on un jour tomber les frontières entre pays, comme elles tombent lorsque se rencontrent les gens ? Comme il serait beau de voir ce jour ! » (15 mars 1939, "Prítomnost" – Prague, le jour de l’invasion allemande en Tchécoslovaquie)

 

Traduzione inglese
Giovanna Ceccarelli

6441 Milenajesenská is an asteroid of the main belt, discovered in 1988 and dedicated to her, Milena Jesenská: Czech translator, writer, journalist, active in the Resistance, deported to Ravensbrück and proclaimed Just among the Nations in 1994. A recognition, in the toponymic space of the universe, to a woman with a complex and varied personality that escapes a univocal definition but known to most only for being "Kafka's friend" as the recipient of her letters. Milena, which translated into slavic languages means at the same time lover and loved, seems to realize the meaning of her name in the extreme generosity that characterizes her, giving herself in the same way to loved ones as well as to the ideals that guide her life. Nonconformist, rebel, defender of justice, politically and culturally engaged in the painful events of his time, since she was a child, in the defiant behavior of the father characterized by his "standing up straight and offering help", that heroic and altruistic behavior that illuminated all of it the life. She was born in Prague on August 10, 1896; her father, Jan Jesensky, was a well-known dentist and professor at the Carolina University; her mother, Milena Hejzlarová, whom Milena will look after during the long illness, becoming her almost full-time nurse, died when she was just 16 years old. She attended the "Minerva" in Prague, one of the first women's high schools in Europe, founded in 1890 by a determined and cultured woman, the writer Eliška Krásnohorská. In that period she discovered the therapeutic value of writing by starting to publish some articles in the school newspaper; among these, we remember Our aspirations where she described the structure of her ideal school, the women's high school he dreamed of opening when she was an adult. However, correspondence with her favorite teacher, Albína Honzáková, one of the first Czech women with a degree in philosophy, made her school years lighter and more meaningful. At that time she belong to a group of intellectually lively girls who stood out for their free and provocatively unconventional behavior, crossing the geographical boundaries that traditionally separated the Czech and German population in the city and dreaming of a world in which women could cover a social role besides than family ‘one. Milena was the one who dictated the rules and circulated that she squandered money like a madwoman or that she had swam through the Vltava with her clothes on so as not to miss an appointment or that she had been arrested at five in the morning for picking flowers for a boy in a public park. After high school the father wanted her to study medicine so to continue the familys tradition ever obliging her to assist operations to rebuild the destroyed faces of the wounded of the First World War. She never became medical: after two semesters she dropped out of school. Her great passion was the literature world and, just attending the literary circles of Prague, she met Ernst Pollak, a Jewish intellectual and critic who she married in 1918 against the father’s will (nationalist and anti-Semitic), who, hoping to prevent her from fulfilling this step, he got her locked up for nine months in the psychiatric clinic in Veleslavin.

With her husband they moved to Vienna, but since Pollak's income was not enough to live with dignity, Milena decided to contribute, at the beginning doing the most humble jobs, then starting to write the first articles, thus embarking on the much desired journalistic career , finally making translations from German to Czech (she translated, among others, texts by Rosa Luxemburg, Hermann Broch, Franz Werfel, Stevenson, Guillaume Apollinaire, Paul Claudel). For this reason, she contacted the unknown writer Franz Kafka and offered him the translation of the story The stoker. He accepted: so, it started an epistolary relationship which, in changing feelings, soon took on intimate and passionate tones, touching all the maze of existence and transforming itself into literature. The writer dedicated the book: Letters to Milena and for her, as a sign of esteem and total trust, he left her his own’s diaries. But the relationship with Kafka, which began in April 1920 while the writer, suffering from pulmonary tuberculosis, is in Merano for a period of treatment and rest, ended early because, as herself will say: «I had my feet very firmly anchored in this land, I was unable to abandon my husband and perhaps I was too much woman to find the strength to submit to a life that would have been, I knew well, the most rigorous ascetic until death. However inside of me, there is an invincible desire, a crazy desire for completely different life from the one I do and that perhaps I will never do, a life with a son, a life to be is very close to the earth. " In Vienna, Milena also began writing for some of Prague's best-known magazines: "Tribuna", "Národní listy", "Pestrý týden" and "Lidové noviny". In her articles she revealed excellent sociological analysis skills, not stopping on the surface of events and situations nor letting her self be conditioned by stereotypes or simplifications but, as a professional reporter, checking the news on the field, grasping its meaning from direct dialogue with people, keeping away both from ideologies and rhetoric. In 1925 Jesenská divorced Pollak; despite being a free woman, she did not adapt to the sexual promiscuity proclaimed by her husband. She returned to Prague, where she met and married the Czech architect Jaromír Krejcar and in 1928 her daughter Jana was born. But during pregnancy she developed a severe and painful form of arthritis that will make her claudicating and, for a long period, dependent on morphine. At this stage Milena will experience all the contradictions of being a mother and woman who she had already expressed in her deep desire for motherhood and, at the same time, in the fear of losing her freedom. She feared for the repercussions that could have reverberated on her work and her private life; fears that will not be unfounded. During her illness she continued tenaciously to write her articles, but from the editorial office she received signs of impatience, threats of dismissal, net refusals to her applications for advance on the salary and disclaimers. On the thirties she approached communism like many other Czech intellectuals of that period, fascinated by the events of the Soviet Union and the principles of communism that seemed very close to her feelings of attention and care for the weakest people, but her passionate participation turned into radical criticism and subsequent abandonment for this ideology when she became aware of the excesses of Stalinism, whose similarities with Nazism were evident , for her, evident.

So she wrote: "We would like to know what happened to the many Czech Communists and the simple workers who went to Soviet Russia years ago." Milena then went out of her way to offer help to her fugitives or those arrested and sentenced to prison who, once released, were faced with serious economic and housing problems, often hosting them in their own homes. Meanwhile, even her second marriage ended. In this activity of rescuing her companions she met Evžen Klinger, a young Slovak, sick and wanted, Milena she welcomed him in home, and she began a very deep relationship. It will be with Evžen, who will stay with her taking care of her daughter too who will see her ideal of conjugal love expressed in the article The devil in the house fulfilled: for her true love lies in the affirmation «I don't give you away» … Despite all the mistakes and mutual failings, as a mother says to her children. Meanwhile hundreds of refugees from Germany poured into Czechoslovakia in search of salvation: they were Jews and Communists, adults, old people and children. Milena could not remain indifferent to this collective cry for help and on October 27 she published a long article - Men on the brink of the abyss - on the condition of German emigrants. When Hitler's troops invaded her country in March 1939, she understood that she should concentrate all her efforts on helping the Jewish population. While writing in the prestigious magazine "Přitomnost" about the rise of the Nazi’s Party in Germany, the Nazi indoctrination in schools, anti-Semitism, the annexation of Austria and the consequences that all this would have had for Czechoslovakia, she entered the Resistance. He helped Jewish people and political refugees to escape, creating, together with the young Joachim von Zedtwitz, a rescue net. In November 1939, while spreading subversive material, she was arrested by the Gestapo and imprisoned, first in Pankrác then in Dresden. In October 1940 she was deported to the Ravensbrück concentration camp. The four years of imprisonment were told with lively participation by another great woman, who becomes her confidant and lover in the field: Margarete Buber-Neumann, German communist previously interned in the Karakanda Gulag in Kazakhstan and then handed over to the Gestapo, who will survive and write the biography: Milena. Kafka's friend. Here she provided moral and psychological support to the other prisoners. On her arm she carried the number 4714, but many called it 4711 as the famous cologne and, for the same reason, instead, of Krejcarovà, she was nicknamed Carevna, in Russian sovereign. She could be distinguished among the other prisoners, even if she wore the same uniform, for her way of moving, for her way of speaking and for her own’s gesture, which seemed to shout: I am a free person. She died in the same camp on May 7, 1944. Fifty years later, Yad Vashem will recognize her merits. «[...] will be the day that we shall live side by side - Germans, Czechs, French, Russians, English - without hurting ourselves, without having to hate us, without doing us wrong? Will be the day of understanding between States as between individuals? The borders between countries will fall as between men when when getting closer? How nice it would be to see that day! " "Přitomnost" - Prague, on the morning of March 15, 1939.

 

Traduzione ceca
Yana Nekula

6441 Milenajesenska je asteroid hlavního pásu objevený v roce 1988 a věnovaný Mileně Jesenské: české překladatelce, spisovatelce, novinářce aktivní v Odboji, deportované do Ravensbrücku a vyhlášené za Spravedlivou mezi národy v roce 1994. Ocenění v toponymickém prostoru vesmíru pro ženu s tak složitou a různorodou osobností, že uniká jednoznačné definici, ale mnohým známou pouze jako „přítelkyně Kafky“, příjemce jeho dopisů. Zdá se, že Milena si uvědomuje význam svého jména a uplatňuje jej v extrémní štědrosti, která ji charakterizuje, oddávaje se stejným způsobem svým drahým i ideálům, které řídí její život. Nekonformní, vzpurná obhájkyně spravedlnosti, politicky i kulturně oddaná bolestným událostem své doby, od útlého věku se naučila vzdornému chování svého otce charakterizovaného jeho heslem „nepodlehnout a pomáhat“, hrdinské a altruistické chování, které vede celý její život. Narodila se v Praze 10. srpna 1896 v rodině pražského univerzitního profesora a stomatologa Jana Jesenského a jeho ženy Mileny, rozené Hejzlarové, o kterou se Milena bude starat během její dlouhé nemoci jako ošetřovatelka na téměř plný úvazek a která umírá, když je Mileně pouhých 16 let. Navštěvovala „Minervu“, jedno z prvních dívčích gymnázií v Evropě, založené v roce 1890 odhodlanou a kultivovanou ženou, spisovatelkou Eliškou Krásnohorskou. V tomto období objevila terapeutické účinky psaní, začala publikovat některé články ve školních novinách; mezi nimi například Naše aspirace, kde popsala strukturu své ideální školy, dívčího gymnázia, o jehož založení jednou snila. Byla to však korespondence s její oblíbenou učitelkou, Albínou Honzákovou, jednou z prvních českých žen s doktorátem filozofie, co jí ulehčilo roky studií a dalo jim hlubší význam. V té době byla součástí skupiny intelektuálně aktivních dívek, které vynikaly svým svobodným a provokativně nekonformním chováním, překračovaly hranice, které tradičně oddělovaly v Praze českou populaci od německé a sní o světě, v němž by ženy mohly zastávat sociální role i starat se o rodinu. Milena byla tím, kdo diktoval pravidla i legendy, které se kolem ní šířily: říkalo se, že rozhazovala peníze jako blázen či přeplavala Vltavu oblečená, aby nezmeškala schůzku, nebo že byla ráno v pět hodin zatčena, když ve veřejném parku trhala květiny pro chlapce. Po gymnáziu otec chtěl, aby studovala medicínu a pokračovala tak v rodinné tradici, dokonce ji nutil účastnit se rekonstrukčních operací poškozených tváří zraněných z první světové války. Milena se však nikdy nestala lékařkou, po několika semestrech opustila studium. Její velkou vášní byl svět literatury a v rámci své účasti na literárních kruzích v Praze potkala židovského intelektuála a kritika Ernsta Pollaka, za kterého se v roce 1918 provdala proti vůli svého (nacionalistického a antisemitského) otce, který doufaje, že jí zabrání v provedení tohoto kroku sáhl k tomu, že ji nechal zavřít na devět měsíců na psychiatrickou léčebnu na Veleslavíně.

S manželem se přestěhovali do Vídně, ale protože příjem Pollaka nestačil k důstojnému životu, Milena se rozhodla přispět nejprve tím, že vykonávala ty nejskromnější práce, poté začala psát první články, a tak nastoupila na vytouženou novinářskou kariéru. Časem začala překládat z němčiny do češtiny (překládala mimo jiné texty Rosy Luxemburgové, Hermanna Brocha, Franze Werfeal, Stevensona, Guillauma Apollinaira, či Paula Claudela). Z tohoto důvodu se obrátila na, tehdy skoro neznámého, spisovatele Franze Kafku a navrhla mu překlad jeho povídky Topič. Kafka přijal a zahájil se tak epistolární vztah, který se následně díky měnícím se emocím posunul do intimních a vášnivých tónů, dotýkajíce se všech meandrů existence a proměnil se v literaturu. Spisovatel jí věnoval kniju Dopisy Mileně a jako znamení úcty a naprosté důvěry, jí nechal své deníky. Ale vztah s Kafkou, který začal v dubnu 1920, zatímco spisovatel trpící tuberkulózou byl v Meranu na léčbu a odpočinek, brzy skončil, protože, jak sama řekne: „Ukotvila jsem nohy pevně v této zemi, nemohla jsem opustit svého manžela a možná jsem byla příliš ženou, než abych našla sílu, abych se podrobila životu, který by byl, jak jsem dobře věděla, naprosté odpírání až do smrti. Ve mně je však neporazitelná touha, bláznivá touha po životě, který je zcela odlišný od toho, který žiji a snad nikdy nebude, život s dítětem, život velmi blízký zemi. “ Ve Vídni začala Milena psát také pro některé z nejznámějších pražských časopisů: "Tribuna", "Národní listy", "Pestrý týden" a "Lidové noviny". Ve svých článcích projevila vynikající schopnosti sociologické analýzy, nezastavila se na povrchu událostí a situací ani se nenechala podmiňovat stereotypy nebo zjednodušeními, jako profesionální reportérka ověřovala zprávy v terénu, chápala význam přímého dialogu s lidmi, udržovala si odstup od ideologií i rétoriky. V roce 1925 se Jesenská rozvedla s Pollakem; ačkoli byla svobodomylnou ženou, nebyla schopná se přizpůsobit sexuální promiskuitě, kterou propagoval její manžel. Vrátila se do Prahy, kde se setkala a vdala za českého architekta Jaromíra Krejcara a v roce 1928 se jim narodila dcera Jana. Během těhotenství však vyvinula těžkou a bolestivou formu artritidy, díky níž kulhala a po dlouhou dobu byla závislá na morfinu. Milena prožívá v této fázi všechny rozpory, je matkou a ženou, čímž realizuje svoji hlubokou touhu po mateřství, ale zároveň prožívá strach ze ztráty svobody. Bojí se důsledků, které by se mohly odrážet jejím pracovním i soukromém životě; obavy, které nebudou neopodstatněné. Během své nemoci neustále píše své články, ale od redakčního štábu přichází projevy nesnášenlivosti, hrozby propuštění, přímá odmítnutí jejích žádostí o zálohu na plat a odmítání odpovědnosti. Ve třicátých letech se přiblížila komunismu jako mnoho jiných českých intelektuálů té doby, fascinovaná událostmi Sovětského svazu a principy komunismu, které se zdály blízké jejím pocitům potřeby pozornosti a péče o nejslabší lidi, ale její vášnivá sounáležitost se promění v radikální kritiku a následné opuštění této ideologie, když si uvědomí excesy stalinismu, jehož podobnosti s nacismem byly pro ni evidentní.

Napsala tehdy: „Zajímalo by nás, co se stalo s mnoha českými komunisty a prostými dělníky, kteří před lety odešli do sovětského Ruska.“ Milena poté podnikala kroky pro poskynutí pomoci uprchlíkům nebo těm, kteří byli zatčení a odsouzeni k vězení, a kteří, jakmile se vrátili zpět na svobodu, čelili vážným ekonomickým obtížím a problémům s bydlením a často je u sebe ubytovávala. Tou dobou také její druhé manželství skončilo. V rámci svých záchranných aktivit se setkává s Evženem Klingerem, mladým Slovákem, nemocným a hledaným, kterého Milena přijme do svého domova as s kým začne velmi hluboký vztah. Bude to s Evženem, který s ní zůstane a bude se starat také o její dceru, s kým se naplní její ideál manželské lásky vyjádřený v článku Ďábel u krbu, pravá láska pro ni spočívá ve výroku „Nedám tě“, přes všechny chyby a vzájemná selhání, jako matka říká svým dětem. Mezitím stovky uprchlíků z Německa přichází do Československa hledaje bezpečí, Židé, komunisté, dospělí, staří či děti. Milena nemohla zůstat lhostejná k tomuto volání po kolektivní pomoci a vydává mnoho článků o stavu německých emigrantů. Když Hitlerova vojska vstoupila do Československo v březnu 1939, uvědomila si, že by měla soustředit veškeré své úsilí na pomoc židovskému obyvatelstvu. Při psaní pro prestižní časopis Přítomnost o vzestupu nacistické strany v Německu, nacistické indoktrinaci ve školách, antisemitismu, anexii Rakouska a důsledcích, které by to mělo pro Československo, vstoupila do Odboje. Pomáhá v útěku židům a politickým uprchlíkům a společně s mladým Joachimem von Zedtwitzem vytváří záchrannou síť. V listopadu 1939 byla při šíření podvratného materiálu gestapem zatčena a uvězněna nejprve v Pankráci a poté v Drážďanech. V říjnu 1940 byla deportována do koncentračního tábora Ravensbrück. Čtyři roky života v táboře popisuje s živou účastí další velká žena, která se v táboře stává její důvěrncí a milenkou: německá komunistka Margarete Buber-Neumann, dříve internovaná v Karakandě Gulagu v Kazachstánu a poté předaná gestapu, která přežije a napíše životopis Kafkova přítelkyně Milena. Milena zde poskytovala ostatním vězeňkyním morální a psychologickou podporu. Na paži měla číslo 4714, ale mnozí ji nazývali 4711 podle slavné kolínské, a stejně tak místo Krejcarová, byla přezdívána Carevna. Od ostatních vězeňkyň ji bylo možné odlišit, přestože měla na sobě stejnou uniformu, svým způsobem pohybu, svým způsobem mluvení a každým svým gestem, jako by prohlašovala: Jsem svobodná. Zemřela ve stejném táboře 17. května 1944 na selhání ledvin. O padesát let později byla institucí Jad vašem poctěna udělením ceny Spravedlivá mezi národy. Roku 1996 jí byl in memoriam propůjčen Řád T. G. Masaryka II. třídy. «[...] budememe vskutku jednou žít vedle sebe - Němec, Čech, Francouz, Rus, Angličan – aniž bychom si ubližovali, aniž bychom se musili nenávidět, aniž bychom si činili navzájem bezpráví? Budou si skutečně říše jednou rozumnět tak, jako si rozumí jenotliví lidé? Padne jednou hranice mezi zeměmi, jako padá ve styku s lidmi? Jak by bylo krásné dožít se toho!“ Přítomnost - Praha, ráno 15. března 1939.

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