Ada Rossi
Antonella Traverso



Martina Zinni

 

Amava definirsi figlia dell'Ottocento, ma fu protagonista rivoluzionaria del secolo scorso e una delle prime federaliste europee. Colta, energica, indipendente, seppe coniugare altruismo e intransigenza morale, senso del sacrificio e calore umano, audacia e romanticismo, concretezza e dedizione assoluta ai propri ideali di libertà e di eguaglianza. Nata nel 1899 a Golese, un paesino allora in provincia di Parma, cominciò a respirare fin da subito un'aria europeista in seno alla famiglia, metà italo-francese e metà svizzero-polacca. I nonni le trasmisero valori risorgimentali, senso della giustizia e quello spirito critico che consente di ragionare con la propria testa a costo di metterla a repentaglio. La sua voglia di libertà e parità la indusse a iscriversi alla Facoltà di Matematica e Fisica in un'epoca in cui le studenti universitarie non superavano il 10% degli iscritti e a cercare l'indipendenza economica attraverso un lavoro, anziché, come si usava allora, tramite un buon matrimonio. Laureatasi nel 1924, anno dell'instaurazione della dittatura fascista, cominciò subito a insegnare. E sul lavoro incontrò Ernesto, docente di scienze giuridiche ed economiche, che portava il suo stesso cognome ed era ricercato dalla polizia per la collaborazione al giornale antifascista "Non mollare" e per attività clandestine. Ada era una sognatrice e un'idealista: un legame romantico con un uomo capace di grande coerenza morale e politica, in aperto contrasto col regime, la attirava come una calamita. Testimone di pestaggi da parte di squadristi, quando lo conobbe si era già schierata sul fronte dissidente ma ora volle passare all'azione, assumendosi il compito di distribuire la stampa antifascista proveniente dalla Francia che lui le affidava e rivelandosi un'abile propagandista e una militante fidata. Quando poi gli esuli liberal-socialisti Carlo Rosselli e Gaetano Salvemini fondarono a Parigi il movimento antifascista Giustizia e Libertà, vi aderì con entusiasmo, come fece Ernesto che assunse la direzione del gruppo giellista milanese. A seguito di una delazione, venne arrestato e la polizia segreta fascista, l'Ovra, ne approfittò per accusarlo, senza prove, anche dell'attentato al re di due anni prima. Il processo che ne seguì davanti al Tribunale Speciale, competente a giudicare gli imputati politici, si concluse con la condanna a 20 anni di carcere. Sembrava che per i due innamorati non ci fosse più la possibilità di un seguito ma le difficoltà avevano il potere di rendere Ada ancora più ferma nei suoi propositi. Il pensiero che sposarlo costituisse un'aperta sfida al fascismo dava al matrimonio una motivazione in più. Del resto il suo innato ottimismo le suggeriva che le cose sarebbero cambiate e che presto avrebbe potuto riabbracciare il suo amato Ernesto. Così i due si sposarono il 24 ottobre 1931 nel carcere di Pallanza. L'intento provocatorio fu subito chiaro alle istituzioni che provvidero a schedare Ada come elemento fortemente sospetto da tenere sotto stretta sorveglianza sia presso la Questura di Bergamo sia presso il Casellario politico centrale del Ministero degli Interni. Di conseguenza venne anche esclusa dall'insegnamento nelle scuole e dovette mantenere sé e le necessità del marito in carcere dando lezioni private per molte ore al giorno. Ma Ada era irriducibile. Fu parte attiva nei piani di evasione del marito, tutti vani, e come tale divenne oggetto di intercettazioni, pedinamenti e perquisizioni domiciliari. Scrisse a Ernesto ben 977 lettere, tutte controllate dal regime, spesso censurate, a volte persino sequestrate, così come le risposte. La consapevolezza che occhi estranei spiavano l'intimità del suo cuore e della sua mente la spinse a denunciare, sia pure inutilmente, la violazione della libertà personale. Sapeva che lo scambio epistolare era l'unico modo per tenere il marito in contatto col mondo antifascista e per sostenerne il morale. Del resto avevano concordato un codice prima della carcerazione e lui spesso le passava attraverso strette di mano, baci e abbracci bigliettini appallottolati contenenti messaggi segreti.

Tra il 1931 ed il 1939 Ada andò a trovare il marito ogni 30-40 giorni, anche quando venne trasferito in carceri lontane. Si trattava di colloqui di mezz'ora, sempre in presenza di guardie, talora intercettati e trascritti. Mediante le intercettazioni la polizia venne a conoscenza della propaganda da lei attuata presso le/gli studenti al fine di formare giovani consapevoli del valore della libertà e della democrazia. Fu grazie a lei se l'8 settembre del 1943 la Resistenza trovò a Bergamo un gruppo politico preparato. Finalmente nel '37 fu concessa un'amnistia e la pena alla reclusione di Ernesto fu convertita nel confino che includeva, oltre al domicilio coatto, una serie di divieti e prescrizioni, tra cui il pedinamento continuo e ravvicinato da parte di un soldato armato. L'isola di Ventotene cui fu destinato gli consentì di vivere per qualche settimana all'anno con la moglie: la prima volta in cui poterono abbracciarsi in solitudine fu nel '39, dopo otto anni di matrimonio, ma anche in tali intime circostanze la guardia rimaneva fuori dalla porta tutta la notte. In quel tempo Ernesto scrisse insieme al comunista Altiero Spinelli ed al socialista Eugenio Colorni il Manifesto per l'Europa libera e unita anche detto semplicemente Manifesto di Ventotene. Ada condivideva l'idea secondo cui il nazionalismo da cui erano scaturite le dittature nazifasciste poteva essere efficacemente contrastato solo da una Federazione europea di Stati e si diede da fare per diffondere il Manifesto: per portarlo fuori dall'isola lo nascose nelle spalline del vestito, poi lo fece battere a macchina e lo distribuì agli/lle studenti antifascisti/e e tra i giovani rifugiati. Alla fine del '42 Ada fu convocata alla Casa del Fascio ma non si presentò. Fu allora inviata anche lei al confino, in località diverse da Ventotene. Tuttavia, a seguito della destituzione e dell'arresto di Mussolini, i due poterono finalmente ritrovarsi a Milano dove parteciparono alla fondazione del Movimento Federalista Europeo. Poi, costretti a lasciare l'Italia per rifugiarsi in Svizzera, fecero della loro casa a Ginevra un centro politico per la propaganda federalista, nonchè il punto di ritrovo di rifugiati/e e di esponenti della Resistenza europea. Ada aveva una capacità straordinaria di alimentare le energie del marito che risentiva ormai a livello psicofisico della lunga prigionia e delle ulteriori privazioni derivanti dal confino. Ed era abilissima nel coalizzare intorno a sé le persone, facendosi ponte instancabile fra tutti/e. Era lei a dare un forte impulso alla propaganda tramite la distribuzione di articoli e volantini. Ed era ancora lei, quando divenne tesoriera e segretaria della sezione federalista ginevrina, a lavorare per coinvolgere le donne nel suo progetto. Da questo clima politico appassionato e intenso che si respirava intorno ai Rossi scaturì la "Dichiarazione federalista dei movimenti della Resistenza europea" nel 1944.

La fine della guerra trovò la coppia a Milano dove era accorsa per assistere allo sfascio finale della dittatura.

 

Quando Ernesto ricevette l'incarico di sottosegretario alla ricostruzione del primo governo dell'Italia liberata, Ada lo raggiunse nella capitale e lavorò per il Partito d'Azione dedicandosi alla distribuzione di viveri e medicinali tra la popolazione e all'organizzazione di un doposcuola per studenti.Vedere riunita per la prima volta la Consulta Nazionale, che sostituiva provvisoriamente il Parlamento, le fece rivivere tutte le emozioni degli anni passati, i sacrifici, le ansie, le lotte spavalde e quelle clandestine.Priva di ambizione, quando il marito cominciò a soffrire di crisi depressive, scelse di rimanergli accanto, compagna devota «di ideali e di vita», come lei stessa si definiva, rinunciando alla scuola e ad ogni forma di protagonismo. Per amore suo aveva rinunciato anche alla maternità. Per lui creò un salotto intellettuale e politico, come già aveva fatto a Ginevra, in cui coinvolse parentele, amicizie, collaboratori, compagne e compagni di partito, socialisti, radicali, europeisti. Per lui promosse convegni e tavole rotonde, si occupò di scrivere a macchina i suoi discorsi e i suoi articoli per i giornali e partecipò a tutte le sue battaglie politiche e sociali. Precorritrice dei tempi, Ada non perse mai l'entusiasmo e la lena per propagandare il progetto federalista, né all'indomani della Liberazione quando fu chiaro che i tempi non erano maturi, né successivamente dopo il fallimento della Ced (Comunità Europea di Difesa) poiché accettava, a differenza del consorte, che il processo di integrazione si compisse, per il momento, solo con riferimento ad alcuni degli aspetti comuni agli Stati coinvolti, come quello economico. Così accolse con gioia il Trattato di Roma del 1957 che istituì la Cee (Comunità Economica Europea). Col trascorrere degli anni Ada si trovò a differenziare la sua linea politica da quella del marito e, in un primo tempo, non si lasciò convincere a iscriversi al Partito Radicale poiché le sembrava poco europeista ed eccessivamente dedito ad atteggiamenti provocatori. Ma, dopo la morte di Ernesto, avvenuta nel 1967, le battaglie per il divorzio, per l'aborto, per il disarmo la conquistarono sempre più finché, nel 1987, si presentò alle elezioni politiche come candidata del movimento con l'intento di creare il Partito Radicale Transnazionale, incitando i/le più giovani, come Emma Bonino, a sveltire i tempi. Negli ultimi anni della sua lunga vita divenne custode delle carte del marito e testimone di un passato glorioso, rilasciando interviste e intervenendo nelle scuole per rimanere vicina alla gioventù. Alla sua morte, quasi centenaria, è stata sepolta nel cimitero monumentale di Trespiano a Firenze accanto al tempio funerario dedicato ai giellisti in cui riposa Ernesto Rossi.

 

Traduzione francese
Joelle Rampacci

Elle aimait se dire fille du XIXe siècle, mais elle était une protagoniste révolutionnaire du siècle dernier et l'une des premières fédéralistes européennes. Culturelle, énergique, indépendante, elle a su allier altruisme et intransigeance morale, sens du sacrifice et de la chaleur humaine, audace et romantisme, concrétisation et dévouement absolu à ses idéaux de liberté et d'égalité. Née en 1899 à Golese, alors village de la province de Parme, elle commence immédiatement à insuffler un air pro-européen au sein de sa famille, moitié franco-italienne et moitié suisse-polonaise. Ses grands-parents lui ont transmis les valeurs du “Risorgimento”, le sens de la justice et cet esprit critique qui permet de penser avec sa propre tête au prix de la mettre en péril. Son désir de liberté et d'égalité l'amène à s'inscrire à la Faculté de mathématiques et de physique à une époque où les étudiants universitaires ne dépassent pas les 10 % des inscrits et à rechercher l'indépendance économique par le travail, au lieu, comme c'était l'usage alors, par un bon mariage. Diplômée en 1924, année de l'instauration de la dictature fasciste, elle se met aussitôt à enseigner. Et alors qu'elle travaille, elle rencontre Ernesto, professeur de sciences juridiques et économiques, qui porte le même nom de famille et est recherché par la police pour sa collaboration avec le journal antifasciste "Non mollare" (n’abandonne pas) et pour ses activités clandestines. Ada est une rêveuse et une idéaliste : un lien amoureux avec un homme capable d'une grande cohérence morale et politique, en contraste ouvert avec le régime, l'attire comme un aimant. Témoin des passages à tabac des escadrons, lorsqu'elle le rencontre, elle s’est déjà rangée sur le front dissident mais maintenant elle veut passer à l'action, se chargeant de diffuser la presse antifasciste de France qu'il lui confie et se révélant être une propagandiste habile et une militante de confiance. Puis, lorsque les exilés libéraux-socialistes Carlo Rosselli et Gaetano Salvemini fondèrent à Paris le mouvement antifasciste “Giustizia e Libertà” (Justice et Liberté), elle le rejoint avec enthousiasme, tout comme Ernesto qui prend la direction du groupe “jielliste” (Justice et Liberté) milanais. Suite à une dénonciation, il est arrêté et la police secrète fasciste, l'Ovra, en profite pour l'accuser, sans preuve, de la tentative d'assassinat du roi deux ans plus tôt. Le procès qui suit devant le Tribunal spécial, qui est compétent pour juger les accusés politiques, se solde par une condamnation à 20 ans de prison. Il semble que pour les deux amants il n'y a plus de possibilité d'une suite mais les difficultés ont le pouvoir de rendre Ada encore plus ferme dans ses intentions. La pensée que l'épouser constitue un défi pur et simple au fascisme donne au mariage une motivation supplémentaire. Après tout, son optimisme inné suggérait que les choses allaient changer et qu'elle pourrait bientôt embrasser à nouveau son bien-aimé Ernesto. Les deux se marient donc le 24 octobre 1931 à la prison de Pallanza. L'intention provocatrice est immédiatement claire pour les institutions qui font en sorte qu'Ada soit enregistrée comme un élément hautement suspect à garder sous étroite surveillance à la fois au siège de la police de Bergame et au dossier politique central du ministère de l'Intérieur. En conséquence, elle est également exclue de l'enseignement dans les écoles et doit subvenir à ses besoins et à ceux de son mari en prison en donnant des cours privés plusieurs heures par jour. Mais Ada est irréductible. Elle participe activement aux plans d'évasion de son mari, en vain, et en tant que telle, elle fait l'objet d'écoutes téléphoniques, de harcèlement et de perquisitions. Elle écrit 977 lettres à Ernesto, toutes contrôlées par le régime, souvent censurées, parfois même saisies, ainsi que les réponses. La conscience que des yeux étrangers épient l'intimité de son cœur et de son esprit la conduit à dénoncer, en vain, la violation de la liberté personnelle. Elle sait que l'échange de lettres est le seul moyen de garder son mari en contact avec le monde antifasciste et de maintenir son moral. Après tout, ils s'étaient mis d'accord sur un code avant l'incarcération et il lui passe souvent des poignées de main, des baisers et des câlins, des notes en boule contenant des messages secrets.

Entre 1931 et 1939, Ada rend visite à son mari tous les 30 à 40 jours, même lorsqu'il est transféré dans des prisons éloignées. Il s'agit d'entretiens d'une demi-heure, toujours en présence de gardiens, parfois interceptés et retranscrits. Grâce aux écoutes téléphoniques, la police prend connaissance de la propagande qu'elle mène auprès des étudiants afin de former des jeunes conscients de la valeur de la liberté et de la démocratie. C'est grâce à elle que, le 8 septembre 1943, la Résistance fonde à Bergame un groupe politique préparé. Enfin en '37 une amnistie est accordée et la peine d'emprisonnement d'Ernesto est convertie en emprisonnement qui comprend, en plus du domicile forcé, une série d'interdictions et de prescriptions, y compris la surveillance continue et rapprochée par un soldat armé. L'île de Ventotene à laquelle il est destiné lui permet de vivre quelques semaines par an avec sa femme : la première fois qu’il se sont embrassés dans la solitude, c'est en 1939, après huit ans de mariage, mais même dans des circonstances aussi intimes, le garde est resté devant la porte toute la nuit. À cette époque, Ernesto écrit avec le communiste Altiero Spinelli et le socialiste Eugenio Colorni le Manifeste pour une Europe libre et unie, aussi simplement appelé Manifeste de Ventotene. Ada partage l'idée que le nationalisme dont étaient issues les dictatures nazi-fascistes ne pouvait être efficacement contré que par une Fédération européenne des États et elle travailla dur pour diffuser le Manifeste : pour l'enlever de l'île, elle le cache dans les sangles de son robe, puis elle le fait dactylographier et le distribue aux étudiants antifascistes et aux jeunes réfugiés. À la fin de 42, Ada est convoquée à la “Casa del Fascio” (Maison du Fascisme) mais ne se présente pas. Puis elle aussi est envoyée en confinement, dans des lieux autres que Ventotene. Cependant, suite à la destitution et à l'arrestation de Mussolini, les deux finalement peuvent se retrouver à Milan où ils participent à la fondation du Mouvement fédéraliste européen. Puis, contraints de quitter l'Italie pour se réfugier en Suisse, ils font de leur demeure à Genève un centre politique de propagande fédéraliste, ainsi qu'un lieu de rencontre pour les réfugiés et les résistants européens. Ada a une capacité extraordinaire à nourrir les énergies de son mari qui souffre maintenant sur le plan psychophysique du long emprisonnement et des privations ultérieures découlant du confinement. Et elle est très habile à unir les gens autour d'elle, faisant un pont infatigable entre tous. C'est elle qui donne une forte impulsion à la propagande par la distribution d'articles et de tracts. Et c'est encore elle, lorsqu'elle devient trésorière et secrétaire de la section fédéraliste de Genève, qui s'emploie à impliquer les femmes dans son projet. De ce climat politique passionné et intense qui règne autour des Rouges naît la « Déclaration fédéraliste des mouvements de résistance européens » en 1944.

La fin de la guerre retrouve le couple à Milan où il s'est précipité pour assister à l'effondrement définitif de la dictature.

Lorsque Ernesto reçoit le poste de sous-secrétaire à la reconstruction du premier gouvernement de l'Italie libérée, Ada le rejoint dans la capitale et travaille pour le Parti Action en se consacrant à la distribution de nourriture et de médicaments parmi la population et à l'organisation d'un programme extra-scolaire pour les étudiants. Voir le Conseil national se réunir pour la première fois, qui remplace provisoirement le Parlement, lui fait revivre toutes les émotions des années passées, les sacrifices, les angoisses, les luttes audacieuses et clandestines. Dépourvue d'ambition, lorsque son mari commence à souffrir de crises dépressives, elle choisit de rester près de lui, une compagne dévouée « d’ idéaux et de la vie », comme elle se définit elle-même, abandonnant l'école et toute forme de protagonisme. Par amour pour lui, elle renonce aussi à la maternité. Elle crée pour lui un salon intellectuel et politique, comme elle l'a déjà fait à Genève, dans lequel elle implique parents, amitiés, collaborateurs, camarades et camarades de parti, socialistes, radicaux, pro-européens. Elle promeut pour lui des conférences et des tables rondes, s'occupe de dactylographier ses discours et articles pour les journaux et participe à toutes ses batailles politiques et sociales. Précurseuse pour son époque, Ada ne perd jamais l'enthousiasme et l'énergie pour promouvoir le projet fédéraliste, ni au lendemain de la Libération alors qu'il était clair que les temps n'étaient pas mûrs, ni après l'échec de la CED (Communauté européenne de défense) car contrairement à son époux, elle accepte que le processus d'intégration se fasse, pour l'instant, uniquement en référence à certains aspects communs aux États concernés, comme l'économique. C'est ainsi qu’elle accueille avec joie le traité de Rome de 1957 qui institue la CEE (Communauté économique européenne). Au fil des années, Ada se retrouve à différencier sa ligne politique de celle de son mari et, au début, elle n’était pas si sûre d'adhérer au Parti radical tant il lui semble peu pro-européen et excessivement attaché aux attitudes provocatrices. Mais, après la mort d'Ernesto, survenue en 1967, les batailles pour le divorce, pour l'avortement, pour le désarmement la conquièrent de plus en plus jusqu'à ce qu'en 1987, où elle se présente aux élections politiques comme candidate du mouvement avec l'intention de créer le Parti Radical Transnational, encourageant les plus jeunes, comme Emma Bonino, à accélérer les choses. Dans les dernières années de sa longue vie, elle est devenue la gardienne des écrits de son mari et témoin d'un passé glorieux, donnant des interviews et intervenant dans les écoles pour rester proche des jeunes. A sa mort, presque centenaire, elle est enterrée dans le cimetière monumental de Trespiano à Florence à côté du temple funéraire dédié aux jiellistes (les membres du mouvement Justice et Liberté) où repose Ernesto Rossi.

 

Traduzione inglese
Syd Stapleton

She liked to call herself a daughter of the nineteenth century, but she was a revolutionary protagonist of the twentieth century and one of the first European federalists. She was cultured, energetic, independent, and she knew how to combine altruism and moral intransigence, a sense of sacrifice and human warmth, audacity and romanticism, concreteness and absolute dedication to her ideals of freedom and equality. She was born in 1899 in Golese, a village then in the province of Parma, and she immediately began to breathe a European air within her family, which was half Italian-French and half Swiss-Polish. Her grandparents passed on to her their Risorgimento values - a sense of justice and the critical spirit that allows you to think for yourself, even at the cost of putting yourself in jeopardy. Her desire for freedom and equality led her to enroll in the Faculty of Mathematics and Physics at a time when female university students were less 10% of those enrolled, and she sought economic independence through a job, instead of, as was the custom then, through a good marriage. She graduated in 1924, the year of the establishment of the fascist dictatorship, and she immediately began to work as a teacher. Through her work, she met Ernesto, a professor of legal and economic sciences, who shared her same last name, and who was wanted by the police for his collaboration with the anti-fascist newspaper "Non mollare" (Don’t Give Up) and for underground activities. Ada was a dreamer and an idealist, and a romantic bond with a man capable of great moral and political strength, in open conflict with the fascist regime, attracted her like a magnet. A witness to beatings administered by fascist thugs, when she met Ernesto Ada was already firmly on the side of the dissidents, but she also wanted to take action. She accepted the task of distributing the anti-fascist press from France that Ernesto entrusted to her. She revealed herself to be a skilled propagandist and a trustworthy militant. Then when the liberal-socialist exiles Carlo Rosselli and Gaetano Salvemini founded the anti-fascist movement Giustizia e Libertà in Paris, she enthusiastically joined it, as did Ernesto who took over the leadership of the Milanese branch of the organization. Following a denunciation, he was arrested and the fascist secret police, the Ovra, took the opportunity to accuse him, without proof, of an attempt on the king’s life that had happened two years earlier. The trial that followed, before the Special Court set up to judge political defendants, ended with a sentence of 20 years in prison. It seemed that, for the two lovers, there was no longer the possibility of a future together, but the difficulties just made Ada even more firm in her intentions. The thought that marrying him constituted an open challenge to fascism gave an extra motivation to the idea. Despite everything, her innate optimism told her that things would change and that she would soon be able to embrace her beloved Ernest. So, the two were married on 24 October 1931 in the Pallanza prison. The provocative intent was immediately clear to the authorities, who arranged for Ada to be registered as a highly suspect element, to be kept under close surveillance both by the Bergamo police headquarters and the central political division of the Ministry of the Interior. As a result, she was excluded from teaching in schools and had to support herself and her husband's needs in prison by giving private lessons for many hours a day. But she Ada was indominable. She was an active part in her husband's escape plans, all in vain, and as such she became the object of wiretapping, surveillance and searches of her home. She wrote Ernesto 977 letters, all read by the regime, often censored, sometimes even seized, as well as the replies. The knowledge that hostile eyes were spying on the intimacy of her heart and her mind led her to denounce, albeit in vain, that violation of personal freedom. She knew that the correspondence was the only way to keep her husband in touch with the anti-fascist world and to sustain his morale. They had agreed on a code before his incarceration, and he often passed her, during handshakes, kisses and hugs, crumpled notes containing secret messages.

Between 1931 and 1939 Ada visited her husband every 30 or 40 days, even when he was transferred to distant prisons. These were half-hour encounters, always in the presence of guards, monitored and sometimes transcribed. Through wiretapping, the police learned of the propaganda work she carried out among her students in order to make young people aware of the value of freedom and democracy. It was thanks to her that on 8 September 1943 the Resistance found a prepared political group in Bergamo. Finally, in 1937 a partial amnesty was granted and Ernesto’s imprisonment was converted into a confinement which included, in addition to house arrest, a series of prohibitions and prescriptions, including continuous and close shadowing by an armed soldier. The island of Ventotene to which he was sent allowed him to live for a few weeks a year with his wife. Even so, the first time they could embrace each other in solitude was in 1939, after eight years of marriage. But even in such intimate circumstances a guard stayed outside the door all night. At that time Ernesto wrote, together with the communist Altiero Spinelli and the socialist Eugenio Colorni, the Manifesto for a Free and United Europe, also called the Ventotene Manifesto. Ada shared the idea that the nationalism from which the Nazi and Fascist dictatorships had sprung could only be effectively countered by a European Federation of States, and she worked hard to spread the Manifesto. To take it off the island she hid it in the straps of her dress, then he had it copied and distributed to anti-fascist students and young refugees. At the end of 1942 Ada was summoned to the Casa del Fascio but she did not respond to the summons. Then she too was sent to confinement, in places other than Ventotene. However, following the dismissal and arrest of Mussolini, the two were finally able to join together in Milan where they participated in the foundation of the European Federalist Movement. Then, forced to leave Italy to take refuge in Switzerland, they made their home in Geneva a political center for federalist propaganda, as well as a meeting place for refugees and members of the European Resistance. Ada had an extraordinary ability to reinforce the energies of her husband, who was suffering from the long imprisonment and further privations deriving from confinement, both psychologically and physically. And she was very skilled in uniting people around herself, making herself a tireless bridge between everyone involved. It was she who gave a strong impetus to their political work through the distribution of articles and leaflets. And it was also she, when she became treasurer and secretary of the federalist section of Geneva, who worked to involve women in the project. From this passionate and intense political climate, that revolved around the Rossi couple, came the "Federalist Declaration of the European Resistance Movements" in 1944.

The end of the war found the couple in Milan where they had rushed to witness the final collapse of the dictatorship.

When Ernesto received the post of Undersecretary for Reconstruction of the first government of liberated Italy, Ada joined him in the capital and worked for the Action Party, dedicating herself to the distribution of food and medicines among the population and to the organization of an after-school program for students. Seeing the National Council meeting for the first time, which temporarily replaced the Parliament, made her relive all the emotions of the past years, the sacrifices, the anxieties, the bold and clandestine struggles. Devoid of ambition, when her husband began to suffer from depressive crises, she chose to remain beside him, a devoted companion "of ideals and life", as she herself called herself, giving up teaching and any form of leadership. For his sake she had also given up motherhood. She created an intellectual and political salon for him, as she had already done in Geneva, in which she involved relatives, friendships, collaborators, women and men of the party, socialists, radicals, and pro-Europeans. For him, she promoted conferences and round tables, took care of typing his speeches and his articles for the newspapers, and participated in all of his political and social battles. Ahead of the times, Ada never lost the enthusiasm and energy to promote the federalist project, neither in the aftermath of the Liberation when it was clear that the times were not ripe, nor subsequently after the failure of the EDC (European Defense Community). Unlike her spouse, she accepted that the integration process was carried out, for the moment, only with reference to some of the aspects common to the States involved, such as their economies. So, she joyfully welcomed the 1957 Treaty of Rome which established the EEC (European Economic Community). As the years went by, Ada found her political views differentiating from those of her husband and, at first, she was not persuaded to join the Radical Party because it seemed to her insufficiently pro-European and excessively dedicated to provocative attitudes. But, after Ernesto's death, which took place in 1967, the battles for divorce, for abortion rights, and for disarmament engaged her more and more until, in 1987, she presented herself in the political elections as a candidate of the movement, with the intention of creating the Transnational Radical Party, encouraging the youngest, like Emma Bonino, to seize the time. In the last years of her long life, she became the custodian of her husband's papers and a witness to a glorious past, giving interviews and intervening in schools to stay close to the young. After her death, at almost a hundred years old, she was buried in the monumental cemetery of Trespiano in Florence, next to the funerary temple dedicated to the advocates of “Giustizia e Libertà” where Ernesto Rossi rests.

 

Ursula Hirschmann
Claudia Speziali



Martina Zinni

 

Ursula Hirschmann è una donna straordinaria: non solo ha incisivamente contribuito a “fare l’Europa”, ha vissuto da «europea errante», come lei stessa si definisce. In Noi senzapatria, l’autobiografia incompiuta uscita postuma nel 1993, scrive di sé:

«Non sono italiana benché abbia figli italiani, non sono tedesca benché la Germania fosse una volta la mia patria. E non sono nemmeno ebrea, benché sia un puro caso se non sono stata arrestata e poi bruciata in uno dei forni di qualche campo di sterminio».

Ursula nasce a Berlino il 2 settembre 1913, prima dei tre figli del chirurgo Carl Hirschmann e di Hedwig Marcuse, figlia di un banchiere, entrambi ebrei non praticanti e così attenti alla loro posizione sociale da far battezzare la prole. Lei e il fratello Albert Otto, che sarà poi candidato al Nobel per l'economia, si staccano ben presto dall’agiato mondo alto borghese della famiglia, impegnandosi in politica e aderendo all’organizzazione giovanile del partito socialdemocratico. Il socialismo appare, allora, a Ursula, come scriverà nel 1973 «una scoperta e una conquista». Tuttavia, la ragazza si allontana ben presto dai socialdemocratici, che non si oppongono concretamente alla crescente ondata nazista, e lavora con altri gruppi socialisti e comunisti. Quando Hitler va al potere, i due fratelli Hirschmann lasciano Berlino per Parigi, ma Ursula, che si è avvicinata ad ambienti comunisti, pur senza iscriversi al partito, rimane presto profondamente delusa dalle divisioni e dal velleitarismo dell’ambiente antifascista e nel 1935 si trasferisce in Italia da Eugenio Colorni, un giovane filosofo conosciuto a Berlino, che sposa quasi immediatamente. Dopo il matrimonio Ursula si iscrive all’università e nel 1937 dà alla luce la prima figlia. Il matrimonio, benché assai stimolante sul piano intellettuale e politico, è però piuttosto complicato e non sempre sereno. Tuttavia, quando nel 1938 Eugenio è arrestato e nel 1939 condannato al confino, prima a Ventotene e poi a Melfi, Ursula lo segue a Ventotene, nell’autunno dello stesso anno si laurea in letteratura tedesca a Venezia e una settimana dopo nasce la seconda figlia. Ventotene è una piccola isola che ospita centinaia di detenuti politici, oltre a delinquenti comuni, ed Eugenio Colorni, socialista, stringe subito rapporti con Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, elaborando con loro e con Ursula il “Manifesto per un’Europa libera e unita”, che sarà poi noto come manifesto di Ventotene. Scritto di nascosto su cartine di sigarette, è sia una dichiarazione politica, sia un modello per la federazione democratica d’Europa, che invita a rompere con il passato del continente per formare un nuovo sistema istituzionale, cambiando la politica e attuando una profonda riforma sociale. Ursula possiede una non comune intelligenza politica e Altiero Spinelli ne è profondamente colpito. Dirà in seguito di lei:

«La sua tendenza a tradurre ogni impegno ideale in azione pratica, le fece percepire immediatamente dove risiedesse l’originalità della nostra posizione».

Non è facile stabilire quanto e in quali punti lei abbia contribuito al manifesto federalista; tuttavia Rossi e Spinelli nella loro corrispondenza verso l’Italia si riferiscono a Ursula come la “numero 2” del federalismo italiano. La giovane abbraccia con entusiasmo l’idea federalista, come ricorda nella sua autobiografia: «Noi déracinés dell’Europa che abbiamo “cambiato più volte di frontiera che di scarpe” – come Brecht, questo re dei déracinés – anche noi non abbiamo altro da perdere che le nostre catene in un’Europa unita e perciò siamo federalisti». A differenza dei confinati, Ursula può lasciare l’isola e ne approfitta per portare clandestinamente il manifesto sul continente, con l’aiuto prezioso di Ada Rossi e delle sorelle Spinelli, Fiorella e Gigliola. In breve tempo il testo è diffuso, letto, discusso e commentato da buona parte dei dirigenti antifascisti italiani e raccoglie adesioni importanti, da Ugo La Malfa a Lelio Basso. Nel 1943 Ursula rientra a Milano con le figlie e dà alle stampe “L’Unità europea”, organo clandestino con le tesi di Ventotene, e partecipa all’organizzazione dell’incontro di fondazione ufficiale dell’Mfe (Movimento federalista europeo), in cui sono approvate le sei tesi politiche che traducono in proposte concrete le idee di Ventotene. Il matrimonio con Eugenio è ormai finito e, dopo l’8 settembre, Altiero Spinelli e Ursula Hirschmann, ormai divenuti una coppia, vanno insieme in Svizzera per dare inizio all’azione federalista oltre confine, come deciso durante la riunione costitutiva dell’Mfe.

Nel maggio 1944 Eugenio Colorni è ucciso a Roma dalla banda Koch. Ursula e Altiero si sposano con rito civile in Svizzera, nel gennaio del 1945. Da allora i coniugi intrecciano vita privata e missione politica; nel marzo 1945 organizzano il convegno federalista internazionale di Parigi, cui partecipano intellettuali di grande fama come George Orwell, Lewis Mumford e Albert Camus. Alla fine della guerra Ursula e Altiero si trasferiscono a Roma, con le tre figlie da lei avute da Eugenio Colorni – Silvia, Renata ed Eva – cui seguiranno Diana, Sara e Barbara Spinelli. Nonostante questa collaborazione e una vita familiare complicata – un nucleo numeroso, che si sposta continuamente in Europa per gli impegni politici di Altiero – Ursula prosegue un’instancabile attività di collegamento tra le diverse anime del progressismo europeo. Porta nel movimento europeista le istanze femministe, convinta che, se è giusto che le donne si occupino in primo luogo della conquista dei loro diritti, ciò vada fatto in collegamento con altri movimenti e dall’interno delle istituzioni. Questo paziente e lungo lavoro di mediazione e di dialogo porta nel 1975 alla creazione di Femmes pour l’Europe, un movimento per unire le donne della politica, della cultura e del femminismo in battaglie comuni, quali la partecipazione paritaria delle donne all’istruzione, una disciplina paritaria del lavoro femminile, il miglioramento delle condizioni di vita anche delle donne immigrate e dei paesi in via di sviluppo. Hirschmann considera necessario per le donne delle istituzioni e le femministe superare le reciproche diffidenze per battersi unite su tutti i fronti, compreso quello europeo, poiché, come afferma: «la battaglia per l’unificazione dell’Europa può essere una tappa importante ed esemplare per le donne». Pochi mesi dopo aver scritto queste righe, è colpita da una grave emorragia cerebrale, rimanendo pressoché paralizzata fino alla morte, sedici anni più tardi, l’8 gennaio 1991, a Roma. Nel frattempo, il 14 febbraio 1984, il Parlamento europeo aveva adottato il progetto di trattato che istituiva l’Unione europea, il primo passo fondamentale verso quell’unione politica per cui Ursula e Altiero avevano speso anni della loro vita.

 

 

Traduzione francese
Giuliana Gaudenzi

Ursula Hirschmann est une femme extraordinaire : non seulement elle a contribué de manière incisive à « faire l'Europe », elle a vécu comme une « européenne errante », comme elle-même se définit. Dans Nous sans patrie, l'autobiographie inachevée publiée à titre posthume en 1993, écrit sur elle-même:

«Je ne suis pas italienne bien que j'aie des enfants italiens, je ne suis pas allemande bien que l'Allemagne ait été autrefois ma patrie. Et je ne suis même pas juive, bien que ce soit un pur hasard si je n'ai pas été arrêtée et puis brûlée dans l'un des fours d'un camp d'extermination».

Ursula naît à Berlin le 2 septembre 1913, première des trois enfants du chirurgien Carl Hirschmann et de Hedwig Marcuse, fille d'un banquier, tous les deux juifs non pratiquants et si attentifs à leur position sociale qu'ils ont fait baptiser leurs enfants. Elle et son frère Albert Otto, qui sera plus tard nominé pour le prix Nobel d'économie, se sont rapidement éloignés du monde aisé de la haute bourgeoisie de la famille, s'engageant dans la politique et rejoignant l'organisation de jeunesse du Parti social-démocrate. Le socialisme apparaît alors à Ursula, comme elle l'écrit en 1973, « une découverte et un accomplissement ». Cependant, la jeune fille se détourne bientôt des sociaux-démocrates, qui ne s'opposent pas concrètement à la vague nazie grandissante et travaille avec d'autres groupes socialistes et communistes. Lorsque Hitler arrive au pouvoir, les deux frères Hirschmann quittent Berlin pour Paris mais Ursula, qui s'est rapprochée des milieux communistes, même sans adhérer au parti, est vite profondément déçue par les divisions et l’attitude velléitaire du milieu antifasciste et en 1935 elle se déplace en Italie chez Eugenio Colorni, un jeune philosophe connu à Berlin, qu'elle épouse presque immédiatement. Après le mariage, Ursula s’inscrit à l'université et donne naissance à sa première fille en 1937. Le mariage, bien que très stimulant sur le plan intellectuel et politique, est cependant assez compliqué et pas toujours serein. Toutefois, lorsqu'Eugenio est arrêté en 1938 et condamné à résidence forcée en 1939, d'abord à Ventotene puis à Melfi, Ursula le suit à Ventotene ; à l'automne de la même année elle obtient son diplôme de littérature allemande à Venise et une semaine plus tard naît sa deuxième fille. Ventotene est une petite île qui accueille des centaines de prisonniers politiques ainsi que des criminels de droit commun et Eugenio Colorni, socialiste, établit immédiatement des relations avec Altiero Spinelli et Ernesto Rossi, élaborant avec eux et avec Ursula le "Manifeste pour une Europe libre et unie ", qui sera plus tard connu sous le nom de manifeste de Ventotene. Écrit en secret sur des papiers à cigarettes, c'est à la fois une déclaration politique et un modèle pour la fédération démocratique de l'Europe, appelant à une rupture avec le passé du continent pour former un nouveau système institutionnel, changer la politique et mettre en œuvre une profonde réforme sociale. Ursula possède une intelligence politique hors du commun et Altiero Spinelli en est profondément impressionné. Il dira plus tard d'elle:

«Sa tendance à traduire chaque engagement idéal en action pratique lui a fait immédiatement percevoir où se trouvait l'originalité de notre position».

Il n'est pas facile d'établir combien et en quels points elle a contribué au manifeste fédéraliste ; cependant Rossi et Spinelli dans leur correspondance vers l'Italie se réfèrent à Ursula comme le « numéro deux » du fédéralisme italien. La jeune femme embrasse avec enthousiasme l'idée fédéraliste, comme elle le rappelle dans son autobiographie : «Nous, les déracinés d'Europe qui avons ‘’changé plus de frontières que de chaussures ‘’ - comme Brecht, ce roi des déracinés - nous aussi n'avons rien d'autre à perdre que nos chaînes dans une Europe unie et donc nous sommes fédéralistes ». Contrairement aux assignés à résidence forcée, Ursula peut quitter l'île et en profite pour faire passer clandestinement le manifeste sur le continent, avec l'aide précieuse d'Ada Rossi et des sœurs Spinelli, Fiorella et Gigliola. En peu de temps, le texte est diffusé, lu, discuté et commenté par la plupart des dirigeants antifascistes italiens et reçoit d'importantes adhésions, d'Ugo La Malfa à Lelio Basso. En 1943, Ursula retourne à Milan avec ses filles et publie "L'Unità Europea", un organe clandestin avec les thèses de Ventotene et participe à l'organisation de la réunion officielle de fondation du Mfe (Mouvement fédéraliste européen), au cours de laquelle les six thèses politiques qui traduisent les idées de Ventotene en propositions concrètes sont approuvées. Le mariage avec Eugenio est désormais terminé et, après le 8 septembre, Altiero Spinelli et Ursula Hirschmann, désormais en couple, se rendent ensemble en Suisse pour engager une action fédéraliste transfrontalière, comme décidé lors de la réunion de fondation du MFE.

En mai 1944, Eugenio Colorni est tué à Rome par le gang Koch. Ursula et Altiero se marient civilement en Suisse, en janvier 1945. Depuis lors, les époux entremêlent vie privée et mission politique ; en mars 1945, ils organisent à Paris la convention fédéraliste internationale, à laquelle assistent des intellectuels célèbres tels que George Orwell, Lewis Mumford et Albert Camus. A la fin de la guerre Ursula et Altiero s'installent à Rome, avec les trois filles qu'elle a eues d'Eugenio Colorni - Silvia, Renata et Eva - suivies de Diana, Sara et Barbara Spinelli. Malgré cette collaboration et une vie de famille compliquée - un noyau nombreux, qui se déplace constamment en Europe à cause des engagements politiques d'Altiero - Ursula continue une activité inlassable de connexion entre les différentes âmes du progressisme européen. Elle apporte des instances féministes dans le mouvement pro-européen, convaincue que, s'il est juste que les femmes se préoccupent avant tout de la conquête de leurs droits, cela doit se faire en concertation avec d'autres mouvements et au sein des institutions. Ce long et patient travail de médiation et de dialogue conduit en 1975 à la création de Femmes pour l'Europe, un mouvement crée pour unir les femmes de la politique, de la culture et du féminisme dans des combats communs, tels que l'égale participation des femmes à l'éducation, une égale discipline du travail des femmes, l'amélioration des conditions de vie également des femmes immigrées et des pays en voie de développement. Hirschmann considère qu'il est nécessaire que les femmes des institutions et les féministes dépassent leur méfiance mutuelle afin de lutter ensemble sur tous les fronts, y compris celui européen, car, comme elle l’affirme : «la bataille pour l'unification de l'Europe peut être une étape importante et exemplaire pour les femmes". Quelques mois après avoir écrit ces lignes, elle est atteinte d'une grave hémorragie cérébrale, demeurant presque paralysée jusqu'à sa mort, seize ans plus tard, le 8 janvier 1991, à Rome. Entre-temps, le 14 février 1984, le Parlement européen avait adopté le projet de traité instituant l'Union européenne, premier pas fondamental vers cette union politique pour laquelle Ursula et Altiero avaient passé des années de leur vie.

 

Traduzione inglese
Francesca Foppoli

Ursula Hirschmann was an extraordinary woman: not only did she contribute to 'making Europe', she lived as a 'wandering European', as she called herself. In Noi senzapatria, her unfinished autobiography published posthumously in 1993, she wrote about herself:

«I am not Italian, although I have Italian children, I am not German, although Germany was once my homeland. And I am not Jewish either, although it is pure chance that I was not arrested and then burnt in one of the ovens of some extermination camps»

Ursula was born in Berlin on 2 September 1913, the first of three children of surgeon Carl Hirschmann and Hedwig Marcuse, a banker’s daughter, both of whom were non-practising Jews and so concerned about their social position that they had their offspring baptised. She and her brother Albert Otto, who would later be nominated for the Nobel Prize in economics, soon broke away from the family's affluent upper middle-class world, becoming involved in politics and joining the youth organisation of the Social Democratic Party. As Ursula wrote in 1973, Socialism appeared to her as «a discovery and a conquest». However, she soon distanced herself from the Social Democrats, who did not concretely oppose the rising tide of Nazism, and worked with other socialist and communist groups. When Hitler came to power, the two Hirschmann brothers left Berlin for Paris, but Ursula, who had become close to communist circles without joining the party, was soon deeply disappointed by the divisions and illusions of the anti-fascist milieu. In 1935 she relocated to Italy and moved in with Eugenio Colorni, a young philosopher she had met in Berlin, whom she married almost immediately. After her marriage Ursula enrolled at university and in 1937 gave birth to her first daughter. Although the marriage was intellectually and politically stimulating, it was complicated and not always peaceful. However, when Eugenio was arrested in 1938 and sentenced to confinement in 1939, first to Ventotene and then to Melfi, Ursula followed him to Ventotene. In autumn of that year she graduated in German literature in Venice and a week later gave birth to her second daughter. Ventotene is a small island that was home to hundreds of political prisoners, as well as common criminals, and Eugenio Colorni, a socialist, immediately established relations with Altiero Spinelli and Ernesto Rossi, drafting with them and Ursula the "Manifesto for a Free and United Europe", which would later be known as the Ventotene Manifesto. Written secretly on cigarette papers, it is both a political statement and a blue-print for the democratic federation of Europe, calling for a break with the continent's past to form a new institutional system, through a restructuring of politics and extensive social reform. Ursula possessed an uncommon political intelligence and Altiero Spinelli was deeply impressed. He would later say of her: «Her tendency to translate her ideals into practical action made her immediately recognise where the originality of our position was to be found».

It is not easy to establish how much and on what points she contributed to the federalist manifesto; however, Rossi and Spinelli in their correspondence to Italy refer to Ursula as the “number 2” of Italian federalism. The young woman enthusiastically embraced the federalist idea, as she recalled in her autobiography: «We déracinés of Europe who have "changed borders more times than we have changed shoes" - like Brecht, this king of déracinés - we too have nothing to lose but our chains in a united Europe and therefore we are federalists». Unlike the internees, Ursula was able to leave the island managing to smuggle the manifesto onto the mainland, with the invaluable help of Ada Rossi and the Spinelli sisters, Fiorella and Gigliola. In a short time, the text was circulated, read, discussed and commented on by a large part of the Italian anti-fascist leadership and gathered important supporters, from Ugo La Malfa to Lelio Basso. In 1943 Ursula returned to Milan with her daughters and published "L'Unità Europea", an underground paper containing the so called Tesi di Ventotene (Ventotene theses), six cornerstones of federal thought. In Milan, she took part in the organisation of the official founding meeting of the EFM (European Federalist Movement), at which the six political theses were approved, translating Ventotene’s ideas into concrete proposals. The marriage with Eugenio was by then over and, after 8 September, Altiero Spinelli and Ursula Hirschmann, who had become a couple, went together to Switzerland to begin federalist action across the border, as decided at the founding meeting of the EFM.

In May 1944 Eugenio Colorni was killed in Rome by the Koch gang. Ursula and Altiero married in Switzerland in a civil ceremony in January 1945. Since then, the couple combined their private lives with their political mission; in March 1945 they organised the international federalist conference in Paris, attended by such renowned intellectuals as George Orwell, Lewis Mumford and Albert Camus. At the end of the war Ursula and Altiero moved to Rome, with her three daughters by first husband Eugenio Colorni - Silvia, Renata and Eva - followed by Diana, Sara and Barbara Spinelli. In spite of this collaboration and a complicated family life - a large household, constantly moving around Europe due to Altiero's political commitments - Ursula continued her tireless activity of liaising between the different minds of European progressivism. She brought feminist demands into the European movement, convinced that if it is right for women to be primarily concerned with winning their rights, this should be done in conjunction with other movements and from within the institutions. This patient and long work of mediation and dialogue led in 1975 to the creation of Femmes pour l'Europe, a movement to unite women of politics, culture and feminism in common battles, such as the equal participation of women in education, equal regulation of women's work, the improvement of living conditions also for immigrant women and women in developing countries. Hirschmann considered it necessary for women in institutions and feminists to overcome their mutual distrust in order to fight together on all fronts, including the European one, because, as she said: «the battle for the unification of Europe can be an important and exemplary landmark for women». A few months after writing these lines, she suffered a serious cerebral haemorrhage and was almost paralysed until her death 16 years later, on 8 January 1991, in Rome. Meanwhile, on 14 February 1984, the European Parliament had adopted the draft treaty establishing the European Union, the first fundamental step towards the political union for which Ursula and Altiero had spent years of their lives.

 

Traduzione tedesca
Laura Gelati

Ursula Hirschmann ist eine außergewöhnliche Frau: Sie hat nicht nur einen entscheidenden Beitrag zum "Europa machen" geleistet, sie hat auch als "wandernde Europäerin", wie sie sich selbst bezeichnete, gelebt. In Noi senzapatria (Wir heimatlose Weltbürger), der unvollendeten Autobiografie, die 1993 posthum veröffentlicht wurde, schreibt sie über sich selbst:

"Ich bin keine Italienerin, obwohl ich italienische Kinder habe, ich bin keine Deutsche, obwohl Deutschland einmal meine Heimat war. Und ich bin auch keine Jüdin, obwohl es reiner Zufall ist, dass ich nicht verhaftet und dann in einem der Öfen irgendeines Vernichtungslagers verbrannt wurde".

Ursula wird am 2. September 1913 in Berlin als erste von drei Kindern des Chirurgen Carl Hirschmann und Hedwig Marcuse, Tochter eines Bankiers, geboren. Beide Eltern sind nicht praktizierende Juden, die auf ihre soziale Stellung achten und ihre Nachkommen evangelisch taufen lassen. Zusammen mit ihrem Bruder Albert Otto, der später für den Wirtschaftsnobelpreis nominiert werden sollte, löst sich Ursula bald aus der großbürgerlichen Welt der Familie, engagiert sich in der Politik und tritt in die Jugendorganisation der Sozialdemokratischen Partei ein. Der Sozialismus ist für Ursula, wie sie 1973 schreibt, "eine Entdeckung und eine Eroberung". Sie entfernt sich jedoch bald von den Sozialdemokraten, die sich dem Anwachsen der Nationalsozialisten nicht konkret entgegensetzen, und arbeitet mit anderen sozialistischen und kommunistischen Gruppen zusammen. Als Hitler die Macht ergreift, verlassen die Geschwister Hirschmann Berlin und ziehen nach Paris; doch Ursula, die sich kommunistischen Kreisen angeschlossen hat, ohne der Partei beizutreten, wird bald von den Spaltungen und der Inkonsequenz des antifaschistischen Umfelds tief enttäuscht. 1935 zieht sie nach Italien, um in Triest den jungen Philosophen Eugenio Colorni zu treffen, den sie in Berlin kennengelernt hatte und den sie jetzt gleich heiratet. Nach der Hochzeit schreibt sich Ursula an der Universität Venedig ein, 1937 kommt ihre erste Tochter zur Welt. Obwohl die Ehe intellektuell und politisch sehr anregend ist, ist sie ziemlich kompliziert und nicht immer harmonisch. Als Eugenio jedoch 1938 verhaftet und 1939 auf die Insel Ventotene verbannt wird, folgt ihm Ursula, im Herbst desselben Jahres macht sie ihren Universitätsabschluss in deutscher Literatur und eine Woche später bringt sie ihre zweite Tochter zur Welt. Ventotene ist eine kleine Insel im Golf von Gaeta zwischen Rom und Neapel, auf der Hunderte von politischen Gefangenen sowie gewöhnliche Kriminelle inhaftiert sind. Der Sozialist Eugenio Colorni nimmt dort sofort Kontakt zu Altiero Spinelli und Ernesto Rossi auf und arbeitete mit ihnen und Ursula am "Manifest für ein freies und vereintes Europa", das später als "Manifest von Ventotene" bekannt werden sollte. Heimlich auf Zigarettenpapier geschrieben, ist es sowohl eine politische Erklärung, als auch ein Modell für die demokratische Föderation Europas, die einen Bruch mit der Vergangenheit des Kontinents fordert, um ein neues institutionelles System zu formen, die Politik zu verändern und eine tiefgreifende soziale Reform durchzuführen. Ursula verfügt über eine ungewöhnliche politische Intelligenz, und Altiero Spinelli ist von ihr tief beeindruckt. Später hat er über sie geschrieben: "Ihre Neigung, jedes ideelle Engagement in praktisches Handeln umzusetzen, ließ sie sofort erkennen, wo die Originalität unserer Position lag".

Es ist nicht leicht festzustellen, wie viel und in welchen Punkten sie zum föderalistischen Manifest beigetragen hat, aber Rossi und Spinelli bezeichnen Ursula in ihrem Briefwechsel als die "Nummer 2" des italienischen Föderalismus. Die junge Frau nimmt den föderalistischen Gedanken begeistert auf, wie sie sich in ihrer Autobiographie erinnert: "Wir, die déracinés Europas, - die öfter die Grenzen als die Schuhe gewechselt haben, wie Brecht, dieser König der déracinés, sagte - haben auch nichts anderes zu verlieren als unsere Ketten in einem vereinten Europa, und deshalb sind wir Föderalisten". Im Gegensatz zu den Verbannten kann Ursula die Insel verlassen und schmuggelt das Manifest mit der Hilfe von Ada Rossi und der Geschwister Fiorella und Gigliola Spinelli auf den Kontinent. In kurzer Zeit wird der Text in Umlauf gebracht, von den italienischen Antifaschisten gelesen und diskutiert, und erhält wichtige Zustimmung von Ugo La Malfa bis Lelio Basso. 1943 übersiedelt Ursula mit ihren Töchtern nach Mailand und veröffentlicht dort "L'Unità europea", ein geheimes Organ mit den Thesen von Ventotene, und beteiligt sich an der Organisation des offiziellen Gründungstreffens des Movimento Federalista Europeo (MFE), auf dem die sechs politischen Thesen, die die Ideen Ventotenes in konkrete Vorschläge umsetzen, angenommen werden. Die Ehe mit Eugenio ist mittlerweile vorbei, und nach dem 8. September flieht das neue Paar Altiero Spinelli und Ursula Hirschmann in die Schweiz, um die föderalistische Aktion über die Grenze zu starten, wie es bei der konstituierenden Sitzung der Mfe beschlossen wurde.

Im Mai 1944 wird Eugenio Colorni in Rom von der faschistischen Koch-Bande ermordet. Ursula und Altiero heiraten standesamtlich im Januar 1945 in der Schweiz. Seitdem sind Privatleben und die politische Mission des Ehepaars eng verflochten. Im März 1945 organisieren sie die internationale Föderalistenkonferenz in Paris, an der berühmte Intellektuelle wie George Orwell, Lewis Mumford und Albert Camus teilnehmen. Am Ende des Krieges ziehen Altiero und Ursula mit ihren drei Töchtern von Eugenio Colorni - Silvia, Renata und Eva - nach Rom, dort werden später weitere drei Töchter - Diana, Sara und Barbara Spinelli - geboren. Obwohl die zahlreiche Familie aufgrund der politischen Verpflichtungen Altieros stets in Europa unterwegs ist - setzt Ursula unermüdlich ihre Tätigkeit fort, um die verschiedenen Strömungen der europäischen fortschrittlichen Bewegungen miteinander zu verbinden. Sie bringt feministische Forderungen in die europäische Bewegung ein, in der Überzeugung, dass, wenn es richtig ist, dass sich Frauen in erster Linie um die Eroberung ihrer Rechte bemühen, dies in Zusammenarbeit mit anderen Bewegungen und aus den Institutionen heraus geschehen sollte. Diese lange und geduldige Arbeit der Vermittlung und des Dialogs führt 1975 zur Gründung von Femmes pour l'Europe, einer Bewegung, die Frauen in Politik, Kultur und Feminismus in gemeinsamen Kämpfen vereinen soll, wie z.B. die gleichberechtigte Teilnahme von Frauen an der Bildung, eine gleichberechtigte Disziplin der Frauenarbeit, die Verbesserung der Lebensbedingungen auch für Migrantinnen und Entwicklungsländer. Hirschmann hält es für notwendig, dass Frauen in Institutionen und Feministinnen ihr gegenseitiges Misstrauen überwinden, um an allen Fronten, auch der europäischen, gemeinsam zu kämpfen, denn, wie sie sagt, "der Kampf für die Einigung Europas kann für Frauen eine wichtige und beispielhafte Etappe sein". Einige Monate, nachdem sie diese Zeilen geschrieben hat, erleidet sie eine schwere Hirnblutung und bleibt praktisch gelähmt bis zu ihrem Tod sechzehn Jahre später, am 8. Januar 1991, in Rom. In der Zwischenzeit hat das Europäische Parlament am 14. Februar 1984 den Entwurf des Vertrags zur Gründung der Europäischen Union angenommen, den ersten grundlegenden Schritt hin zur politischen Union, der Ursula und Altiero Jahre ihres Lebens gewidmet haben.

Marga Klompé
Valeria Pilone



Martina Zinni

 

Dare visibilità e giusti riconoscimenti alle donne che hanno segnato tappe importanti nella storia dell’umanità è, come sappiamo bene, impresa ardua e non priva di ostacoli. Far emergere storie e meriti di donne che hanno operato sempre ai margini e mai alla ribalta degli allori, è ancor più difficile, ma quantomai necessario. È quanto si può affermare di Marga Klompé, studiosa di materie scientifiche e insegnante tra le madri fondatrici dell’Europa e donna dalla straordinaria sensibilità, manifestata soprattutto verso i/le più deboli della società. In una mia ideale lista di influencer, Marga merita un posto speciale, accanto per esempio a quello di Giuseppe Di Vittorio, perché ciò che li accomuna è la provenienza dal mondo dei/delle più umili e le battaglie in loro favore. Margaretha Albertina Maria Klompé, detta Marga, era nata ad Arnhem, città dei Paesi Bassi, il 16 agosto 1912. Sua madre Ursula Verdang era immigrata tedesca di prima generazione, suo padre Johannes Klompé era olandese e proprietario di una cartoleria. Marga era la seconda di cinque figli. La vita di questa famiglia semplice e numerosa, che si sosteneva con il lavoro del capofamiglia, venne sconvolta dalla morte di Johannes. Un’estrema condizione di povertà fu la conseguenza dell'evento: ciò restò profondamente impresso nella formazione e nella coscienza di Marga, che si impegnò sempre al massimo e con profitto nello studio. È l’istruzione, infatti, l’unico vero e democratico ascensore sociale che in uno Stato andrebbe costantemente curato e adeguatamente finanziato, come avviene già in diversi Paesi dell’Europa, a differenza dell’Italia, fanalino di coda in tema di investimenti per l’istruzione pubblica. La carriera di Marga fu quella di una brillantissima studente: frequentò un liceo nella sua città natale, nel 1932 si laureò in chimica presso l’Università di Utrecht, dal 1932 al 1949 lavorò come insegnante di scienze presso la scuola superiore femminile “Mater Dei” di Nimega. Nel 1941 ottenne un dottorato di ricerca in matematica e fisica e l’anno seguente iniziò a studiare medicina. E molto probabilmente ce l’avrebbe fatta a conseguire la nuova laurea, se l’ombra terrificante della Seconda guerra mondiale non avesse oscurato la sua esistenza e quella della gioventù europea, costringendola a interrompere gli studi. Il 10 maggio 1940, infatti, la Germania nazista invase i Paesi Bassi e l’Università di Utrecht fu chiusa. Il periodo della guerra la vide protagonista della lotta partigiana: si unì alla resistenza olandese contro gli occupanti tedeschi, fu attivissima staffetta e organizzatrice di una rete di volontarie.

Dopo la guerra, Marga non lasciò più l’impegno politico, in controtendenza rispetto a quanto avveniva in quegli anni, in cui era rarissimo che le donne avessero ruoli politici in prima linea. Venne eletta nel Partito popolare cattolico, lei che, cresciuta in ambiente religioso ma non bigotto, avrebbe portato una visione di apertura e particolare attenzione ai/alle più deboli e fragili della società, secondo gli insegnamenti evangelici. La sua esperienza diventa di ampio respiro quando nel dopoguerra prese parte alla delegazione olandese per partecipare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, in seno alla quale fu una delle negoziatrici per la Dichiarazione dei diritti umani, partecipando alla terza commissione che si occupava specificatamente di diritti e questioni umanitarie. In Europa, nel 1952 Marga Klompé ottenne un altro suo primato per l’epoca: su 78 membri fu l’unica donna eletta nell’Assemblea della Ceca. Nel 1955 fu nominata in un gruppo di lavoro dell’Assemblea che aveva lo scopo di ampliare i poteri della Comunità europea del carbone e dell’acciaio e di creare un mercato unico che andasse oltre quei settori. Il primato è rilevante, eccome, se si considera che nel 1958 le donne saliranno appena e faticosamente a tre su 152 e nel 1972 a quattro. Si dovrà attendere il 1979, quando con le prime elezioni a suffragio diretto per il Parlamento europeo, le donne diventeranno il 16 per cento di eletti/e, con una presidente donna: Simone Veil, subentrata ad un’altra donna, Louise Weiss, che aveva ottenuto la carica sconfiggendo due uomini e una ragazza di trent’anni autocandidata: si chiamava Emma Bonino. Nella storia dei Paesi Bassi, Marga fu la prima donna a conquistare una carica di governo: nel 1956 lasciò l’Assemblea e diventò prima ministra del suo Paese. Si raccontava che, alla prima riunione del consiglio dei ministri, si presentò informalmente dicendo: «Salve, ragazzi. Io sono Marga», imbarazzando i presenti. A Marga Klompé non interessavano le cerimonie e i protocolli del potere. Lei, che aveva vissuto la povertà e l’indigenza sulla propria pelle e, nonostante ciò, aveva avuto la forza di volontà di studiare e agire attivamente la sua cittadinanza, attraverso la partecipazione alla resistenza e poi alla vita politica, lei che aveva compreso che le ingiustizie non sarebbero mai state scardinate se non con un impegno diretto e appassionato in politica anche delle donne, non si lasciò di certo sfuggire l’occasione per operare una profonda riforma sociale nel suo Paese: riuscì a far approvare una legge sull’assistenza generale, che sostituì la precedente legge sulla povertà, rendendo l’assistenza sociale un diritto per cittadini/e e non un’opera di beneficenza. La legge entrò in vigore nel 1965, facendo sì che lo Stato diventasse maggiormente protagonista nel sostegno sociale a poveri e diseredati. Dal 1961 al 1963 fu anche ministra dell’Educazione, delle Arti e delle Scienze ad interim, e dal 1966 al 1971, divenuta ministra della Cultura, del tempo libero e del lavoro, raggiunse altri due obiettivi importantissimi: l’istituzione delle case di riposo per gli/le anziani/e e la legge cosiddetta Caravan sull’assistenza a nomadi e zingari.

 

I suoi oppositori politici la chiamavano con spregio “Nostra Signora del perpetuo soccorso”, ma Magda, cattolica di ampie vedute, europeista e pacifista, diceva: «Quando tutti saranno abituati a vivere con altre persone intorno, e a vivere bene, e ad aver cura gli uni degli altri, allora sarà più semplice anche per le nazioni lavorare insieme». Parole, le sue, che dovremmo riportare al centro delle agende politiche di ogni Paese, e che, probabilmente, l’attuale Olanda avrà dimenticato o non conoscerà affatto. Nel 1971 ottenne il titolo di ministra di Stato, un onore riconosciuto nei Paesi Bassi ai responsabili politici di alto livello al termine della loro carriera. Dopo l’esperienza nella politica, portò avanti campagne per la giustizia internazionale e la responsabilità sociale e si schierò contro il regime dell’apartheid in Sud Africa. Venne nominata da papa Paolo VI presidente della Commissione nazionale dei Paesi Bassi per la giustizia e la pace e fu tra le fondatrici dell’Unione delle laureate cattoliche e del servizio di volontariato delle donne cattoliche. Tante sono le strade, le scuole e le strutture sanitarie a lei intitolate nel suo Paese. Nella sua relazione all’Assemblea comune della Ceca sui risultati della conferenza di Messina del 1955, in cui i ministri degli Esteri dei sei Stati membri avevano concordato il contenuto dei prossimi due Trattati di Roma, ebbe a pronunciare parole incredibilmente moderne, che contenevano pienamente il primo spirito europeista che aveva animato il Manifesto di Ventotene: «Noi vogliamo una Comunità di interessi, vogliamo che ogni cittadino della Comunità, in qualsiasi paese abiti, senta che i provvedimenti presi al livello europeo lo riguardino direttamente e direttamente gli giovino. […] Se procediamo per settori, alcuni paesi potrebbero raccogliere i frutti dell’integrazione, mentre altri ne sopporterebbero soprattutto gli inconvenienti. […] Se l’integrazione è orizzontale, questi contrasti si compensano […]. È il solo mezzo per giungere alla creazione di una Comunità con uno spirito di solidarietà». Il 28 ottobre del 1986, trentuno anni dopo aver pronunciato queste parole, Marga Komplé morì a L’Aja. La sua storia merita di essere conosciuta e raccontata. Madre fondatrice dell’Europa e instancabile difensora degli esseri umani più poveri e indifesi, ha lasciato al mondo intero e alle future generazioni un grande insegnamento: «Le persone possono cambiare il mondo».

 

Traduzione francese
Giuliana Gaudenzi

Donner de la visibilité et une juste reconnaissance aux femmes qui ont marqué des jalons importants dans l'histoire de l'humanité est, on le sait bien, une entreprise ardue et non sans obstacles. Faire émerger les histoires et les mérites des femmes qui ont toujours travaillé en marge et jamais au-devant de la scène, est encore plus difficile, mais absolument nécessaire. C'est ce que l'on peut dire de Marga Klompé, érudite des matières scientifiques et enseignante parmi les mères fondatrices de l'Europe et femme d'une sensibilité extraordinaire, qui se manifeste avant tout envers les plus faibles de la société. Dans ma liste idéale d'influenceurs, Marga mérite une place de choix, à côté de celle de Giuseppe Di Vittorio, par exemple, car ce qui les unit, c'est l'origine du monde des plus humbles et les combats en leur faveur. Margaretha Albertina Maria Klompé, dite Marga, était née à Arnhem, une ville des Pays-Bas, le 16 août 1912. Sa mère Ursula Verdang était une immigrée allemande de première génération, son père Johannes Klompé était néerlandais et propriétaire d'une papeterie. Marga était la deuxième de cinq enfants. La vie de cette famille simple et nombreuse, qui s'appuyait sur le travail du chef de famille, a été bouleversée par la mort de Johannes. Un état de pauvreté extrême a été la conséquence de l'événement : cela est resté profondément gravé dans l'éducation et la conscience de Marga, qui a toujours travaillé dur et avec profit dans ses études. En effet, l'éducation est le seul véritable ascenseur social démocratique qui dans un Etat devrait être constamment pris en charge et adéquatement financé, comme c'est déjà le cas dans plusieurs pays européens, contrairement à l'Italie, qui est la dernière en termes d'investissements pour l'éducation publique. La carrière de Marga a été celle d'une brillante étudiante : elle a fréquenté un lycée dans sa ville natale, en 1932 elle est diplômée en chimie à l'Université d'Utrecht, de 1932 à 1949 elle a travaillé comme professeur de sciences au lycée pour filles "Mater Dei" de Nimègue. En 1941, elle a obtenu un doctorat en mathématiques et physique et l'année suivante a commencé des études de médecine. Et très probablement elle aurait atteint son nouveau diplôme, si l'ombre terrifiante de la Deuxième Guerre mondiale n'avait obscurci son existence et celle de la jeunesse européenne, l'obligeant à interrompre ses études. En effet, le 10 mai 1940, l'Allemagne nazie a envahi les Pays-Bas et l'université d'Utrecht a été fermée. La période de guerre l’a vue protagoniste de la lutte partisane : elle a rejoint la résistance hollandaise contre l'occupant allemand, a été très active comme messagère et organisatrice d'un réseau de volontaires.

Après la guerre, Marga n'a jamais renoncé à son engagement politique, contrairement à ce qui se passait dans ces années-là, où il était très rare pour les femmes d'avoir des rôles politiques en première ligne. Elle a été élue au Parti populaire catholique, elle qui, élevée dans un milieu religieux mais pas bigote, aurait apporté une vision d'ouverture et une attention particulière aux plus faibles et aux plus fragiles de la société, selon les enseignements évangéliques. Son expérience s'élargit lorsqu'après la guerre elle a fait partie de la délégation néerlandaise pour participer à l'Assemblée générale des Nations Unies, dont elle a été une des négociatrices pour la Déclaration des droits de l'homme, en participant à la troisième commission qui traitait spécifiquement des droits et des questions humanitaires. En Europe, Marga Klompé a obtenu en 1952 un autre record pour l'époque : sur 78 membres, elle a été la seule femme élue à l'Assemblée de la CECA. En 1955, elle a été nommée dans un groupe de travail de l'Assemblée qui visait à élargir les pouvoirs de la Communauté européenne du charbon et de l'acier et de créer un marché unique qui aille au-delà de ces secteurs. Le bilan est bel et bien significatif, si l'on considère qu'en 1958 les femmes passeront difficilement et péniblement à trois sur 152 et en 1972 à quatre. Il faudra attendre 1979, quand avec les premières élections au suffrage direct pour le Parlement européen, les femmes deviendront le 16 pour cent des élus, avec une présidente : Simone Veil, qui succède à une autre femme, Louise Weiss, qui avait obtenu le poste en battant deux hommes et une jeune fille de trente ans qui s’était portée candidate : elle s'appelait Emma Bonino. Dans l'histoire des Pays-Bas, Marga a été la première femme à obtenir un poste au gouvernement : en 1956, elle a quitté l'Assemblée et est devenue Première ministre de son Pays. On disait que, lors de la première réunion du conseil des ministres, elle s'est présentée de manière informelle en disant : « Bonjour les gars. Je suis Marga », en embarrassant les personnes présentes. Marga Klompé ne s'intéressait pas aux cérémonies et aux protocoles du pouvoir. Elle, qui avait vécu sur sa peau la pauvreté et le dénuement et, malgré cela, avait eu la volonté d'étudier et d'agir activement sur sa citoyenneté, en participant à la résistance puis à la vie politique, elle qui avait compris que les injustices ne seraient jamais sapées si ce n'était d'un engagement politique direct et passionné des femmes également, n'a certainement pas manqué l'occasion de mener une profonde réforme sociale dans son pays : elle a réussi à faire passer une loi sur l'assistance générale, qui a remplacé l'ancienne loi sur la pauvreté, faisant de l'assistance sociale un droit des citoyens et non une œuvre caritative. La loi est entrée en vigueur en 1965, faisant de l'État un acteur majeur de l'aide sociale aux pauvres et aux démunis. De 1961 à 1963 elle a été également ministre de l'Éducation, des Arts et des Sciences par intérim, et de 1966 à 1971, devenue ministre de la Culture, des Loisirs et du Travail, elle réalise deux autres objectifs très importants : la création des maisons de retraite pour personnes âgées et la loi dite Caravane sur l'assistance aux nomades et aux gitans.

 

Ses opposants politiques l'appelaient avec mépris « Notre-Dame du Secours Perpétuel », mais Magda, une catholique large d'esprit, pro-européenne et pacifiste, déclarait : « Quand tout le monde sera habitué à vivre avec d'autres personnes autour, et à bien vivre, et à prendre soin les uns des autres, alors il sera plus facile aussi pour les nations de travailler ensemble ». Ses propos, que nous devrions remettre au centre des agendas politiques de chaque Pays, et que, probablement, les Pays-Bas actuels auront oubliés ou ne connaîtront pas du tout. En 1971, elle a reçu le titre de ministre d'État, un honneur reconnu aux Pays-Bas aux dirigeants politiques de haut niveau en fin de carrière. Après son expérience en politique, elle a fait campagne pour la justice internationale et la responsabilité sociale et s'est opposée au régime d'apartheid en Afrique du Sud. Elle a été nommée par le pape Paul VI présidente de la Commission nationale Néerlandaise pour la justice et la paix et a été l'une des fondatrices de l'Union des diplômés catholiques et du service de bénévolat des femmes catholiques. De nombreuses rues, écoles et établissements de santé portent son nom dans son Pays. Dans son rapport à l'Assemblée commune de la CECA sur les résultats de la conférence de Messine de 1955, au cours de laquelle les ministres des Affaires étrangères des six États membres s'étaient mis d'accord sur le contenu des deux prochains Traités de Rome, elle a prononcé des mots incroyablement modernes, qui contenaient pleinement le premier esprit pro-européen qui animait le Manifeste de Ventotene : « Nous voulons une Communauté d'intérêts, nous voulons que chaque citoyen de la Communauté, quel que soit le Pays où il vit, sente que les mesures prises au niveau européen le concernent directement et lui profitent directement. [...] Si l'on procède par secteur, certains pays pourraient récolter les fruits de l'intégration, tandis que d'autres en supporteraient surtout les inconvénients. [...] Si l'intégration est horizontale, ces contrastes se compensent [...]. C'est le seul moyen de parvenir à la création d'une Communauté avec un esprit de solidarité ». Le 28 octobre 1986, trente et un ans après avoir prononcé ces mots, Marga Komplé est décédée à La Haye. Son histoire mérite d'être connue et racontée. Mère fondatrice de l'Europe et inlassable défenseure des êtres humains les plus pauvres et les plus sans défense, elle a laissé un grand enseignement au monde entier et aux générations futures : "Les personnes peuvent changer le monde".

 

Traduzione inglese
Cettina Callea

Giving visibility and just recognition to women who have marked important milestones in the history of mankind is an arduous undertaking, full of obstacles. Bringing out the stories and merits of women who have always worked on the fringes and never in the limelight, is even more difficult, but very necessary. This is what can be said about Marga Klompé, a scholar of scientific subjects, a teacher among the founding mothers of Europe, and a woman of extraordinary sensitivity, shown above all towards the weakest in society. In my ideal list of influencers, Marga deserves a special place, next to Giuseppe Di Vittorio, for example, because those two individuals are united by their humble origins and by their battles on behalf of the most oppressed. Margaretha Albertina Maria Klompé, known as Marga, was born in Arnhem, a city in the Netherlands, on August 16, 1912. Her mother, Ursula Verdang, was a first-generation German immigrant. Her father, Johannes Klompé, was Dutch and owner of a stationery shop. Marga was the second of five children. The simple life of this large family was supported by the work of the head of the family, Johannes, and was deeply disrupted by his early death. Extreme poverty for the family followed, and this remained deeply imprinted in the education and consciousness of Marga, who always studied hard to good result. In fact, education is the only real and democratic social elevator that should be constantly supported and adequately financed by the state, as is already the case in several European countries, unlike Italy, which is lagging behind in terms of investments for public education. Marga was a brilliant student: she attended a high school in her hometown, and then in 1932 graduated in chemistry from the University of Utrecht. From 1932 to 1949 she worked as a science teacher at the high school for girls, "Mater Dei," of Nijmegen. In 1941 she took a PhD in mathematics and physics and the following year she began studying medicine. She most likely would have completed her new degree if the terrifying shadow of the Second World War had not forced her, and other European youth, to interrupt their studies. On May 10, 1940, Nazi Germany invaded the Netherlands and Utrecht University was closed. The war period saw her as an active participant in the partisan struggle. She joined the Dutch resistance against the German occupiers, and served as a very active relay and organizer of a network of volunteers.

After the war, Marga never gave up her political commitment, in contrast to what happened in those years, when it was very rare for women to have prominent political roles. She was elected to the leadership of the Catholic People's Party, and since she was raised in a religious but not bigoted environment, she brought a vision of openness to the party, paying a great attention to the weakest and most fragile in society, according to the evangelical teachings. Her experience became wide-ranging when, after the war, she took part in the Dutch delegation to participate in the United Nations General Assembly, in which she was one of the negotiators for the Declaration of Human Rights, participating in the third commission that dealt specifically with rights and humanitarian issues. This record is relevant, indeed, if we consider that in 1958 women painfully rose to only three out of 152 in the Assembly, and in 1972 to four. In 1979, with the first direct suffrage elections for the European Parliament, women became 16 per cent of those elected, with a woman president: Simone Veil, who took over from another woman, Louise Weiss, who had obtained the position by defeating two men and a self-nominated thirty-year-old woman whose name was Emma Bonino. In the history of the Netherlands, Marga was the first woman to win a national government post. In 1956 she left the UN Assembly and became the first female minister of her country. They said that, at the first meeting of the council of ministers, she introduced herself informally saying: “Hello, guys. I'm Marga”, embarrassing those present. Marga Klompé was not interested in the ceremonies and protocols of power. Marga had personally experienced poverty and indigence on her own life and, despite this, had had the willpower to study and to actively make use of her citizenship, through participation in the resistance and then in political life. She understood that injustices would never have been challenged without a direct and passionate commitment to politics by women. She did not miss any opportunity to carry out profound social reforms in her country. She succeeded in having a law on general assistance passed, which replaced the previous poverty law, making social assistance a right for citizens and not a charity. The law came into force in 1965, causing the state to become a major player in social support for the poor and dispossessed. From 1961 to 1963 she was also ad interim Minister of Education, Arts and Sciences, and from 1966 to 1971, she became Minister of Culture, Leisure and Work. She achieved two other very important objectives, the establishment of retirement homes for the elderly, and the so-called Caravan Law on assistance to nomads and gypsies (the Roma people).

 

Her political opponents scornfully called her "Our Lady of Perpetual Help." But Magda, a broad-minded Catholic, pro-European and pacifist, said, "When everyone is used to living with other people around, and living well, and taking care of one another, then it will be easier for the nations to work together too.” Her words, which, probably, the current Netherlands have forgotten or do not know at all, should be brought back to the centre of the political agendas of each country. In 1971 she was awarded the title of Minister of State, an honor created in the Netherlands for high-level political leaders at the end of their careers. After her experience in politics, she campaigned for international justice and social responsibility and sided against the apartheid regime in South Africa. She was appointed by Pope Paul VI as president of the Netherlands National Commission for Justice and Peace, and was one of the founders of the Union of Catholic graduates and of the voluntary service of Catholic women. There are many streets, schools and health facilities named after her in her country. In her report to the Common Assembly of the Czech Republic on the results of the Messina conference of 1955, in which the foreign ministers of the six member states had agreed on the content of the next two Treaties of Rome, she uttered incredibly modern words, which fully contained the first pro-European spirit that animated the Ventotene Manifesto: “We want a Community of interests, we want every citizen of the Community, in whatever country he/she lives, to feel that the measures taken at the European level directly and directly affect him/her. [...]If we proceed by sector, some countries could reap the benefits of integration, while others would bear the drawbacks above all. [...] If the integration is horizontal, these contrasts compensate for each other [...]. It is the only means to achieve the creation of a community with a spirit of solidarity." On October 28, 1986, thirty-one years after having said these words, Marga Komplé died in The Hague. Her story deserves to be known and told. A founding mother of Europe and a tireless defender of the poorest and most defenseless human beings, she left a great teaching to the whole world and to future generations: "People can change the world".

 

Simone Jacob Veil
Sara Marsico



Martina Zinni

 

Simone Jacob, coniugata Veil, è stata definita dal Parlamento europeo, in occasione della sua scomparsa avvenuta il 30 giugno 2017, “coscienza d’Europa” e da questa definizione occorre partire se si vuole descrivere il percorso esistenziale, politico e culturale di una grande Madre fondatrice dell’Unione europea. Nata a Nizza in una famiglia benestante di religione ebraica, trascorre una vita felice seguendo i consigli della madre, che avvia le figlie e il figlio allo studio e all’indipendenza economica attraverso il lavoro. Purtroppo la serenità familiare comincia a vacillare nel 1943, quando lei stessa diviene oggetto di discriminazioni, è allontanata dalla scuola ed è costretta a presentarsi, l’anno dopo, come privatista, agli esami di maturità, che consegue il 29 marzo del 1944. Il giorno seguente viene arrestata per essere trasferita, insieme ad alcuni membri della sua famiglia, ad Auschwitz Birkenau. Il padre e il fratello saranno deportati con l’inganno in Lituania, a Kaunas, dal cui campo di sterminio non faranno più ritorno. Ad Auschwitz Simone, che non dichiara di essere maggiorenne e anche per questo riesce a sfuggire alla camera a gas, viene spostata prima al sottocampo più leggero di Bobrek, grazie all’interessamento di una Kapò che la prende in simpatia e poi a Bergen Belsen, dove sarà assegnata alla cucina delle SS. Nel campo di sterminio perderà la madre, mentre le due sorelle, una delle quali deportata a Ravensbruck come appartenente alla Resistenza, riusciranno come lei a sopravvivere. L’esperienza della deportazione segnerà profondamente Veil, che vedrà nella riconciliazione franco-tedesca e nell’Europa unita e sovranazionale l’unica via da percorrere per evitare il ripetersi degli orrori della guerra e dello sterminio nazista. Ecco alcune delle sue parole: «Quello che per me è stato determinante, dopo la tragedia che ho vissuto, era l’idea che se vogliamo evitare il ripetersi di una simile barbarie, l’unica soluzione è arrivare a riconciliarci costruendo insieme un’entità europea. È indispensabile, qualunque siano i nostri sentimenti personali, riuscire a non dimenticare né a nascondere il passato, ma fare di tutto perché le generazioni a venire non patiscano quello che abbiamo vissuto noi». E soprattutto: «La costruzione di un’Europa fondata sulla riconciliazione e sulla pace» è «la sola via da percorrere».

Avversa allo strapotere degli Stati-nazione e a tutti i nazionalismi, tornata in Francia, a Parigi, nel 1945, sembra voler bruciare tutte le tappe per recuperare il tempo di vita sottrattole nei lager: si iscrive al Paris Institute of Political Studies, anche noto come Sciences Po, dove si laurea in legge e scienze politiche. Intanto, giovanissima, a 19 anni, sposa Antoine Veil, con cui avrà tre figli, quasi a volere risarcire il mondo della perdita delle sue persone più care. Entrata in Magistratura, concentrerà i suoi sforzi a migliorare le condizioni delle persone detenute ed in particolare delle donne. Dal 1957 al 1959 diventa poi consigliera tecnica per i problemi giuridici del Ministro Pleven. Nel 1964 si dedicherà alla politica, come Ministra della salute, prima della storia francese, nei Governi Chirac e Barre, battendosi in difesa dei diritti femminili, per la lotta al tabagismo, la ricerca sui vaccini, la contraccezione, le farmacie veterinarie. Veil dovrà affrontare un dibattito molto duro e spietato in Parlamento: un deputato si spingerà addirittura a depositare un feto sotto formalina sui banchi del Governo, nel tentativo di scatenare la reazione della destra conservatrice. Né questo gesto, né la scritta ” Veil=Hitler” sulla porta di casa sua, né gli insulti alla sua persona fermeranno la Ministra: la legge sulla depenalizzazione dell’interruzione di gravidanza sarà ricordata come Loi Veil e sarà la prima su questo tema approvata da un Paese a maggioranza cattolica. Nel 1970 sarà la prima donna a sedere nel Consiglio Superiore della Magistratura come Segretaria. Accogliendo una proposta di Valery Giscard D’Estaing, si candiderà al Parlamento europeo, in cui, diventandone la prima Presidente, intraprenderà un’opera pionieristica di difesa strenua delle prerogative parlamentari, soprattutto in materia di bilancio, dalle pressioni del Consiglio e dei Governi in esso rappresentati. Nel suo memorabile discorso di insediamento, Simone Veil auspica la creazione di un’«Europa della solidarietà», «dell’indipendenza e della cooperazione», una «Comunità fondata su un patrimonio comune e sul comune rispetto per i valori umani fondamentali». Non dev’essere stato facile farsi rispettare come donna in una carica tanto importante e ambìta, soprattutto dagli uomini. Ce ne danno conferma le parole di Altiero Spinelli, che così ce la descrive durante il primo anno di presidenza del Parlamento della Comunità Europea: «Durante il pranzo osservo la Presidente. È una donna tesa, incapace di un gesto di buon umore o di ironia. Non sa quasi sorridere. Questo atteggiamento assertivo ma in fondo consapevole di aver impegnato tutta sé stessa senza più riserve nell’asserzione e perciò impegnata a non distrarsi in alcun modo, questo atteggiamento l’ho incontrato in alcuni uomini politici, ma più spesso in molte donne politiche... Credo che ciò sia dovuto al senso che una donna così impegnata ha di essere ancora su un terreno di fatto ancora ostile. Sente ghignare intorno a sé i maschi pronti a beffarsi di lei se non è in qualche momento all’altezza della situazione. E mi piace questa volontà concentrata di coraggio». Veil resterà nel Parlamento europeo per altre due legislature, durante le quali si concentrerà sulla protezione dell’ambiente, la tutela dei consumatori e la sanità.

Il suo grande impegno e la sua notevole capacità di lavoro continueranno per tutta la vita, a dispetto dei tanti insulti ed attacchi degli avversari politici. Nel 1993 sarà di nuovo Ministra della salute, per le politiche sociali e delle aree urbane. Nel 1998, lasciata la politica, sarà nominata Giudice del Consiglio costituzionale francese, carica che ricoprirà per nove anni, coronando una carriera caratterizzata dall’amore per la giustizia e per il diritto come strumenti per migliorare la vita delle persone. In quegli stessi anni presiederà anche la Fondazione per la Shoah. In occasione del referendum per l'approvazione della Costituzione europea del 29 maggio 2005 chiederà di essere sospesa temporaneamente dal Consiglio costituzionale per fare campagna per il voto favorevole dei francesi, purtroppo senza successo. Veil, prima Presidente del Parlamento Europeo, cui un’altra grande donna francese, Louise Weiss, decana dell’Assemblea, chiamata a presiederne la prima seduta, passò il testimone, connotando al femminile la guida dell’organo più democratico dell’allora Comunità Europea, è sepolta col marito dal 2018 al Pantheon, insieme a sole altre quattro donne. Nel passaggio di consegne tra Weiss e Veil è da riconoscere anche il passaggio dall’europeismo utopistico e avventuroso del Primo Novecento a quello istituzionalizzato, concreto e fattuale che ci porterà fino ai nostri giorni. Weiss aveva detto, in uno dei più bei discorsi che siano stati fatti al Parlamento Europeo, «Le istituzioni comunitarie hanno fatto barbabietole, burro, formaggi, vini, vitelli e anche maiali europei. Ma non hanno fatto uomini europei». Quegli uomini «bisogna rifarli». Questo compito titanico spettò a una donna, secondo cui l’Europa era chiamata a «raccogliere il guanto di tre importanti sfide: quella della pace, quella della libertà e quella del benessere». L’eredità che questa donna straordinaria ci ha lasciato è sintetizzata in quello che ha scelto di incidere sulla spada di Immortale dell’Académie Française, quando, nel 2008, vi fu ammessa: il numero di deportata ad Auschwitz-Birkenau, 78651, il motto della Francia «Liberté, Egalité, Fraternité» e quello dell’Unione europea: «Uniti nella diversità», un sorridente volto femminile, due mani intrecciate e ramoscelli d’ulivo: un insegnamento pacifista, femminista, europeista e democratico di una donna che, con coraggio e caparbietà, «ha saputo trasformare il dolore in speranza, creando un ponte tra gli orrori del nazismo e la rinascita di una nuova Europa.»( Serafin, l’Italia ricorda Simone Veil, Senato della Repubblica, Atti del Convegno del 27 luglio 2017). Proprio per questo, mai appellativo come “coscienza d’Europa” fu più calzante per questa coraggiosa combattente per i valori europei e per i diritti umani dei più deboli e delle minoranze. Nel 2018 la Francia le ha dedicato un francobollo commemorativo da 2 euro. Dal 14 marzo 2019 di lei si può ammirare una targa nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano.

 

 

Traduzione francese
Daniela Troni

Simone Jacob, mariée Veil, a été définie par le Parlement Européen le 30 juin 2017, jour de sa mort, “Ame de l’Europe” et de cette définition il faut partir si on veut décrire le parcours politique et culturel d’une Grande Mère de l’Union. Née à Nice dans une famille aisée, elle passe une vie heureuse suivant les conseils de sa mère qui adresse les filles et le fils vers les études et l’indépendance économique à travers le travail. Malheureusement le bonheur de la famille commence à basculer en 1943; les discriminations la touchent, elle doit quitter l’école et elle doit soutenir son Bac comme externe le 29 mars 1944. Le lendemain elle est déportée, avec des membres de sa famille, à Auschwitz Birkenau. Son père et son frère tombent dans un piège et seront déportés à Kaunas, en Lituanie. Ils ne retourneront jamais. A Auschwitz Simone ne déclare pas sa majorité, réussit à éviter le gaz et, grace à l’intervention d’une Kapò, est transférée d’abord à Brobek et ensuite à Bergen Belsen où elle travaillera dans la cuisine des SS. Dans ce camp elle perdra sa mère alors que ses deux soeurs, dont une déportée à Ravensbruck en tant que membre de la Résistance, réussiront à survivre. L’expérience de la déportation marquera profondément Veil, qui verra dans la réconciliation franco-allemande et dans l’Europe Unie et supranational le seul chemin à parcourir pour éviter les horreurs de la guerre et de l’extermination naziste. Voilà ses mots: «Quello che per me è stato determinante, dopo la tragedia che ho vissuto, era l’idea che se vogliamo evitare il ripetersi di una simile barbarie, l’unica soluzione è arrivare a riconciliarci costruendo insieme un’entità europea. È indispensabile, qualunque siano i nostri sentimenti personali, riuscire a non dimenticare né a nascondere il passato, ma fare di tutto perché le generazioni a venire non patiscano quello che abbiamo vissuto noi». E soprattutto: «La costruzione di un’Europa fondata sulla riconciliazione e sulla pace» è «la sola via da percorrere».

Contraire au pouvoir excessif des Etats- nations et à tous les nationalismes, une fois en France, à Paris, en 1945, elle semble bruler toutes les étapes pour récuperer le temps volé dans les lagers: elle s’inscrit au Paris Institute of Political Studies, Sciences Po, où elle aura sa maitrise en Droit et Sciences Politiques. Très jeunes, à 19 ans, elle se marie avec Antoine Veil et elle aura trois enfants, puet-etre pour dédommager le monde de la perte de sa famille. Entrée dans la Magstrature, elle fera tout effort pour améliorer les conditions des prisonniers et en particulier des femmes. Du 1957 au 1959 elle devient conseiller technique pour les problèmes juridiques du Ministre Pleven. En 1964 elle se tourne vers la politique comme Ministre de la Santé, première de l’histoire française dans les Gouvernements Chirac et Barre. Elle se battra pour les droits des femmes, la lutte contre le tabagisme, la recherche sur les vaccins, la contraception, les pharmacies vétérinaires. Veil devra faire face à un débat très dur au sein du Parlement: un député ira jusqu’à déposer un foetus en formaline sur les bancs du Gouvernement pour susciter la réaction de la Droite Conservatrice. Elle ne s’arretera ni devant ce geste ni devant le “Veil-Hitler” sur la porte de sa maison ni devant les insultes contre sa personne; la loi sur la dépénalisation de l’avortement sera rappelée comme Loi Veil et elle sera la première dans un pays catholique. En 1970 elle sera la première femme Secrétaire du Conseil Supérieur de la Magistrature. Sur proposition de Valery Giscard D’Estaing, elle posera sa candidature au Parlement Européen et elle en deviendra première Présidente. Elle commencera la défense des prérogatives du Parlement, surtout en matière de bilan, soumises aux pressions du Conseil et des Gouvernements. Dans son mémorable discours d’entrée, Simone Veil souhaite la création d’une “Europe de la solidarité”, “de l’indépendance et de la coopération, une “Communauté” fondée sur un patrimoine commun et sur le respect commun pour les valeurs humaines fondamentales”. Il ne devra pas avoir été facile de se faire respecter en tant que femme titulaire d’une charge si importante et recherchée. En effet voilà comment la décrit Altiero Spinelli pendant la première année de Présidence du Parlement de la Communauté Européenne: “Pendant le repas j’observe la Présidente. C’ est une femme nerveuse, incapable d’un geste de bonne humeur ou d’ironie. Elle ne sait pas presque sourire. Cette attitude assertive, mais au fond consciente d’avoir cru totalement à ce qu’elle soutenait, attitude que j’ai rencontrée le plus souvent auprès les femmes engagées dans la politique… Je crois que tout cela est du à la conscience d’etre dans un milieu encore hostile. Elle voit les hommes qui se moquent d’elle quand elle n’est pas à la hauteur. J’apprécie cette volonté de courage”. Veil restera au sein du Parlement Européen encore pour deux législatures pendant lesquelles elle se concentre sur la protection de l’environnment, la tutelle des consommateurs et la santé.

Son grand engagement et sa capacité de travail continueront pendant toute sa vie, en dépit des insultes et des attaques de ses adversaires politiques. En 1993 elle sera encore Ministre de la Santé, pour les politiques sociales et des Aires Urbaines. En 1998, une fois quittée la politique, elle sera nommée juge du Conseil Constitutionnel français pour neuf ans. De cette façon elle couronnera une carrière caractérisée par l’amour pour la justice et pour le droit, instruments pour améliorer la vie des gens. Pendant ces années elle sera aussi Présidente de la Fondation pour la Shoah. A l’occasion du réferendum pour l’approvation de la Constitution Européenne du 29 mai 2005 elle demandera d’etre suspendue temporainement du Conseil Constitutionnel pour s’engager à faveur du vote favorable des français, malheureusement sans succès. Veil, première Prèsidente du Parlement Européen, à laquelle une autre femme française, Louise Weiss, doyenne de l’Assemblée, passa le témoin, est enterrée avec son mari au Panthéon depuis 2018, avec seulement quatre autres femmes. Dans le passage de Weiss à Veil on reconnait aussi le passage de l’européanisme utopique et aventureux des premières années du siècle à l’européanisme institutionnalisé, concret et factuel de nos jours. Weiss, dans l’un des plus beaux discours du Parlement Européen, avait dit: “Les insitutions européennes ont fait des betteraves, du beurre, des vins, des veaux et meme des cochons européens. Mais elles n’ont pas fait des hommes européens”. Ces hommes “Il faut les refaire”. Cette énorme tache sera d’une femme, elle dira que l’Europe devait: “affronter trois défis importants: la paix, la liberté et le bien-etre”. L’ héritage que cette femme extraordinaire nous a laissé est tout dans les mots qu’elle a fait graver sur l’Epée d’Immortelle de l’Académie Française en 2008: son numéro de déportée à Auschwitz-Birkenau, 78651, “Liberté, Egalité, Fraternité , le devis de l’Union Eropéenne “Unis dans la différence”, le visage souriant d’une femme, deux mains croisées et des rameaux d’olivier: l’ enseignement pacifiste, féministe, européen et démocratique d’une femme qui, avec courage et volonté, “a su tranformer la douleur en espoir tout en créant un pont entre les horreurs du nazisme et la renaissance d’une Europe nouvelle”. (Serafin, l’Italia ricorda Simone Veil, Senato della Repubblica, Atti del Convegno del 27 luglio 2017). L’épithète “conscience de l’Europe” est donc plus que jamais approprié pour cette courageuse combattante pour les valeurs européennes et pour les droits humains des plus faibles et des minorités. En 2018 la France lui a dédié un timbre commémoratif de 2 euros . Depuis le 14 mars 2019 on peut admirer sa plaque dans le Jardin des Justes du monde entier de Milan.

 

 

Traduzione inglese
Irene Caldani e Syd Stapleton

Simone Jacob Veil was defined as the "Conscience of Europe" by the European Parliament on the day of her death on June 30, 2017. It is useful to start from this definition if we want to describe the existential, political and cultural path of a great founding mother of the European Union. Born on July 13, 1927 into a wealthy Jewish family in Nice, France, she spent a happy early life following the advice of her mother, who taught her daughters and her son the importance of studying and achieving economic independence through work. But family serenity was shaken badly in 1943 when Simone, as a Jew, became the object of discrimination. She was expelled from school and forced to present herself as a private student for the final exams the following year, which she sat on 29 March 1944. The following day she was arrested and transferred, together with some other members of her family, to the Auschwitz Birkenau Nazi extermination camp. Her father and her brother were deported to an extermination camp in Kaunas, Lithuania, from which they never returned. At Auschwitz, Simone lied about her age and for this reason managed to escape the gas chamber. She was first moved to the Bobrek sub-camp, thanks to the interest of a Kapo who took a liking to her, and then to Bergen Belsen, where she was assigned to the SS kitchen. Her mother died of typhus after the forced march to Bergen Belsen, while her two sisters, one of whom was deported to Ravensbruck as a member of the Resistance, managed, like her, to survive. The experience of deportation deeply marked Veil, who saw in the Franco-German reconciliation and in a united and supranational Europe the only way to avoid the repetition of the horrors of war and Nazi extermination. Here are some of her words: "What was decisive for me, after the tragedy that I experienced, was the idea that if we want to avoid the repetition of such barbarity, the only solution is to get to reconciliation by building together a European entity. It is essential, whatever our personal feelings are, not to forget or hide the past, but to do everything possible so that future generations do not suffer what we experienced.” And above all, she said, “The construction of a Europe based on reconciliation and peace is the only way forward.”

Averse to the power of the nation-states and to all nationalisms, she returned to France, to Paris, in 1945, and seemed to want to take steps to recover the time taken away from her in the concentration camps. She enrolled at the Paris Institute of Political Studies, also known as Sciences Po, where she graduated in law and political science. Meanwhile, very young, at the age of 19, she married Antoine Veil, with whom she had three children, perhaps in an effort to replace the loved ones she had lost. After practicing law for several years, she took the exam to become a magistrate and assumed a position under the Ministry of Justice. She concentrated her efforts on improving the conditions of prisoners, and in particular of the women among them. From 1957 to 1959 she became a technical advisor for legal problems to Justice Minister Pleven. In 1964 she turned to politics, as the first female Minister of Health in French history, in the Chirac and Barre governments, fighting in defense of women's rights, engaged in anti-smoking efforts, research on vaccines, contraception, and veterinary pharmacies. In 1970 she was the first woman to sit on the Superior Council of the Magistracy, where she was General Secretary. Veil faced a very tough and intense debate in Parliament on a woman’s right to abortion - a deputy even went so far as to deposit a fetus preserved in formalin on the benches of Parliament, in an attempt to trigger the reaction of the conservative right. Neither this gesture, nor the writing of "Veil=Hitler" on the door of her house, nor the other insults to her person stopped her. The law on the decriminalization of abortion (passed in 1975) became remembered as the “Veil Law” and was the first on this issue approved by a country with a Catholic majority. Accepting a proposal by Valery Giscard D'Estaing, she ran for a seat in the European Parliament in 1979, where she was elected its first President. She undertook a strenuous defense of the parliamentary prerogatives of the new body, especially in budgetary matters, resisting pressures exerted by the Council and the national governments represented in it. In her memorable inaugural speech, Simone Veil called for the creation of a "Europe of solidarity," "of independence and cooperation", and a "Community based on a common heritage and on a common respect for fundamental human values." It must not have been easy to be respected as a woman, especially by men, in such an important and coveted position. This is confirmed by the words of Altiero Spinelli, who describes her as follows during the first year of her presidency of the European Community Parliament: "During lunch I observe the President. She is a tense woman, incapable of a gesture of good humor or irony. She hardly knows how to smile. I have encountered this assertive attitude in some politicians, but more often in many women politicians... I believe this is due to the sense that the President's attitude is one of self-doubt. I think this is due to the sense that such a committed woman has of still being on de facto hostile ground. She feels sneers all around her from males ready to mock her if she doesn't rise to the occasion at some point. And I like that concentrated will of courage." Veil remained President of the European Parliament for two more terms, and continued in other roles for the Parliament until 1993. During that time she focused on environmental protection, consumer protection and health care.

Her great commitment and remarkable productivity continued throughout her life, in spite of the many insults and attacks from her political opponents. In 1993 she again became the Minister of Health for social policies and urban areas. In 1998, after leaving politics, she was appointed to the French Constitutional Council, a position she held for nine years, crowning a career characterized by a love for justice and of law as tools to improve people's lives. In those same years she also chaired the Foundation for the Shoah. On the occasion of the referendum for the approval of the European Constitution of May 29, 2005 asked to be temporarily suspended from the Constitutional Council to campaign for the French vote in favor of the Constitution, unfortunately without success. Veil, the first President of the European Parliament, called on another great French woman, Louise Weiss, doyenne of the Assembly, to preside over its first session, and eventually passed the baton to her, establishing female leadership of the most democratic body of the then European Community. She died in 2017, two weeks before her 90th birthday. She is buried with her husband at the Pantheon, along with only four other women. The handover between Veil and Weiss recognized the transition from the utopian and adventurous Europeanism of the early twentieth century to the institutionalized, concrete and factual program that brings us to the present day. Weiss had said, in one of the most beautiful speeches ever made in the European Parliament, "The Community institutions have made European beets, butter, cheese, wine, calves and even pigs. But they have not made European humanity." That humanity "must be remade." This titanic task fell to a woman, Simone Veil, according to whom Europe was called to "take up the gauntlet of three important challenges: that of peace, that of freedom and that of well-being." The legacy that this extraordinary woman left us is summarized in what she chose to have engraved on the sword of the Immortals of the Académie Française, when, in 2008, she was admitted there: the number of deported to Auschwitz-Birkenau, 78,651, the motto of France "Liberté, Egalité, Fraternité" and that of the European Union, "United in Diversity," a smiling female face, two intertwined hands, and olive branches. This was the pacifist, feminist, pro-European and democratic teaching of a woman who, with courage and stubbornness, "was able to transform pain into hope, creating a bridge between the horrors of Nazism and the rebirth of a new Europe." (Serafin, L’Italy ricorda Simone Veil, Senate of the Republic, Proceedings of the Conference of July 27, 2017.) Precisely for this reason, her designation as the "Conscience of Europe" could not have been more fitting for this courageous fighter for European values and for the human rights of the weakest and of minorities. In 2018, France dedicated a 2-euro commemorative stamp to her. Since March 14, 2019 a plaque honoring her can be admired in the Milan Gardino dei Guisti of the whole world.

 

 

Marcelle Lentz Cornette
Maria Pia Di Nonno



Martina Zinni

 

Su Marcelle Lentz Cornette (1927-2008), se ci affidassimo alle sole fonti rintracciabili sul web, non vi sarebbe quasi nulla da scrivere. E questo non perché il suo impegno a livello comunitario sia stato irrisorio o irrilevante, ma perché – e permane ancora oggi – esiste una forma ancora più subdola di discriminazione che affligge le donne, ovvero “l’oblio storico”. Tale forma di dimenticanza può essere imputata ad una serie di motivi tra cui: il non aver rivestito incarichi apicali, il non essere state al centro dell’interesse mediatico, l’essere proiettate verso azioni più concrete che di prestigio e così via discorrendo. Se invece ci affidassimo ad una ricerca di tipo tradizionale la situazione apparirebbe leggermente meno nebulosa, ma ad ogni modo poco soddisfacente. Ricercare documenti relativi alla storia delle donne negli archivi istituzionali risulta essere un’impresa non sempre agile. I documenti che pure, piano piano, è possibile rinvenire sono spesso non ordinati e catalogati univocamente – trattandosi, nella maggioranza dei casi, di tematiche considerate di secondaria importanza – sono spesso conservati in fondi e archivi differenti. Questo implica che una ricerca su una donna necessita, per forza maggiore, di un più intenso impegno e di più ingenti risorse. Ecco, dunque, un ulteriore motivo che potrebbe minare la buona volontà di studiose e studiosi nell’impegnarsi in siffatti percorsi di studio. Nel caso specifico di Marcelle Lentz, anche se si tratta di una prima ed iniziale ricerca, i documenti sono stati rivenuti principalmente negli Archivi Storici dell’Unione Europea di Firenze e presso gli Archivi Storici del Gruppo Ppe al Pe. Di estrema utilità sono risultate essere alcune risorse come: le riviste dell’epoca come "CD Europe" e "Donne d’Europa", i report ufficiali prodotti dal Gruppo del Ppe e i documenti ufficiali delle sedute plenarie del Parlamento Europeo. Sul profilo personale di Marcelle Lentz non è stato rinvenuto molto, ma se ne condividono le principali note biografiche affinché possano essere d’aiuto a future studiose e, si spera, anche futuri studiosi. Sappiamo che è nata il 2 marzo 1927 a Niederkorn e che ha conseguito un dottorato in Chimica alla Sorbona. Prima di giungere al Parlamento Europeo è stata insegnante, consigliera comunale di Belvaux e assessora comunale. Il 10 giugno del 1979 viene eletta alla Camera dei Deputati lussemburghese per poi assumere l’incarico, il 5 marzo del 1980, di europarlamentare in rappresentanza del Partito cristiano sociale del Lussemburgo in sostituzione dell’on. Jean Spautz che viene, a sua volta, designato Ministro dell’Interno.

In realtà nel 1979, sebbene Lentz sia tra le candidate alle elezioni a suffragio universale, è un’altra la donna che viene eletta per il Lussemburgo. Su un totale di 6 seggi il granducato vede, a ridosso degli scrutini del giugno 1979, l’elezione dell’on. Colette Flesch, del Partito democratico – classe 1937 e tuttora vivente – dimessasi dal Parlamento Europeo il 22 novembre 1980. Colette Flesch è, inoltre, la seconda donna lussemburghese, ed ancora prima delle elezioni a suffragio universale, a sedere nell’Assemblea Europea. La prima donna in assoluto, invece, a rappresentare il Lussemburgo è la celeberrima Astrid Lulling, esponente del Partito cristiano sociale. Ma Astrid Lulling (classe 1929 e vivente) non solo è la prima lussemburghese a sedere nel Parlamento Europeo (seppure ancora non eletto a suffragio universale) nel 1965, ma è anche una delle pochissime (forse l’unica) personalità che si è vista intitolare una sala di un’istituzione europea prima della propria morte, ovvero la sala di lettura, accessibile ai soli membri del Parlamento, posta al piano terra della sede del Parlamento Europeo di Bruxelles. Simone Veil e Louise Weiss hanno dovuto attendere molto di più, ad esempio, per vedersi riconoscere la prima l’Agora Simone Veil, nel 2017, adiacente all’entrata dell’edificio Altiero Spinelli del Parlamento a Bruxelles e la seconda il nuovo edificio del Pe a Strasburgo inaugurato nel 1999. Ma torniamo a Marcelle Lentz Cornette. Marcelle è dunque la terza lussemburghese a sedere nel Parlamento Europeo e, a partire dal marzo 1980, viene coinvolta nei lavori di alcuni Commissioni come: la Committee on the Environment, Public Health and Consumer Protection in veste di membro ufficiale e la Commissione sui diritti delle donne in veste di membro supplente. In quest’ultimo caso, sebbene non sia tra i membri ufficiali della Commissione temporanea costituita nell’ottobre del 1979, ne segue attivamente vicissitudini e iniziative. Partecipa attivamente anche ai lavori che conducono il 10 e l’11 febbraio del 1981 alla discussione, e alla votazione in seduta plenaria del Pe, del Rapporto finale prodotto dalla Commissione ad hoc ed anche noto, dal nome della relatrice, come Rapporto Maij Weggen. In quel rapporto – che rappresenta la pietra miliare della storia dei diritti delle europee prima nella Cee e poi nella Ue – Marcelle Lentz interviene senza negare i propri valori e prospettive politiche. Afferma, ad esempio, che l’aborto a suo avviso vada visto come un «dramma e una sconfitta individuale e sociale» e che è necessario limitarne il ricorso tramite apposite misure di prevenzione e di educazione sessuale. Rammenta, inoltre, che è non è sufficiente focalizzare l’attenzione solo sulle donne che svolgono un’attività professionale e che l’emancipazione femminile passa in primo luogo dalla famiglia. Certo la questione dell’aborto (ma ce ne sono altre) rappresenta uno dei temi più annosi che la Commissione ad hoc si trova ad affrontare. Se questo è innegabile, è altrettanto vero che le europarlamentari dimostrano di saper affrontare ogni questione nel giusto modo – consapevoli anche delle diverse prospettive di ogni componente – e ponendo sempre al centro, innanzitutto, i diritti delle donne europee.

In particolare sono le elette del 1979 a poter essere definite le pioniere dell’attuale Commissione Femm al Parlamento Europeo. Grazie alla loro capacità di fare rete e di trovare un punto di accordo e di mediazione, senza rinnegare i loro valori e diverse visioni politiche, non solo il Rapporto Weggen viene approvato (molte furono le opposizioni soprattutto degli uomini circa la questione dell’aborto, già citata), ma la stessa Commissione ad hoc, con natura temporanea, non viene soppressa. Al suo posto, nel 1981, viene istituita una seconda Commissione temporanea – la Commissione d’Inchiesta sui Diritti delle Donne (anch’essa temporanea) e nel 1984 la Commissione sui Diritti delle Donne con status di Commissione permanente. L’attuale Commissione Femm del Parlamento europeo è, dunque, la diretta discendente del lavoro e del contributo delle donne della Prima legislatura. Vi è, infine, un’ultima annotazione da fare e che potrebbe risultare utile per chi volesse in futuro approfondire la figura e la biografia di questa donna. Marcelle Lentz in alcuni documenti dell’epoca viene confusa con un’altra europarlamentare della Prima legislatura ed ovvero la tedesca Marlene Lenz (membro della Cdu): anch’ella coinvolta nella Commissione ad hoc e membro del Gruppo del Ppe al Pe. Un’assonanza che potrebbe rendere ancora più insidiosa la ricerca e l’analisi dei documenti d’archivio. Dunque, è questo un aspetto al quale dedicare dovuta attenzione. Intanto dopo il 1979 la carriera politica di Marcelle prosegue. Viene eletta al Pe nel 1984 (II legislatura 1984-1989) e, a seguire, riceve dei mandati al Consiglio d’Europa (1989-1999). Lì è altrettanto attiva nei lavori di alcune commissioni e nella predisposizione di studi, report e analisi. Si occupa ad esempio, nei primi anni Novanta, della condizione in Albania, dopo la caduta di Enver Hoxha, del rispetto dei diritti umani in Turchia e della situazione politica in Iran. Dopo questa data, a causa della mancanza di reperimento di fonti, le tracce di Marcelle Lentz Cornette si perdono. L’ultimo elemento che è stato possibile rinvenire sul sito ufficiale del Pe è la data della sua scomparsa: il 29 gennaio 2008.

 

Traduzione francese
Joelle Rampacci

Sur Marcelle Lentz Cornette (1927-2008), si on ne comptait que sur les sources traçables sur le web, il n'y aurait presque rien à écrire. Et ce n'est pas parce que son engagement au niveau communautaire ait été négligeable ou insignifiant, mais parce que - et ceci encore aujourd'hui - il existe une forme de discrimination encore plus subtile qui afflige les femmes, à savoir «l'oubli historique». Cette forme d'oubli peut être attribuée à un certain nombre de raisons dont: ne pas avoir occupé des postes de direction, ne pas avoir été au centre de l'intérêt médiatique, être projeté vers des actions plus concrètes que le prestige, et ainsi de suite... Si, en revanche, nous nous appuyions sur des recherches traditionnelles, la situation apparaîtrait un peu moins nébuleuse, mais en tout les cas peu satisfaisante. La recherche de documents relatifs à l'histoire des femmes dans les archives institutionnelles n'est pas toujours une entreprise agile. Les documents qu'il est cependant possible de trouver ne sont souvent pas triés et catalogués de manière univoque - car, dans la plupart des cas, les questions considérées comme d'importance secondaire - sont souvent conservées dans des fonds et des archives différents. Cela implique qu'une recherche sur une femme nécessite, par force majeure, un engagement plus intense et des ressources plus conséquentes. Voici donc une autre raison qui pourrait saper la bonne volonté des savants et des universitaires à s'engager dans de telles voies d'étude. Dans le cas particulier de Marcelle Lentz, même s'il s'agit d'une première et initiale recherche, les documents ont été retrouvés principalement dans les Archives historiques de l'Union européenne à Florence et dans les Archives historiques du Groupe Ppe al Pe. Certaines ressources ont été extrêmement utiles, comme : les magazines d'époque tels que "CD Europe" et "Femmes d'Europe", les rapports officiels produits par le Groupe PPE et les documents officiels des sessions plénières du Parlement européen. Peu de choses ont été trouvées sur le profil personnel de Marcelle Lentz, mais ses principales notes biographiques sont divulguées afin qu'elles puissent être utiles aux futurs chercheuses et, espérons-le, aux futurs chercheurs également. On sait qu'elle est née le 2 mars 1927 à Niederkorn et qu'elle a obtenu un doctorat en chimie à la Sorbonne. Avant de rejoindre le Parlement européen, elle était enseignante, conseillère municipale de Belvaux et adjointe au maire. Le 10 juin 1979, elle est élue à la Chambre des députés luxembourgeoise puis assume le poste, le 5 mars 1980, de député européen représentant le Parti chrétien-social du Luxembourg en remplacement du député Jean Spautz qui est, à son tour, désigné ministre de l'Intérieur.

En effet, en 1979, alors que Lentz figurait parmi les candidats aux élections au suffrage universel, une autre femme a été élue pour le Luxembourg. Sur un total de 6 sièges, le Grand-Duché voit, à peine après le scrutin de juin 1979, l'élection de la députée Colette Flesch, du Parti démocrate - née en 1937 et toujours en vie - elle a démissionné du Parlement européen le 22 novembre 1980. Colette Flesch est aussi la deuxième Luxembourgeoise, et avant même l’élection au suffrage universel, à siéger à l'Assemblée européenne. La première femme à représenter le Luxembourg est la célèbre Astrid Lulling, membre du Parti chrétien-social. Mais Astrid Lulling (née en 1929 et encore vivante) n'est pas seulement la première Luxembourgeoise à siéger au Parlement européen (même si pas encore élu au suffrage universel) en 1965, mais elle est aussi l'une des très rares (peut-être la seule) personnalité à avoir eu une salle d'une institution européenne intitulée à son nom avant sa mort, la salle de lecture, accessible uniquement aux députés, située au rez-de-chaussée du siège du Parlement européen à Bruxelles. Simone Veil et Louise Weiss ont dû attendre beaucoup plus longtemps, par exemple, pour être reconnues, la première, Agora Simone Veil, en 2017, à côté de l'entrée du bâtiment du Parlement Altiero Spinelli à Bruxelles et la seconde, le nouveau bâtiment de la Pe à Strasbourg inauguré en 1999. Mais revenons à Marcelle Lentz Cornette. Marcelle est donc la troisième Luxembourgeoise à siéger au Parlement européen et, à partir de mars 1980, elle est impliquée dans les travaux de certaines commissions telles que: la commission de l'environnement, de la santé publique et de la protection des consommateurs en tant que membre officiel et la Commission des droits des femmes comme membre suppléant. Dans ce dernier cas, bien qu'elle ne fasse pas partie des membres officiels de la Commission provisoire créée en octobre 1979, elle en suit activement les vicissitudes et les initiatives. Elle participe également activement aux travaux qui ont conduit les 10 et 11 février 1981 à la discussion et au vote, en séance plénière du PE, du rapport final produit par la Commission ad hoc et également connu sous le nom du rapporteur, le rapport Maij Weggen. Dans ce rapport - qui représente le jalon dans l'histoire des droits européens d'abord dans la CEE puis dans l'UE - Marcelle Lentz intervient sans nier ses propres valeurs et perspectives politiques. Elle affirme, par exemple, qu'à son avis, l'avortement doit être considéré comme un "drame et une défaite individuelle et sociale" et qu'il est nécessaire de limiter son utilisation par des mesures spécifiques de prévention et d'éducation sexuelle. Il rappelle également qu'il ne suffit pas de se concentrer uniquement sur les femmes qui exercent une activité professionnelle mais que l'émancipation des femmes passe en premier lieu par la famille. Bien sûr, la question de l'avortement (mais il y en a d'autres) est l'une des plus anciennes et difficiles questions auxquelles la Commission ad hoc doit faire face. Si cela est indéniable, il est tout aussi vrai que les eurodéputés démontrent qu’ils savent comment traiter chaque question de la bonne manière - conscients également des différentes perspectives de chacun des composants - et en plaçant toujours et surtout les droits des femmes européennes au centre.

En particulier, les femmes élues en 1979 peuvent être définies comme les pionnières de l'actuelle Commission Femm au Parlement européen. Grâce à leur capacité à réseauter et à trouver un point d'accord et de médiation, sans renier leurs valeurs et leurs différentes visions politiques, non seulement le rapport Weggen est approuvé (il y eut de nombreuses oppositions, notamment de la part des hommes sur la question de l'avortement, déjà citée), mais la Commission ad hoc elle-même, à caractère temporaire, n'est pas abolie. A sa place, en 1981, une deuxième Commission temporaire a été créée - la Commission d'enquête sur les droits de la femme (également temporaire) et en 1984 la Commission des droits de la femme avec le statut de Commission permanente. L'actuelle Commission Femm du Parlement européen est donc la descendante directe du travail et de la contribution des femmes au sein de la première législature. Enfin, il y a une dernière note à faire et qui pourrait être utile à ceux qui souhaitent approfondir la figure et la biographie de cette femme dans le futur. Marcelle Lentz dans certains documents de l'époque est confondue avec une autre eurodéputée de la première législature, à savoir l'Allemande Marlene Lenz (membre de la CDU): elle aussi a été impliquée dans la Commission ad hoc et membre du groupe Ppe du Pe. C’est donc un aspect auquel il faudra consacrer une grande attention. Entre-temps, après 1979, la carrière politique de Marcelle se poursuit. Elle a été élue au PE en 1984 (deuxième législature 1984-1989) et, par la suite,elle a reçu des mandats au Conseil de l'Europe (1989-1999). Là, elle est également active dans les travaux de certaines commissions et dans la prédisposition d'études, de rapports et d'analyses. Par exemple, au début des années 90, elle a traité de la situation en Albanie, après la chute d'Enver Hoxha, du respect des droits de l'homme en Turquie et de la situation politique en Iran. Après cette date, faute de découvertes de sources nouvelles, les traces de Marcelle Lentz Cornette se perdent. Le dernier élément que l'on a pu trouvé sur le site officiel du PE est la date de son décès: le 29 janvier 2008.

 

Traduzione inglese
Syd Stapleton

If we relied only on the sources available on the web, there would be almost nothing to write about Marcelle Lentz Cornette (1927-2008). And this is not because her commitment to the community was insignificant or irrelevant, but because - and this still persists today - there exists even more insidious form of discrimination that afflicts women, namely "historical oblivion". This form of oblivion can be attributed to a number of reasons, including women not having held top positions, not having been at the center of media interest, being projected towards actions that are more concrete than prestigious, and so on. On the other hand, if we were to rely on a traditional type of research, the situation would appear slightly less nebulous, but in any case still not very satisfactory. Researching documents related to the history of women in institutional archives is not always easy. The documents that can be found are often not ordered and catalogued carefully - since, in most cases, they deal with topics considered of secondary importance - and are often kept in different funds and archives. This means that research on a woman requires a greater commitment and more resources. This is another factor that could undermine the good will of scholars to engage in such studies. In the specific case of Marcelle Lentz, even though this is an early and initial research, the documents were found mainly in the Historical Archives of the European Union in Florence and in the Historical Archives of the PPE Group at the European Parliament. Some resources were extremely useful, such as the magazines of the time, for example, "CD Europe" and "Donne d'Europa", the official reports produced by the PPE Group, and the official documents of the plenary sessions of the European Parliament. Not much has been found about Marcelle Lentz's personal profile, but we share the main biographical notes so that they may be helpful to future scholars, male and female. We do know that she was born on March 2, 1927 in Niederkorn and earned a doctorate in Chemistry from the Sorbonne. Before coming to the European Parliament, she was a teacher, town councillor of Belvaux and town assessor. On June 10, 1979 she was elected to the Luxembourg Chamber of Deputies and on March 5, 1980 she became a member of the European Parliament representing the Christian Social Party of Luxembourg, replacing Jean Spautz, who in turn was appointed Minister of the Interior.

In 1979, although Lentz was among the candidates in the universal suffrage elections, it was another woman who was elected for Luxembourg. Out of a total of 6 seats the Grand Duchy saw, at the close of the June 1979 polls, the election of Colette Flesch, of the Democratic Party - born in 1937 and still living - who resigned from the European Parliament on November 22nd, 1980. Colette Flesch was actually the second woman from Luxembourg, even before the elections by universal suffrage, to sit in the European Assembly. The first woman ever, instead, to represent Luxembourg was the famous Astrid Lulling, exponent of the Christian Social Party. But Astrid Lulling (born in 1929 and still living) is not only the first Luxembourger to sit in the European Parliament (although not yet elected by universal suffrage) in 1965, but she is also one of the very few personalities (perhaps the only) who has had a room of a European institution named after her before her death, namely the reading room, accessible only to members of Parliament, located on the ground floor of the European Parliament building in Brussels. Simone Veil and Louise Weiss had to wait much longer, for example, for the former to be honored by the Agora Simone Veil in 2017, adjacent to the entrance of the Altiero Spinelli building of the Parliament in Brussels, and for the latter to be recognized in the name of the new EP building in Strasbourg, inaugurated in 1999. But let's go back to Marcelle Lentz Cornette. Marcelle was therefore the third Luxembourger to sit in the European Parliament. Beginning in March of 1980, she became involved in the work of some Commissions such as the Committee on the Environment, Public Health and Consumer Protection as an official member, and the Commission on Women's Rights as an alternate member. In this last case, although she was not among the official members of the temporary Commission constituted in October 1979, she actively followed its vicissitudes and initiatives. She also took an active part in the work that led, on February 10 and 11, 1981, to the discussion and vote in the plenary session of the EP on the Final Report produced by the ad hoc Commission and also known, from the name of the rapporteur, as the Maij Weggen Report. In that report - which represents a milestone in the history of the rights of European women first in the EEC and then in the EU - Marcelle Lentz intervened without denying her own values and political perspectives. She affirmed, for example, that in her opinion abortion should be seen as a "drama and an individual and social defeat" and that it is necessary to limit its use through appropriate measures of prevention and sex education. She also pointed out that it is not enough to focus attention only on women in the workplace, and that women's emancipation comes primarily from the family. Certainly, the question of abortion (but there are others) was one of the most pressing issues facing the ad hoc Commission. If this is undeniable, it is equally true that the MEPs showed that they were able to address each issue in the right way - aware of the different perspectives of each component - and always focusing, first and foremost, on the rights of European women.

In particular, the women elected in 1979 can be defined as the pioneers of the current Femm Commission in the European Parliament. Thanks to their ability to network and to find points of agreement and mediation, without denying their sometimes different values and political visions, not only was the Weggen Report approved (there was a great deal of opposition, especially from men, on the issue of abortion, already mentioned), but the ad hoc Commission itself, of a temporary nature, was not suppressed. In its place, in 1981, a second temporary Commission was established - the Commission of Inquiry into Women's Rights (also temporary) and in 1984 the Commission on Women's Rights with the status of a permanent Commission. The current Femm Committee of the European Parliament is, therefore, the direct descendant of the work and contribution of women from the First Legislature. There is, finally, a last note to make that could be useful for those who want, in the future, to deepen the understanding and biography of this woman. Marcelle Lentz, in some documents of the time, is confused with another MEP of the First Legislature, the German Marlene Lenz (member of the CDU). Lenz was also involved in the Ad Hoc Commission and member of the PPE Group at the EP. The similarity of their names could make research and analysis of archival documents even more difficult. This, therefore, is an aspect to which due attention should be paid. Meanwhile, after 1979, Marcelle's political career continued. She was elected to the European Parliament in 1984 (second legislature 1984-1989) and then received a mandate in the Council of Europe (1989-1999). There she was equally active in the work of some commissions and in the preparation of studies, reports and analyses. In the early nineties, for example, she dealt with the situation in Albania after the fall of Enver Hoxha, issues of human rights in Turkey, and the political situation in Iran. With the turn of the 21st century, the traces of Marcelle Lentz Cornette are largely lost, due to the lack of available sources. The last information about her that could be found on the official website of the EP is the date of her death - January 29, 2008.

Edita da Matilda editrice, Calendaria 2022 è dedicata a 62 donne europee distintesi nei diversi campi collegati ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. Sono donne che hanno dato una nuova idea del sapere femminile – concreto, realistico ma profondamente intriso di umanità – su cui si dovrà basare l’Europa del futuro. Le figure scelte per l’Italia sono Maria Montessori, Eva Mameli, Laura Conti e Trotula de Ruggiero. Il progetto, in italiano, francese e inglese, conferma l’impostazione del 2021 e prevede:

1. la stampa del calendario da parete illustrato, di formato 30 x 30 cm (aperto 60 x 30);

2. la pubblicazione per tutto il 2022 di biografie settimanali delle donne scelte, in formato digitale e in tre lingue;

3. la campagna di sensibilizzazione nelle scuole e presso le istituzioni, per l’intitolazione di spazi pubblici alle donne rappresentate su Calendaria 2022.

In ogni settimana di Calendaria 2022 ci saranno il ritratto e un breve profilo di una delle protagoniste. Su Vitamine vaganti verranno pubblicati racconti biografici su quelle stesse donne e sul sito www.toponomasticafemminile.com appariranno traduzioni o abstract in varie lingue.

Calendaria resta un progetto corale.

 

La squadra di lavoro di quest’anno, coordinata dalla presidente di Toponomastica femminile Maria Pia Ercolini, dalla responsabile di Matilda Editrice Donatella Caione e dall’architetta Livia Fabiani, curatrice grafica del progetto, comprende anche 13 illustratrici appartenenti a 7 Paesi dell’Unione Europea. Il progetto editoriale e grafico è supportato dal lavoro di ricerca, scrittura, traduzione e redazione di tante socie di Toponomastica femminile e altre donne europee. Molte sono le giovani che con Calendaria avranno l’occasione di sperimentare, acquisire competenze, conoscere, svolgere lavori di gruppo. Siamo infatti convinte che il trasferimento di competenze intergenerazionale sia un punto nodale per la formazione di un’Europa nuova. Calendaria 2022 verrà diffuso in scuole, università, biblioteche e centri di cultura, affinché sia visibile, ogni giorno, il ruolo attivo che le donne hanno svolto e svolgono in tutti i Paesi dell’Unione Europea. Individuare 62 donne di 27 Paesi Europei non è stato difficile. Semmai abbiamo avuto l’imbarazzo della scelta. Abbiamo dovuto escluderne alcune già note per dare spazio a figure straordinarie ma talvolta del tutto sconosciute al di fuori del loro Stato. Vogliamo evidenziare quanto l’assenza delle donne dai libri di testo, e dalla documentazione in generale, sia grave e assurda. Leggendo le loro biografie si scopriranno le difficoltà che hanno dovuto superare, in quanto donne, e i successi raggiunti. E si potrà riflettere su come sarebbe diversa oggi la società in cui viviamo se nei secoli passati le opportunità fossero state distribuite equamente. Crediamo che dar voce alle grandi donne del passato e del presente possa incitare bambine e ragazze a guardare sé stesse e la propria vita senza limitazioni di sogni e desideri, e bambini e ragazzi a considerarsi non i depositari di privilegi sociali e culturali ma una metà dell’umanità: con gli stessi diritti e gli stessi entusiasmi dell’altra.

Articolo su https://vitaminevaganti.com/2021/06/19/calendaria-2022-cosa-resta-cosa-cambia/

Calendaria 2022 - Aletta Jacobs
Calendaria 2022 - Agnodice
Calendaria 2022 - Lydia Sklevicky
Calendaria 2022 - Marguerite Thomas-Clement
Calendaria 2022 - Françoise d'Eaubonne
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Calendaria 2022 - Nora Herlihy
Calendaria 2022 - Ninni Maria Kronberg
Calendaria 2022 - Marja Ochorowicz Monatowa
Calendaria 2022 - Natalie Zahle
Calendaria 2022 - Emmi Pikler
Calendaria 2022 - Maria Montessori
Calendaria 2022 - Maria Grzegorzewska
Calendaria 2022 - Suzan Ari
Calendaria 2022 - Alice Pestana
Calendaria 2022 - Ria Beckers
Calendaria 2022 - Alva Reimer Myrdal
Calendaria 2022 - Bertha Von Suttner
Calendaria 2022 - Anita Augspurg
Calendaria 2022 - Leena Peltonen
Calendaria 2022 - Trotula de Ruggiero
Calendaria 2022 - Mary Papanikolau
Calendaria 2022 - Isala Von Diest
Calendaria 2022 - Catharine Van Tussenbroek
Calendaria 2022 - Cesina Bermudes
Calendaria 2022 - Ester Børgesen Boserup
Calendaria 2022 - Zlata Bartl
Calendaria 2022 - Ana Asla
Calendaria 2022 - Eugenija Šimkūnaitė
Calendaria 2022 - Maria Petrou
Calendaria 2022 - Mary Elmes
Calendaria 2022 - Alojzija Štebi
Calendaria 2022 - Veronica Stolte-Hèiskanen
Calendaria 2022 - Berta Pīpiņa
Calendaria 2022 - Concepción Arenal
Calendaria 2022 - Charlotte Perriand
Calendaria 2022 - Bucura Dumbravă
Calendaria 2022 - Naziha Mestaoui
Calendaria 2022 - Margarete Schütte Lihotzky
Calendaria 2022 - Margrit Kennedy
Calendaria 2022 - Jeannette Villepreux Power
Calendaria 2022 - Julie Moschelesová
Calendaria 2022 - Ángeles Alvariño González
Calendaria 2022 - Elisabeth Mann Borgese
Calendaria 2022 - Edith Elisabeth Farkas
Calendaria 2022 - Elizaveta Karamihailova
Calendaria 2022 - Elisa Leonida Zamfirescu
Calendaria 2022 - Maggie Borg
Calendaria 2022 - Marguerite Massart
Calendaria 2022 - Laura Conti
Calendaria 2022 - Ildegarda di Bingen
Calendaria 2022 - Eva Mameli Calvino
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